Utente:Barjimoa/Sandbox

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Interpretazione

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Storia del Rinascimento

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Italia pre-romana

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(Italia romana)

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Repubblica romana

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Impero romano

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Italia post-romana

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Alto medioevo

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Pieno medioevo

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Tardo medioevo

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Guerre di Religione

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Epoca delle rivoluzioni

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Restaurazione

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Il Congresso di Vienna del 1814-1815 aveva restaurato, seppur con alcune modifiche, l'Europa assolutista che era esistita prima della rivoluzione francese e della parabola di Napoleone Bonaparte. L'Italia fu nuovamente divisa, stavolta in sette stati: Regno del Lombardo-Veneto, Ducato di Modena e Reggio, Ducato di Parma e Piacenza, Granducato di Toscana, Stato Pontificio, Regno delle Due Sicilie, e Regno di Sardegna. Gli Asburgo d'Austria dominavano direttamente il Lombardo-Veneto, provincia dell'impero austriaco, e controllavano indirettamente la Toscana e Modena, essendo questi due principati in mano a rami cadetti della dinastia asburgica. Parma, pur sottoposta ad una dinastia borbonica, accettò, essendo incuneata fra Lombardia e Toscana, il protettorato asburgico e l'insediamento di truppe austriache nel proprio territorio. Altre milizie imperiali erano stanziate nella Romagna pontificia, giacché il Papa riconosceva, volente o nolente, il ruolo di protettore della cristianità e dello stato ecclesiastico all'imperatore asburgico.

L'Italia settentrionale era quindi parte della sfera d'influenza austriaca, con l'eccezione del regno di Sardegna. Quest'ultimo, retto dalla dinastia dei Savoia, comprendeva: l'originario ducato sabaudo d'oltralpe, l'isola sarda da cui derivava il titolo regale, le province della Liguria e della Val d'Aosta, il circondario di Nizza, e, cuore dello stato, il Piemonte. Già da secoli i Savoia, da principi franco-italiani che erano, avevano fatto di quest'ultima regione il centro dei loro interessi, prima ottenendo il titolo di vicari del sacro romano impero in Italia e poi trasferendo la corte da Chambéry a Torino durante il Rinascimento, con il risultato di trasformarsi, fermo restando il loro appoggio all'assolutismo monarchico, in campioni dell'italianità contro l'ingerenza straniera. Anche italianizzati erano i Borbone delle Due Sicilie, ma, per il fatto di costituire un ramo cadetto dei Borbone di Spagna, per la loro piena aderenza alla restaurazione austriaca, per la protezione che su di essi esercitavano le corti di Vienna e Madrid, e per l'arretratezza economico-sociale del mezzogiorno, non poterono mai parlare a nome dell'Italia.

Gli stati italiani furono anch'essi agitati dai moti del 1820 e del 1831, quando gruppi di rivoluzionari chiesero il ritorno della liberté e la concessione di costituzioni scritte che garantissero: libertà di stampa e di riunione, inviolabilità di domicilio e proprietà, fine dell'assolutismo con l'istituzione di parlamenti rappresentativi dei contribuenti. In questo contesto si strutturano anche i movimenti patriottici, che chiedono, oltre al liberalismo, l'unificazione nazionale... E, tra di loro, altri rivoluzionari vogliono di più e cioè che l'Italia unita sia repubblicana e democratica.

La primavera dei popoli del 1848 segna l'inizio delle guerre d'indipendenza italiane. Rivolte popolari scacciano gli austriaci dalle legazioni pontefice (Bologna e Ferrara), dalla Lombardia (nascita di un governo provvisorio) e dal veneto

Le tappe dell'unificazione italiana tra il 1829 e il 1871

Contemporaneità

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Risorgimento (unità e indipendenza)

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A capo del movimento unitario si pone il regno di Sardegna, il cui re, Carlo Alberto di Savoia, promulga lo Statuto Albertino, dando ai patrioti

59-60 plebisciti estensione statuto albertino. piemontesizzazione (pregi e difetti). leggi rattazzi etendono. Sistema napoleonico. Province, prefetti, forze armat e polizia, Eccezione Comuni, tradizione italiana, anche se sindaco nomina regia e consigl.comunale eletto semre da pochi (compito della scuola, ma su modello grerarchico prussiano con estensione legge casati). Anche legge elettorale sabauda.Nel gennaio del 1861 si svolsero le elezioni del primo parlamento nazionale. L.elettorale sabauda, natura/effetti. Schieramemti a elezioni (personale, programmi, permanente e consorteria, anche meridionali a sinistra, scisssione partito d'azione) e risultati. Continua connubio. Cavour pdc, rattazzi pdcd. Apice piemontesizzaizone dell'unità: Il 17 marzo 1861 nacque il Regno d'Italia con l'approvazione in parlamento della formula presentata da Cavour: "Vittorio Emanuele II assume per sé e i suoi successori il titolo di Re d'Italia". Dieci giorni dopo, 27 Marzo, Roma acclamata capitale. Cavour respinse proposte federalistiche per ragioni pratiche, era contradditorio farlo (anche tenendo conto che non si era riusciti ad armonizzare i codici e a unire banche, data la forte tradizione italiana nel diritto e nel sistema bancario) mentre pianificava unione economia. Disomogenea situazione economico-sociale ita per dimensione e natura settore industriale, numero ferrovie e strade moderne, dati alfabetizzazione, situazione sanitaria (istituti privati/opere pie etc), natura dell'agricoltura. Unione doganale, effetti (parigi-londra 1860?). Libro verde, natura. Lira italiana (da lira sabauda?). Legge siccardi, liquidazione asse ecclesiastico. Scontro con chisa. Anche perchè, obiettivo principale: riconoscimento internazionale (che Chiesa negava per marche, umbria etc) e completamento risorgimento: cioè Veneto e Lazio. Roma dichiarata ufficiosamente capitale d'Italia. Libera chiesa in Libero stato. Scontro con garibaldi su camicie rosse sciolte, in parte assorbite e in parte allontanate, e morte Cavour. Suo programma a successori.

Brigantaggio.

Nel 1865 codici e polizia sanitaria.

Belle Époque

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Roma capitale consacrava l'Italia come grande potenza europea. Trattato costantinopoli 1871.

formò la Triplice Alleanza (1882) con Germania e Austria.

Nel 1911 l'Italia combatté la guerra italo-turca contro l'Impero ottomano, garantendosi il controllo della Libia[1] Nel 1914 l'Italia aveva acquisito in Africa una colonia sulla costa del Mar Rosso (Eritrea), un grande protettorato in Somalia e autorità amministrativa nell'ex Libia turca. Al di fuori dell'Africa, l'Italia possedeva una piccola concessione a Tientsin in Cina (a seguito dell'intervento a fianco degli occidentali per stroncare la rivolta dei Boxer) e controllava il Dodecaneso, arcipelago al largo della costa turca.

Prima guerra mondiale

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L'assassinio nella città bosniaca di Sarajevo dell'erede al trono asburgico e arciduca Francesco Ferdinando (28 giugno 1914) aprì una fase di tensione tra Austria e Serbia. Quest'ultima fu accusata dalla prima di fomentare, anche proteggendo reti terroristiche (come la Mano Nera), quel pan-slavismo balcanico che aveva portato l'attentatore Gavrilo Princip (membro della Giovane Bosnia) a uccidere il principe austriaco con la motivazione di staccare Slovenia, Croazia, e Bosnia ed Erzegovina dai domini asburgici per fonderli con Serbia, Montenegro, e Macedonia in una grande Slavia del Sud (Yugoslavia). L'imperatore Francesco Giuseppe inviò alla Serbia un ultimatum, irricevibile nella sua totalità e con scadenze 28 luglio, che in pratica si traduceva nella cessione della sovranità serba all'Austria, in particolare dei compiti di polizia. La Russia dello Zar Nicola II, slava e ortodossa come la Serbia, minacciò gli Asburgo di intervenire in caso di aggressione e si erse a protettrice dei serbi e dell'equilibrio balcanico, con l'intento di frenare l'avanzata austriaca nei Balcani, dove essa stessa mirava ad espandersi. Fu chiaro a tutti che, per effetto dei patti difensivi alla base della della Triplice Intesa (Russia, Inghilterra, Francia) e della Triplice Alleanza (Austria, Germania, Italia), un conflitto Austro-Russo sarebbe diventato una guerra europea e mondiale.

Così si aprì la crisi di luglio, durante la quale le quattro potenze non direttamente coinvolte (Inghilterra, Francia, Germania, Italia) si offrirono per mediare tra Austria e Russia. Ma fu tutto inutile, e specialmente per la "carta bianca" che il Kaiser Guglielmo II diede all'omologo austriaco. Al bombardamento austriaco di Belgrado, la Russia reagì ordinando la mobilitazione generale; la Gemania le dichiarò guerra e, anticipando i francesi per non finire accerchiata, altrettanto fece nei confronti della Francia, invadendone a sorpresa il paese dopo aver occupato la quasi totalità di Belgio e Lussemburgo (Piano Schlieffen). Contemporaneamente falliva il Piano XVII, ossia il tentativo francese di recuperare Alsazia e Lorenza allo scoppio di un conflitto con la Germania. La manovra tedesca comportò la dichiarazione di guerra dell'Inghilterra, convintasi che la Germania, per aver violato la neutralità belga, fosse l'aggressore. Francesi e britannici fermarono sulla Marna l'avanzata tedesca, a pochi chilometri da Parigi. poi sul fiume. Tentativi di aggiramenti reciproci verso nord, la cosiddetta corsa al mare, fallirono. Nasceva il fronte occidentale, che si estendeva dalle Fiandre alla triplice frontiera con la Svizzera lungo tutto il confine Franco-Tedesco.


In quel mese frenetico,

prese l'offensiva contro i termini dell'alleanza e l'Italia decise di prendere parte alla Prima guerra mondiale come principale potenza alleata di Francia e Gran Bretagna. Due leader, il Primo Ministro Antonio Salandra e il Ministro degli Esteri Sidney Sonnino presero questa decisione; la loro motivazione principale era l'ottenimento del territorio austriaco etnicamente italiano, come segretamente promesso dalla Gran Bretagna e dalla Francia nel Trattato di Londra del 1915. Inoltre, l'Italia occupò l'Albania meridionale e stabilì un protettorato sull'Albania, che rimase in vigore fino al 1920.[2] Gli Alleati sconfissero l'Impero austriaco nel 1918 e

Periodo interbellico

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Primo dopoguerra=

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l'Italia divenne uno dei quattro Grandi della conferenza di pace. Alla Conferenza di pace di Parigi del 1919, il Primo Ministro Vittorio Emanuele Orlando si concentrò quasi esclusivamente sui guadagni territoriali, ma ottenne molto meno di quanto desiderasse e gli italiani si risentirono amaramente quando fu negato loro il possesso della città di Fiume. La conferenza, sotto il controllo di Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti che si rifiutarono di assegnare la Dalmazia e l'Albania all'Italia come era stato promesso dal Trattato di Londra. Gran Bretagna, Francia e Giappone si spartirono le colonie tedesche d'oltremare sotto la forma giuridica del mandato della Società delle Nazioni, escludendo l'Italia. Inoltre il Paese non ebbe alcun guadagno territoriale dal crollo dell'Impero ottomano. Scoppiarono quindi disordini civili tra i nazionalisti, che sostenevano lo sforzo bellico e si opponevano a quella che chiamavano la "vittoria mutilata" e i pacifisti di sinistra che si opponevano alla guerra.[3]

Comepensazioni coloniali riconosciute alla conferenza di Parigi (il 7 maggio? Vedi crespi). ottenute poi. Raddoppio Libia.

Porzioni del sahara algerino tra Ghadames e Ghat e del sahara nigerino tra Ghat e Ghadir (1919) alla Libia.

Castelrosso (1920) dalla Cilicia al Dodecaneso.

Oltregiuba (1924-5) dal Kenya alla Somalia. Le oasi di Cufra e Giarabub (1925-6) dall'Egitto alla Libia.

(Vari diritti nella Concessione austriaca in Cina. C'era libro su questo. La cina di Ciano. Poi occupazione (temporanea?) nel 1927).

Isole hanish (1929-1933) dallo Yemen all'Eritrea.

Sarra (1934) dal Sudan alla Libia. Striscia di Aouzou (1935) dal Chad alla Libia e Raheiti da Gibuti a Eritrea.

Durante il discorso del bivacco, con cui chiese e ottenne la fiducia del parlamento, Benito Mussolini affermò che "la politica estera è quella che, specie in questo momento, più particolarmente ci occupa e preoccupa" e ne delineò il carattere generale di political del do ut des.

In primis, Mussolini affermò che accettava i trattati di pace, già imposti ai vinti dai vincitori, tra cui l'Italia, e ormai ratificati, ma allo stesso tempo ne chiedeva la revisione (revisionismo), proposta che arrivava dai paesi sconfitti e che il fascismo fece sua con l'interesse di correggere la "vittoria mutilata":

«Gli orientamenti fondamentali della nostra politica estera sono i seguenti: i trattati di pace, buoni o cattivi che siano, una volta che sono stati firmati e ratificati, vanno eseguiti. Uno Stato che si rispetti non può avere altra dottrina. I trattati non sono eterni, non sono irreparabili: sono capitoli della storia, non epilogo della storia. Eseguirli significa provarli. Se attraverso la esecuzione si appalesa il loro assurdo, ciò può costituire il fatto nuovo che apre la possibilità di un ulteriore esame delle rispettive posizioni...Per ciò che riguarda precisamente l’Italia noi intendiamo di seguire una politica di dignità e di utilità nazionale. Non possiamo permetterci il lusso di una politica di altruismo insensato o di dedizione completa ai disegni altrui. Do ut des. L’Italia di oggi conta, e deve adeguatamente contare. Lo si incomincia a riconoscere anche oltre i confini. Non abbiamo il cattivo gusto di esagerare la nostra potenza, ma non vogliamo nemmeno per eccessiva ed inutile modestia diminuirla. La mia formula è semplice: niente per niente. Chi vuole avere da noi prove concrete di amicizia, tali prove di concreta amicizia ci dia.»

colonie, risorse, debito.

In ultimo, Mussolini annunciò di mantenere l'Italia nell'alveo dell'intesa a condizione di un peso uguale a Francia e Inghilterra.

«L’Italia fascista, come non intende stracciare i trattati, così per molte ragioni di ordine politico, economico e morale non intende abbandonare gli alleati di guerra. Roma sta in linea con Parigi e Londra, ma l’Italia deve imporsi e deve porre agli Alleati quel coraggioso e severo esame di coscienza ch’essi non hanno affrontato dall’armistizio ad oggi. Esiste ancora una Intesa nel senso sostanziale della parola?...Mi propongo, nei colloqui che avrò coi primi ministri di Francia e di Inghilterra di affrontare con tutta chiarezza, nella sua complessità il problema dell’Intesa ed il problema conseguente della posizione dell’Italia in seno dell’Intesa. Da questo esame due ipotesi scaturiranno: o l’Intesa, sanando le sue angustie interne, le sue contraddizioni, diventerà veramente un blocco omogeneo, equilibrato, egualitario di forze – con eguali diritti ed eguali doveri – oppure sarà suonata la sua ora e l’Italia, riprendendo la sua libertà di azione, provvederà lealmente con altra politica alla tutela dei suoi interessi.Mi auguro che la prima eventualità si verifichi...Ma perché ciò sia, è necessario uscire una buona volta dal semplice terreno delle frasi convenzionali: è tempo insomma di uscire dallo spediente diplomatico che si rinnova e si ripete ad ogni conferenza, per entrare in quello dei fatti storici, sul terreno cioè in cui è possibile determinare in un senso o nell’altro un corso degli avvenimenti.»

Mussolini chiuse il passaggio sulla politica estera con la seguente sintesi: "Noi vogliamo seguire una politica di pace: non però una politica di suicidio".

Fu comunque la linea di continuità con il liberalismo a prevalere, grazie al sottosegretario Contarini. Gli accordi di Rapallo e santa Margherita del 1920 (buono ma osteggiato da fascisti intransigenti) e il trattato di Washington del 1922 ( 5:5:3:1:1 ma osteggiato dai fascisti per disarmo) furono portati davanti al parlamento e ratificati. Anche nei rapporti con Francia e Inghilterra Mussolini esordì sulla stessa linea (su Turchia "consacrare situazione di fatto" "qui ma non oltre", pace 20 e armistizio 22, dove espose per la prima volta i suoi concetti (alla conferenza di Losanna). Libia e Dodecaneso. Riconquista della Libia accelera ("pestar sodo"; inziata già facta nel 22 spinto dalla rivendicazioni naz?). Dodecaneso e in generale raporto con Grecia complesso. Tittoni-Venizelos per mandato su Albania; Trattato Tirana del 20 e conferenza ambasciatori grandi potenze del 21 (saseno e portezione diplomatica per indipendenza) > segue missione italiana per confini. Ora Grecia pesnava anche di espandersi in Epiro. Sostenuta Francia nell'occupazione della Saar (per partecipare a spartizione delle miniere) aplicò logica del pegno, a insaputa Contarini. Crisi corfu 23, rotturq con Ingh che mandà (home fleet?). Ma con mediazione di Contarini e Francia si giunse a accordo, onori/funerali/indennizzo. Ma soprattutto dichiarata annessione definitiva del Dodecaneso e messa in sicurezza confine albanese sud. Atto forza porta Yugoslavia a riconoscere confine Albanese nord e a spartire stato di Fiume con Ita (con Fiume a Italia + convenzione di Nettuno nel 25, con vantaggi economici per Italia dati interessi economici Italiani in dalmazia). Sempre nel '25 accordo Mussolini e l'adesso presidente (prima premier) Zog, che assicura semi-protettorato o protettorato di fatto (già dal 20-21?) e l'Albania nella sola sfera di ingluenza italiana (in caso guerra Albania ingresso Italiani, accordi 26-27 inhresso libeo a Valona, banche etc, Zog re Albanie nel 28 e Gramsci ricorda che alcuni la chiaman colonia). Locarno consacra parità (Ita-Ingh garantiscono frontiere Fra-Ger; dell'indipendenza Austriaca si fa di fatto garante Italia anche se non formalmente come voleva Musso) e apre a rinegoziazione debiti (Usa e Uk prestano a Ger, quindi tagliano anche a Ita con accordi Wahington nel 25).

Contarini lascia per imperialismo aggressivo Mussoliniano, per aver faticato su Locarno, e per arrivo Grandi. Che diventa sottosegr (25-29, poi min 29-32). Politica peso determinante tra Fra e Ger, anche per garanzie Locarno e previsto riarmo Germania e di tutti con superamento crisi grazie a prestiti e taglio debiti. Nuovo clima positivo Italia-Eng (e USA), consacrato da accordo su Etiopia (23 entrata in Soc.Naz. su rich ita nonostante norme 22-24 non eliminassero schiavitù, e poste basi per in accordo italo-etiopico nel 28, idea è mandato o comunque non ancoro conquista visto impegno in riconquista Libia dove Musso piomba nel 26). 26-28 già detta Albania. Non riesce scardinamento piccola intess, ma Ungheria (o Bulgaria? ungh già prima) si affida a Italia. Tra seconda metà anni 20 e primi anni 30 diffusione mov. fascisti con finanziamenti Mussoliniani. Dove prendono potere e dove no, ma influenzano). Altra leva italiani all'estero e fasci italiani all'estero. Questione America Latina. Consacrata da 29 (protezione su Vaticano, uomo provv), come oure verso Portogallo Spagna etc

Nel 30 fallisce conferenza di Londra (o Washington?) su navi, Lytton report e filo-cina (si arriverà ad addestrare piloti cinesi). Poi Ginevra nel 32, corsa al riarmo. Grandi a Londra.

31-32-34 Libia. Nel 32 austria e hothy in ung fascisti, quindi triplice italo-austro-ungharica. Due anni dopo unione doganale. Nel 33 nazi e patto a 4. 34 Austria salva. 35, bacino saar / stresa e laval. Ma ministri feancia e uk costretti a dimissioni da op.pubblica.  Assedio societario e rinascita impero (picco consenso e influenza internazionale). Mito invinicbilita. Asse. Fine peso determimante. Ecco Ciano.  Guerra Spagna Anti-Comintenrn (ora riconodcimento stato-fantoccio e addestratori arei a Giapp). 37, spada protettore islam, autostrada Tunisia-Egitto. Gentlement agreement e accordi pasqua. 38, addio austria.  Monaco. Riconosciuto Impero. Vittoria in Spagna. Patto Acciaio. Occupata Albania. Polonia. Non-belligeranza. 10 giugno 40: Guerra.

Seconda guerra mondiale

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La non belligeranza

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Allo scoppio della seconda guerra mondiale con il blitzkrieg dei tedeschi in Polonia (1 settembre 1939), Mussolini dichiarò la non belligeranza dell'Italia nel conflitto che si apriva tra l'alleanza franco-britannica e il regime di Adolf Hitler. Si trattava di una neutralità relativa e temporanea, stante che l'Italia fascista e la Germania nazista ormai costituivano l'alleanza offensiva del Patto d'Acciaio. Se l'Italia non intervenne subito nel conflitto fu perché Mussolini venne informato dai suoi consiglieri militari, e informò egli stesso il gran consiglio del fascismo, che l'esercito italiano, ancora tecnologicamente fermo alla prima guerra mondiale, sarebbe stato pronto alla guerra solo dopo un riarmo completabile non prima del 1943. Infatti, anzichè investire in nuovi equipaggiamenti e mezzi bellici, l'Italia fascista del periodo inter-bellico aveva speso le risorse destinate alle forze armate in guerre all'estero (a cominciare dalla riconquista della Libia fino alle campagne tra 1935 e 1939 in un crescendo di impegni militari). A conferma di ciò, lo stesso Mussolini avrebbe privatamente detto che, in caso di entrata in guerra, l'Italia avrebbe pagato "non una, ma venti volte, Etiopia, Spagna, e Albania".[4]

All'opinione pubblica e internazionale, Mussolini giustificò la posizione italiana sulla base del fatto che il conflitto in corso non fosse altro che una "strana e fittizia guerra" combattutta "con i coriandoli". In effetti, mentre tedeschi e sovietici si dividevano il nord-est europeo ai sensi del Patto Molotov-Ribbentrop (che già aveva comportato la spartizione della Polonia, e consentiva ora all'URSS di annettersi i Paesi Baltici con alcuni territori della Finlandia e alla Germania nazista di occupare Danimarca e Norvegia a fronte di pochi aiuti britannici) nulla accadde nel teatro occidentale fino al 10 maggio 1940. In quella data, la Germania iniziò la travolgente campagna di Francia (Fall Gelb e Fall Rot) con l'occupazione a sopresa di Belgio, Lussemburgo, e Paesi Bassi. Se i britannici riuscirono per miracolo a evacuare Dunkirk (Operazione Dynamo), il grosso delle truppe francesi a difesa della linea Maginot venne aggirato, chiuso in una sacca, e sconfitto nel giro di pochissimo tempo. Il precipitare degli eventi in favore dei tedeschi spinse Mussolini a uscire dalla non belligeranza.

La "guerra parallela"

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L'occupazione della Francia da parte di Germania e Italia.

Il 10 giugno 1940, affacciandosi dal balcone di Palazzo Venezia, Mussolini decise di giocare d'azzardo e, con un anticipo di tre anni rispetto a quanto pianificato, annunciò alla folla adorante l'ingresso in guerra dell'Italia. La scommessa, persa, si fondava sull'assunto che il conflitto fosse avviato ad una rapida conclusione in favore dei tedeschi e ora degli italiani che, uniti nella contesa, avrebbero costituito la duplice intesa per dominare il mondo del dopo-guerra: alla resa dei francesi, ormai prossima, sarebbe seguita in pochi mesi, così ragionava il Duce, quella dei britannici rimasti isolati. In questa ridotta finestra di tempo, l'Italia avrebbe condotto una propria "guerra parallela" per poter poi "battere cassa" in termini territoriali e politici nel nuovo ordine globale. A conferma di ciò, Mussolini avrebbe così giustificato l'intervento italiano in privato: "ho bisogno solo di qualche migliaio di morti per sedermi da vincitore al tavolo della pace".

L'Italia prese anzitutto parte alla campagna di Francia in corso, ottenendo una modesta e faticosa avanzata nella Battaglia delle Alpi. I francesi qualificarono di "pugnalata alle spalle" l'attacco fascista, che portò alla presa italiana di Mentone e di alcuni territori montanari a qualche chilometro dal confine mentre le forze tedesche s'impadronivano di Parigi. Con gli armistizi di Compiègne (22 giugno) e Villa Incisa (24 giugno), la Francia si arrese rispettivamente alla Germania e all'Italia. Mussolini ottenne la sua piccola zona di occupazione, l'uso del porto di Gibuti, e la smilitarizzazione dei confini franco-italiani in Europa e Africa. Quest'ultima richiesta fu avanzata dai fascisti come base per una futura rivendicazione della Savoia, di Nizza, della Corsica, e della Tunisia, territori che vennero poi effettivamente occupati dagli italiani nel 1942-1943.

Mussolini prese poi parte con alcuni squadroni aerei all'inconclusiva Battaglia d'Inghilterra lanciata da Hitler (10 luglio-31 ottobre), ma in questo periodo l'Italia diede altresì il via alla battaglia del Mediterraneo contro la flotta del Regno Unito e i bombardamenti italiani colpirono anche territori d'oltremare e mandati britannici come Malta e la Palestina. In aggiunta, l'Italia lanciò tre campagne di terra contro l'impero britannico e i suoi protettorati o alleati: in agosto, l'inizio della campagna dell'Africa Orientale italiana comportava la conquista del Somaliland, l'occupazione di porzioni di Kenya e Sudan, e la temporanea ritirata degli inglesi dall'area; in settembre, l'Operazione E si concludeva con una penetrazione italiana in Egitto per un centinaio di chilometri dalla Libia con un parziale ripiegamento delle forze del Regno Unito che dava il via alla campagna nel deserto nord-Africano; in ottobre, iniziava la campagna di Grecia con l'offensiva di poche divisioni italiane che si arenarono, contro le truppe greche ben armate dagli inglesi e sotto i bombardamenti britannici che partivano da Creta, nei sentieri fangosi non molto oltre i confini dell'Albania (cosiddetta "campagna del fango").

La Notte di Taranto.

Così l'Italia, ultima delle grandi potenze, entrava per prima in "over-stretsching imperiale" o "imperial overreach", espressione geopolitica anglofona usata per indicare che l'impegno militare del paese era diventato superiore alle capacità e risorse disponibili: non vi erano quindi forze adatte e mezzi sufficienti a riprendere l'offensiva in così tanti fronti allo stesso tempo (Mediterraneo, Balcani, Africa settentrionale e orientale). La reazione alleata non si fece attendere: l'aviazione britannica attaccò la marina italiana direttamente al porto di Taranto e, tra il novembre 1940 e il gennaio 1941, sostenne anche una controffensiva greca che penetrò in Albania e si arrestò solo con un massiccio invio di uomini italiani; quasi contemporaneamente, tra il dicembre 1940 e il febbraio 1941, le forze britanniche in Africa settentrionale, numericamente inferiori ma tecnologicamente superiori, lanciarono l'operazione Compass che portò al respingimento degli italiani oltre i confini dell'Egitto e all'occupazione inglese della Cirenaica in Libia; dal gennaio del 1941, le truppe britanniche tornavano all'attacco anche in Africa orientale.

A questo punto, Mussolini dovette ricorrrere all'aiuto della Germania nazista. Con l'arrivo degli Afrikakorps, le truppe italo-tedesche ripresero il controllo della Cireanica e inizarono una nuova graduale avanzata che porterà nel 1942 ad El Elamein in Egitto. Ad aprile, Germania e Italia invasero e occuparono Grecia e Yugoslavia.


i era completamente ribaltata a favore italiana cadde in mano ai britannici, con l'imperatore etiope che rientrò nella capitale Addis Abbeba il 5 maggio 1941, cinque anni dopo la conquista italiana.


La perdita dell'AOI, sia per quello che rappresentava sia per essere l'unico teatro in cui i tedeschi non erano intervenuti in aiuto dell'Italia, segnò la fine della "guerra parallela". Era però l'unico territorio perduto, mentre

Il turn of the tide

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Guerra civile

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guerra civile e

Guerra fredda

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alla depressione economica causata dalla Seconda guerra mondiale, l'Italia godette di un miracolo economico, promosse l'unità europea, si unì alla NATO e divenne un membro attivo dell'Unione Europea.[5] L'Italia ottenne la fiducia delle Nazioni Unite per amministrare il Somaliland nel 1950. Quando la Somalia divenne indipendente nel 1960, l'esperienza dell'Italia con il colonialismo terminò.

storia d'italia

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Storia d'Italia

--preiodizzazione


Antichità

--"Italia" e "italici"--

--Etruschi

--Sabellici

--Magna Graecia

--Gallia Cisalpina

--Isole

--Latini

---Monarchia Romana

---Repubblica Romana

---Impero Romano

-Medioevo

--Alto Medioevo

--Pieno medioevo

--

--tardo medioevo


1.periodizzazione


2.preistoria e protostoria

.Italici

.Etruschi

.Isole

.Magna Graecia

.Gallia Cisalpina

.

3.Regno romano

4.Repubblica romana

5.Impero romano

6.Medioevo

7.Rinascimento

8.Decadenza

9.Risorgimento

10.Regno d'Italia

11.Repubblica Italiana

12 Note 13 Bibliografia 14 Voci correlate 15 Altri progetti 16 Collegamenti esterni


Popolazioni dell'Italia pre-romana

Il concetto di "Italici" nasce nella Roma del III secolo a.C. con il consolidamento dell'Italia Romana, che riuniva in una federazione tutte le genti poste tra le Alpi e la punta dello stivale.[6]

L'Italia pre-Romana, i cui confini erano variabili, non conosceva infatti un concetto unitario di Italici, esistendo invece una distinzione tra "Itali" (i popoli indigeni e autoctoni) e "Italioti" (i coloni e le genti d'origine straniera).[7][8] I termini Italioti e Itali divennero poi sinonimi di Italici, come risulta in Strabone e Polibio, mentre Cassio Dione ancora mantiene una distinzione tra Italioti e Itali/Italici.

La colonia dei soldati Italici in Spagna coprendeva i Romani, gli altri Latini, gli Umbri, e i Piceni, mentre l'Agorà dei mercatores Italici a Delo coprendeva i Romani, gli altri Latini, gli Osco-Campani, i Sanniti, gli Apuli, i Lucani, e i Magno-Greci. Livio parla di Ettuschi come principale popolo Italico, mentre i Galli Cisalpini erano detti Celti d'Italia da Polibio e Italioti da Strabone. Per Strabone, tutti i popoli a sud delle Alpi, compresi Veneti, Galli Cisalpini, e Liguri sono Italici.

Sul piano militare (togati) e mercantile (mercatores) il concetto di Italici comprende e amplia quello di Romani. Solo quando i Romani non si consideravano Latini e cioè quando Italici veniva usato come sinonimo di socii, allora esso non comprendeva i Romani.

Italici come popoli d'Italia

Etnico, geografico, Giuridico (Ius Italicum), culturale, mitologico/religioso.

Italici come togati

Italici come mercatores

Italici come socii

Periodizzazione

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La storia d'Italia viene tradizionalmente suddivisa in quattro periodi: Antichità classica, Medioevo, Età Moderna, ed Epoca contemporanea.

L'antichità classica inizia con la prima Olimpiade (776 a.C.) o, di maggior rilevanza per l'Italia, con la fondazione di Roma (753 a.C.) e termina con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476 d.C.). Essa comprende la storia dei popoli italici, considerati lato sensu gli antenati degli Italiani, e in particolare dei Romani attraverso l'età regia di Roma (dal 753 a.C. al 509 a.C.), la Repubblica Romana (dal 509 a.C. al 27 a.C.), e l'Impero Romano (dal 27 a.C al 476 d.C.).

La medesima data segna l'inizio dell'epoca medievale, che si chiude con il Rinascimento come anno terminale il 1453, il 1455 , il 1492, o il 1517.

La storia d'Italia può distinguersi in storia degli Italici e storia degli Italiani.

Preistoria e Protostoria

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Regione Liguria: la sepoltura estremamente ricca di un adolescente del Gravettiano (risalente a 29.000 anni fa) ha portato gli archeologi a soprannominarlo il "giovane principe". Morto all'età di circa quindici anni, giaceva sulla schiena, rivolto a sud, su uno strato di ocra rossa a sette metri dalla superficie; indossava un copricapo di perline e di conchiglie con denti forati di cervo e code di scoiattoli sul petto.
Venere di Savignano, risalente a 29.000 anni fa, ritrovata in provincia di Modena

Durante l'ultima glaciazione, per l'abbassamento del livello del mare, la morfologia delle terre emerse era diversa da quella attuale: l'isola d'Elba e la Sicilia erano collegate alla penisola italiana, e la Corsica e la Sardegna formavano una sola isola. La presenza dell'Uomo di Neanderthal è testimoniata da reperti archeologici vecchi di 50.000 anni (Pleistocene). L'Homo Sapiens[9] apparve durante il Paleolitico superiore: il "Riparo Mochi" in Liguria ne è il più antico sito italiano, risalente a 48.000 anni fa[10] Tra i maggiori siti archeologici italiani paleolitici vi sono quello delle Arene Candide presso Albenga (Liguria), quello di Monte Poggiolo, presso Forlì (Emilia-Romagna), di Isernia La Pineta presso Isernia (Molise), uno dei più antichi siti dove siano stati trovati segni del possesso e utilizzo del fuoco, e la Grotta dell'Addaura, presso Palermo (Sicilia), nella quale si trova un vasto e ricco complesso d'incisioni, databili fra l'Epigravettiano finale e il Mesolitico, raffiguranti uomini e animali. In Valcamonica, in Lombardia, si ritrovano tracce databili in un arco di tempo di 8.000 anni, con quasi 140.000 opere e incisioni rupestri. Uno studio condotto nel novembre 2011 su quelli che si pensa fossero denti da latte di Homo Neanderthalensis, ritrovati nel 1964 nel sito della Grotta del Cavallo (Puglia), indica che sono resti umani risalenti a 45.000 anni fa.

Basilicata: Matera è una delle più antiche città del mondo ancora abitate, con sue case primitive e le sue grotte scavate nella roccia risalenti al Paleolitico, X millennio a.C.
Lombardia: le Incisioni rupestri della Val Camonica, la più grande serie di petroglifi preistorici del mondo, risalente al X millennio a.C.

L'Italia, situata al centro del Mediterraneo, costituisce una cerniera tra l'Europa, l'Africa e il Medio Oriente. In questo periodo le popolazioni migravano e commerciavano, il che avrebbe consentito uno sviluppo sociale, culturale e artigianale molto veloce. Durante il periodo della Cultura della ceramica cardiale (VII millennio a.C.) sarebbero nate le prime società in Italia, con conoscenze nel settore dell'agricoltura e della navigazione molto avanzate. Poco è noto circa questi antichi popoli, con l'eccezione del fatto che essi probabilmente non erano di origine indoeuropea e che furono assimilati molto presto dalle culture successive.

Durante l'età del bronzo, i popoli indo-europei noti come Italici, migrarono nella penisola italiana e in Sicilia, modificando le civiltà già presenti in una società più complessa e gerarchica. Si diffuse l'uso del metallo e vennero scoperte anche delle nuove tecniche di navigazione e agricoltura.


Ondate migratorie

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Diverse ondate migratorie interessarono la penisola italiana durante questo periodo storico.

Una prima ondata di immigrazione è della fine del III millennio a.C., e avrebbe dato vita alla Cultura del vaso campaniforme, nota per la sua produzione di bronzo, nella pianura del Po, in Toscana e su parte della Sardegna e della Sicilia.

Trentino-Alto Adige: Ötzi è la mummia più antica del mondo, ritrovata nel sud delle Alpi insieme con strumenti molto sofisticati per quel tempo (IV millennio a.C.)

A circa metà del II millennio a.C., si assistette a una terza ondata migratoria, associata alla civiltà appenninica e alla cultura delle Terramare, che prende il nome dal termine terra marna (terra grassa in lingua emiliana), con riferimento alla terra, generalmente di colore scuro, stratificatasi in tumuli, risultanti dalla costruzione di antichi villaggi scomparsi.[11] Furono operai molto abili che lavorarono il bronzo in stampi di pietra e argilla. Svilupparono rapidamente una metallurgia originale (pugnali, spade, rasoi, fibule bronzee) e costruirono dighe per proteggersi dalle inondazioni. Furono anche agronomi, coltivando fagioli, vite, ulivo, grano e lino. Stanziali nella pianura Padana ma con un'estensione eccezionale grazie ai traffici commerciali del bronzo con il sud. Un'altra civiltà si sviluppò congiuntamente nell'Appennino, producendo ceramiche notevoli per le loro decorazioni.

Città megalitiche di Luni sul Mignone nella regione del Lazio risalente all'età del Bronzo (III millennio a.C.) e abitato fino al Medioevo

La civiltà appenninica fu una società di guerrieri e pastori semi-nomadi che praticavano scorrerie ad agricoltori e allevatori di città più a nord, nella pianura Padana. Vivevano in capanne o grotte, inumavano i loro morti in tombe in forma di dolmen, lavoravano il bronzo e fabbricavano a mano la ceramica in fondo nero decorato con motivi a denti di sega. Si trovano vestigia di questa civiltà dall'Emilia alla Puglia. I popoli della civiltà appenninica sarebbero diventati i Liguri.

Alla fine del II millennio a.C., una quarta ondata formò la cultura protovillanoviana, legata alla cultura dei campi di urne, nonché al lavoro del ferro. Praticavano la cremazione e seppellivano le ceneri dei loro morti in urne di ceramica a forma di cono. Questa civiltà si trovava nel centro-nord della penisola. Più a sud, in Campania, questa sepoltura era prassi generale: le sepolture con il metodo dell'incenerimento protovillanoviano sono stati identificati a Capua, nella cosiddetta tomba principesca di Pontecagnano Faiano, vicino a Salerno (scoperte conservate nel Museo dell'Agro Picentino) e a Sala Consilina. I successivi villanoviani sarebbero poi divenuti gli Etruschi. Queste società molto avanzate avrebbero dato vita alle città-stato, i primi regni della penisola.

Genti italiche e non, dell'Italia antica

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Cartina con i maggiori centri etruschi ed "espansione" della civiltà etrusca nel corso dei secoli

Le informazioni sulle genti abitanti la Penisola in epoca preromana sono, in taluni casi, incomplete e soggette a revisione continua. Popolazioni di ceppo indoeuropeo, trasferitesi in Italia dall'Europa Orientale e Centrale in varie ondate migratorie (Veneti, Osco-umbri, Latino-falisci e Iapigi), si sovrapposero a etnie pre-indoeuropee già presenti nell'attuale territorio italiano, o assorbendole, oppure stabilendo una forma di convivenza pacifica con esse. Presumibilmente, queste migrazioni ebbero inizio in età del bronzo medio (e cioè attorno alla metà del II millennio a.C.) e si protrassero fino al IV secolo a.C. con la discesa dei Celti nella pianura padana.

Inoltre, alcune popolazioni stanziate nell'attuale Italia meridionale e insulare si sarebbero trovate a convivere, dall' VIII fino al III secolo a.C., con le colonie greche e/o fenicio-puniche successivamente assorbite da Roma.

In Italia settentrionale, accanto ai Celti (comunemente chiamati Galli), che intorno al 590 a.C. fondarono Mediolanum al centro della pianura padana e ai Leponzi, anch'essi Celti, vi erano i Liguri (originariamente non indoeuropei, poi fusisi con i Celti[12]) stanziati in Liguria e parte del Piemonte mentre, nell'Italia nord-orientale, vivevano i Veneti (paleoveneti), di probabile origine illirica[13] o provenienti dall'Asia Minore ma, molto più probabilmente, secondo la moderna ricerca[14], centro-europei[15].

Nell'Italia più propriamente peninsulare meritano una particolare menzione gli Etruschi che, a partire dall'VIII secolo a.C., incominciarono a sviluppare una civiltà raffinata ed evoluta che influenzò notevolmente Roma e il mondo latino. Le origini di questo popolo non indoeuropeo, stabilitosi sul versante tirrenico dell'Italia centrale, sono incerte. Secondo alcune fonti, la loro provenienza andrebbe ricercata in Asia Minore, secondo altre, avrebbero costituito un'etnia autoctona. Certo è che, già attorno alla metà del VI secolo a.C., riuscirono a creare una forte ed evoluta federazione di città-stato che andava dalla Pianura Padana alla Campania e che comprendeva anche Roma e il suo territorio.

Oltre agli Etruschi vi era una serie di altri popoli, in massima parte di origine indoeuropea e definiti Italici, fra cui: Umbri in Umbria; Latini, Sabini, Falisci, Volsci ed Equi nel Lazio; Piceni nelle Marche e in Abruzzo settentrionale; Sanniti nell'Abruzzo centro-meridionale, Molise e Campania nord-orientale; Osci nella Campania centro-meridionale e in parte della Basilicata; Dauni, Peuceti e Messapi (comunemente definiti Iapigi e successivamente Apuli in epoca romana) in Puglia; Lucani e Bruzi nell'estremo Sud peninsulare; nonché Siculi, Elimi e Sicani (questi ultimi due non indoeuropei e probabilmente autoctoni) in Sicilia. In epoca preromana e romana ebbero un ruolo fondamentale anche i Sanniti, che riuscirono a costituire un'importante federazione in una vasta area dell'Italia appenninica e che contrastarono a lungo l'espansione romana verso l'Italia meridionale. Nell'area laziale, invece, un posto a sé stante meritano i Latini, protagonisti, insieme con i Sabini, della primitiva espansione dell'Urbe e forgiatori, insieme con gli Etruschi e i popoli italici più progrediti (Umbri, Falisci, ecc.), della futura civiltà romana.

Infine, la Sardegna era costituita, fin dal II millennio a.C., dall'elemento etnico degli antichi Sardi, le cui tribù, forse identificabili col popolo del mare dei Shardana, avevano dato vita alla civiltà nuragica; tale cultura era strettamente collegata a quella torreana sviluppatasi in Corsica; a tali etnie ebbero modo di affiancarsi popolazioni di ceppo semitico, quali i Fenici e successivamente i Cartaginesi.

Fenici e Cartaginesi

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I primi stanziamenti fenici in Italia furono sulle coste della Sardegna e nella Sicilia occidentale, risalenti all'VIII secolo a.C., posteriori all'espansione fenicia nel Mediterraneo occidentale con fondazione di città come Utica e Cartagine. Nacquero Mozia (da cui più tardi Lilibeo), Palermo, Solunto in Sicilia e Sulci, Nora, Tharros, Bithia, Kalaris in Sardegna[16].

In Sicilia lo stanziamento fenicio non incontrò grandi reazioni da parte degli autoctoni (a Monte Erice, per esempio, un tempio fu dedicato ad Astarte, dea-madre dell'area cananea, che veniva frequentato dai Fenici e dagli Elimi[17]), in Sardegna, per la resistenza opposta dai Sardi nuragici, non riuscirono a controllare ampi territori lontani dalle loro città. Il supposto ruolo colonizzatore dei Fenici è stato ridimensionato dalle scoperte archeologiche di fine XX secolo, le quali evidenziano come questi levantini frequentassero approdi già abitati dagli autoctoni, con i quali avevano un pacifico rapporto di reciproci scambi commerciali. Il notevole flusso di merci favorì l'ampliarsi di questi approdi con un miglioramento delle strutture portuali e un'edilizia mutuata dai Fenici i quali, tramite matrimoni misti, si integrarono coi sardi autoctoni apportando nuove conoscenze e stili di vita[18].

A metà del VI secolo a.C., con la spedizione del semileggendario Malco, ebbe inizio il tentativo cartaginese di conquista della Sicilia. Cartagine, a tre secoli dalla fondazione, era diventata potenza egemone dell'Africa settentrionale fermando in Libia la colonizzazione greca vincendo Cirene. In Sicilia, la presenza greco-siceliota aveva relegato la presenza punica nell'estrema punta occidentale dell'isola. I Cartaginesi tentarono di conquistare l'intera Sicilia, cacciando da essa i Greci. Ciò avrebbe consentito il totale controllo dei due passaggi dal Mediterraneo Orientale a quello Occidentale. Le guerre greco-puniche (550 a.C.-275 a.C.) non portarono a risultati conclusivi, allargando a fasi alterne la sfera di influenza cartaginese o greca in Sicilia senza che uno dei due popoli riuscisse a prevalere nettamente sull'altro. Tra la fine del V secolo e l'inizio del IV secolo a.C., Dionisio I conquistò il potere, Siracusa divenne la capitale di un vasto stato denominato' Arcontato di Sicilia che aveva unificato sotto il proprio controllo, in una sorta di monarchia, tutta la Sicilia orientale, e centrale inclusi pure molti centri abitati dai Siculi e dai Sicani. Lo stato fondato da Dionisio I, poi governato dai suoi successori e durato fino al 212 a.C., era una potenza militare e commerciale di una certa importanza che sconfisse a più riprese le poleis italiote, i Popoli italici; che stipulò accordi con i Galli per contrastare l'espansionismo romano e che fondò svariate colonie sull'Adriatico: le città di Ancona, Adria, Lissa e Alessio. Tra il 316 a.C. e il 289 a.C., Agatocle riprese e potenziò la politica imperialista di Dionisio I, riuscendo quasi a prevalere definitivamente sui cartaginesi; nel 304 a.C. si proclamò " Βασιλεύς τῆς Σικελίας " (Basilèus tès Sikelìas) cioè "Re di Sicilia" e auto-incoronandosi alla maniera ellenistica dei Diadochi orientali.[19] Questo scontro tra sicelioti e cartaginesi si concluse con lo scoppio della prima guerra punica, che tolse ai Cartaginesi le aree siciliane e pose una pesante ipoteca su Siracusa, unico regno siceliota importante.

In Sardegna, invece, i Cartaginesi conquistarono la parte meridionale dell'isola, pur incontrando difficoltà a causa della resistenza opposta dalle popolazioni autoctone. Nel corso del tempo i Cartaginesi chiusero le coste dell'isola in un vero e proprio cerchio di fortezze e colonie[20]. Questa conquista permise il controllo della produzione mineraria e agricola in relazione alle necessità puniche e non solo autoctone. L'agricoltura sarda si basava principalmente sulla produzione di grano, tanto che, già nel 480 a.C., Amilcare I, impegnato nella battaglia di Imera, fece venire dalla Sardegna i rifornimenti di grano per le sue truppe, che si trovavano in Sicilia. Lo pseudo-aristotelico De mirabilibus auscultationibus riporta che Cartagine proibiva la coltivazione di piante da frutto per incentivare la monocoltura del grano[21]. Anche l'artigianato sardo subì profonde influenze puniche.

Cartagine entrò anche nella storia dell'Italia peninsulare, alleandosi con gli Etruschi per combattere i pirati greci di Alalia, in Corsica. Le Lamine di Pyrgi testimoniano quanto fosse sentito l'influsso cartaginese sulle coste toscane e laziali. Nel 509 a.C., infine, la neonata Repubblica romana e i cartaginesi siglarono il primo dei Trattati Roma-Cartagine, che segnò l'inizio di relazioni diplomatiche stabili fra le due città. Successivamente vennero conclusi altri trattati, in cui vennero concesse ulteriori concessioni all'Urbe fino alla caduta definitiva di Cartagine.

Tetradracma di Siracusa
Testa di Aretusa Auriga alla guida di una quadriga
Argento ca. 415-405 a.C.

Civiltà greca

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Lo stesso argomento in dettaglio: Magna Grecia e Sicilia greca.
Colonie greche (in rosso) e fenicie (in giallo) in Italia nel IV secolo a.C.

Tra l'VIII e il VII secolo a.C., coloni provenienti dalla Grecia incominciarono a stabilirsi sulle coste dell'Italia meridionale e in Sicilia. Le prime colonie a essere costituite furono quelle ioniche e peloponnesiache: gli Eubei fondarono Pithecusa, Cuma, Reggio Calabria, Napoli, Naxos e Messina, i Corinzi Siracusa (i cui abitanti a loro volta fonderanno Ankón, l'odierna Ancona, e Adrìa, l'odierna Adria), i Megaresi Leontinoi, gli Spartani Taranto, mentre coloni provenienti dall'Acaia furono all'origine della nascita di Sibari e di Crotone. Altre importanti colonie furono Metaponto, fondata anch'essa da coloni Achei, Heraclea e Locri Epizefiri.

Con la colonizzazione greca i popoli italici entrarono in contatto con una civiltà raffinata, caratterizzata da espressioni artistiche e culturali elevate, che diedero origine nel Sud Italia e in Sicilia alla fioritura di filosofi, letterati, artisti e scienziati sia di origine greca (Pitagora) sia autoctona (Teocrito, Parmenide, Archimede, Empedocle ecc.). I Greci furono anche portatori di istituzioni politiche sconosciute all'epoca che prefiguravano forme di democrazia diretta. Tra le principali città greche in Italia vi fu Siracusa che, fra il V e il IV secolo a.C., conobbe un notevole sviluppo demografico ed economico.

Anche città come Reggio Calabria o Napoli raggiunsero una notevole importanza politica ed economica[22]: la prima sotto il governo di Anassila e la seconda grazie al rapporto privilegiato con l'Atene di Pericle[23]. I contrasti fra le colonie greche e le popolazioni autoctone furono frequenti, nonostante i Greci cercassero di instaurare rapporti pacifici favorendo, in molti casi, un loro lento assorbimento. La ricchezza e lo splendore delle colonie furono tali da far identificare l'Italia meridionale peninsulare, dagli storici romani, con l'appellativo di Magna Grecia. Nel III secolo a.C. tutte le colonie italiote della Magna Grecia e quelle siceliote della Sicilia furono assorbite nello Stato romano. Per molte di esse incominciò un fatale declino.


Lo stesso argomento in dettaglio: Fondazione di Roma ed Età regia di Roma.
Capanne dei contadini Latini. Anche la Casa Romuli era di questo tipo.


La scultura rappresenta la Lupa capitolina che allatta i gemelli Romolo e Remo che furono aggiunti, probabilmente da Antonio del Pollaiolo, nel tardo XV secolo
Lo stesso argomento in dettaglio: Storia dell'Italia romana, Storia romana e Italia (epoca romana).

Secondo la tradizione, la città di Roma fu fondata il 21 aprile del 753 a.C. da Romolo sul colle Palatino. In realtà, già in precedenza erano sorti villaggi in quella posizione, fondamentale per la via di commercio del sale, ma solo alla metà dell'VIII secolo a.C. questi si unirono in una sola città. La zona era dotata, inoltre, di un buon potenziale agricolo, e la presenza dell'isola Tiberina rendeva facile l'attraversamento del vicino fiume Tevere.

Romolo instaurò nella città il regime monarchico: fino al 509 a.C., Roma fu retta, secondo la tradizione, da sette re,[24] che apportarono notevoli contributi allo sviluppo della società. Ognuno dei primi quattro, infatti, operò in un diverso ambito dell'amministrazione statale: il fondatore eponimo Romolo diede il via alla prima guerra di espansione contro i Sabini, originatasi dall'episodio del ratto delle Sabine, e associò al trono il re nemico Tito Tazio, allargando per primo le basi del neonato Stato romano. Suddivise poi la popolazione in tre tribù e pose le basi per la ripartizione tra patrizi e plebei. Il suo successore, Numa Pompilio, istituì i primi collegi sacerdotali, come quello delle Vestali, e riformò il calendario. Il terzo re, Tullo Ostilio, riprese le ostilità contro i popoli vicini e sconfisse la città di Alba Longa mentre, il successore, Anco Marzio, costruì il primo ponte di legno sul Tevere, fortificò il Gianicolo e fondò il porto di Ostia.

Ai primi quattro re, di origine latina, fecero seguito altri tre di origine etrusca: verso la fine del VII secolo a.C., infatti, gli Etruschi, all'apogeo della loro potenza, estesero la loro influenza anche su Roma, che stava divenendo sempre più grande e la cui importanza a livello economico incominciava a farsi considerevole. Era dunque fondamentale per gli Etruschi assicurarsi il controllo su una zona che garantiva il passaggio delle rotte commerciali; anche se non si ebbe mai un reale controllo militare etrusco su Roma. Il primo re etrusco, Tarquinio Prisco, combatté contro i popoli confinanti, ordinò la realizzazione di numerose opere pubbliche, tra cui il Circo Massimo, la Cloaca Massima e il tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio e apportò, infine, anche alcuni cambiamenti in campo culturale. Il suo successore, Servio Tullio, fu, secondo la leggenda, l'ideatore dell'ordinamento centuriato, sostituendolo alla precedente ripartizione della popolazione e combatté anch'egli contro alcune delle principali città etrusche e latine limitrofe a Roma. Ultimo monarca a governare Roma fu Tarquinio il Superbo, espulso dall'Urbe nel 510 a.C., secondo la leggenda con l'accusa di aver violentato la giovane Lucrezia; il patriziato romano, comunque, non era più disposto a sottostare al potere centralizzato del re, ma desiderava acquisire un'influenza, in campo politico, pari a quella che già rivestiva negli altri ambiti della vita civile.

Repubblica romana

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Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica Romana.

La conquista dell'Italia peninsulare

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Crescita geografica dell'area denominata Italia nel periodo romano

Dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo e il fallimento (determinato, secondo la leggenda, dalle eroiche azioni di Muzio Scevola, Orazio Coclite e Clelia) del suo tentativo di recuperare il trono con l'aiuto degli Etruschi condotti dal lucumone di Chiusi, Porsenna, fu instaurata, per opera di Lucio Giunio Bruto, organizzatore della rivolta antimonarchica, la Repubblica. Essa prevedeva la spartizione tra più cariche dei poteri precedentemente appartenuti a un uomo solo, il re: il potere legislativo fu assegnato alle assemblee dei comizi centuriati e del senato, e furono create numerose magistrature, consolato, censura, pretura, questura, edilità, che gestissero i vari ambiti dell'amministrazione. Tutte le cariche, tra le quali il consolato e il pretorato, erano cum imperio, ossia collegiali, in modo tale che si evitasse l'affermazione di singoli uomini che potessero accentrare tutto il potere nelle loro mani.

Roma si trovò subito a lottare contro le popolazioni latine delle zone limitrofe, sconfiggendole nel 499 a.C. (o, secondo altre fonti, nel 496 a.C.) nella battaglia del Lago Regillo, e federandole a sé nella Lega Latina mediante la firma del foedus Cassianum, nel 493 a.C.[25] Combatté poi contro gli Equi e i Volsci, e, una volta sconfitti, si scontrò con la città etrusca di Veio, espugnata da Marco Furio Camillo nel 396 a.C.

I primi anni di vita della Repubblica romana furono notevolmente travagliati anche nell'ambito della politica interna, in quanto le gravi disuguaglianze sociali che avevano portato alla caduta del regno non erano state cancellate. I plebei avviarono così una serie di proteste contro la classe dominante dei patrizi: nel 494 a.C., infine, si ritirarono in secessione sul Monte Sacro (Secessio plebis). La situazione si risolse con l'istituzione della magistratura del tribunato della plebe e con il riconoscimento del valore legale delle assemblee popolari. Importanti acquisizioni furono anche la redazione, nel 450 a.C. da parte dei decemviri, delle leggi delle XII tavole, che garantivano una maggiore equità in ambito giudiziario, e l'approvazione della lex Canuleia, nel 445 a.C. Nel 386 a.C. l'esercito romano fu sconfitto dai Galli guidati da Brenno, che sottoposero l'Urbe a un rovinoso saccheggio. Vent'anni dopo, nel 367 a.C., furono promulgate le leges Liciniae Sextiae, che ampliarono ulteriormente i diritti della plebe.

Consolidata la propria egemonia nell'Italia centrale, Roma volse le proprie mire espansionistiche verso sud attaccando i Sanniti, contro i quali combatté tre difficili guerre (nel 343-341 a.C., nel 327-304 a.C. e nel 298-290 a.C.), che, nonostante alcune umilianti disfatte inflitte dai Sanniti a Roma (celebre quella delle Forche Caudine nel corso della seconda guerra sannitica), si conclusero dopo alterne vicende con la vittoria romana e la sottomissione totale dei Sanniti.

Consolidata la propria egemonia sull'Italia centro-meridionale, Roma arrivò a scontrarsi con le città della Magna Grecia e con la potente Taranto, che invocarono allora l'aiuto del re d'Epiro Pirro, che sbarcò in Italia con un potente esercito comprendente anche elefanti da guerra; nonostante alcune sofferte vittorie (con grandissime perdite) contro i Romani a Heraclea e ad Ascoli, Pirro fu duramente sconfitto a Maleventum nel 275 a.C. e costretto a tornare oltre l'Adriatico. Taranto, dunque, fu nuovamente assediata e costretta alla resa nel 272 a.C.: Roma era così potenza egemone nell'Italia peninsulare, a sud dell'Appennino Ligure e Tosco-Emiliano.

Le guerre puniche e i conflitti in Oriente

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La conquista dell'Italia portò Roma a scontrarsi con l'altra grande potenza del Mediterraneo Occidentale: Cartagine. Le guerre che si scatenarono furono di inaudita ferocia e di notevole durata, ma videro infine il trionfo totale di Roma. La prima guerra punica scoppiò nel 264 a.C. allorché Roma inviò un piccolo contingente in soccorso di Messina, con l'intento di assicurarsi il controllo dello stretto di Messina, ambito però anche dai Cartaginesi, che decisero di reagire con la guerra. Dopo alcune vittorie negli scontri terrestri, Roma potenziò la flotta, dotandola di corvi, e riuscì a ottenere alcune importanti vittorie navali, anche se il tentativo di Marco Attilio Regolo di portare la guerra sul suolo africano e imporre la resa a Cartagine fallì e il console, catturato, venne giustiziato facendolo rotolare dentro una botte. La guerra finì, dopo alterne vicende, con la vittoria di Roma (241 a.C.),[26] che poté così estendere il suo dominio annettendo Sicilia, Sardegna e Corsica; sconfisse inoltre i pirati illirici che, tacitamente supportati dalla regina Teuta, infestavano le coste adriatiche e, qualche anno più tardi, incominciò a espandersi nella pianura padana a scapito dei Celti (battaglia di Clastidium, 222 a.C.).

Nel frattempo, preoccupato dalle mire espansionistiche puniche in Hispania, il Senato stipulò un nuovo patto con Cartagine; tuttavia, nel 218 a.C., dato che il generale punico Annibale Barca attaccò la città di Sagunto, alleata di Roma, si decise di dichiarare nuovamente guerra a Cartagine. Annibale valicò le Alpi con un potente esercito comprendente anche elefanti e inflisse varie sconfitte alle legioni romane. Dopo una fase di stallo, durante la quale Roma poté riorganizzarsi, grazie alla politica attuata dal dictator Quinto Fabio Massimo, detto il temporeggiatore, le legioni romane subirono una pesante sconfitta contro Annibale nella battaglia di Canne (216 a.C.). Mentre numerose città si alleavano con i Cartaginesi e anche la Macedonia di Filippo V scendeva in guerra contro Roma, Annibale si attardò nel Sud Italia (ozi di Capua), mentre i Romani, seppure provati, poterono lentamente ricostituire le proprie forze: il console Publio Cornelio Scipione ottenne diverse vittorie sui Cartaginesi in Hispania, mentre in Italia Roma riuscì ben presto a recuperare le città italiche che l'avevano tradita per allearsi con Annibale e sconfisse anche il fratello di Annibale, Asdrubale Barca, mentre tentava di portare rinforzi ad Annibale. Nel 203 a.C. Scipione, conquistata la Penisola iberica e ristabilita la situazione in Italia, sbarcò in Africa per tentare di ottenere una vittoria definitiva e sconfisse Annibale, nel frattempo tornato a Cartagine, nella battaglia di Zama, costringendo Cartagine a capitolare e ad accettare le dure condizioni di pace imposte da Roma.

Dopo la conclusione della guerra con Cartagine, Roma completò la sottomissione della Gallia Cisalpina, sconfiggendo sia i Celti o Galli, sollevatisi contro Roma durante la seconda guerra punica, sia le popolazioni locali: attorno al 191 a.C. la Gallia Cisalpina fu ridotta a provincia, mentre nel 177 a.C. venne sottomessa anche l'Istria e, due anni dopo, i Liguri Cisalpini.
Ormai potenza egemone del Mediterraneo occidentale, Roma volse le sue mire espansionistiche a danno degli stati ellenistici dell'Oriente, sottomettendo nell'arco di un cinquantennio (200 a.C.-146 a.C.) la Grecia (per maggiori approfondimenti su queste campagne non riguardanti la storia d'Italia e che qui non vengono trattate per motivi di spazio, cfr. guerre macedoniche) e completando la sottomissione di Cartagine (terza guerra punica, 149-146 a.C.). Con la sconfitta dei nemici contro cui combatteva da anni su entrambi i fronti, Roma era diventata padrona del Mediterraneo.

Conseguenze delle conquiste

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Le nuove conquiste, tuttavia, portarono anche notevoli cambiamenti nella società romana: i contatti con la cultura ellenistica, temuta e osteggiata da Marco Porcio Catone detto il Censore, modificarono profondamente gli usi che fino ad allora si rifacevano al mos maiorum, trasformando radicalmente la società dell'Urbe. L'introduzione di usanze e conoscenze provenienti dall'Oriente (filosofia, retorica, letteratura, scienza greca) fece sì effettivamente che il livello culturale dei Romani, almeno dei patrizi, crescesse significativamente, ma generò altresì una decadenza dei valori morali, testimoniata dalla diffusione di costumi e abitudini moralmente discutibili, che non poté non provocare l'opposizione da parte degli ambienti più conservatori, capeggiati da Catone il Censore, i quali si scagliarono contro le culture extra-romane, tacciate di corruzione dei costumi, e lottarono contro l'ellenizzazione dei costumi a favore del ripristino del mos maiorum, i valori che, secondo Catone, avevano reso grande Roma.

I problemi connessi a un'espansione così grande e repentina che la Repubblica dovette affrontare furono enormi e di vario genere: le istituzioni romane, fino ad allora concepite per amministrare un piccolo Stato, non erano adatte per amministrare uno Stato che si estendeva dall'Hispania, all'Africa, alla Grecia, all'Asia. Le continue guerre in patria e all'estero, inoltre, immettendo sul mercato una quantità enorme di schiavi, usualmente impiegati nelle aziende agricole dei patrizi romani, portarono a ripercussioni tremende nel tessuto sociale romano: infatti la crisi della piccola proprietà terriera, provocata dalla maggior competitività dei latifondi schiavistici (che ovviamente producevano praticamente a costo zero), determinò da una parte la concentrazione dei terreni coltivabili in poche mani e una grande quantità di merci a buon mercato, dall'altra generò la nascita del cosiddetto sottoproletariato urbano. Parecchie famiglie costrette a lasciare le campagne si rifugiarono nell'urbe, dove non avevano un lavoro, una casa e di che sfamarsi dando origine a pericolose tensioni sociali abilmente sfruttate dai politici più scaltri.

A tentare una riforma che ponesse un rimedio alla crisi furono per primi i fratelli Gracchi, ovvero Tiberio e Gaio Sempronio Gracco, il cui progetto di riforma prevedeva la limitazione dell'occupazione delle terre dello Stato a 125 ettari e la riassegnazione delle terre eccedenti ai contadini in rovina, oltre alla limitazione delle terre che le famiglie nobili potevano possedere a non più di 1000 ettari; i terreni confiscati furono distribuiti in modo che ogni famiglia della plebe contadina avesse 30 iugeri (7,5 ettari). Un tale piano di riforma trovò però l'opposizione dei ceti aristocratici, i cui interessi furono duramente colpiti, che impedirono l'attuazione della riforma assassinando i due fratelli.

Le rivendicazioni di socii e schiavi: la guerra sociale e le guerre servili

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Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra sociale.

Già dal tempo dei Gracchi a Roma si avanzavano proposte d'estensione dei diritti di cittadinanza anche agli altri popoli italici, fino ad allora federati, ma senza successo. La speranza degli alleati italici era che a Roma prevalesse il partito di coloro che volevano concedere agli alleati italici la cittadinanza romana. Ma quando nel 91 a.C. il tribuno Marco Livio Druso, che stava preparando una proposta per concedere la cittadinanza agli alleati fu ucciso, ai più apparve chiaro che Roma non avrebbe concesso spontaneamente la cittadinanza. Fu l'inizio della guerra che, dal 91 a.C. all'88 a.C., vide combattersi gli eserciti romani e quelli italici. Gli ultimi a cedere le armi ai Romani, capeggiati tra gli altri da Silla e Gneo Pompeo Strabone, padre del futuro Pompeo Magno, furono i Sanniti. Gli italici si videro comunque riconosciuta la cittadinanza romana. All'epoca, comunque, l'Italia comprendeva solo la parte peninsulare; la parte transpadana formava la provincia della Gallia Cisalpina i cui abitanti, a differenza degli italici peninsulari, non erano ancora cittadini romani. Nel dicembre del 49 a.C., Cesare, concesse la cittadinanza romana agli abitanti della provincia e, nel 42 a.C., la provincia venne abolita del tutto, rendendo così la Gallia Cisalpina parte integrante dell'Italia romana, che costituiva a sua volta il territorio metropolitano di Roma e si differenziava per statuto dalle province, essendo queste ultime tutti i restanti territori al di fuori di essa.

Moneta raffigurante Augusto e Marco Vipsanio Agrippa, vincitori della battaglia di Azio
Lo stesso argomento in dettaglio: Schiavitù nell'antica Roma e Terza guerra servile.

Il trattamento disumano degli schiavi, i quali, secondo la legge, non erano persone, ma strumenti dei quali il padrone poteva abusare, danneggiare o uccidere senza conseguenze legali[27][28], portò essi a rivoltarsi più volte a Roma nel tentativo di ottenere la libertà o un miglioramento delle loro condizioni. Le prime due ribellioni, o guerre servili (scoppiate rispettivamente nel 135 a.C. e nel 104 a.C.), pur necessitando di anni di interventi militari diretti per essere sedate, non minacciarono mai la penisola italiana né tanto meno la città di Roma direttamente.

La terza guerra servile, condotta dallo schiavo e gladiatore Spartaco e scoppiata a Capua nel 73 a.C., al contrario, mise in forti difficoltà Roma, che sottovalutò la minaccia: nei primi tempi numerose legioni subirono non pronosticate sconfitte contro gli schiavi ribelli, il cui numero era rapidamente cresciuto fino a 70.000, ma, una volta che venne stabilito un comando unificato sotto Marco Licinio Crasso, al comando di sei legioni, la ribellione venne schiacciata nel 71 a.C. Circa 10.000 schiavi fuggirono dal campo di battaglia, mentre 6.000 di essi vennero crocifissi lungo la Via Appia, da Capua a Roma. La rivolta scosse il popolo romano, che «a causa della grande paura sembrò incominciare a trattare i propri schiavi meno duramente di prima».[29]

Anche la condizione legale e i diritti degli schiavi romani incominciarono a mutare: durante il principato di Claudio (41-54), fu promulgata una costituzione che puniva l'assassinio di uno schiavo anziano o ammalato, e che dava la libertà agli schiavi abbandonati dai loro padroni,[30] mentre, durante il regno di Antonino Pio (138-161), i diritti degli schiavi furono ulteriormente ampliati e tutelati, con la limitazione degli abusi che i padroni potevano commettere e l'istituzione di un'autorità teoricamente indipendente cui gli schiavi si potevano appellare.[31]

La crisi della Repubblica: da Mario ad Augusto

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Mario, un generale romano che riformò drasticamente l'esercito romano
Regioni italiane al tempo dell'Italia romana

Negli anni successivi la politica romana fu caratterizzata sempre più dal radicalizzarsi della lotta tra il partito degli ottimati (optimates) e quello dei popolari (populares), che avevano visioni politiche completamente opposte: i primi avevano come principale esponente Lucio Cornelio Silla, valente generale, mentre i secondi erano capeggiati da Gaio Mario. Quest'ultimo si era distinto in varie imprese militari: più volte console, condusse la vittoriosa guerra contro Giugurta (108 a.C.-105 a.C.) e riuscì a respingere la minaccia germanica dei Cimbri e dei Teutoni, che avevano inflitto fino ad allora pesanti sconfitte a Roma incutendo profondo timore ai Romani, con due vittorie ad Aquae Sextiae e a Vercelli. Sia contro Giugurta sia contro i Germani, Mario ebbe come legato un giovane nobile, di cui apprezzava le capacità militari: Silla.

Presunto ritratto di Lucio Cornelio Silla

Lo scontro tra ottimati e popolari, fino a che Gaio Mario rimase in vita, si risolse sempre nella lotta per l'ottenimento del consolato per i candidati della propria parte politica. Morto Mario, Silla, al ritorno dalla vittoriosa guerra in oriente contro Mitridate VI re del Ponto, ritenne che il momento fosse propizio per un colpo di Stato e con l'esercito in armi marciò contro Roma, dove a Porta Collina ottenne la vittoria decisiva nella guerra civile contro i mariani (82 a.C.). Per consolidare la vittoria, Silla si fece eleggere dittatore a vita e incominciò una vasta e sistematica persecuzione nei confronti dell'opposizione (le liste di proscrizione sillane) da cui il giovane Cesare, nipote di Mario, riuscì a stento a sottrarsi. Fino a che morì, nel 78 a.C., l'unica seria opposizione contro Silla, fu quella condotta da Sertorio dalla provincia dell'Hispania. Nel 70 a.C. la costituzione sillana venne abolita da Pompeo e Crasso, della quale erano stati dieci anni prima fautori convinti.

Il mondo romano si avviava a divenire troppo vasto e complesso per le istituzioni della Repubblica; la debolezza di queste ultime, e in particolare del senato divenne già evidente nelle circostanze del primo triumvirato, un accordo informale con cui i tre più potenti uomini di Roma, Cesare, Crasso e Pompeo, si spartivano le sfere d'influenza e si garantivano reciproco appoggio. Dei tre, la figura di Cesare era la più emblematica dei nuovi rapporti di potere che stavano emergendo: nipote di Mario, egli aveva anche per questo aderito sin da giovane alla fazione dei populares e costruì il suo potere con le conquiste militari e il rapporto di fedeltà personale che lo legava al suo esercito. Fu per questo che quando, dopo la morte di Crasso (53 a.C.), le ambizioni personali di Cesare e Pompeo si scontrarono, il senato preferì schierarsi con quest'ultimo, in quanto più vicino agli Optimates e più rispettoso verso i privilegi senatoriali (per quanto non sfuggisse ai più attenti, come Cicerone, che qualunque dei due contendenti avesse prevalso il potere del senato sarebbe stato irrimediabilmente compromesso).

Augusto: denario[32]
CAESAR COS VI, testa di Augusto verso destra; AEGYPTO CAPTA, un coccodrillo con la bocca aperte verso destra.
Argento, 3,83 g; coniato nel 29-27 a.C.

Lo scontro, sempre latente, si mantenne comunque entro i limiti delle tradizionali forme di governo romane, fino al 49 a.C., quando il senato intimò a Cesare di rimettere il suo comando delle legioni che aveva condotto alla conquista delle Gallie, e di tornare a Roma da privato cittadino. Il 10 gennaio, abbandonando gli ultimi dubbi (Alea iacta est), Cesare attraversò con le sue truppe il Rubicone dando inizio alla guerra civile contro la fazione opposta. La guerra civile fu combattuta vittoriosamente da Cesare su tre fronti: il fronte greco, dove Cesare sconfisse Pompeo nella battaglia di Farsalo, il fronte africano, dove Cesare riuscì ad avere la meglio sugli Optimates guidati da Catone Uticense con la decisiva battaglia di Utica (49 a.C.), e il fronte iberico, dove la battaglia decisiva avvenne a Munda, sull'esercito nemico guidato dai figli di Pompeo, Gneo e Sesto. Cesare, avuta la meglio sulla fazione avversa, assunse il titolo di dictator, assommando a sé molti poteri e prerogative, quasi un preludio della figura dell'imperatore, che però non assunse mai, ucciso alle idi di marzo nel 44 a.C.

La morte del dittatore, contrariamente alle dichiarate intenzioni dei congiurati, non portò alla restaurazione della Repubblica, ma a nuovo periodo di guerre civili. Questa volta però i due contendenti, Augusto e Marco Antonio, non erano i campioni di due fazioni rivali, ma rappresentanti di due gruppi che combattevano per il predominio sulla parte avversa, senza avere alcuna velleità di restaurare la Repubblica, ormai superata come istituzione storica. La guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio terminò con la Battaglia di Azio nel 31 a.C., che decretò il trionfo di Ottaviano e diede inizio de facto al periodo imperiale della storia romana. Augusto mantenne in vita (formalmente) la Repubblica, di fatto trasformandola in una monarchia, pur nell'apparenza del Principato. Ufficialmente ebbe fine dopo il 235 d.C. In particolare, nel 284, l'imperatore Diocleziano, incominciò una nuova fase, il Dominato, cambiando radicalmente le antiche istituzioni romane.

Impero romano

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Lo stesso argomento in dettaglio: Impero romano.

Dinastia Giulio-Claudia (14-68)

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La prima dinastia fu quella Giulio-Claudia, che fu al potere dal 27 a.C. al 68 a.C.; nel corso di mezzo secolo si succedettero Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone.

Augusto, fondatore dell'impero romano, qui raffigurato nella celebre statua omonima di Prima Porta.L'immagine giovane...
Lo stesso argomento in dettaglio: Augusto e Italia augustea.

Tra il 13 e il 16 gennaio del 27 a.C., Gaio Giulio Cesare Ottaviano riunì il Senato di Roma e restituì formalmente alla Repubblica l'immenso potere personale che aveva accumulato con la vittoria nelle guerra civili e contro l'Egitto. In cambio ottenne de facto la nomina a capo dello stesso Stato, assicurandosi privilegi di cui nessun cittadino romano si era mai fregiato e concentrando nella sua persona molteplici cariche repubblicane assieme ai poteri delle antiche istituzioni. Assunto il nome di Augusto e le funzioni di primus inter pares, con il titolo di princeps, divenne così il primo imperatore romano.

«Io, che ho la supremazia su tutto il mare entro le Colonne d'Ercole ad eccezione di poche tribù...io, che possiedo città e province in ogni continente ora che non c'è più alcun nemico straniero che fa guerra contro di me e nessuno è impegnato nella sedizione, essendo tutti in pace...io, nonostante tutto ciò, volontariamente e di mia iniziativa, rinuncio a un così grande dominio e a così vasti possedimenti.»

«...trasferii dalla mia persona al senato e al popolo romano il governo della repubblica. Per questo mio atto, in segno di riconoscenza, mi fu dato il nome di Augusto per delibera del senato e la porta della mia casa per ordine dello Stato fu ornata con rami d'alloro e una corona civica fu affissa alla mia porta, e nella Curia Giulia fu posto uno scudo d'oro, la cui iscrizione attestava che il senato e il popolo romano me lo davano a motivo del mio valore e della mia clemenza, della mia giustizia e della mia pietà. Dopo di che, sovrastai tutti per autorità, ma non ebbi potere più ampio di quelli che mi furono colleghi in ogni magistratura

Augusto tenne per sè il comando di quattro province (Egitto, Siria, Gallia, Spagna)


Con i nuovi poteri Augusto riorganizzò l'amministrazione dell'Impero: stabilì moneta e tassazione standardizzata; creò una struttura di servizio civile formata da cavalieri e da uomini liberi (mentre in precedenza erano prevalentemente schiavi) e previde benefici per i soldati al momento del congedo. Suddivise le province in senatorie (controllate da proconsoli di nomina senatoria) e in imperiali (governate da legati imperiali). Fu un maestro nell'arte della propaganda, favorendo il consenso dei cittadini alle sue riforme. La pacificazione delle guerre civili fu celebrata come una nuova età dell'oro dagli scrittori e poeti contemporanei, come Orazio, Livio e soprattutto Virgilio.

L'impero romano sotto Augusto.

Augusto per primo creò un corpo di vigili, e una forza di polizia per la città di Roma, che fu suddivisa amministrativamente in 14 regioni. Ottaviano completò il dominio sull'Italia, sottomettendo tra il 25 a.C. e il 6 a.C. alcune periferiche popolazioni alpine, tra cui Salassi, Reti e Vindelici. Per aver completato la sottomissione di tutte le 46 popolazioni della penisola italiana, i Romani eressero in suo onore un monumento celebrativo sulle falde meridionali delle Alpi, presso Monaco. Nel 7 d.C., Augusto, divise l'Italia in undici regioni. L'Italia, che così come durante il corso della Repubblica continuava a non essere una provincia, in quanto territorio metropolitano di Roma ben differenziato da queste ultime, si vide ancor più privilegiata da Augusto e dai suoi successori in epoca imperiale, i quali costruirono sul suo territorio una fitta rete stradale e abbellirono le sue città dotandole di numerose strutture pubbliche (foro, templi, anfiteatro, teatro, terme...), iniziativa nota come evergetismo augusteo.

L'economia italiana era florida: agricoltura, artigianato e industria ebbero una notevole crescita che permise l'esportazione dei beni verso le province. L'incremento demografico fu rilevato da Augusto tramite tre censimenti: i cittadini maschi furono 4.063.000 nel 28 a.C., 4.233.000 nell'8 a.C. e 4.937.000 nel 14 d.C. Se si considerano anche le donne e i bambini la popolazione totale nell'Italia del I secolo d.C. può essere stimata sui 10 milioni di abitanti circa, di cui almeno 3 milioni erano schiavi[33]. In politica estera tentò di espandere l'impero. Oltre ad aver conquistato le regioni alpine dell'Italia (vedi sopra), intraprese anche alcune campagne in Etiopia[34], in Arabia Felix[34] e in Germania,[34] le quali ebbero però poco successo, sia per la strenua resistenza degli abitanti che per il clima avverso. Alla sua morte il suo testamento fu letto in senato: si raccomandava ai suoi successori di non intraprendere nessuna conquista, in quanto un'ulteriore espansione avrebbe provocato solo problemi logistici a un impero già troppo vasto.[34] I suoi successori rispettarono questa sua indicazione, e nei due secoli d'oro dell'impero furono solo due le conquiste territoriali di rilievo: la Britannia, conquista intrapresa nel 43 dall'Imperatore Claudio e portata avanti dal generale Agricola sotto Domiziano, e la Dacia, conquistata da Traiano.

L'anfiteatro Flavio, simbolo di Roma e del potere imperiale ancora ai nostri giorni

I primi anni del regno di Tiberio furono pacifici e relativamente tranquilli. Egli consolidò il potere di Roma e assicurò la ricchezza e la prosperità dello Stato romano. Dopo la morte di Germanico e di Druso, i suoi eredi, l'imperatore, convinto di aver perso i favori del popolo e di essere circondato da cospiratori, si ritirò nella propria villa di Capri (26), lasciando il potere nelle mani del comandante della guardia pretoriana, Seiano, che avviò le persecuzioni contro coloro che erano accusati di tradimento. Alla sua morte (37) il trono venne affidato a Gaio (soprannominato Caligola, per la sua abitudine di portare particolari sandali chiamati caligae), il figlio di Germanico. Caligola incominciò il regno ponendo fine alle persecuzioni e bruciando gli archivi dello zio.

Tuttavia si ammalò presto: gli storici successivi riportano una serie di suoi atti insensati che avrebbero avuto luogo a partire dalla fine del 37. Nel 41, Caligola cadde vittima di una congiura ordita dal comandante dei pretoriani Cassio Cherea. L'unico membro rimasto della famiglia imperiale era un altro nipote di Tiberio, Claudio. Questi, pur essendo considerato dalla famiglia stupido, fu invece capace di amministrare con responsabile capacità: riorganizzò la burocrazia e conquistò la Britannia. Sul fronte familiare, Claudio ebbe meno successo: la moglie Messalina fu messa a morte per adulterio; successivamente sposò la nipote Agrippina, che probabilmente lo uccise nel 54. La morte di Claudio spianò la strada al figlio di Agrippina, Nerone. Questi inizialmente affidò il governo alla madre e ai suoi tutori, in particolare a Seneca. Tuttavia, maturando, il suo desiderio di potere aumentò: fece giustiziare la madre e i tutori e regnò da despota. L'incapacità di Nerone di gestire le numerose ribellioni scoppiate nell'Impero durante il suo principato e la sua sostanziale incompetenza divennero rapidamente evidenti e nel 68 Nerone si suicidò.

Dinastia dei Flavi (69-96)

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Alla morte di Nerone l'ingerenza dell'esercito nella nomina dell'imperatore fu la causa di una guerra per la successione: nel 68, noto come anno dei quattro imperatori, il trono fu conteso da quattro candidati, ognuno eletto imperatore dalla rispettiva legione: Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano. La guerra civile si concluse con la vittoria di Vespasiano, che fondò la dinastia Flavia. Questo imperatore riuscì a liberare Roma dai problemi finanziari creati dagli eccessi di Nerone e dalle guerre civili. Aumentando le tasse in modo drammatico, egli riuscì a raggiungere un'eccedenza di bilancio e a realizzare numerose opere pubbliche, come il Colosseo e un Foro il cui centro era il Tempio della Pace. Il regno del suo successore, il figlio Tito, durò soli due anni e fu segnato da due tragedie: nel 79 l'eruzione del Vesuvio distrusse Pompei ed Ercolano e, nell'80, un incendio distrusse gran parte di Roma. Tito morì nell'81 a 41 anni, forse assassinato dal fratello Domiziano impaziente di succedergli. Fu con Domiziano che i rapporti già tesi tra la dinastia flavia e il senato si deteriorarono a causa della divinizzazione dell'imperatore secondo modalità tipicamente ellenistiche e del divorzio dalla moglie Domizia, di estrazione senatoria. Nella parte finale del suo regno perseguitò i filosofi e, nel 95, i Cristiani. Morì l'anno seguente, vittima di una congiura.

Dinastia degli Antonini: gli imperatori adottivi (96-192)

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Con Nerva (96-98), successore di Domiziano, venne cambiato il sistema di successione degli imperatori con l'introduzione del cosiddetto principato adottivo: questa riforma prevedeva che l'imperatore in carica in quel momento dovesse decidere, prima della sua morte, il suo successore all'interno del senato, in modo da responsabilizzare i senatori. Con questo criterio vennero scelti Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio e Commodo (quest'ultimo era anche figlio di Marco Aurelio). Tramite la politica di pace instaurata e la prosperità derivatane il governo imperiale attirò consensi unanimi, tanto che Nerva e i suoi successori sono anche noti come i cinque buoni imperatori. In questo periodo, grazie alle conquiste per opera di Traiano di Dacia, Armenia, Mesopotamia e Assiria, l'Impero raggiunse la sua massima estensione (117). Le conquiste orientali di Traiano furono, però, in gran parte abbandonate dal successore Adriano (118), anche se i territori perduti vennero successivamente riconquistati nelle guerre romano-partiche. Lo sviluppo economico e la coesione politica e ideale, raggiunta anche per l'adesione delle classi colte ellenistiche, che contraddistinsero il secondo secolo, non devono, comunque, trarre in inganno, in quanto da lì a poco l'impero cominciò a mostrare i primi sintomi della decadenza.

Quanto all'Italia, il suo posto nell'impero, nel secondo secolo, cominciò a perdere la sua preponderanza, a causa della romanizzazione delle province, e in parte dell'integrazione delle loro élite in seno agli ordini equestri e senatoriali. Il secondo secolo vide l'impero governato da imperatori provenienti dalle province e discendenti da antichi coloni italici: Traiano e Adriano originari della provincia dell'Hispania Baetica e Antonino Pio di quella della Gallia Narbonense. Fin dai primi anni del secolo, Traiano cercò di regolamentare la presenza dei senatori in Italia, obbligandoli a possedere un terzo delle loro terre in Italia; secondo Plinio il Giovane (VI, 19) certi senatori provinciali abitavano in Italia difatti come se fossero in vacanza, senza curarsi della penisola. La misura ebbe solamente un effetto limitato, quello di rialzare momentaneamente i prezzi delle proprietà, che stavano decadendo, e fu reiterata da Marco Aurelio ma in un'inferiore misura, un quarto delle terre.

Altri fattori che assicuravano la sua preminenza sull'impero subirono una flessione, cominciata nel I secolo e che durò durante tutto il suddetto. Le legioni, oramai stanziate stabilmente sul limes romano, nelle province lontane, regionalizzarono poco a poco il loro reclutamento, soprattutto a partire da Adriano. Per molto tempo queste osservazioni hanno fatto ritenere vari studiosi che l'Italia romana nel II secolo fosse in declino e in forte crisi economica, demografica e infine incapace di reggere la concorrenza delle province. Altri, invece, hanno interpretato le numerose importazioni di materie prime provenienti dalle province non come il segno di un declino dell'Italia ma piuttosto come la conseguenza della misura sproporzionata del mercato romano-italico, foraggiato dalle imposte e dalle retribuzioni ai funzionari, o del fatto che certi trasporti marittimi a lunga distanza fossero più economici dei trasporti terrestri a media distanza. L'Italia da sola non poteva produrre abbastanza da nutrire Roma col suo milione di abitanti, tanto più che la coltivazione del grano era poco remunerativa rispetto all'olivo e alla vite; le importazioni massicce non bilanciate dalle esportazioni rendono conto di un declino.

Un passo in avanti verso la parificazione dell'Italia con le province venne compiuto da Adriano, quando assegnò l'Italia a quattro consolari portanti il titolo di legati propretori, titolo utilizzato per i governatori di provincia. Il moto di protesta sollevato nel senato, rappresentante dei vari municipi d'Italia, lesi nella loro autonomia fino ad allora sempre garantita, fece sì che la misura fosse annullata dal suo successore. La soluzione di Adriano rispondeva tuttavia a una reale esigenza: le regioni dell'Italia avevano bisogno di un'amministrazione più gerarchizzata, in particolare nel campo della giustizia civile. Tanto che Marco Aurelio creò egli stesso nel 165 i giuridici (iuridici) che esercitavano nei distretti. Il secondo secolo fu per l'Italia un secolo di transizione, di indietreggiamento della sua preminenza, ma non il declino che la storiografia ha letto fino agli anni settanta, appoggiandosi tra altri sulle tesi di M. Rostovtseff. Il vero declino avvenne in seguito. I prodromi della crisi che investì l'impero romano nel III secolo incominciarono a farsi sentire soprattutto con Commodo (180-192), che minò l'equilibrio istituzionale raggiunto e il cui atteggiamento dispotico favorì il malcontento delle province e dell'aristocrazia, portando al suo assassinio nel 192. Era l'ultimo degli Antonini.

Dinastia dei Severi (193-235)

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Tra la fine del II e l'inizio del III secolo, l'Italia romana, in coincidenza con l'inizio del declino dell'impero, perse man mano i suoi privilegi di territorio non provinciale fino a venire parificata alle province. L'assassinio di Commodo diede il via a una breve guerra civile fra tre pretendenti al trono (tutti nominati dall'esercito), che vide la vittoria di Settimio Severo, che diede inizio alla dinastia dei Severi.[35] Nel corso del suo regno, Settimio Severo (193-211) aumentò i poteri all'esercito e per questo viene visto da alcuni storici come uno degli artefici della rovina dell'impero.[35]
Alla sua morte (211) gli succedettero i figli Caracalla e Geta; l'ultimo dei due venne però fatto uccidere dal primo.[36] Nel 212 Caracalla concesse la cittadinanza, finora concessa salvo alcune eccezioni solo agli italici, a tutti gli abitanti dell'Impero, segnando un ulteriore passo in avanti verso la parificazione con dell'Italia con le province. Il suo regno e quello dei suoi successori (Eliogabalo e Alessandro Severo) fu caratterizzato da lotte intestine[36], che nel 235 portarono, con l'uccisione di Alessandro Severo da parte del suo esercito, all'estinzione della dinastia dei Severi e all'inizio dell'anarchia militare.

L'anarchia militare (235-284)

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Lo stesso argomento in dettaglio: Anarchia militare.

Il periodo cosiddetto dell'anarchia militare durò dal 235 al 284 e fu caratterizzato dagli assalti dei barbari che premevano sul limes e che costrinsero i Romani a evacuare la Dacia e gli Agri Decumati (in Germania), e dalla crescente importanza dell'esercito, che spesso era fonte di disordini interni, con numerose rivolte e nomine di usurpatori: molti imperatori nel corso del III secolo morirono di morte violenta, proprio per mano dell'esercito.

I quattro tetrarchi
Prima tetrarchia dell'impero romano

La crisi del III secolo venne frenata dall'imperatore Diocleziano, istituendo la Tetrarchia, un regime collegiale di due Augusti e due Cesari che amministravano raggruppamenti distinti di province dell'Impero, accresciute in numero e riunite in Diocesi (impero romano); i Cesari alla morte o all'abdicazione degli Augusti sarebbero divenuti a loro volta Augusti, designando altri due Cesari. In questa circostanza l'Italia venne parificata alle altre province divenendo una diocesi a sua volta suddivisa in province, corrispondenti grossomodo alle regioni augustee. Diocleziano, inoltre, per contrastare meglio le invasioni, tolse a Roma il ruolo di sede imperiale preferendole città più vicine ai confini minacciati (Milano, Nicomedia, Treviri e Sirmio), ma le lasciò comunque il titolo di capitale dell'Impero.

Da Costantino a Teodosio

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La riforma tetrarchica di Diocleziano non risolse però nei fatti il problema della successione, dato che alla sua abdicazione (305) scoppiò una guerra civile tra i vari Cesari e Augusti, che terminò solo nel 324 con la vittoria di Costantino I. Quest'ultimo (imperatore dal 306 al 337) continuò la politica di Diocleziano, fondando una seconda capitale nell'antico sito di Bisanzio, da lui ridenominata Costantinopoli (330). Sempre Costantino pose fine, con l'Editto di Milano (313), alle persecuzioni contro i cristiani; il cristianesimo da qui in poi assunse sempre maggiore importanza per l'impero e, dopo un tentativo da parte dell'imperatore Giuliano (360-363) di restaurare il paganesimo, sotto il regno di Teodosio I (379-395) il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'Impero (380). L'Italia, pur perdendo sempre più importanza, rimaneva comunque una delle regioni più importanti dell'Occidente romano, perlomeno dal punto di vista religioso (il Papa risiedeva a Roma). Nel 395, alla morte di Teodosio, l'Impero si trovò definitivamente suddiviso in un Impero d'Occidente (capitale Milano e poi Ravenna) e in un Impero d'Oriente (capitale Costantinopoli).

Deposizione di Romolo Augusto

Declino e caduta dell'Impero d'Occidente (395-476)

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Se l'Impero romano d'Oriente riuscì a sopravvivere per un altro millennio, la parte occidentale, includente l'Italia, crollò in poco meno di un secolo. Numerose teorie, spesso discordi fra loro, cercano di spiegarne la caduta: principalmente si ritiene che la prima causa furono le invasioni barbariche, anche se queste furono, almeno in parte, agevolate dai limiti interni dell'Impero (perdita del mos maiorum, separatismo provinciale, l'influsso del cristianesimo sulla combattività dei soldati e sulle discordie interne causate dalla lotta alle eresie, danni provocati dalle riforme di Costantino I, ecc.).[37]

Nel corso del V secolo, a partire dal 406, Vandali, Alani, Suebi, Burgundi e Visigoti (spinti dalla migrazione verso occidente degli Unni) sfondarono il limes dell'Impero e dilagarono nelle province galliche e ispaniche, costringendo i Romani a riconoscerli come foederati (cioè alleati dell'Impero che, in cambio del loro sostegno bellico, ottenevano il permesso di stanziarsi in alcune province), che, tuttavia, si svincolarono man mano dall'autorità centrale, andando a costituire dei veri e propri regni romano-barbarici, solo nominalmente componenti dell'Impero. Neanche l'Italia era al sicuro: il sacco di Roma del 410 per opera dei Visigoti di Alarico I fu visto dai contemporanei come il segno imminente della fine del mondo. Discordie interne peggiorarono la situazione: il comes d'Africa Bonifacio, nominato nemico pubblico da Galla Placidia, per difendersi invitò i Vandali in Africa, che nel giro di un decennio la strapparono all'Impero (429-439), con il sostegno dei Mauri e della setta eretica dei Donatisti. I Vandali costruirono una flotta e in breve tempo occuparono la Sicilia, la Sardegna, la Corsica e le isole Baleari, riuscendo anche nell'impresa di saccheggiare Roma (455). Nel 452 gli Unni di Attila invasero il nord Italia, conquistando dopo un assedio Aquileia, provocando la fuga delle popolazioni sulle isole della laguna veneta e la nascita di Venezia, fermandosi infine a Governolo sul Po, dove incontrò un'ambasciata formata dal prefetto Trigezio, il console Avienno e Papa Leone I.

In breve, eccettuata una parte della Gallia e la Dalmazia, l'Impero era ridotto alla sola Italia peninsulare. Tuttavia l'influenza dei barbari proseguì indebolendo l'ormai traballante autorità degli Imperatori: nell'ultimo ventennio di vita l'Impero era governato da imperatori fantoccio manovrati da generali di origini germaniche (Ricimero (461-472), Gundobaldo (472-474), Flavio Oreste (475-476)), ormai i veri padroni di Roma. L'ultimo di questi generali, Oreste, dopo aver costretto alla fuga l'imperatore Giulio Nepote, che si rifugiò in Dalmazia, dove continuò a regnare fino al 480, pose sul trono il figlio Romolo Augusto. Un anno dopo, il rifiuto di Oreste di cedere alle truppe mercenarie barbariche un terzo dell'Italia, ne causò la rivolta, capeggiata da Odoacre che depose l'ultimo imperatore Romolo Augusto, causando la caduta formale dell'Impero. Infatti Odoacre decise di non nominarsi Imperatore romano, ma semplicemente Re d'Italia.

Stati italiani in 1494

«E chi non sa che cosa sia Italia? provincia regina di tutte l’altre per l’opportunità del sito, per la temperie dell’aria, per la moltitudine e ingegni degli uomini attissimi a tutte le imprese onorevoli, per la fertilità di tutte le cose convenienti al vivere umano, per la grandezza e bellezza di tante nobilissime città, per le ricchezze, per la sedia della religione, per l’antica gloria dello imperio, per infiniti altri rispetti...la quale se voi dominerete tremeranno sempre di voi tutti gli altri príncipi»

Il Rinascimento fu il periodo tra XV e XVI secolo in cui l'Italia tornò ad essere il centro della politica internazionale e la culla della cultura europea, in particolare riscoprendo il classicismo greco grazie all'afflusso di bibliotecari e libri bizantini dopo la caduta di Costantinopoli (1453). Sul piano sociale, l'età rinascimentale fu un'epoca prospera che iniziò con l'uscita dalla depressione trecentesca e terminò con l'entrata nella crisi seicentesca.

L'Italia di questo periodo, nonostante la perdita del monopolio nell'acquisto e rivendita dei prodotti orientali a seguito dell'esplorazione marittima, portata avanti dai paesi iberici e da quelli affacciati sull'Atlantico, conobbe per prima l'emergere del capitalismo mercantile (mercantilismo)[38] che poi maturò e trionfò in Francia, Paesi Bassi, e Inghilterra. Infatti, a fronte della concorrenza europea creatasi, gli stati della penisola puntarono a mantenere il loro surplus commerciale accrescendo le esportazioni delle proprie merci e l'importazione di oro e argento (come teorizzato da Giovanni Botero e Bernardo Davanzati). Ciò fu reso possibile grazie alla maggiore produzione di manifattura ricercata (oggetti di vetro e panni di lana nel caso della Repubblica di Venezia; vesti colorate nel caso della Repubblica Fiorentina e dello Stato Pontificio) e al peso internazionale che assunsero le banche italiane (Banco di San Giorgio a Genova; Banco Medici a Firenze; Banco di Rialto a Venezia) con la conseguenza che soprattutto i genovesi divennero finanziatori del colonialismo iberico e quindi creditori delle corone di Portogallo e Spagna.[39]

Per tutti questi fattori, la ritrovata crescita del Quattrocento si rafforzò durante il Cinquecento (Estate di San Martino) e consentì il mantenimento, fino alla fine del secolo, del primato economico dell'Italia, il cui PIL pro capite è stimato essere il maggiore dell'epoca da Angus Maddison e da altri storici dell'economia. La scoperta delle Americhe e delle nuove rotte verso l'Asia non ebbe quindi immediati effetti deleteri sull'economia italiana: a titolo di esempio si consideri che, nel XVI secolo, flotta e attività portuale di Venezia raddoppiarono.[40] Lo sviluppo demografico seguì di pari passo e portò la popolazione della penisola a 12 o 13 milioni di abitanti: una cifra simile a quella di Francia o Germania, il doppio di Spagna e Portogallo messi insieme, quattro volte quella dell'Inghilterra. Roma passò da cinquantamila a centomila abitanti (nonostante il sacco della città nel 1527) e, dei dodici centri urbani europei ad aver raggiunto tale traguardo, cinque erano italiani.[41]

L'italia rinascimentale fu protagonista dell'umanesimo e della rivoluzione scientifica, dando i natali a importanti letterati (Matteo Maria Boiardo, Ludovico Ariosto, Torquato Tasso), artisti (Leonardo da Vinci, Michelangelo, Raffaello, Tiziano), missionari ( Matteo Ricci, Alessandro Valignano), navigatori (Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci, Antonio Pigafetta, Giovanni Verrazzano, i Caboto), filosofi (Machiavelli, Mercurino di Gattinara, Pico della Mirandola), editori (Aldo Manuzio), medici (Gabriele Falloppio), matematici (Niccolò Tartaglia, Luca Pacioli), e fisici (in primis Galileo Galilei, padre del metodo sperimentale).

Pace di Lodi e Guerre d'Italia

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Gli stati dell'Italia rinascimentale erano

il Ducato di Milano, e la Repubblica di Genova.


La Pace di Lodi, firmata nella città lombarda il 9 aprile 1454, mise fine allo scontro fra Venezia e Milano in corso dall'inizio del XV secolo[42]. Il trattato fu ratificato dai principali Stati regionali[43], prima fra tutti Firenze, passata da tempo dalla parte di Milano.

Gran parte dell'Italia settentrionale risultava spartita fra i due stati nemici, nonostante persistessero alcune potenze minori (Ducato di Savoia, la Repubblica di Genova, i Gonzaga e gli Estensi). In particolare, stabilì la successione di Francesco Sforza al Ducato di Milano, lo spostamento della frontiera tra i due stati sul fiume Adda, l'apposizione di segnali confinari lungo l'intera demarcazione[44] e la nascita di un'alleanza fra stati italiani: la Lega Italica. L'importanza della Pace di Lodi consiste nell'aver dato alla penisola un nuovo assetto politico-istituzionale che – limitando le ambizioni particolari dei vari Stati – assicurò per quarant'anni un sostanziale equilibrio territoriale e favorì di conseguenza lo sviluppo del Rinascimento italiano. A farsi garante di tale equilibrio politico sarà poi – nella seconda parte del Quattrocento – Lorenzo il Magnifico, attuando la sua famosa politica dell'equilibrio.

La politica dell'equilibrio fu ereditata dai pontefici, essendo Leone X, secolo di Leone X,.

Guerre d'Italia

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L'Italia nel 1494
Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre d'Italia del XVI secolo.


Nel 1494, in Italia, i principali stati presenti erano:

Il 1494, anno dell'invasione della penisola da parte della Francia, segna la fine della politica dell'equilibrio e l'inizio di quel lungo periodo di conflitti che va sotto il nome di guerre d'Italia e che terminano nel 1559. Secondo una formula storiografica fortunata tradizionale, questa data viene indicata come la fine della "libertà italiana": la Penisola cade in gran parte sotto l'egemonia della Casa d'Asburgo, prima soprattutto del ramo spagnolo e poi di quello austriaco, una soggezione dalla quale si libererà solo nel XIX secolo con gli esiti delle guerre di indipendenza italiane.


La discesa di Carlo VIII in Italia

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La guerra, dopo il quarantennio di pace seguito agli accordi di Lodi, scaturì dall'iniziativa del re di Francia Carlo VIII, che discese in Italia alla testa di un esercito di 25.000 uomini con l'obiettivo di riconquistare il regno di Napoli, sul quale vantava diritti in virtù del legame dinastico con gli Angioini. La conquista del reame napoletano rappresentava per Carlo la premessa per estendere il proprio controllo all'intera penisola e per affrontare direttamente la minaccia turca. La spedizione del re francese incontrò il favore di molti principi italiani, che intendevano approfittare della sua potenza per conseguire obiettivi propri: il duca di Milano, Ludovico il Moro, ottenne grazie all'appoggio di Carlo VIII la cacciata del nipote Gian Galeazzo Maria Sforza, che insidiava il suo potere; a Firenze gli avversari dei Medici aprirono le porte della città ai francesi costringendo alla fuga Piero il Fatuo e restaurando la repubblica sotto la guida di Savonarola. Anche i cardinali romani ostili ad Alessandro VI Borgia puntavano alla sua deposizione, ma il Papa spagnolo scongiurò colpi di mano garantendo al re il passaggio attraverso i territori pontifici e offrendo suo figlio Cesare come guida in cambio del giuramento di fedeltà.

Il 22 febbraio 1495 Carlo VIII entrò a Napoli, sostenuto da buona parte dei baroni del regno schieratisi contro Ferdinando II d'Aragona. Questa conquista non poté essere consolidata causa l'avversione che la sua impresa aveva suscitato anche tra coloro che inizialmente l'avevano favorita: Milano, Venezia e il Papa costituirono una lega antifrancese, a cui diedero il proprio appoggio anche l'imperatore Massimiliano e la Spagna dei Re Cattolici. Carlo, volendo evitare di rimanere intrappolato nel Meridione, marciò rapidamente verso nord, ma venne sconfitto il 6 luglio 1495 nella Battaglia di Fornovo, con cui la lega riuscì a costringere il sovrano a riparare in Francia. Venezia, ottenne dagli alleati la cessione di Cremona, Forlì, Cesena, Monopoli, Bari, Barletta e Trani.

Le ostilità ripresero nel 1499 con la discesa in Italia di Luigi XII, successore di Carlo, che conquistò il Ducato di Milano accampando i diritti ereditati dalla nonna Valentina Visconti e nel 1501 i francesi occuparono Napoli, ma furono sconfitti dai rivali spagnoli nella Battaglia del Garigliano (1503), nell'ambito di questo conflitto avvenne la disfida di Barletta.

Fra il 1499 e il 1503 Cesare Borgia, figlio del Papa Alessandro VI, conquistò un dominio a cavallo fra le Marche e la Romagna, grazie anche all'appoggio della Francia e a una sua politica violenta e spregiudicata. Nel marzo del 1508, con la battaglia di Rusecco, la Serenissima sottrasse a Massimiliano I le città di Gorizia, Trieste e Fiume.

I signori della Romagna, spodestati da Cesare Borgia alla morte del padre, Papa Alessandro VI, accettarono di sottomettersi alla Repubblica di Venezia per riavere i loro domini, in tal modo la Serenissima prese possesso di Rimini, Faenza e altre città.

Il nuovo Papa, il genovese Giulio II, temendo l'espansione della Serenissima, nel dicembre dello stesso anno, a Cambrai, stipulò un accordo segreto, noto come Lega di Cambrai, con la Francia, la Spagna, il Sacro Romano Impero, il Ducato di Ferrara, il Ducato di Savoia e il Marchesato di Mantova, contro la Repubblica di Venezia.

Sacco di Roma: dipinto raffigurante la profanazione di una chiesa

Carlo V e Francesco I

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Lo stesso argomento in dettaglio: Rapporti tra Carlo V e Francesco I.

Con la formazione della Lega di Cambrai (1508) i francesi fecero ritorno in Italia, sconfiggendo nel 1509 con la battaglia di Agnadello i Veneziani, ma in seguito destarono le preoccupazioni dei principi della penisola. Nel corso di questi eventi Papa Giulio II cercò di ampliare i territori sotto il possesso papale arrivando nel 1511 a condurre di persona l'assedio vittorioso di Mirandola.

Il pontefice costituì quindi una Lega Santa antifrancese coinvolgendo la Spagna, l'Inghilterra, il Sacro Romano Impero e i mercenari svizzeri. Quest'ultimi nel 1513 sconfissero i francesi nella battaglia di Novara, i Veneziani vennero battuti il 7 ottobre dagli spagnoli nella battaglia de' La Motta, ma la Lega non riuscì ad approfittare dei propri successi, trascinando stancamente il conflitto per tutto il 1514.

Le mire francesi sull'Italia furono ereditate nel 1515 dal nuovo re di Francia Francesco I, che con una nuova armata francese scese in Italia, battendo la Lega nella battaglia di Villafranca e congiungendosi il 13 settembre alle forze veneziane nella battaglia di Marignano, dove venne conseguita la vittoria finale e facendo sostanzialmente tornare la mappa dell'Italia allo status quo precedente il conflitto[45]. Francesco I fu protagonista col rivale Carlo V di una lunga lotta per l'egemonia continentale che ebbe in Italia il suo principale teatro. Col trattato di Noyon del 1516 alla Francia veniva confermato il possesso del Ducato di Milano e alla Spagna quello del Regno di Napoli. Questo accordo non bastò a spegnere le rivalità, che esplosero nuovamente nel 1519 con l'elezione a Imperatore del Sacro Romano Impero di Carlo V, già re di Spagna, Napoli, Sicilia, e Arciduca d'Austria. Nel 1521 le armate francesi scesero nuovamente in Italia con l'obiettivo di riconquistare il reame napoletano, ma furono sconfitte nelle battaglie della Bicocca, di Romagnano e di Pavia, durante la quale lo stesso Francesco I fu fatto prigioniero a Pizzighettone e condotto in Spagna per essere liberato con la firma del Trattato di Madrid (1526) dietro cessione di Milano agli Sforza sotto la protezione Imperiale nel 1525.

File:Celebrazioni Pichiane 1994 - Papa Giulio II.jpg
Rievocazione dell'ingresso di papa Giulio II, con armatura sopra la veste bianca, a Mirandola

.

L'allarme per la crescente potenza degli Asburgo portò alla costituzione della Lega di Cognac, promossa dal Papa Clemente VII e siglata dal sovrano francese insieme alle repubbliche di Venezia e Firenze. Un'alleanza fragile che non fu in grado di evitare il terribile sacco di Roma del maggio 1527 per opera dei Lanzichenecchi, soldati imperiali di origine prevalentemente tedesca e fede luterana, che contribuì ad aggravare le condizioni di povertà a Roma in quel periodo. Tale episodio suscitò orrore e costernazione in tutto il mondo cattolico e costrinse il Papa, asserragliato in Castel Sant'Angelo, alla pace con l'imperatore, dal quale ottenne la restaurazione dei Medici a Firenze, dove si era costituita una repubblica (1527-1530). Il 5 agosto 1529 venne stipulata la pace di Cambrai, con cui la Francia rinunciava alle mire sull'Italia.

L'equilibrio fu nuovamente infranto nel 1542, con una nuova fase di conflitti franco-Imperiali in territorio italiano. Nel 1535, Carlo V annesse Milano come feudo Imperiale dopo l'esutinzione degli Sforza. Gli scontri ebbero esiti alterni, sanciti da deboli trattati di pace (come la pace di Crépy del 1544) e continuarono anche dopo la morte di Francesco I e l'ascesa al trono del suo successore, Enrico II, nel 1547. Lo scenario internazionale mutò di colpo nel 1556, quando Carlo V abdicò dopo aver diviso i suoi possedimenti fra il figlio Filippo II e il fratello Ferdinando I. Furono proprio Enrico e Filippo a stipulare nel 1559 la pace di Cateau-Cambrésis, che mise fine definitivamente allo scontro tra Francia e Spagna per l'egemonia europea e sancì, dopo un sessantennio di guerre continue, quella fine della "libertà italiana" iniziata con la spedizione di Carlo VIII nel 1494. La Spagna consolidò i propri domini in Italia (Milano, Napoli, Sicilia, Sardegna) e guadagnò un primato, per quanto non egemonico e condiviso con altre realtà come Impero e Papato, destinato a durare fino al 1714, anno della conclusione della guerra di successione spagnola e dell'avvento dell'Austria come potenza egemone sulla penisola.

Nel 1561 la breve guerra franco-savoiarda fu conclusa con il Trattato di Lione, Carlo Emanuele I di Savoia ampliò il Ducato di Savoia in territorio italiano, nel 1563, acquisendo il Marchesato di Saluzzo, rinunciando così a territori oltre le Alpi di difficile controllo e spostando nello stesso anno la capitale del ducato da Chambery a Torino.

In questi anni si esaurisce la parabola del Rinascimento: l'Italia, per metà soggetta alla corona spagnola, è anche interessata dal processo di reazione della Chiesa cattolica al luteranesimo che va sotto il nome di Controriforma. Il periodo che seguì la fine delle guerre d'Italia - dalla seconda metà del XVI a tutto il XVII secolo - è stato a lungo etichettato come "età della decadenza", definizione semplicistica che è stata fatta oggetto di revisione da molti storici del XX secolo[46].

Nel XVI secolo nasce la commedia dell'arte, nota fuori dall'Italia come commedia all'italiana.

La Repubblica di Venezia e le guerre con l'Impero Ottomano

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Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Repubblica di Venezia.

Oltre alle battaglie di Salonicco nel 1422-1430, Nicopoli nel 1396 e Gallipoli (Turchia) nel 1416, vi furono sette guerre ottomano-veneziane dove spesso Venezia fronteggiò da sola (o quasi) l'Impero ottomano.

Busto di Marcantonio Bragadin, Palazzo Ducale Tiziano Aspetti

Nel XV secolo la Repubblica di Venezia si trovava in un momento di massima espansione territoriale sia nello Stato da Mar, dove aveva una striscia di porti ininterrotta che copriva la Dalmazia fino a Costantinopoli e una serie innumerevole di isole greche tra cui Creta, Rodi e Lemno, sia nello Stato da Tera, che copriva le attuali Tre Venezie comprese Bergamo, Brescia e Crema (Italia). I mercanti Veneziani si approvvigionavano continuamente presso l'impero bizantino.

La seconda e definitiva caduta di Costantinopoli nel 1453 fu vissuta dai cronisti dell'epoca con profondo sgomento. Enea Silvio Piccolomini, futuro Papa Pio II, scrisse:

"Ecco una seconda morte per Omero e anche per Platone... Ora Maometto regna fra noi. Ora i turchi incombono sulle nostre teste" .

Questa vittoria ottomana determinò uno sbarramento alla penetrazione genovese nel Mediterraneo Orientale e nel Mar Nero. Più duramente colpita dal crollo della sua preziosa ma debole alleata, Venezia cercò di adattarsi alla nuova situazione e iniziò immediatamente trattative con i nuovi padroni del Bosforo. Già nel 1454 Venezia riuscì a ottenere alcuni vantaggi commerciali e il permesso di ottenere un ambasciatore a Costantinopoli: segno sia della sua potenza, sia del fatto che i turchi non fossero del tutto disinteressati a commerciare con i cristiani. Venezia aveva già perso nel 1430 la città di Tessalonica (attuale Salonicco) in mano turca, questo aprì un'epoca di guerre e commerci che si sarebbe protratta per i prossimi trecento anni.

L'inizio ufficiale delle Guerre turco-veneziane data al 1470, allorquando la Serenissima perdette diverse isole dell'Egeo tra cui Negroponte, mentre in risposta i Veneziani saccheggiarono le città di Satalia e Smirne. Durante queste guerre Venezia riuscì a impossessarsi del Regno di Cipro. Nel 1479, con il Trattato di Costantinopoli, i Veneziani dovettero rinunciare ai territori persi, ma in cambio ebbero accesso al commercio con l'impero ottomano.

Battaglia di Lepanto Tintoretto
Repubblica di Venezia e Impero Ottomano

Durante la quarta Guerra ottomano-veneziana (1570–1573), i Turchi riuscirono a impossessarsi di Cipro. Per dissuadere ogni resistenza il comandante ottomano fece recapitare la testa tagliata del governatore di Nicosia Niccolò Dandolo a Marcantonio Bragadin che rifiutò la resa. Durante l'Assedio di Famagosta 6.000 Veneziani resisterono contro 100.000 Turchi (che dopo due mesi di insuccessi divennero 250.000) armati di 150 navi e 1.500 cannoni per ben 10 mesi. Alla fine, data la sproporzione numerica, il comandante ottomano Lala Kara Mustafa Pascià riuscì a prendere prigioniero il comandante veneziano Marcantonio Bragadin al quale, nonostante le condizioni pattuite per la resa, vennero inflitte le più feroci torture[47].

Le notizie dell'avanzata ottomana e delle pesanti torture inflitte al comandante veneziano fecero il giro d'Europa. I veneziani, assieme a Papa Pio V, riuscono a formare la Lega Santa, composta dagli stati italiani assieme alla Spagna, che mise insieme una flotta di 204 galee (di cui più della metà Veneziane). Il 7 ottobre 1571, nel mare Egeo, le flotte contrapposte si scontrarono nella Battaglia di Lepanto con la conseguente sconfitta della flotta ottomana.

Appena terminata la peste in tutta Europa, iniziò la quinta guerra ottomano-veneziana (1645-1669). Nonostante varie sconfitte navali inferte dai Veneziani, gli Ottomani riuscirono a conquistare l'isola di Creta. Ebbe inizio l'Assedio di Candia, il secondo assedio più lungo della storia, che dura dal 1648 al 1669 (21 anni): gli ottomani alla fine vinsero, lasciando sul campo 130.000 morti e un terzo del budget dell'impero. Dopo 4 secoli di dominio veneziano l'isola di Creta diventò turca.

Controriforma

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obiettivi:

-Rinnovamento della Chiesa Cattolica.

-Politica dell'equilibrio

-protestanti

-ottomani

-extraeuropei

Rivoluzione scientifica

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Contemporanea

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Periodo napoleonico

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Lo stesso argomento in dettaglio: Età napoleonica.
Stati italiani nel 1796
Stati italiani nell'era napoleonica

Verso la fine del Settecento sulla scena politica italiana si affacciò Napoleone Bonaparte. Questi nel 1796, comandò, come generale, la campagna italiana, al fine di far abbandonare al Regno di Sardegna la Prima coalizione, creata contro lo Stato francese, e per far arretrare gli austriaci. Gli scontri iniziarono il 9 aprile, contro i piemontesi e nel breve volgere di due settimane Vittorio Amedeo III di Savoia fu costretto a firmare l'armistizio. Il 15 maggio poi il generale francese entrò a Milano, venendo accolto come un liberatore. Successivamente respinse le controffensive austriache e continuò ad avanzare, fino ad arrivare in Veneto nel 1797. Qui si verificò anche un episodio di ribellione a causa dell'oppressione francese chiamato Pasque Veronesi, che tenne occupato Napoleone per circa una settimana. Con il diretto intento di danneggiare il pontefice fu proclamata, nel 1797, la Repubblica Anconitana, con capitale Ancona, che fu poi unita alla Repubblica Romana: il tutto ebbe però breve durata, poiché nel 1799 lo Stato Pontificio fu ripristinato.

Napoleone

A ottobre del 1797 venne firmato il Trattato di Campoformio con il quale la Repubblica di Venezia fu annessa allo Stato austriaco. Il trattato riconobbe anche l'esistenza della Repubblica Cisalpina, la quale comprendeva Lombardia, Emilia-Romagna oltre a piccole parti di Toscana e Veneto, mentre il Piemonte venne annesso alla Francia, provocando così qualche moto di ribellione. Nel 1802 venne poi denominata Repubblica Italiana, con Napoleone Bonaparte, già Primo Console della Francia, in qualità di Presidente.

Il 2 dicembre 1804, Napoleone fu incoronato Imperatore dei francesi. In conformità col nuovo assetto monarchico francese, Napoleone divenne anche Re d'Italia, tramutando la Repubblica Italiana in Regno d'Italia. Questa decisione lo mise in contrasto con l'Imperatore del neonato Impero austriaco, Francesco I, che, essendo prima di tutto Imperatore dei Romani, risultava de iure pure Re d'Italia. La situazione si risolse con la guerra contro la Terza coalizione: l'Austria venne sconfitta (2 dicembre 1805) e il trattato di Presburgo (26 dicembre 1805) pose di fatto fine al Sacro Romano Impero che verrà però sciolto solo nel 1807. L'anno successivo Bonaparte riuscì a conquistare il Regno di Napoli affidandolo al fratello e consegnandolo nel 1808 a Gioacchino Murat. Inoltre Napoleone riservò alle sorelle Elisa il Principato di Lucca e Piombino e a Paolina il ducato di Guastalla. Proprio nel 1808 il Regno d'Italia subì un ampliamento con le annessioni di Toscana e Marche.

Nel 1809, Bonaparte occupò Roma, in seguito a contrasti con il Papa, che l'aveva scomunicato, e per mantenere in efficienza il proprio Stato[48], relegandolo prima a Savona e poi in Francia. Nella campagna di Russia, che Napoleone intraprese nel 1812, fu determinante l'appoggio degli abitanti della penisola italiana, ma questa si risolse con una sconfitta e molti italiani trovarono la morte. Dopo la fallimentare campagna di Russia gli altri stati europei si riorganizzarono, coalizzandosi tra loro e sconfiggendo Bonaparte a Lipsia. I suoi stessi alleati, primo tra tutti Murat, lo abbandonarono alleandosi con l'Austria.[49] Ormai abbandonato dagli alleati e sconfitto a Parigi il 6 aprile 1814 Napoleone fu costretto ad abdicare e venne mandato in esilio all'Isola d'Elba. Sfuggito alla sorveglianza riuscì a ritornare in Francia e a riprendere il potere. Guadagnò nuovamente l'appoggio di Murat, il quale tentò di esortare, senza successo, gli italiani a combattere con il Proclama di Rimini. Sconfitto Bonaparte, anche Murat venne vinto e ucciso. I regni creati in Italia scomparvero ed ebbe quindi inizio il periodo storico della Restaurazione.

La Restaurazione (1815-1848)

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Con la Restaurazione ritornarono sul trono gran parte dei sovrani precedenti al periodo napoleonico. Il Regno di Sardegna, che durante l'invasione napoleonica era rientrato nei confini insulari, riottenne tutti gli Stati di terraferma e in più si ingrandì con l'annessione della Repubblica di Genova, mentre Lombardia, Veneto, Istria e Dalmazia andarono all'Austria. Si ricostituirono i ducati di Parma e Modena e lo Stato della Chiesa, mentre il Regno di Napoli tornò ai Borbone.

Il Regno borbonico delle due Sicilie

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Lo stesso argomento in dettaglio: Regno delle due Sicilie.

Prima della Rivoluzione francese del 1789 e delle successive campagne napoleoniche, la dinastia dei Borbone regnava negli stessi territori, ma questi risultavano divisi nel Regno di Napoli e nel Regno di Sicilia (con l'eccezione dell'isola di Malta che era concessa in feudo al Sovrano Militare Ordine di Malta).

Un anno dopo il congresso di Vienna e con il Trattato di Casalanza, Ferdinando di Borbone, che prima d'allora assumeva in sé la corona napoletana (al di qua del Faro) come Ferdinando IV, e quella siciliana (al di là del Faro) come Ferdinando III, riunì in un'unica entità statuale il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia, nel Regno delle due Sicilie, attraverso la Legge fondamentale del Regno delle Due Sicilie dell'8 dicembre 1816, a quasi 400 anni dalla prima proclamazione del Regno Utriusque Siciliae da parte di Alfonso il Magnanimo.

Al momento dell'istituzione del Regno delle Due Sicilie la capitale fu fissata in Palermo ma, l'anno successivo, fu spostata a Napoli; Palermo, però, continuò a mantenere una sua dignità di capitale, essendo considerata appunto "città capitale" dell'isola di Sicilia.[50]

Il Regno di Sardegna

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Lo stesso argomento in dettaglio: Regno di Sardegna e Regno di Arborea.
Stati italiani nel 1843

La storia d'Italia è indissolubilmente legata alla storia dello Stato che l'avrebbe unificata politicamente sotto un'unica guida, il Regno di Sardegna. Fu creato sulla carta da Papa Bonifacio VIII nel 1297, con la denominazione di Regno di Sardegna e Corsica,[51] per risolvere la crisi politica e diplomatica tra la corona d'Aragona e il ducato d'Angiò sulla Sicilia (la guerra del vespro). La realizzazione concreta del Regno di Sardegna avrebbe visto dapprima degli scontri dei catalano-aragonesi contro i pisani, e poi contro il Giudicato di Arborea, la cui politica estera prevedeva l'unificazione politica dell'isola sotto il suo regno e si mosse convenientemente in senso prima antipisano e poi antiaragonese. Per oltre cento anni, l'Isola fu teatro di una sanguinosa guerra prima di essere unificata definitivamente nel 1420, diventando uno Stato Associato della Corona Aragonese e parte del Reale e Supremo Consiglio d'Aragona.

Con il matrimonio tra Ferdinando II di Aragona con Isabella di Castiglia a Valladolid, il 17 ottobre 1469, il Regno di Sardegna fu aggregato alla corona di Spagna e,, con il matrimonio della loro figlia Giovanna con Filippo d'Asburgo e la nascita di Carlo V, passò agli Asburgo, prima di Spagna, poi a quelli d'Austria (1708). A seguito della guerra della Quadruplice Alleanza e del trattato dell'Aia (20 febbraio 1720), il Regno fu infine ceduto a Vittorio Amedeo II di Savoia, che ne divenne il diciassettesimo sovrano. Il 29 novembre 1847, gli Stati che componevano la corona di Casa Savoia si fusero insieme (Fusione perfetta) mantenendo la denominazione di "Regno di Sardegna". Il 4 marzo 1848, Carlo Alberto, promulgò lo Statuto fondamentale del Regno, che avrebbe retto lo Stato italiano fino al 1º gennaio 1948, quando entrò in vigore l'attuale Costituzione[52].

Vittorio Amedeo II, quindicesimo e ultimo Duca di Savoia, poi incoronato re di Sicilia, nel 1720 divenne il diciassettesimo re di Sardegna
Lo stesso argomento in dettaglio: Casa Savoia.

Umberto Biancamano, nel 1032, ottenne dall'imperatore Corrado II la signoria della Savoia, della Moriana e d'Aosta. Attraverso varie successioni ereditarie, i Savoia ingrandirono nel tempo i loro territori a cavallo tra le Alpi Occidentali. Prima conti, poi duchi, nel 1416 ottennero pure il titolo nominale (senza territori) di re di Gerusalemme, lasciato in eredità da Carlotta di Lusignano. Riuscirono abilmente nel XVII e nel XVIII secolo a difendersi dalle mire espansionistiche della Francia, mantenendo tenacemente la loro autonomia. Da quando poi Emanuele Filiberto I di Savoia spostò la capitale da Chambéry a Torino, per meglio difendersi dagli attacchi nemici, la dinastia prese le redini della storia italiana mantenendo il dominio sul ducato prima e sul Regno di Sardegna poi, fino alla unità d'Italia.

Nel 1713 Vittorio Amedeo II di Savoia assunse il titolo regio, divenendo re di Sicilia e successivamente, nel 1720, il diciassettesimo sovrano del Regno di Sardegna. I Savoia vennero allora a pieno titolo annoverati fra le casate d'Europa, fregiandosi dei titoli nominali di Re di Cipro, di Gerusalemme, d'Armenia, e dei titoli effettivi di duchi di Savoia, di Monferrato, Chiablese, Aosta e Genova; principi di Piemonte e Oneglia; marchesi di Saluzzo, Susa, Ivrea, Ceva, Maro, Oristano, Sezana; conti di Moriana, Genova, Nizza, Tenda, Asti, Alessandria, Goceano; baroni di Vaud e di Faucigny; signori di Vercelli, Pinerolo, Tarantasia, Lumellino, Val di Sesia; principi e vicari perpetui del Sacro Romano Impero in Italia. Il 17 marzo 1861 ottennero la corona di Re d'Italia. Nel 1936 Vittorio Emanuele III di Savoia fu proclamato Imperatore d'Etiopia e, nel 1939, Re d'Albania.

L'arresto di Pellico e Maroncelli da parte delle forze austriache

I moti carbonari

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Lo stesso argomento in dettaglio: Carboneria e Massoneria in Italia.

Con la Restaurazione, che aveva portato al ritorno degli antichi sovrani e alla cessione di regioni italiane all'Austria, si svilupparono forti ideali patriottici. Nacque così la Carboneria e si diffuse proprio nelle regioni cedute agli austriaci e in Romagna, grazie anche a Piero Maroncelli. I primi moti carbonari nella penisola italiana vi furono nel 1820-21 e colpirono il Regno delle Due Sicilie nel luglio 1820 e il Piemonte nel marzo 1821. A Napoli il sovrano fu costretto a cedere la costituzione, obiettivo dei carbonari, ma l'intervento degli austriaci riportò tutto come prima, e stessa cosa nel Regno di Sardegna. Contemporaneamente, nel Regno lombardo-veneto, vi furono molti processi, i più famosi al conte Federico Confalonieri, a Silvio Pellico e allo stesso Piero Maroncelli.

Nonostante le sconfitte subite la carboneria non si sciolse e si ripresentò sulla scena politica nel 1831, in particolare nel Ducato di Parma, nel Ducato di Modena e nello Stato Pontificio, venendo per la seconda volta repressa. Il risultato fu il decadimento della carboneria e la nascita della Giovine Italia, movimento anch'esso segreto fondato da Giuseppe Mazzini nel 1831. Dopo aver trovato una discreta adesione, Mazzini decise di organizzare i primi moti in terra sabauda, ma questi vennero scoperti ancor prima di iniziare e fallirono. Nonostante ciò il Re Carlo Alberto di Savoia cambiò la sua linea politica e alcuni anni dopo, nel 1848, concesse la costituzione, nota come Statuto Albertino, temendo reazioni pericolose alla monarchia. Prima di questo si verificarono altri tentativi. Il più noto è quello dei Fratelli Bandiera, italiani appartenenti alla marina austriaca, che tentarono di sollevare il sud, ma vennero catturati, anche grazie alla popolazione che li riteneva briganti, e fucilati.

Monumento a Carlo Cattaneo, protagonista delle Cinque Giornate di Milano

Prima guerra d'indipendenza

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Lo stesso argomento in dettaglio: Prima guerra d'indipendenza italiana.

Le spinte nazionalistiche portarono a una serie di guerre di indipendenza contro l'Impero austriaco. Nel 1848 si verificarono varie insurrezioni popolari in Europa. Nei domini italiani sottoposti agli austriaci, in particolare si ebbero rivolte a Venezia con la proclamazione della Repubblica di San Marco e Milano (famose appunto le cinque giornate di Milano, che si conclusero il 22 marzo con la vittoria della popolazione locale e l'abbandono da parte del maresciallo austriaco Josef Radetzky della città). Visti i successi ottenuti dalle due città Carlo Alberto di Savoia, sovrano del Regno di Sardegna decise, con l'appoggio bellico di altri stati italiani (Stato della Chiesa, il Granducato di Toscana e il Regno delle Due Sicilie), di entrare in azione il 23 marzo dando inizio alla prima guerra di indipendenza italiana.

L'inizio del conflitto fu favorevole agli stati italiani, con varie vittorie, a Pastrengo, la Battaglia di Santa Lucia a Verona, poi Peschiera e Goito. Il ritiro dalla guerra del Papa, che temeva una reazione religiosa austriaca che avrebbe potuto provocare uno scisma, e di Ferdinando II di Borbone, decretò però l'insuccesso della guerra, che si risolse con un nulla di fatto: gli austriaci recuperarono le città perse (l'ultima a cadere fu Venezia nell'agosto 1849) e il 4 agosto Carlo Alberto firmò l'armistizio; fu quindi costretto ad abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II.

Vittorio Emanuele II di Savoia, il primo Re d'Italia di casa Savoia

Seconda guerra d'indipendenza

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Lo stesso argomento in dettaglio: Seconda guerra d'indipendenza italiana.
Giuseppe Garibaldi nel 1866

Nel 1852 divenne primo ministro del Regno Sabaudo Camillo Benso, conte di Cavour, il quale attuò numerose riforme economiche al fine di rendere il regno di Sardegna più moderno, aumentando le ferrovie, ampliando il porto di Genova e favorendo la nascita dell'industria, fino ad allora inesistente nel Paese. Nel 1855 il Regno di Sardegna, sotto indicazione di Cavour, partecipò alla guerra di Crimea, inviando 18.000 uomini. Questa partecipazione permise al regno sabaudo di essere presente al congresso di Parigi l'anno seguente dove il primo ministro attaccò il comportamento austriaco e si creò simpatie tra inglesi, francesi e prussiani. Ricevuti pareri favorevoli all'azione da Napoleone III, nel 1858 i due strinsero un accordo segreto a Plombières, con il quale i francesi avrebbero sostenuto i Savoia in caso di attacco austriaco a patto che fossero gli austriaci ad attaccare: se i Piemontesi avessero conquistato Lombardia e Veneto, in cambio avrebbero ceduto alla Francia la Savoia e Nizza.

Adottando un comportamento provocatorio nei confronti degli austriaci Cavour riuscì nell'intento di farsi dichiarare guerra, dando inizio alla seconda guerra di indipendenza italiana, che iniziò il 29 aprile 1859. Dopo alcuni iniziali successi austriaci, la guerra volse in favore del Piemonte, che fu vittorioso, grazie al sostegno di Napoleone III, a Montebello (20 maggio), Palestro (30 maggio), Turbigo, Magenta e Milano (5 giugno), occupando così la Lombardia. Proprio quando il Piemonte si stava accingendo a occupare il Veneto, tuttavia, Napoleone III cominciò le trattative, a insaputa dei piemontesi, che terminarono con la cessione della Lombardia. Gli accordi di Plombières prevedevano però anche la conquista del Veneto e Cavour, deluso, dovette comunque cedere, provocando varie proteste, Savoia e Nizza. Terminata la seconda guerra di indipendenza il granducato di Toscana, i ducati di Parma e Modena e la Romagna pontificia, vollero unirsi allo Stato sabaudo. Il Regno di Sardegna comprendeva a questo punto i territori delle attuali regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana e Sardegna, mentre rimanevano esclusi quelli di Marche, Umbria e Lazio, sottoposti al dominio pontificio, oltre al sud borbonico e al Triveneto.

Spedizione dei Mille e nascita del regno d'Italia

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Lo stesso argomento in dettaglio: Spedizione dei Mille e Proclamazione del Regno d'Italia.
Il Risorgimento nel 1860
L'Italia prima della terza guerra di indipendenza:

     Regno d'Italia

     regioni passate alla Francia nel 1860

     Veneto austriaco

     Stato Pontificio

Nel 1860 venne organizzata la spedizione dei Mille, guidata da Giuseppe Garibaldi. Partiti da Quarto il 5 maggio, sbarcarono l'11 a Marsala. Mentre Garibaldi, insieme ai picciotti siciliani conquistava l'isola, nella parte continentale del Regno delle due Sicilie il Comitato per l'Unità Nazionale di Napoli preparava la strada alla conquista della capitale: il 18 agosto dello stesso anno, con l'insurrezione di Potenza, la Basilicata, guidata dal governo prodittatoriale di Giacinto Albini, dichiarò la sua annessione al Regno d'Italia. Il giorno seguente Garibaldi passò lo stretto di Messina. Il 7 settembre Garibaldi entrò trionfalmente a Napoli, abbandonata dal re Francesco II di Borbone in favore di Gaeta. La sconfitta finale dei borbonici avvenne sul Volturno il 1º ottobre 1860. Il 21 ottobre si tennero i plebisciti che decretarono l'annessione dei territori del Regno delle Due Sicilie al Regno Sabaudo.

Il parlamento sabaudo decise allora di proclamare il 17 marzo 1861 il Regno d'Italia, estendendo lo statuto albertino a tutto il Regno e consegnando la corona a Vittorio Emanuele II e ai suoi eredi. Nell'occasione Cavour scriveva:

«La legalità costituzionale ha consacrato l'opera di giustizia e riparazione che ha restituito l'Italia a se stessa. A partire da questo giorno, l'Italia afferma a voce alta di fronte al mondo la propria esistenza. Il diritto che le apparteneva di essere indipendente e libera [...] l'Italia lo proclama solennemente oggi.»

Per completare l'unità tuttavia mancavano ancora Veneto, Friuli, Venezia Giulia, Trentino e Lazio.

Terza guerra di indipendenza

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Lo stesso argomento in dettaglio: Terza guerra d'indipendenza italiana.
La battaglia di Custoza

Per conquistare Veneto e Friuli, nel 1866, il Regno d'Italia dichiarò guerra all'Austria alleandosi con la Prussia e dando così inizio alla terza guerra di indipendenza. Le sconfitte però furono molte, le più famose a Custoza e Lissa. Gli unici successi vennero ottenuti da Garibaldi in Trentino. La vittoria prussiana, però, fu d'aiuto all'Italia, che ricevette dalla Francia (che, a sua volta, aveva ottenuto dalla Prussia grazie alla vittoria di quest'ultima sull'Austria a Sadowa) il Veneto e il Friuli.

Mancava ancora Roma e per due volte Giuseppe Garibaldi ne tentò la conquista con i suoi volontari: nel 1862 e nel 1867, venendo fermato nel primo caso dalle truppe italiane, nel secondo dall'esercito francese, che anche nel 1862 aveva costretto l'esercito regio a intervenire. La caduta del secondo impero francese, conseguenza della vittoria prussiana nella guerra franco-prussiana, tolse al papato la protezione di Napoleone III, detronizzato, e permise alle forze italiane di espugnare Roma il 20 settembre 1870, in seguito alla Breccia di Porta Pia. Ciò determinò tuttavia una profonda frattura tra Stato italiano e Chiesa, formalmente sanatasi poi con i Patti Lateranensi del 1929.


Storia d'Italia dall'unità a oggi

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Lo stesso argomento in dettaglio: Storia d'Italia (1861-oggi).
Bandiera nazionale del Regno d'Italia

L'Italia liberale (1861-1914)

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Lo stesso argomento in dettaglio: Regno d'Italia (1861-1946).

Il Regno d'Italia (1861-1946) nacque nel 1861 dopo l'esito della seconda guerra di indipendenza e dopo i plebisciti degli altri territori conquistati. Con la prima convocazione del Parlamento italiano del 18 febbraio 1861 e la successiva proclamazione del 17 marzo, Vittorio Emanuele II fu il primo re d'Italia (1861-1878). La popolazione, rispetto all'originario Regno di Sardegna, quintuplicò. Istituzionalmente e giuridicamente, il Regno d'Italia venne configurandosi come un ingrandimento del Regno di Sardegna. Ciò, e anche l'aver a modello la struttura della Francia, comportò quella che viene chiamata la piemontesizzazione del Paese e un assetto fortemente accentrato, tanto che lo stesso presidente Giorgio Napolitano ha dichiarato che oggi occorre «superare il vizio di origine del centralismo statale di impronta piemontese»[54].

Il neonato Stato, una monarchia costituzionale, si ritrovò, fin dai primi tempi, a tentare di risolvere problemi di standardizzazione delle leggi, di mancanza di risorse a causa delle casse statali vuote per le spese belliche, di creazione di una moneta unica per tutta la penisola e più in generale problemi di gestione per tutte le terre improvvisamente acquisite. A questi problemi, se ne aggiungevano altri, come ad esempio l'analfabetismo, affrontato con l'estensione della Legge Casati, e la povertà diffusa, nonché la mancanza di infrastrutture. La questione che tenne banco nei primi anni della riunificazione d'Italia fu la questione meridionale e il brigantaggio delle regioni meridionali (soprattutto tra il 1861 e il 1865). Ulteriore elemento di fragilità era costituito dall'ostilità della Chiesa cattolica e del clero nei confronti del nuovo Stato, ostilità che si sarebbe rafforzata dopo il 1870 e la presa di Roma (questione romana).

La Destra storica

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Ritratto di Marco Minghetti
Giovanni Giolitti
Lo stesso argomento in dettaglio: Destra storica.

La Destra storica, composta principalmente dall'alta borghesia e dai proprietari terrieri, formò il nuovo governo, che ebbe come primi obiettivi il completamento dell'unificazione nazionale, la costruzione del nuovo Stato e il risanamento finanziario mediante nuove tasse che produssero scontento popolare e accentuarono il brigantaggio, represso con la forza. In politica estera, la Destra storica mantenne la tradizionale alleanza con la Francia, anche se le due nazioni si scontrarono in diverse questioni, prime fra tutte: l'annessione del Veneto e la presa di Roma. Nel 1876 il governo, guidato da Marco Minghetti, venne esautorato per la prima volta non per autorità regia, bensì dal Parlamento (rivoluzione parlamentare). Ebbe così inizio l'epoca della Sinistra storica, guidata da Agostino Depretis. Finiva un'epoca: solo pochi anni dopo, Vittorio Emanuele II morì, e sul trono gli successe Umberto I.

La Sinistra storica

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Lo stesso argomento in dettaglio: Sinistra storica.
Agostino Depretis

La Sinistra abbandonò l'obiettivo del pareggio di bilancio e avviò delle politiche di democratizzazione e ammodernamento del paese, investendo nell'istruzione pubblica e allargando il suffragio, nonché avviando una politica protezionistica di investimenti in infrastrutture e sviluppo dell'industria nazionale coll'intervento diretto dello Stato nell'economia. Per ciò che concerne la politica estera, Depretis, abbandonò l'alleanza con la Francia, a causa della conquista da parte dello Stato d'oltralpe della Tunisia. L'Italia entrò quindi nella Triplice Alleanza, alleandosi con la Germania e l'Impero Austro-Ungarico. Favorì lo sviluppo del colonialismo italiano, innanzitutto con l'occupazione di Massaua in Eritrea.

Dal 1901 al 1914 la storia e la politica italiana fu fortemente influenzata dai governi guidati da Giovanni Giolitti.

L'epoca giolittiana

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Lo stesso argomento in dettaglio: Età giolittiana.

Giolitti, come neo-presidente del Consiglio si trovò a dover affrontare, prima di tutto, l'ondata di diffuso malcontento che la politica Crispina aveva provocato con l'aumento dei prezzi. Ed è con questo primo confronto con le parti sociali che si evidenziò la ventata di novità che Giolitti portò nel panorama politico a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Non più repressione autoritaria, bensì accettazione delle proteste e quindi degli scioperi, purché non violenti né politici, con lo scopo (riuscito) di portare i socialisti nell'arco parlamentare.

Gli interventi più importanti di Giolitti furono la legislazione sociale e sul lavoro, il suffragio universale maschile, la nazionalizzazione delle ferrovie e delle assicurazioni, la riduzione del debito statale, lo sviluppo delle infrastrutture e dell'industria. In politica estera, ci fu il riavvicinamento dell'Italia alla Triplice intesa di Francia, Regno Unito e Russia. Fu continuata la politica coloniale nel Corno d'Africa, e dopo la guerra italo-turca, furono occupate Libia e Dodecaneso. Giolitti fallì nel suo tentativo di arginare il nazionalismo come avevano costituzionalizzato i socialisti, e non riuscì quindi a impedire l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale e quindi l'ascesa del fascismo.

L'avventura coloniale

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Lo stesso argomento in dettaglio: Colonialismo italiano.

L'inizio del regno vide l'Italia impegnata in una serie di attività alla ricerca di espansione coloniale in Africa

Umberto I, Re d'Italia dal 1878 al 1900

Il Corno d'Africa

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Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna d'Africa orientale, Colonia eritrea e Somalia italiana.

Nel novembre 1869 il padre lazzarista Giuseppe Sapeto avviò le trattative per l'acquisto della Baia di Assab con l'appoggio dei governi di sinistra di Depretis e della compagnia privata di Raffaele Rubattino, queste si conclusero solamente nel 1882 rallentate delle contestazioni del governo egiziano, che rivendicava a sua volta il possesso della baia.

Al ritiro degli egiziani dal Corno d'Africa nel 1884, i diplomatici italiani strinsero un accordo con la Gran Bretagna per l'occupazione del porto di Massaua che assieme ad Assab formò i cosiddetti possedimenti italiani nel mar Rosso che dal 1890 assunsero la denominazione ufficiale di Colonia Eritrea. L'interesse coloniale proseguì durante i governi di Francesco Crispi e la città di Massaua diventò il punto di partenza per un progetto mirato al controllo del Corno d'Africa.

Attraverso i commercianti e gli studiosi italiani che frequentavano la zona, già dagli anni sessanta, l'Italia aveva cercato di penetrare all'interno dell'Etiopia (all'epoca retta dal Negus Neghesti (Re dei Re, cioè Imperatore) Giovanni IV, ma con la presenza di uno Stato relativamente autonomo nei territori del sud, retto da Menelik II), cercando di dividere i due Negus. Nel 1889 l'Italia ottenne, tramite un accordo del Console italiano di Aden con i Sultani che governavano la zona, i protettorati su Obbia e su Migiurtinia. Nel 1892 il Sultano di Zanzibar concesse in affitto i porti del Benadir (fra cui Mogadiscio e Brava) alla società commerciale "Filonardi". Il Benadir, sebbene gestito da una società privata, fu sfruttato dal Regno d'Italia come base di partenza per delle spedizioni esplorative verso le foci del Giuba e dell'Omo, e per ottenere il protettorato sulla città di Lugh.

A seguito della sconfitta e della morte dell'Imperatore Giovanni IV in una guerra contro i dervisci sudanesi (1889), l'esercito italiano occupò parte dell'altopiano etiopico, compresa la città di Asmara, sulla base di precedenti accordi fatti con Menelik il quale, con la morte del rivale, era riuscito a farsi riconoscere Negus Neghesti. Con il trattato che seguì, Menelik accettò la presenza degli italiani sull'altopiano etiope e riconobbe nell'Italia l'interlocutore privilegiato con gli altri paesi europei. Quest'ultimo riconoscimento fu interpretato dagli italiani come l'accettazione di un protettorato e negli anni seguenti sarà fonte di discordie fra i due paesi.

La politica di progressiva conquista dell'Etiopia si concluse con la campagna d'Africa Orientale (1895-1896) terminata con la pesante sconfitta nella battaglia di Adua (1º marzo 1896), uno dei pochi successi della resistenza africana al colonialismo europeo del XIX secolo. Dopo questa sconfitta la politica coloniale nel Corno d'Africa continuò con il protettorato sulla Somalia, dichiarata colonia nel 1905.

Altre colonie acquisite nel primo ventennio del novecento

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Giovanni Battista Ameglio, governatore della Cirenaica italiana e della Tripolitania italiana dal 1913 al 1918

Nel 1901, come a molte altre potenze straniere, fu garantito all'Italia una concessione commerciale nell'area della città di Tientsin in Cina. La concessione italiana, di 46 ettari, fu una delle minori concessioni concesse dall'Impero cinese alle potenze europee e, alla fine della prima guerra mondiale, si espanse inglobando la concessione austriaca nella stessa città. I termini di tale concessione vennero ridiscussi, e infine la stessa concessione venne di fatto sospesa, a seguito di un accordo tra la Repubblica Sociale Italiana e il governo filo-giapponese della Repubblica di Nanchino (che inglobò la concessione) nel 1943.Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, la guarnigione italiana a Tientsin combatté contro i giapponesi, ma dovette poi arrendersi e pagare con la prigionia in Corea. La concessione di Tientsin, così come i quartieri commerciali italiani a Shanghai, Hankou e Pechino, furono formalmente soppressi con il trattato di pace del 1947.

Dopo una breve guerra contro l'Impero Ottomano nel 1911, l'Italia acquisì il controllo della Tripolitania e della Cirenaica, ottenendo il riconoscimento internazionale in seguito al Trattato di Losanna (1912). Le mire italiane sulla Libia, vennero appoggiate dalla Francia, che vedeva di buon occhio l'occupazione di quel territorio in funzione anti-inglese. Con il fascismo, alla Libia venne attribuito l'appellativo di quarta sponda, quando in realtà per gran parte degli anni venti fu impegnata in una sanguinosa pacificazione della colonia.

Tra l'aprile e l'agosto del 1912, durante la fase conclusiva della guerra in Libia contro l'Impero ottomano, l'Italia decise di occupare dodici isole dell'Egeo sottoposte al dominio turco: il cosiddetto Dodecaneso. A seguito del Trattato di Losanna (1912), l'Italia poté mantenere l'occupazione militare del Dodecaneso fino a quando l'esercito turco non avesse abbandonato completamente l'area libica. Questo processo avvenne lentamente, anche perché alcuni ufficiali ottomani decisero di collaborare con la resistenza libica, per cui l'occupazione del Dodecaneso venne mantenuta nei fatti fino al 21 agosto 1915, giorno in cui l'Italia, entrata nella prima guerra mondiale assieme alle forze dell'Intesa, riprese le ostilità contro l'Impero Ottomano.

Durante la guerra e l'occupazione italiana di Adalia l'isola di Rodi fu sede di un'importante base navale per le forze marine britanniche e francesi. Dopo la vittoria nella prima guerra mondiale, il Regno d'Italia intendeva consolidare formalmente la propria presenza nell'area dell'Egeo e lungo le coste turche. Tramite un accordo con il governo greco all'interno del Trattato di Sèvres del 1919, si stabilì che Rodi diventasse italiana anche dal punto di vista formale, mentre le altre undici isole sarebbero passate alla Grecia, come la totalità delle altre isole del mar Egeo. In cambio, l'Italia avrebbe ottenuto dallo Stato greco il controllo della parte sud-ovest dell'Anatolia (Occupazione italiana di Adalia), che si estendeva da Konya fino ad Alanya e che comprendeva il bacino carbonifero di Adalia. La sconfitta dei Greci nella guerra contro la Repubblica di Turchia nel 1922, rese impossibile l'accordo e l'Italia mantenne l'occupazione dell'arcipelago, la cui amministrazione le fu infine riconosciuta con il Trattato di Losanna (1923).

Vittorio Emanuele III di Savoia, re d'Italia dal 1900 al 1946

L'isola di Saseno fu occupata il 30 ottobre 1914 dal Regno d'Italia, fino a quando, dopo la prima guerra mondiale, il 18 settembre 1920, grazie a un accordo italo-albanese (accordo di Tirana del 2 agosto 1920, in cambio delle pretese italiane su Valona) e a un accordo con la Grecia, entrò a far parte dell'Italia che la voleva per la sua posizione strategica. Fece prima parte della provincia di Zara (dal 1920 al 1941), poi, nel 1941, entrò a far parte della provincia di Cattaro (Dalmazia). Occupata dai tedeschi nel settembre del 1943 e dai partigiani albanesi nel maggio del 1944, l'isola venne restituita all'Albania per effetto del Trattato di Parigi del 10 febbraio (1947). Oggi sull'isola esiste un deposito e una caserma della Guardia Costiera aperta nel 1997 per reprimere i traffici illeciti tra l'Italia e l'Albania e restano le installazioni (incluso un faro e varie fortificazioni) costruite durante la precedente occupazione italiana.

Come rappresaglia dell'uccisione di civili e militari italiani in Libia ed Etiopia[55], durante il dominio coloniale italiano in Africa furono commesse (anche se in misura inferiore a quanto fatto - ad esempio - da inglesi e francesi[56]) atrocità e crimini contro l'umanità[57][58].

La questione meridionale e l'emigrazione italiana

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Lo stesso argomento in dettaglio: Questione meridionale ed Emigrazione italiana.

Già dall'Ottocento e per tutto il Novecento si assiste al forte divario Nord-Sud del paese con la situazione di forte difficoltà del Mezzogiorno d'Italia rispetto alle altre regioni del Paese. Nota come questione meridionale, utilizzata la prima volta nel 1873 dal deputato radicale lombardo Antonio Billia, intendendo la disastrosa situazione economica del Mezzogiorno in confronto alle altre regioni dell'Italia unita, viene adoperata nel linguaggio comune ancora oggi.

Anche in virtù di ciò, l'Italia, nel periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento fu interessata dal fenomeno dell'emigrazione. Il fenomeno ha riguardato dapprima il Settentrione (Piemonte, Veneto e Friuli in particolare) e, dopo il 1880, anche il Mezzogiorno. In particolare, dai porti del Mar Mediterraneo partirono molte navi con migliaia di italiani diretti nelle Americhe in cerca di un futuro migliore.

L'Italia nella prima guerra mondiale (1915-1918)

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Lo stesso argomento in dettaglio: Italia nella prima guerra mondiale.

L'iniziale neutralità

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Lo stesso argomento in dettaglio: Neutralità italiana (1914-1915).

Allo scoppio del conflitto l'Italia rimase neutrale, entrò in guerra il 24 maggio 1915 a fianco dell'Intesa dopo la firma Patto di Londra che prevedeva che l'Italia avrebbe ottenuto, in caso di vittoria, il Trentino, l'Alto Adige, la Venezia Giulia, l'Istria, con l'esclusione di Fiume e parte della Dalmazia.

Inoltre l'Italia avrebbe avuto l'arcipelago del Dodecaneso (occupato, ma non annesso a colonia dopo la guerra italo-turca), la base di Valona in Albania, il bacino carbonifero di Adalia in Turchia, nonché un'espansione delle colonie africane, a scapito della Germania (da aggiungersi alle già esistenti colonie di Libia, Somalia ed Eritrea).

Lo stesso argomento in dettaglio: Radioso maggio.

Il comando dell'esercito venne affidato al generale Luigi Cadorna, con obiettivo il raggiungimento di Vienna passando per Lubiana[59]. All'alba del 24 maggio il Regio Esercito sparò il primo colpo di cannone contro le postazioni austro-ungariche asserragliate a Cervignano del Friuli che, poche ore più tardi, divenne la prima città conquistata, lo stesso giorno cadde il primo soldato italiano, Riccardo di Giusto. All'alba del medesimo la flotta austro-ungarica bombardò la stazione ferroviaria di Manfredonia; alle 23:56, bombardò Ancona. Il fronte bellico d'Italia ebbe come teatro le Alpi, dallo Stelvio al mare Adriatico. Lo sforzo principale per sfondare il fronte fu concentrato nella regione delle valli Isonzo, in direzione di Lubiana. L'iniziale avanzata italiana fu presto fermata, arrivando così a una guerra di posizione simile a quella che si stava svolgendo sul fronte occidentale, continuando con pochi risultati e molte perdite nel corso del 1915, 1916 e 1917.

Mappa dell'avanzata austro-ungarica tedesca in seguito alla rotta italiana
Il fiume Isonzo nei pressi di Caporetto

Nell'ottobre 1917 la Russia abbandonò il conflitto a causa della rivoluzione comunista. Le truppe degli Imperi centrali furono spostate dal fronte orientale a rinforzo di quello occidentale, austro-ungarici e tedeschi attraccarono il 24 ottobre convergendo su Caporetto e accerchiando la 2ª Armata comandata dal generale Luigi Capello. L'unica armata resistita al disastro[60] fu la 3ª, guidata da Emanuele Filiberto di Savoia, cugino di Re Vittorio Emanuele III.

Armando Diaz

La rottura del fronte di Caporetto provocò il crollo delle postazioni italiane lungo l'Isonzo, con la ritirata delle armate schierate dall'Adriatico fino alla Valsugana, in Trentino, mentre gli austriaci avanzarono per 150 km in direzione sud-ovest raggiungendo Udine in soli quattro giorni. La disfatta portò alla destituzione di Capello, ritenuto il principale responsabile della sconfitta, e di Cadorna, quest'ultimo sostituito dal maresciallo Armando Diaz come capo di stato maggiore; e fu anche la cagione di un elevato malcontento nelle truppe, che portò a frequenti disordini, molti dei quali terminati con sommarie fucilazioni. Gli austro-ungarici fermarono gli attacchi in attesa della primavera del 1918, preparando un'offensiva che li avrebbe dovuti portare a penetrare nella pianura veneta. Tale offensiva arrivò il 15 giugno: l'esercito dell'Impero attaccò con 66 divisioni nella battaglia del solstizio (15-23 giugno 1918), che vide gli italiani resistere all'assalto.

Gli austro-ungarici persero le loro speranze, visto che il paese era ormai a un passo dal tracollo, assillato dall'impossibilità di continuare a sostenere lo sforzo bellico sul piano economico e su quello sociale, data l'incapacità dello Stato di farsi garante dell'integrità dello Stato multinazionale asburgico. Con i popoli dell'impero asburgico sull'orlo della rivoluzione, l'Italia anticipò di un anno l'offensiva prevista per il 1919 per impegnare le riserve austro-ungariche e impedire loro la prosecuzione dell'offensiva sul fronte francese. Da Vittorio Veneto, il 23 ottobre partì l'offensiva. Gli italiani avanzarono rapidamente in Veneto, Friuli e Cadore e il 29 ottobre l'Austria-Ungheria si arrese. Il 3 novembre, a Villa Giusti, presso Padova l'esercito dell'Impero firmò l'armistizio.

L'Italia nel 1924, con le province di Fiume, di Pola e di Zara

L'Italia completò la sua riunificazione nazionale acquisendo il Trentino-Alto Adige (Trento e Bolzano) e la Venezia Giulia (Gorizia, Trieste, Istria, Fiume, Zara). Queste regioni avevano fatto parte, fino ad allora, della Cisleitania nell'ambito dell'Impero Austro-Ungarico (con l'eccezione della città di Fiume, incorporata nel Regno d'Italia nel 1924 e ubicata in Transleitania). Inoltre, al Regno d'Italia furono assegnate alcune compensazioni territoriali in Africa, come l'Oltregiuba, in Somalia. Ma il prezzo fu altissimo: 651.010 soldati e 589.000 civili, per un totale di 1.240.000 morti, su una popolazione di soli 36 milioni, con la più alta mortalità nella fascia di età compresa tra 20 e 24 anni.[61][62][63]

Il ventennio fascista

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Nascita del fascismo e marcia su Roma

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Dopo la prima guerra mondiale la situazione interna italiana era precaria: le casse statali erano quasi vuote anche perché la lira durante il conflitto aveva perso buona parte del suo valore, a fronte di un costo della vita aumentato di almeno il 450%. Scarseggiavano le materie prime e le industrie faticavano a convertire la produzione bellica in produzione di pace e ad assorbire l'abbondanza di manodopera accresciuta dai soldati di ritorno dal fronte. Inoltre, il paese, con la sua economia basata sull'agricoltura, perse una grossa fetta della sua forza-lavoro causando la rovina di moltissime famiglie. Per questi motivi nessun ceto sociale era soddisfatto, e soprattutto tra i benestanti si insinuò il timore di una possibile rivoluzione comunista, sull'esempio russo. L'estrema fragilità socio-economica portò spesso a disordini, che il più delle volte venivano stroncati con metodi sbrigativi e sanguinosi dalle forze armate. Inoltre, il trattato di Versailles (1919), non aveva portato nessun vantaggio importante all'Italia, in quanto il patto (memorandum) di Londra, che prevedeva l'annessione all'Italia della Dalmazia, non venne rispettato. In base al principio di autodeterminazione dei popoli, propugnato dal presidente statunitense Woodrow Wilson, la Dalmazia venne annessa al neocostituito Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, con l'eccezione di Zara (a maggioranza italiana) e dell'isola di Lagosta, che con altre tre isole vennero annesse all'Italia.

Tra gli strati sociali scontenti e soggetti alle suggestioni della propaganda nazionalista sul mito della vittoria mutilata, a seguito del Trattato di Pace, emersero le organizzazioni di reduci, soprattutto quelle degli ex-arditi, che aggiungevano al malcontento generalizzato il risentimento dato dalla convinzione di non aver ottenuto un adeguato riconoscimento per i loro sacrifici e il coraggio dimostrati nei combattimenti al fronte. In questo contesto, il 23 marzo 1919, Benito Mussolini fondò a Milano il primo fascio di combattimento, un movimento che espresse la volontà di «trasformare, se sarà inevitabile anche con metodi rivoluzionari, la vita italiana», autodefinendosi partito dell'ordine e guadagnandosi la fiducia dei ceti più ricchi e conservatori, contrari a ogni agitazione e alle rivendicazioni sindacali che caratterizzarono il biennio rosso italiano. Il momento pareva propizio per Mussolini, e un contingente di 50.000 squadristi venne radunato nell'alto Lazio e mosse contro la Capitale, il 26 ottobre 1922. Mentre l'Esercito si preparava a fronteggiare il colpo di mano fascista (con Badoglio principale sostenitore della linea dura) il re Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto di stato d'emergenza, costringendo alle dimissioni il presidente del consiglio Luigi Facta e il suo governo. Le camicie nere marciarono sulla Capitale il 28 ottobre, senza incontrare alcuna resistenza e due giorni dopo il re incaricò Mussolini di formare il nuovo governo.

Il fascismo diventa dittatura

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La scheda colorata da inserire nell'urna per votare "si" al fascismo nelle elezioni del 1934

Una volta eletto Presidente del Consiglio, Mussolini decise di rafforzare il proprio potere. In vista delle elezioni del 6 aprile 1924 Mussolini fece approvare una nuova legge elettorale (cosiddetta Legge Acerbo) che avrebbe dato i due terzi dei seggi alla lista che avesse raccolto il 25% dei voti. Il listone, guidato da Mussolini, ottenne il 64,9% dei voti. Il 30 maggio 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti prese la parola alla Camera contestando i risultati delle elezioni. Il 10 giugno 1924 Matteotti venne rapito e ucciso. Il 3 gennaio 1925, alla Camera, Mussolini recitò il famoso discorso in cui si assunse ogni responsabilità per i fatti avvenuti:

«Dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi.»

Con questo discorso Mussolini si era dichiarato dittatore. Nel biennio 1925-1926 vennero emanati una serie di provvedimenti liberticidi: furono sciolti tutti i partiti e le associazioni sindacali non fasciste, venne soppressa ogni libertà di stampa, di riunione o di parola, venne ripristinata la pena di morte e venne creato un Tribunale speciale con amplissimi poteri, in grado di mandare al confino con un semplice provvedimento amministrativo le persone sgradite al regime.

Politica interna

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Il fascismo in politica interna tentò di contrastare la svalutazione della lira con misure quali la messa in commercio di pane con meno farina, l'aggiunta di alcool alla benzina, l'aumento delle ore di lavoro da 8 a 9 senza variazioni di salario, l'istituzione della tassa sul celibato, la riduzione dei prezzi dei giornali, dei biglietti e dei francobolli ecc. L'11 febbraio 1929 furono firmati i Patti Lateranensi, che stabilirono il mutuo riconoscimento tra il Regno d'Italia e lo Stato della Città del Vaticano. Con la ratifica del concordato la religione cattolica divenne la religione di Stato in Italia, fu istituito l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole e fu riconosciuta la sovranità e l'indipendenza della Santa Sede. Il fascismo tentò inoltre di rendere "pura" la lingua italiana italianizzando i prestiti linguistici[64] e i toponimi stranieri in Valle d'Aosta e in Trentino-Alto Adige. Inoltre viene imposto l'uso del voi al posto del lei, considerato straniero.

L'11 ottobre 1935 l'Italia venne sanzionata per l'invasione dell'Etiopia. Le sanzioni in vigore dal 18 novembre consisttero essenzialmente nell'embargo. In realtà fu soltanto la Gran Bretagna a osservare le regole imposte dalle sanzioni. In seguito all'embargo, la propaganda politica spinse affinché si consumassero solo prodotti italiani. Fu in pratica la nascita dell'autarchia, secondo la quale tutto doveva essere prodotto e consumato all'interno dello stato. Per esempio venne sostituito: la lana con il lanital (la lana di caseina), la benzina con il carburante nazionale (benzina con l'85% di alcool) mentre il caffè venne sostituito con il "caffè" d'orzo. Le sanzioni all'Italia avvicinarono Mussolini a Adolf Hitler, il dittatore nazista tedesco. Ben presto i due dittatori strinsero un'alleanza, che venne consolidata dalla promulgazione, nel 1938, da parte di Mussolini, delle leggi razziali, che privarono di molti diritti civili e politici gli ebrei (e tutte le altre "razze inferiori"): molti persero il lavoro solo perché ebrei.

La politica estera e l'Impero

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Lo stesso argomento in dettaglio: Colonialismo italiano, Africa Orientale Italiana ed Etiopia italiana.
L'Impero coloniale italiano nel 1940, nel momento di massima espansione

A seguito della completa conquista della Libia, avvenuta alla fine degli anni venti, Mussolini manifestò l'intenzione di dare un Impero all'Italia e l'unico territorio rimasto libero da ingerenze straniere era l'Abissinia, nonostante fosse membro della Società delle Nazioni. Il progetto d'invasione iniziò all'indomani della conclusione degli accordi sul trattato di amicizia e si concluse con l'ingresso dell'esercito italiano ad Addis Abeba il 5 maggio 1936 (vedi Guerra d'Etiopia).

Quattro giorni dopo venne proclamata la nascita dell'Impero italiano e l'incoronazione di Vittorio Emanuele III come Imperatore d'Etiopia (con il titolo di Qesar, anziché quello di Negus Neghesti). Con la conquista di gran parte dell'Etiopia si procedette a una ristrutturazione delle colonie del Corno d'Africa. Somalia, Eritrea e Abissinia vennero riunite nel vicereame dell'Africa Orientale Italiana (AOI). Il progetto coloniale terminò con l'occupazione britannica dei territori soggetti al dominio italiano nel 1941. Dal 1938 in Europa si iniziò a respirare aria di guerra: Hitler aveva già annesso l'Austria e i Sudeti e con la successiva Conferenza di Monaco gli venne dato il lasciapassare per l'annessione di tutta la Cecoslovacchia, mentre Mussolini, dopo l'Etiopia, stava cercando nuovi obiettivi per non perdere il passo dell'alleato tedesco. La vittima designata venne trovata nell'Albania. In due soli giorni (7-8 aprile 1939), con l'ausilio di 22.000 uomini e 140 carri armati, Tirana fu conquistata. Vittorio Emanuele III divenne anche re d'Albania. Il 22 maggio 1939 venne firmato il Patto d'Acciaio tra Germania e Italia.

L'Italia nella seconda guerra mondiale

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Alleata con la Germania (1940-1943)

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Benito Mussolini con Adolf Hitler

Il 10 giugno 1940 l'Italia entrò nella seconda guerra mondiale come alleata della Germania contro Francia e Regno Unito. Nel 1941 fu dichiarata guerra all'Unione Sovietica e con l'Impero giapponese agli Stati Uniti d'America. Mussolini, confortato dagli schiaccianti successi della Germania di Adolf Hitler, credeva in una vittoriosa guerra lampo dell'alleato tedesco, assieme al quale avrebbe potuto sedere al tavolo dei vincitori. In realtà le difficoltà oggettive delle truppe italiane e le ingenti forze a disposizione dell'alleanza nemica, portarono non poche sconfitte all'esercito regio. I primi scontri ebbero luogo il 21 giugno sulle Alpi, contro la Francia, ormai sconfitta dai tedeschi, con la sola conquista di una piccola striscia nel sud del Paese. Dopo di ciò Mussolini concentrò le sue mire espansionistiche sulla Grecia. Pensando di non trovare alcuna resistenza le truppe italiane avanzarono in territorio greco, ma tra novembre e dicembre i greci contrattaccarono e costrinsero gli italiani a ritirarsi in Albania. Questo insuccesso causò la fine della Guerra parallela, così chiamata da Mussolini.[65]

Il Regno d'Italia tra il 1941 e il 1943, con i territori strappati alla Jugoslavia (provincia di Lubiana, provincia di Spalato e provincia di Cattaro)

Contemporaneamente si registrarono i primi insuccessi anche nelle colonie del corno d'Africa, perduto il 20 maggio 1941 con la resa del Duca d'Aosta dopo la Seconda battaglia dell'Amba Alagi. In questa occasione al Regio Esercito fu reso l'onore delle armi da parte dei britannici. L'11 aprile i tedeschi si impossessarono dell'area balcanica, concedendo allo Stato fascista di mettere nominalmente a capo dello Stato croato un rappresentante di casa Savoia. In base ad accordi con il capo del governo croato, Ante Pavelic, l'Italia avrebbe avuto per 25 anni il dominio del litorale della Croazia.[65] Nel 1942 le operazioni italiane si concentrarono in Unione Sovietica e Africa. In entrambi i fronti, grazie alle truppe tedesche, si ebbero dei temporanei successi: in Russia si conquistarono vasti territori, mentre nel nord Africa Rommel penetrò in Egitto, ma a causa degli attacchi dell'aviazione anglo-americana e della scarsità di rinforzi sempre meno frequenti si arrivò a una sconfitta nella Seconda battaglia di El Alamein, che segnò la fine delle speranze dell'Asse di conquistare l'Egitto ed i campi petroliferi del Medio Oriente.

La situazione peggiorò anche in Russia con l'avvicinarsi dell'inverno, infatti, Mussolini non si era curato di rafforzare l'equipaggiamento delle truppe italiane appartenenti all'ARMIR,[66] ex CSIR. Già nell'estate vi erano state pesanti perdite nell'esercito italiano e nel dicembre 1942 cominciano le prime pesanti sconfitte, seguite dalla ritirata. A maggio gli alleati conquistarono Tunisi, ultimo baluardo africano dell'esercito italiano e poche settimane più tardi anche le isole di Lampedusa e Pantelleria, dando inizio allo Sbarco in Sicilia.

La caduta del fascismo, la Repubblica di Salò e la resistenza (1943-1945)

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Repubblica Sociale Italiana - Le aree segnate in verde facevano ufficialmente parte della RSI. ma erano considerate dalla Germania zone di operazione militare e sottoposte a diretto controllo tedesco[67]

Le sconfitte militari causarono in Italia vari scioperi e un calo di consensi nei confronti del regime. Il 24 luglio 1943 si riunì il Gran consiglio del fascismo Mussolini venne sfiduciato e il mattino seguente arrestato. Vittorio Emanuele III pose Pietro Badoglio a capo del governo, pur annunciando il proseguimento della guerra a fianco dei tedeschi, segretamente stava trattando l'armistizio con gli Alleati, questo fu firmato il 3 settembre e reso pubblico l'8. Il giorno successivo Vittorio Emanuele III e Badoglio fuggirono da Roma per riparare in Puglia, sotto la protezione degli alleati. La reazione tedesca all'armistizio fu l'occupazione militare di gran parte dell'Italia, la cattura di molti soldati italiani e la liberazione di Mussolini il 12 settembre, posto a capo della Repubblica Sociale Italiana, di fatto subordinata ai tedeschi. Il Paese si trovò diviso in due con il Regno del Sud a fianco degli alleati contro la Germania e la RSI.

In questo quadro drammatico, nacquero però le prime formazioni di partigiani, che soprattutto nel centro-nord diedero vita al primo nucleo dell'Italia libera. Il 22 gennaio 1944 gli anglo-americani, condotti dal maggior generale John Lucas, sbarcarono nell'Italia centrale, nella zona compresa tra Anzio e Nettuno, con lo scopo di aggirare le forze tedesche attestate sulla Linea Gustav e di liberare Roma. La lunga battaglia che ne derivò è comunemente conosciuta come "battaglia di Anzio". Il 24 marzo i nazisti compirono l'eccidio delle Fosse Ardeatine, massacro eseguito a Roma ai danni di 335 civili italiani, come atto di rappresaglia per l'attacco in via Rasella eseguito da partigiani contro le truppe germaniche e avvenuto il giorno prima. Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime, e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, è diventato l'evento simbolo della rappresaglia nazista durante il periodo dell'occupazione. Le Fosse Ardeatine, antiche cave di pozzolana site nei pressi della via Ardeatina, sono diventate un monumento visitabile a ricordo dei fatti.

Umberto II di Savoia, "Luogotenente del Regno" dal 5 giugno 1944. Fu Re d'Italia dal 9 maggio 1946 al 13 giugno dello stesso anno

Nel maggio 1944 si accrebbe la sottomissione della RSI nei confronti della Germania nazista, con l'annessione del Trentino-Alto Adige, della provincia di Belluno e di Tarvisio al Terzo Reich. Il 5 giugno 1944, il giorno dopo la liberazione di Roma, Vittorio Emanuele III nominò il figlio Luogotenente Generale del Regno in base agli accordi tra le varie forze politiche che costituivano il Comitato di Liberazione Nazionale, che prevedevano di «congelare» la questione istituzionale fino al termine del conflitto. Umberto esercitava di fatto le prerogative di sovrano senza tuttavia possedere il titolo di re, appartenente a Vittorio Emanuele III, rimasto in disparte a Salerno. Nella primavera 1945 gli alleati poterono lanciare l'offensiva contro l'esercito tedesco sfondando in più punti la Linea Gotica e portando gli alleati alla liberazione di Bologna il 21 aprile. L'arrivo degli alleati a Milano fu anticipato dalla insurrezione partigiana proclamata dal CLN il 25 aprile, questa data sarà poi scelta come festività nazionale per ricordare la liberazione. Il 28 aprile Mussolini venne fucilato e il suo cadavere esposto alla folla a Milano in piazzale Loreto il giorno successivo. Le truppe nazi-fasciste capitolarono il 29 aprile 1945, e il 2 maggio il comando tedesco firmò a Caserta la resa delle sue truppe in Italia e per procura anche la resa formale dei reparti della RSI.

Nel 1945, la Francia tentò di annettersi le province di Aosta e di Imperia: intervenne il presidente statunitense Harry Truman che ordinò al generale Charles de Gaulle il ritiro delle sue truppe, e il governo italiano soppresse la provincia di Aosta riaccorpandola alla provincia di Torino[68]. Nel 1948, la provincia di Aosta fu ricostituita nella forma di regione autonoma a statuto speciale[69].

Epilogo del conflitto e costo della guerra

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Nell'aprile del 1945 le forze nazi-fasciste vennero sconfitte anche con il contributo dei partigiani, formati da ex-militari sbandati dopo l'armistizio ma anche da donne, ragazzi e anziani, e col supporto delle popolazioni, che costò spesso gravi massacri per rappresaglia da parte delle forze occupanti. Inoltre, vi furono gravi episodi di regolamenti di conti e di guerra civile che costarono agli sconfitti migliaia di morti.

La fine della guerra vide l'Italia in condizioni critiche: i vari combattimenti e bombardamenti aerei avevano ridotto molte città e paesi in macerie, le principali vie di comunicazione erano interrotte, il territorio era occupato dalle truppe angloamericane, con l'eccezione dell'area triestina che venne velocemente occupata dai partigiani titini per un periodo di sei mesi, ritirandosi solo a seguito di un ultimatum alleato. Durante questo periodo i partigiani jugoslavi massacrarono molti italiani presenti in Dalmazia e in Venezia Giulia, sia collaboratori con gli occupatori tedeschi o oppositori all'annessione di quei territori alla Jugoslavia, gettando i cadaveri in mare o nelle foibe carsiche.

Il numero di italiani morti a causa della guerra fu molto elevato: sono stimati tra 415 000 (di cui 330 000 militari e 85 000 civili)[70] e 443 000 morti[71], stimando che la popolazione italiana all'inizio del conflitto fosse di 43.800.000 persone si arriva a conteggiare circa una vittima ogni 100 italiani. Dalla fine della guerra fino agli anni cinquanta avvenne anche l'esodo istriano durante il quale gran parte della popolazione di lingua italiana (in quantità stimata tra un minimo 200.000 e un massimo 350.000 persone,[72]) abbandonò i territori istriani e dalmati, occupati dalla Jugoslavia, rifugiandosi come profughi in Italia e all'estero.

L'Italia repubblicana (1946-presente)

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Prima pagina del quotidiano il Corriere della Sera, edizione del 6 giugno 1946, che dichiarava la vittoria del voto repubblicano a seguito dei risultati del referendum istituzionale del 2 e 3 giugno

Gli anni costituenti (1946-1948)

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Col referendum istituzionale del 2 e 3 giugno 1946, durante il quale per la prima volta anche le donne italiane ebbero il diritto al voto, gli italiani scelsero di cambiare la forma di governo statale da monarchia a Repubblica ed elessero i delegati Assemblea Costituente. Il 10 febbraio 1947 il governo De Gasperi firmò per l'Italia il trattato di pace con le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, riconoscendo l'indipendenza delle sue colonie e dell'Albania e cedendo territori a Grecia, Albania, Jugoslavia e Francia. il 1º gennaio 1948 entrò in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana; Enrico De Nicola, fino a quel momento capo provvisorio dello Stato (a partire dal 1º luglio 1946), divenne per alcuni mesi il primo presidente della Repubblica Italiana, sostituito in seguito dall'economista Luigi Einaudi.

La prima repubblica (1948-1994)

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Lo stesso argomento in dettaglio: Prima Repubblica (Italia).
Mappa della Repubblica Italiana

Presidente del Consiglio fu nei primi anni Alcide De Gasperi, per volere del quale l'Italia entrò a far parte della sfera di influenza atlantica, filoamericana e anticomunista, contrapposta al blocco sovietico. Questa collocazione accenderà una competizione politica tra i due maggiori partiti, la DC e il PCI. Quest'ultimo tuttavia rimarrà sempre all'opposizione per via dei legami ideologici e finanziari col regime totalitario dell'Unione Sovietica,[73] legami che avrebbero provocato, nel caso di una sua entrata al governo, una rottura dell'alleanza internazionale con gli Stati Uniti e degli accordi di Yalta generando un'anomalia rispetto alle altre democrazie europee occidentali, dove i partiti comunisti avevano un consenso elettorale assai minore che in Italia oppure non esistevano, fino alla caduta del muro di Berlino.[74][75]

Questo assetto politico, vide il susseguirsi di presidenti del consiglio appartenenti al medesimo partito (Democrazia Cristiana, che fu sempre il partito con la maggioranza relativa a ogni elezione nazionale) fino al 1981, facendo sì che in Italia non si ebbe una alternanza politica.

Anche grazie agli aiuti economici provenienti dagli USA tramite il Piano Marshall, l'Italia iniziò la ricostruzione di case e industrie danneggiate durante il conflitto, riprendendosi economicamente e dando vita al "miracolo economico": il Prodotto interno lordo crebbe del 6.3%, un record nella storia del paese, mentre il reddito pro capite passò da 350.000 a 571.000 lire; tra il 1958 e il 1959 gli investimenti lordi crebbero del 10% e tra il 1961 e il 1962 l'incremento fu del 13%. Questi numeri ridussero sensibilmente il divario storico con Paesi europei sviluppati come Inghilterra, Germania e Francia. L'Italia primeggiava soprattutto in due grandi settori ad alta tecnologia, quali la microelettronica e la chimica, grazie a gruppi industriali come la Olivetti e la Montecatini, ma anche nella farmaceutica, nel nucleare, nell'aeronautica, nelle telecomunicazioni e nel settore petrolifero, grazie alla scoperta di petrolio e gas metano in Pianura padana compiuta dall'ENI (Ente Nazionale Idrocarburi), creato nel 1953 da Enrico Mattei che negoziò rilevanti concessioni petrolifere in Medio Oriente e un importante accordo commerciale con l'Unione Sovietica, rompendo l'oligopolio delle cosiddette "Sette sorelle".[76][77]

Organizzazioni internazionali
Membro NATO dal: 4 aprile 1949
Membro ONU dal: 14 dicembre 1955
Membro CEE dal: 1º gennaio 1958

La crescita del reddito pro capite produsse l'aumento dei consumi individuali che registrarono una crescita media di cinque punti percentuali l'anno. La domanda di beni durevoli (automobili, elettrodomestici, ecc.) raggiunse una crescita annua pari al 10.4%. L'industria registrò una crescita pari all'84% tra il 1953 e il 1961. L'elevata disponibilità di manodopera era dovuta a un forte flusso di migrazione dalle campagne alle città e dal sud verso il nord. Questo notevole sviluppo fu possibile anche grazie all'intervento dello Stato nell'economia con politiche economiche di stampo keynesiano soprattutto attraverso l'aumento della spesa pubblica e la creazione di società a partecipazione statale. Infine, contribuì alla crescita dell'Italia la creazione, nel 1951, della Comunità europea del carbone e dell'acciaio, di cui l'Italia fu una delle nazioni fondatrici, evolutasi poi in CEE nel 1957, fino ad arrivare alla creazione del Mercato Europeo Comune (MEC) e ad arrivare nel 1979 a un sistema monetario europeo con l'ecu valuta virtuale. Ciò permise l'apertura delle frontiere italiane ai commerci, col conseguente aumento delle esportazioni e degli scambi commerciali con l'Europa.

Nel 1961 avvennero le celebrazioni del Centenario dell'Unità d'Italia: il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy disse: «Tutti noi, nel senso più vasto, dobbiamo qualcosa all'esperienza italiana. È un fatto storico straordinario: ciò che siamo e in cui crediamo ha avuto origine in questa striscia di terra che si protende nel Mediterraneo. Tutto quello per la cui salvaguardia combattiamo oggi ha avuto origine in Italia, e prima ancora in Grecia. [...] Il Risorgimento, da cui è nata l'Italia moderna, come la Rivoluzione americana che ha dato le origini al nostro Paese, è stato il risveglio degli ideali più radicati della civiltà occidentale: il desiderio di libertà e di difesa dei diritti individuali. Lo Stato esiste per proteggere questi diritti, che non ci vengono grazie alla generosità dello Stato. Questo concetto, le cui origini risalgono alla Grecia e all'Italia, è stato, secondo me, uno dei fattori più importanti nello sviluppo del nostro Paese. [...] Per quanto l'Italia moderna abbia solo un secolo di vita, la cultura e la storia della penisola italiana vanno indietro di oltre duemila anni. La civiltà occidentale come la conosciamo oggi, le cui tradizioni e valori spirituali hanno dato grande significato alla vita occidentale in Europa dell'Ovest e nella comunità Atlantica, è nata sulle rive del Tevere».[78]

Aldo Moro e Amintore Fanfani, definiti i due "cavalli di razza" della Democrazia cristiana

Dal 1963 la DC, guidata da Fanfani, non fu più in grado di governare da sola e aprì all'entrata dei socialisti al governo, formando un centrosinistra retto da un pentapartito. Il 1968 vide l'Italia trasformarsi radicalmente sul piano sociale, sia per le migliorate condizioni di vita dovute al boom economico degli anni precedenti, sia per le contestazioni di nuovi movimenti, soprattutto giovanili e operai, che portarono profonde modifiche al costume, alla mentalità generale, alla scuola, ma che a differenza delle altre liberaldemocrazie occidentali furono in larga parte dominati da una militanza di sinistra. Nel 1969 i movimenti studenteschi si saldarono con le proteste del mondo operaio e la crescita del conflitto sociale portò al cosiddetto "Autunno caldo" con cui la classe operaria ottenne la settimana di 40 ore lavorative, una regolamentazione degli straordinari, la revisione del sistema pensionistico, il diritto di assemblea; nel 1970 verrà infine approvato lo statuto dei lavoratori.[79][80][81]

Interno della Banca dell'Agricoltura a piazza Fontana dopo l'esplosione della bomba (12 dicembre 1969)

Il 12 dicembre 1969 l'esplosione di una bomba all'interno della Banca Nazionale dell'Agricoltura in Piazza Fontana a Milano provocò diciassette vittime e un centinaio di feriti. La strage di Piazza Fontana inaugurò la cosiddetta "strategia della tensione", termine con il quale la pubblicistica ha indicato un oscuro piano di attentati mirati a seminare il terrore tra la popolazione per preparare il terreno a un colpo di Stato di estrema destra, nel quale si ipotizzò fossero coinvolti elementi dei servizi segreti e delle forze armate legati a gruppi neofascisti:[82] infatti in tale strategia si inquadrano anche la strage di Peteano (31 maggio 1972, tre morti e due feriti), l'attentato alla questura di Milano (17 marzo 1973, quattro morti e cinquantadue feriti), quello al treno Italicus tra Firenze e Bologna (dodici morti e quarantotto feriti) nel 1974 e, nello stesso anno, la strage di piazza della Loggia a Brescia (otto morti e centodue feriti) durante una manifestazione sindacale, tutti attribuiti a gruppi di estrema destra[83].

Negli anni settanta alcuni dei numerosi movimenti politici, sorti negli anni precedenti, si estremizzarono e arrivando a pratiche di lotta armata, sia da parte di gruppi rivoluzionari d'ispirazione marxista (come le Brigate Rosse), e sia da gruppi neofascisti come i NAR) caratterizzando quelli che furono chiamati gli anni di piombo. L'indebolimento progressivo della coalizione di governo portò al progetto di un compromesso storico tra DC e PCI, che tuttavia fallì proprio per il rapimento e l'uccisione, per opera delle Brigate Rosse, del nuovo segretario della DC Aldo Moro.

Bettino Craxi nel 1979

La tensione sociale, culminata nella strage di Bologna (2 agosto 1980, ottantacinque morti e duecento feriti), si dissolse con gli anni ottanta, detti del «riflusso»,[84] durante i quali ci fu un lento declino del potere dei sindacati e della partecipazione politica, ma un aumento del senso di ottimismo e di benessere sociale, con un significativo miglioramento del PIL.[85] L'ascesa politica di Craxi fece naufragare il compromesso storico e portò a una crescita del PSI, a spese del PCI, una crescita che nei suoi progetti avrebbe dovuto consentire la nascita di un'alternativa di sinistra alla DC, al fine di adeguare l'Italia agli altri paesi occidentali riassorbendone l'anomalia.[86] La caduta del Muro di Berlino nel 1989 ebbe però ripercussioni anche in Italia, assumendo il significato di un crollo ideale dell'alternativa al capitalismo, e accelerando gli eventi politici. L'anno successivo il PCI deliberò il proprio scioglimento, costituendo un nuovo partito denominato Partito Democratico della Sinistra che abbandonò la tradizione comunista. Iniziò così il disfacimento della Prima Repubblica, che logorata da scandali finanziari e da nuovi scenari mondiali, sarebbe terminata di lì a qualche anno. In questo contesto si inseriscono anche il famoso scandalo della loggia massonica P2 e l'Organizzazione Gladio.

Sempre negli anni ottanta e novanta, associazioni criminali o malavitose come la Mafia (o Cosa Nostra) in Sicilia, la 'Ndrangheta in Calabria, la Camorra in Campania, la Sacra Corona Unita in Puglia, l'Anonima sequestri in Sardegna, la banda della Magliana a Roma, la Mala del Brenta nel Veneto, la banda della Comasina in Lombardia, la Banda della Uno bianca in Emilia-Romagna, le Bestie di Satana nel varesotto, turberanno la vita sociale e politica della 1ª Repubblica con le loro azioni delittuose contro i civili e lo Stato in generale.

Istantanea scattata poco dopo la strage di Capaci, dove morirono Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e la loro scorta

Altri eventi che segnarono la storia politica degli anni settanta-ottanta furono i delitti del Mostro di Firenze, l'Attentato a Giovanni Paolo II, la Strage dell'Heysel, l'Incidente di Vermicino, la sparizione di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, la strage di Ustica, fino alla Strage di Capaci e alla Strage di via d'Amelio dei primi anni 90'. Tra i disastri naturali, industriali e colposi che segnarono questo periodo si ricordano la Frana di Agrigento del 1966, il Disastro del Vajont, il Disastro di Seveso, il Disastro di Marcinelle, la Tragedia di Superga, il Naufragio dell'Andrea Doria, il Disastro di Molare, il disastro di Capoterra, il Disastro della motonave Elisabetta Montanari, il Disastro della Val di Stava, l'Alluvione di Firenze del 4 novembre 1966, l'Alluvione della Valtellina del luglio 1987, l'Alluvione del Piemonte del 1994 e l'Alluvione di Sarno e Quindici del 1998, i terremoti del Belice, del Friuli e quello dell'Irpinia, il Disastro della funivia di Cavalese, il Disastro di Punta Raisi, il Disastro di Černobyl', il Disastro del Moby Prince, il Disastro della petroliera Haven.

Nel 1992 le indagini di Mani pulite sul fenomeno dilagante della corruzione attraverso tangenti (lo scandalo venne chiamato Tangentopoli), portarono al coinvolgimento e all'arresto di numerosi esponenti nazionali e locali di tutto il pentapartito e a un conseguente rapido declino delle tradizionali forze politiche. Contemporaneamente al disfacimento del vecchio sistema politico, il 23 maggio 1992, negli stessi giorni in cui le Camere erano riunite per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, avvenne la strage di Capaci (23 maggio 1992), in cui rimasero uccisi il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti di scorta, a cui seguì di due mesi la strage di via d'Amelio (19 luglio), che uccise il collega Paolo Borsellino insieme a cinque agenti di scorta; nell'estate 1993 altri attentati dinamitardi in via Fauro a Roma (ventiquattro feriti), in via dei Georgofili a Firenze (cinque morti e quarantotto feriti), in via Palestro a Milano (cinque morti e dodici feriti) e alle chiese romane di San Giovanni in Laterano e San Giorgio in Velabro (ventidue feriti) furono la feroce risposta di Cosa Nostra agli arresti e ai processi che la stavano indebolendo[87] (vedi Bombe del 1992-1993). In questo contesto si inseriscono i presunti rapporti tra servizi segreti italiani e criminalità e la trattativa Stato-mafia.

Alla tragica situazione politica e sociale si aggiunse anche la grave crisi economica che colpì lo Stato italiano tra il 1992 e il 1994 con l'uscita della lira dallo SME che insieme ad altre situazioni portò alla luce la grande fragilità del sistema economico italiano. Così il vecchio Stato che fino ad allora aveva retto, ora sotto l'urto del terremoto politico, mafioso ed economico crollò con le elezioni del 27-28 marzo 1994 che decretarono la fine di quella che verrà chiamata informalmente Prima Repubblica, con la scomparsa del partito che fin dal 1948 mantenne la maggioranza relativa, la Democrazia Cristiana con il Partito Socialista Italiano, suo principale alleato dal tempo della nascita del centro sinistra, e la sostanziale dissoluzione del cosiddetto Arco costituzionale.

La seconda repubblica (1994-presente)

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Lo stesso argomento in dettaglio: Seconda Repubblica (Italia).
Romano Prodi

Durante la seconda repubblica, seppure fra notevoli e gravi contraddizioni, fu limitata l'azione di Cosa Nostra, con una serie di leggi e con l'arresto di pericolosi mafiosi latitanti nel corso degli anni novanta e primi anni 2000. Nello stesso periodo furono parzialmente risanati i conti pubblici italiani (governo Prodi I), permettendo, seppure con molti sacrifici, di far rientrare la lira nello SME e quindi aderire, nel 1998, al primo gruppo di paesi che, utilizzando la moneta unica europea, l'Euro, entrarono nell'Unione economica e monetaria dell'Unione europea, pur non rispettando pienamente i parametri di Maastricht con deroga da parte dell'Unione europea.

Dalla disintegrazione dei vecchi partiti politici ne nacquero di nuovi come Forza Italia costituito dall'imprenditore Silvio Berlusconi, il nuovo Partito Popolare Italiano, nato dalle ceneri della vecchia DC, e Alleanza Nazionale che, originatasi dal vecchio Movimento Sociale, divenne il nuovo partito della destra italiana. Questi, insieme al PDS nato nel 1990, si alternarono in due coalizioni di governo al potere: quella di centrodestra, formata da Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega Nord, e quella di centrosinistra, formata dal PDS, PPI e altre forze minori, nel corso degli anni novanta e anni 2000. Così facendo si consolidò il fenomeno del bipolarismo con l'alternanza al governo dei due schieramenti opposti di centrosinistra e centrodestra: dal 1996 al 2001 i governi dell'Ulivo (centrosinistra), dal 2001 al 2006 quelli della Casa delle Libertà (centrodestra), dal 2006 al 2008 quello dell'Unione (centrosinistra), e dal 2008 al 2011 quello del Popolo della Libertà (centrodestra). In questi anni, Silvio Berlusconi ottiene sempre maggiore attenzione da parte della stampa e della popolazione italiana e straniera, sia per i numerosi processi penali a carico del suddetto e sia per la sua influenza sul mondo politico ed economico italiano.

Silvio Berlusconi

Nell'anno 2008 la crisi economica nata negli Stati Uniti d'America contagia l'Europa e l'economia italiana ne viene danneggiata. La crisi peggiora nel 2011 con la crisi del debito sovrano europeo che coinvolge anche l'Italia. Lo spread, ovvero il differenziale tra i BTP italiani e i Bund tedeschi, spesso supera i 500 punti base e sfiora i 700 punti, mettendo a rischio il paese di insolvenza sovrana. La difficile situazione economica e sociale, il malcontento popolare e le pressioni politiche dell'opposizione e del Capo dello Stato spingono il governo di Silvio Berlusconi a dimettersi il 12 novembre 2011, data che segnerà il suo allontanamento temporaneo dalla scena politica.

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dopo aver nominato Mario Monti senatore a vita, pochi giorni dopo lo nomina Presidente del Consiglio dei ministri a capo di un governo tecnico con il compito di stabilizzare l'economia, procedendo a riforme di stampo liberista e aumentando la pressione fiscale. Questa politica di austerità di bilancio, voluta da Monti e richiesta dalle istituzioni europee, scongiura nel breve periodo il rischio default grazie anche a una migliorata credibilità/fiducia internazionale, ma si dimostra inevitabilmente infruttuosa nel medio-lungo periodo nella capacità di invertire la spirale recessiva in cui il paese è sprofondato (insieme a parte dell'eurozona) con alcune riforme del governo di Monti (es. Riforma Fornero), concepite per salvaguardare i conti pubblici, che hanno acuito in alcuni casi il malcontento popolare. A seguito dell'abbandono della maggioranza da parte del PdL Monti si dimette il 21 dicembre 2012, dopo appena un anno di governo.

Matteo Renzi

Le elezioni del 24 e 25 febbraio 2013 marcano la fine del ciclo politico della "seconda repubblica": il Movimento 5 Stelle fondato da Beppe Grillo diventa la terza forze politica ottenendo quasi il 25% dei voti e le preesistenti forze politiche, inclusi il PdL e il PD, subiscono un brusco calo di voti.

Per la prima volta il Presidente della Repubblica viene riconfermato al termine del suo primo mandato. Il 27 aprile 2013 si costituisce il Governo Letta, sostenuto dalla coalizione di PdL, PD e Con Monti per l'Italia, tra i suoi ministri vi è Cécile Kyenge, prima persona afro-italiana in un governo. Il 22 febbraio 2014 Letta si dimette, sostituito da Matteo Renzi, segretario del Partito Democratico nell'omonimo governo. Nella stessa legislatura, Napolitano si dimette, sostituito da Sergio Mattarella, fratello di Piersanti, assassinato dalla mafia, che viene eletto il 31 gennaio 2015, con 665 voti.

Il 7 dicembre 2016, sconfitto al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, Renzi si dimette sostituito da Paolo Gentiloni, deputato PD già Ministro degli esteri.

Il 4 marzo 2018 il Movimento Cinque Stelle e la Lega vincono le elezioni politiche. I due partiti si accorderanno in un contratto di governo che, dopo una fase di stallo e di scontro col Presidente della Repubblica Sergio Mattarella rifiutatosi di firmare il decreto di nomina di Paolo Savona come ministro dell'economia per le sue posizioni antieuropeiste, e dall'indisponibilità di Matteo Salvini di trovare un sostituto, porterà alla nascita del Governo Conte I, mentre una crisi di governo porterà alla nascita del Governo Conte II, che entrerà a sua volta in crisi nel gennaio 2021, portando alla nascita del Governo Draghi.

Stato Pontificio

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Patti Lateranensi

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Trattato del Laterano
(Patti Lateranensi)
I partecipanti e firmatari dei Patti Lateranensi
ContestoQuestione romana
Firma11 febbraio 1929
LuogoPalazzo del Laterano, Roma
Efficacia7 giugno 1929
CondizioniConciliazione, nascita dello Stato della Città del Vaticano
PartiItalia (bandiera) Italia
stemma Santa Sede
FirmatariItalia (bandiera) Benito Mussolini
Città del Vaticano (bandiera) Pietro Gasparri
voci di trattati presenti su Teknopedia
Il momento della firma dei trattati.

I Patti Lateranensi sono degli accordi sottoscritti tra il Regno d'Italia e la Santa Sede l'11 febbraio 1929. Sottoposti a revisione nel 1984, essi regolano ancor oggi i rapporti fra la Repubblica Italiana e la Santa Sede. Ai Patti si deve l'istituzione della Città del Vaticano come Stato indipendente e la riapertura dei rapporti fra Italia e Santa Sede dopo la loro interruzione nel 1870.

Antefatti: la Questione Romana

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La necessità dei Patti Lateranensi si colloca nell'ambito storico della questione romana. Nel 1870, con la Presa di Roma, il Regno d'Italia aveva annesso quanto rimaneva degli Stati della Chiesa, ponendo fine al potere temporale dei Papi. Lo stesso anno, Papa Pio IX promulgò l'enciclica Respicientes ea, in cui delineò la visione che degli eventi aveva la Santa Sede: l'Italia era un invasore e occupante illegittimo, il Papa era prigioniero dello Stato Italiano, e gli Stati Pontifici andavano restituiti, sia perché presi contra legem, sia perché il Pontefice non poteva esercitare con sicurezza e libertà la propria autorità religiosa, senza la sovranità su un territorio indipendente.[88]

L'Italia delineò unilateralmente i suoi rapporti con la Chiesa e la Santa Sede nel 1871, con la cosiddetta «legge delle Guarentigie», che Papa Pio IX non riconobbe mai, appunto in quanto unilaterale, né lo fecero i suoi successori.[89] Al contrario, Pio IX nel 1874 interdisse la partecipazione dei cattolici alla politica italiana. Questo divieto venne gradualmente alleggerito, per poi essere annullato del tutto nel 1919[senza fonte]. Con il passare dei decenni, si introdusse fra gli ecclesiastici l'idea che era impossibile aspettarsi una restituzione tout-court degli Stati Pontifici, ma la sovranità su uno Stato in miniatura avrebbe comunque consentito al Papa di agire liberamente. Il desiderio di Papa Pio XI di salvaguardare giuridicamente la libertà d'azione della Chiesa dopo l'avvento del Fascismo, assieme a quello del dittatore Mussolini di incanalare nel movimento fascista il cattolicesimo nazionale, portarono alla firma dei Patti Lateranensi.[90][91]

I Patti presero il nome del Palazzo di San Giovanni in Laterano in cui furono firmati. Li sottoscrissero il Cardinale Segretario di Stato Pietro Gasparri per la Santa Sede e Benito Mussolini, in quanto Capo del governo primo ministro segretario di Stato del Regno d'Italia.[92]

I Patti Lateranensi (la «Conciliazione») tra Stato e Chiesa nel 1929 per la risoluzione della "Questione romana" si conclusero in maniera soddisfacente per le parti in causa. L'inizio di trattative segrete avvenne grazie all'iniziativa di tre zelanti sacerdoti: padre Giovanni Genocchi dei Missionari del Sacro Cuore di Gesù, don Giovanni Minozzi e Giovanni Semeria, fondatori dell'O.N.M.I.. Quest'ultimo riferì che proprio in casa di suoi parenti i tre si riunirono per discutere e studiare la possibilità di trovare una via di uscita per riallacciare le relazioni tra Stato e Chiesa. Le discussioni e i lavori durarono tre giorni al termine dei quali padre Genocchi si incaricò di portare all'allora segretario di Stato Vaticano, il cardinale Pietro Gasparri, il risultato del loro lavoro. L'alto prelato della Curia romana rimase "trasecolato" per tale iniziativa personale dei tre sacerdoti.

Finalmente il 26 agosto 1926 furono designati ufficiosamente e informalmente due incaricati: uno dal governo Mussolini e l'altro da parte di papa Pio XI.

Per la prima volta figura l'avvocato concistoriale Francesco Pacelli quale plenipotenziario per il Vaticano, fratello di Eugenio Pacelli, futuro segretario di Stato prima e papa Pio XII poi. Da parte italiana fu scelto Domenico Barone.

L'11 febbraio ricorreva il 71º anniversario della prima apparizione di Nostra Signora di Lourdes; la scelta di firmare il concordato in quell'occasione intendeva rimarcare la soddisfazione da parte vaticana per i nuovi patti e poteva avere altri significati politici.

Il contenuto dei Patti

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I Patti Lateranensi consistono in due distinti documenti:

  • il Trattato riconosceva l'indipendenza e la sovranità della Santa Sede che fondava lo Stato della Città del Vaticano;

Allegata al Trattato* la Convenzione finanziaria, che regolava le questioni sorte dopo le spoliazioni degli enti ecclesiastici a causa delle leggi eversive. È stata inoltre prevista l'esenzione, al nuovo Stato denominato «Città del Vaticano», dalle tasse e dai dazi sulle merci importate.

«Art. 1

L’Italia si obbliga a versare, allo scambio delle ratifiche del Trattato, alla Santa Sede la somma di lire italiane 750.000.000 (settecento cinquanta milioni) ed a consegnare contemporaneamente alla medesima tanto Consolidato italiano 5% al portatore (col cupone scadente al 30 giugno p.v.) del valore nominale di lire italiane 1.000.000.000 (un miliardo).»

  • il Concordato che definiva le relazioni civili e religiose in Italia tra la Chiesa e il Governo (prima d'allora, cioè dalla nascita del Regno d'Italia, sintetizzate nel motto: «libera Chiesa in libero Stato»). Il rapporto precedente (regolato dalla Legge delle Guarentigie), nel quale ancora vigeva la norma del giuramento dei nuovi vescovi al Governo italiano, l'unico vescovo che non era obbligato a giurare fedeltà all'Italia era colui che fa le veci del Pontefice nella sua qualità di vescovo di Roma, cioè il cardinale vicario. Questa eccezione alla regola, che appariva nel Concordato, era stata prevista proprio in segno di rispetto dell'indipendenza del Papa da parte dell'Italia. Il suo vicario non deve essere sottoposto al giuramento, perché rappresenta il vescovo effettivo della città di Roma cioè il Papa. Il governo italiano acconsentì di rendere le sue leggi sul matrimonio e il divorzio conformi a quelle della Chiesa cattolica di Roma e di rendere il clero esente dal servizio militare. I Patti garantirono alla Chiesa il riconoscimento del cattolicesimo quale religione di Stato in Italia, con importanti conseguenze sul sistema scolastico pubblico, come l'istituzione dell'insegnamento della religione cattolica, già presente dal 1923 e tuttora esistente seppure con modalità diverse. Il capoverso dell'articolo 1 del Concordato riconosceva anche il carattere sacro della città di Roma, sostituito, all'articolo 2.4 degli accordi di villa Madama, dal riconoscimento del "particolare significato che Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità"[94].
Mappa della Città del Vaticano nel 1929.

Il 13 febbraio 1929 Pio XI tenne un discorso a un'udienza concessa a professori e studenti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, che passò alla storia per un passaggio in cui Benito Mussolini è indicato come «un uomo [...] che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare[95]»:

«Le condizioni dunque della religione in Italia non si potevano regolare senza un previo accordo dei due poteri, previo accordo a cui si opponeva la condizione della Chiesa in Italia. Dunque per far luogo al Trattato dovevano risanarsi le condizioni, mentre per risanare le condizioni stesse occorreva il Concordato. E allora? La soluzione non era facile, ma dobbiamo ringraziare il Signore di avercela fatta vedere e di aver potuto farla vedere anche agli altri. La soluzione era di far camminare le due cose di pari passo.

E così, insieme al Trattato, si è studiato un Concordato propriamente detto e si è potuto rivedere e rimaneggiare e, fino ai limiti del possibile, riordinare e regolare tutta quella immensa farragine di leggi tutte direttamente o indirettamente contrarie ai diritti e alle prerogative della Chiesa, delle persone e delle cose della Chiesa; tutto un viluppo di cose, una massa veramente così vasta, così complicata, così difficile, da dare qualche volta addirittura le vertigini. E qualche volta siamo stati tentati di pensare, come lo diciamo con lieta confidenza a voi, sì buoni figliuoli, che forse a risolvere la questione ci voleva proprio un Papa alpinista, un alpinista immune da vertigini ed abituato ad affrontare le ascensioni più ardue; come qualche volta abbiamo pensato che forse ci voleva pure un Papa bibliotecario, abituato ad andare in fondo alle ricerche storiche e documentarie, perché di libri e documenti, è evidente, si è dovuto consultarne molti. Dobbiamo dire che siamo stati anche dall'’altra parte nobilmente assecondati. E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi, tutti quegli ordinamenti, o piuttosto disordinamenti, tutte quelle leggi, diciamo, e tutti quei regolamenti erano altrettanti feticci e, proprio come i feticci, tanto più intangibili e venerandi quanto più brutti e deformi. E con la grazia di Dio, con molta pazienza, con molto lavoro, con l'incontro di molti e nobili assecondamenti, siamo riusciti « tamquam per medium profundam eundo » a conchiudere un Concordato che, se non è il migliore di quanti se ne possono fare, è certo tra i migliori che si sono fin qua fatti; ed è con profonda compiacenza che crediamo di avere con esso ridato Dio all'Italia e l'Italia a Dio.»

Il famoso affresco di Guido Nincheri nella Chiesa della Madonna della Difesa a Montreal che celebra i Patti Lateranensi, dove sono raffigurati Pio XI e Mussolini (a cavallo)


Il 23 maggio 1929 cominciò il dibattito in Senato per la ratifica dei Patti Lateranensi, dibattito concluso il 25 maggio con un voto a favore, al termine di vivaci discussioni e polemiche anche all'esterno del Senato stesso. Sei senatori votarono contro l'approvazione: fra essi Benedetto Croce. Anche la Camera dei deputati votò l'approvazione dei Patti, ma vi furono due dissenzienti, anche se la Camera era formata completamente da elementi del Partito fascista. Lo scambio delle ratifiche avvenne con una solenne cerimonia in una saletta dei Palazzi apostolici, con Mussolini, che vestiva l'uniforme diplomatica con la feluca, ricevuto con tutti gli onori. Era il 7 giugno 1929. Dopo un'ora dalla partenza di questi dal Vaticano, alle dodici in punto, entrarono in vigore i Patti, e nacque lo Stato della Città del Vaticano, con lo scambio delle consegne tra i Carabinieri, che subito dopo lasciarono l'ex territorio italiano passato al Vaticano, e le Guardie Svizzere in alta uniforme. Il clima era di grande cordialità e di amicizia.

Alle ore zero dell'indomani, 8 giugno, entrarono in vigore le sei leggi principali del nuovo Stato, promulgate dal Pontefice subito dopo il mezzogiorno del giorno 7, fra cui la Legge Fondamentale, che all'art. 1 prevede che il Sommo Pontefice è sovrano dello Stato della Città del Vaticano.


I Patti Lateranensi non furono gli unici accordi stipulati negli anni successivi alla Prima guerra mondiale tra il Vaticano e stati esteri, nell'ottica di rendere libera la professione della religione cattolica e di ridare un ruolo diplomatico di primo piano al papato. Tra gli altri vi furono accordi con la Lettonia (stipulato nel 1922), con la Baviera (1924), con la Polonia (1925) con la Lituania e con la Romania (entrambi stipulati nel 1927), con la Prussia (stipulato nel 1929), con il Baden (1932) e con la Germania nazista (nel 1933).[96]

La connessione dei Patti lateranensi con la linea d'indirizzo segnata dai precedenti Concordati fu notata sin dal 1929, come risposta alla critica secondo cui il Papato aveva barattato il suo potere temporale ed il grandioso imprigionamento nel quale ha prosperato per quasi sessant'anni[97], in cambio di vantaggi di interesse della sola chiesa italiana[98].

L'inserimento nella Costituzione

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Immagine commemorativa. Da sinistra verso destra, SM re Vittorio Emanuele III di Savoia, Papa Pio XI e Benito Mussolini.

Nel 1948 i Patti furono riconosciuti costituzionalmente nell'articolo 7[99], con la conseguenza che lo Stato non può denunciarli unilateralmente come nel caso di qualsiasi altro trattato internazionale, senza aver prima modificato la Costituzione. Qualsiasi modifica dei Patti deve inoltre avvenire di mutuo accordo tra lo Stato e la Santa Sede, in tal caso la revisione dei Patti non richiede un procedimento di revisione costituzionale.[100]

L'articolo 7 non ha comunque inteso parificare il contenuto dei Patti alle norme costituzionali, ma soltanto costituzionalizzare il principio concordatario, con la conseguenza che essi, per il tramite della legge di esecuzione, avrebbero dovuto ritenersi soggetti al giudizio di compatibilità con i principi supremi dell'ordinamento da parte della Corte costituzionale. Con le sentenze n. 30 e 31 depositate il primo marzo 1971[101][102], i Patti lateranensi vennero posti tra le fonti atipiche dell'ordinamento italiano, vale a dire che le disposizioni dell'atto non hanno la stessa natura delle norme costituzionali, ma hanno un grado di resistenza maggiore rispetto alle fonti ordinarie. Pertanto, i Patti Lateranensi devono essere modificati col procedimento ordinario nel caso ci sia mutuo consenso fra Stato e Chiesa, con il procedimento aggravato proprio delle leggi costituzionali nel caso sia lo Stato unilateralmente a modificare il testo dell'atto. Inoltre, le disposizioni dei Patti possono essere dichiarate costituzionalmente illegittime solo se contrastano con i principi supremi dell'ordinamento costituzionale (Corte cost. 16/1982, 18/1982).[100]

Si ricordi comunque che, se gli articoli 7 e 8 della Costituzione prevedono un sistema differenziato di disciplina dei rapporti tra lo Stato e le varie confessioni religiose, altre disposizioni (si vedano gli articoli 19 e 20 della Costituzione) prevedono invece un regime di tutela uniforme per ciò che attiene all'esercizio del culto da parte dei fedeli.[100]

La revisione del 1984: il nuovo concordato

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Lo stesso argomento in dettaglio: Accordo di Villa Madama.

Il Concordato (ma non il Trattato) fu rivisto, dopo lunghissime e difficili trattative, nel 1984, fondamentalmente per rimuovere la clausola riguardante la religione di Stato della Chiesa cattolica in Italia. La revisione che portò al nuovo Concordato venne firmata a Villa Madama, a Roma, il 18 febbraio dall'allora presidente del Consiglio Bettino Craxi, per lo Stato italiano, e dal cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato, in rappresentanza della Santa Sede. Il nuovo Concordato stabilì che il clero cattolico venisse finanziato da una frazione del gettito totale IRPEF, attraverso il meccanismo noto come otto per mille e che la nomina dei vescovi non richiedesse più l'approvazione del governo italiano.[103]

Nel precedente Concordato, nel quale ancora vigeva la norma del giuramento dei nuovi vescovi al Governo italiano, l'unico vescovo che non era obbligato a giurare fedeltà all'Italia era colui che fa le veci del Pontefice nella sua qualità di vescovo di Roma, cioè il cardinale vicario. Questa eccezione alla regola, che appariva nel Concordato, era stata prevista proprio in segno di rispetto dell'indipendenza del Papa nei riguardi dell'Italia.[103]

Il suo vicario non deve essere sottoposto al giuramento, perché rappresenta il vescovo effettivo della città di Roma, cioè il Pontefice. Inoltre, per quanto riguarda la celebrazione del matrimonio, si stabilirono le clausole da rispettare perché un matrimonio celebrato secondo il rito cattolico possa essere trascritto dall'ufficiale di stato civile e produrre gli effetti riconosciuti dall'ordinamento giuridico italiano oltre a porre delle limitazioni al riconoscimento in Italia delle sentenze di nullità matrimoniale pronunciate dai tribunali della Chiesa che prima avveniva in modo automatico. Fu anche stabilito che nelle scuole si potesse richiedere l'esenzione dall'ora di religione cattolica, prima obbligatoria, che tuttavia restò curriculare , mancando l'occasione di rendere al contrario facoltativa la frequenza per gli interessati a tale materia: la scelta relativa deve essere effettuata e comunicata all'atto dell'iscrizione prima dell'inizio dell'anno scolastico.[103]

Il dibattito politico sull'abolizione del Concordato

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Non può essere proposto un referendum per l'abolizione o la modifica del Trattato, del Concordato o delle leggi collegate a essi perché non sono ammessi, nel nostro ordinamento, referendum riguardanti i trattati internazionali, ai sensi dell'art. 75 della Costituzione. Inoltre l'art. 7 prevede che «le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale»: ciò significa che le modifiche bilaterali possono essere adottate con legge ordinaria, mentre, argomentando a contrario, quelle unilaterali richiedono il procedimento aggravato art. 138 Cost. Nulla vieta, peraltro, che tale legge ordinaria o costituzionale sia proposta dal corpo elettorale, in quanto l'art. 71 Cost., nel disciplinare l'iniziativa legislativa del popolo, non menziona alcuna restrizione riguardante l'una o l'altra fonte del diritto. Dopo gli accordi di Villa Madama alcuni costituzionalisti[104] ritengono che si sia rafforzata la tesi che il Concordato possa essere sottoposto a referendum, non avendo la valenza di un vero e proprio trattato internazionale fra stati ma solo di accordo con una confessione religiosa[105].

Dibattito sulla possibilità di recesso unilaterale

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Questa voce non è neutrale!
La neutralità di questa voce o sezione sull'argomento diritto è stata messa in dubbio.
Motivo: intanto, esporre argomentazioni su un recesso è in sé una posizione di parte; poi, il "dibattito" è discusso solo sulla fattibilità tecnica, dando per presupposta la sua opportunità nel merito; infine, le fonti sono tutte dichiaratamente di parte: il partito radicale, radio radicale, l'uaar (solo in un caso la Treccani, per una definizione)

Per contribuire, correggi i toni enfatici o di parte e partecipa alla discussione. Non rimuovere questo avviso finché la disputa non è risolta. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento.

Oltre all'accordo bilaterale e alla modifica costituzionale unilaterale, è stata talvolta ipotizzata una terza strada, cioè la denuncia unilaterale del concordato e la dichiarazione di un governo di non rispettare più il trattato con paese estero (possibilità che potrebbe non essere reclamata ai sensi dell'art. 4 della Convenzione di Vienna trattandosi di trattato firmato precedentemente a questa), per precisa scelta politica; inoltre, introducendo ad esempio il divorzio o sottraendo alla legislazione ecclesiatica, come prescrive l'articolo 11 del Trattato Lateranense, la giurisdizione sul controverso caso delle antenne di Radio Vaticana poi rimosse, come stabilito dalla Corte suprema di cassazione[106], lo Stato italiano si sarebbe già distaccato da alcuni punti dei Patti, ritenuti ormai superati: resta tuttavia il riferimento in Costituzione.

Tale scelta potrebbe essere contestata dalla controparte per violazione del diritto internazionale o dalla Corte Costituzionale (la quale può comunque abolire parti di leggi collegate al Concordato, se vengono giudicate in contrasto con l'ordinamento e lo spirito della Costituzione: prima del 1984, quando era ancora in vigore la norma sulla religione di Stato, vi fu la sentenza n. 117 del 2 ottobre 1979[107]) e sarebbe comunque al limite della forzatura giuridica essendo presente il riferimento nell'articolo 7 (ciò non impedisce che possa venire fatto, vista l'impossibilità di obbligare un governo estero a rispettare un trattato)[108], anche se è già accaduto, sia per paesi esteri (la Francia con lo stesso Vaticano e con la NATO) e anche in Italia. Tuttavia come ebbe a pronunciarsi lo stesso Pio XI con il noto simul stabunt vel simul cadent, non molto tempo dopo la ratifica dei Patti, a seguito della crisi dei rapporti tra Chiesa e Governo italiano guidato da Mussolini, un eventuale recesso unilaterale riaprirebbe inevitabilmente la crisi nei rapporti tra i due stati derivante dalla Questione Romana conclusasi ufficialmente con la firma del trattato (art.26).

A fronte di alcune tesi minoritarie nella dottrina giuridica, la maggioranza dei giuristi pacificamente considera possibili solo le due alternative come previste dal testo costituzionale.

Con le altre religioni

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Secondo il giurista e storico Francesco Margiotta Broglio[109][110], docente di diritto ecclesiastico e di storia dei rapporti fra Stato e Chiesa all'Università di Firenze[111], i governi democristani avversarono la stipula di concordati fra lo Stato italiano e le altre religioni, che trovano la più importante entratura in Giovanni Spadolini e, successivamente, nelle aperture di Bettino Craxi. Le prime due religioni istituzionalizzate (ovvero dotate di un ministro di culto e luoghi specifici dedicati alla liturgia) a beneficiarne furono la Chiesa Valdese e la Chiesa Avventista, una minoranza di circa 5.000 membri rappresentati dal prof. Gianfranco Rossi.[112]

Dal 1983 al 1988 il prof. Broglio è stato membro della Commissione Governativa per la Revisione del Concordato e per la stipula delle intese con le confessioni religiose, in molteplici gabinetti, finché nel 2014 fu confermato nella Commissione Governativa per l'attuazione delle disposizioni dell'Accordo tra Italia e Santa Sede.[113]

  1. ^ Charles Stevenson, A Box of Sand: The Italo-Ottoman War 1911–1912: The First Land, Sea and Air War (2014).
  2. ^ Nigel Thomas. Armies in the Balkans 1914–18. Osprey Publishing, 2001, p. 17.
  3. ^ H. James Burgwyn, The legend of the mutilated victory: Italy, the Great War, and the Paris Peace Conference, 1915-1919 (1993).
  4. ^ Enrica Costa Bona, Dalla guerra alla pace: Italia-Francia 1940-1947, pagina 14, Milano, Franco Angeli, 1995,
  5. ^ Sara Lorenzini, "The roots of a 'statesman': De Gasperi's foreign policy," Modern Italy (2009) 14#4 pp 473–484.
  6. ^ In The Birth of Italy, Filippo Carlà dimostra che che la costruzione del concetto e dell'identità degli "Italici" fu un obiettivo perseguito e raggiunto dalla politica Romana.
  7. ^ Il nome d'Italia di Massimo Pittau. "Per Italoi...intendevano gli abitanti della Penisola, con i quali essi vennero in contatto soprattutto per effetto della colonizzazione che gli stessi Greci fecero di quella che verrà chiamata la «Magna Grecia» (Megále Hellás)...Infine sempre i Greci chiamavano Italiótai i loro connazionali delle colonie della Magna Grecia".
  8. ^ Roma veniva definita alternativamente Italiota o Itala, a seconda che si guardasse all'origine Troiana o a quella Latina.
  9. ^ uomo in "Sinonimi e Contrari", su www.treccani.it. URL consultato il 9 ottobre 2019 (archiviato dall'url originale il 6 giugno 2019).
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  11. ^ Treccani.it - Vocabolario on line
  12. ^ Celti, già presenti sul territorio italiano almeno sin dal XIII secolo a.C. con la cultura proto-celtica detta di Canegrate, dal nome dell'omonima località presso Milano, che si sarebbero poi fusi con gli abitanti Liguri per dare vita alla successiva cultura mista di Golasecca (IX-IV secolo a.C.
  13. ^ Nelle sue Storie, I, 196; V, 9, lo storico greco Erodoto parla degli Ἐνετοί come di una parte del popolo illirico, stanziata presso l'Adriatico. La tesi dell'illiricità dei Veneti, sostenuta principalmente da Carl Pauli a fine XIX secolo, continuò a essere largamente condivisa ma, nella prima metà del XX secolo, Vittore Pisani e Hans Krahe dimostrarono che Erodoto si riferiva in realtà a una tribù illirica stanziata nella Penisola balcanica, e non in area italica.
  14. ^ Nota: la tesi di un'origine centro-europea è comunque sostenuta anche da autori classici come Tacito e Claudio Tolomeo.
  15. ^ G. Leonardi - Università di Padova a.a. 1999-2000.
  16. ^ Moscati, op. cit.
  17. ^ Moscati, op. cit.
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  24. ^ È il numero tramandato dai racconti degli storici antichi, tra cui Tito Livio, nel libro I della sua opera Ab Urbe condita.
  25. ^ Secondo altre fonti, la firma del trattato fu istantaneamente successiva alla battaglia del Regillo.
  26. ^ Polibio, Storie, I, 62, 7.
  27. ^ Marco Terenzio Varrone nei suoi Rerum rusticarum libri III (i.17.1) propone una visione secondo cui gli schiavi dovevano essere classificati come strumenti parlanti, distinti dagli strumenti semiparlanti, gli animali, e gli strumenti non parlanti, ovvero gli attrezzi agricoli veri e propri.
  28. ^ Smith, "Servus", pp. 1022-39, dove è presentata la complessa legislazione romana sugli schiavi.
  29. ^ Davis, Readings in Ancient History, p. 90.
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  31. ^ Gaio, Institutionum commentarius, i.52, per i cambiamenti del diritto di un padrone di trattare a proprio piacimento gli schiavi; Seneca, De Beneficiis, iii.22, per l'istituzione del diritto di uno schiavo ad essere trattato bene e per la creazione dell'"ombudsman degli schiavi".
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  51. ^ L'intitolazione relativa alla Corsica scomparirà dalle monete e dai documenti di cancelleria aragonesi già nel corso del XIV secolo (vedi: F. Sedda, La vera storia della bandiera dei sardi, Cagliari, 2007, p. 55 e segg.) e definitivamente anche dalle intitolazioni regie allorché il regno di Aragona si unirà a quello di Castiglia nella corona di Spagna, nel 1479
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  54. ^ G. Napolitano, discorso del 7 gennaio 2011, a Forlì
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  59. ^ L'età dell'imperialismo e la Prima guerra mondiale, 2004, La biblioteca di Repubblica, p. 683.
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  63. ^ Dati Censimento Istat
  64. ^ per esempio "film" diventa "filmo", "taxi" diventa tassì", "cognac" diventa "arzante".
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  70. ^ Giulio De Martino, La mente storica: orientamenti per la didattica geo-storico-sociale, Liguori Editore Srl, 2005, ISBN 88-207-3905-4
  71. ^ Secondo il rapporto Morti e dispersi per cause belliche negli anni 1940-45,compilato nel 1957 da Roma: Istituto Centrale Statistica i morti militari furono 291,376, di cui 204,346 prima dell'armistizio (66,686 morti in battaglia o per ferite, 111,579 dispersi certificati morti e 26,081 morti per cause non belliche) e 87,030 dopo l'armistizio (42,916 morti in battaglia o per ferite, 19,840 dispersi certificati morti e 24,274 morti per cause non belliche), i prigionieri morti sono inclusi in questo elenco. I civili morti sono stati 153,147 (123,119 dopo l'armistizio) inclusi 61,432 in attacchi aerei (42,613 dopo l'armistizio). Per ulteriori approfondimento si veda qui. A questi vanno aggiunti 15,000 soldati africani coscritti. Sono incluse le 64,000 vittime delle repressioni e genocidi nazisti (tra cui 30,000 prigionieri). I morti militari dopo l'armistizio includono 5,927 schierati con gli alleati, 17,166 partigiani e 13,000 della Repubblica Sociale Italiana. 1,000 persone del popolo rom e 8,562 ebrei morirono.
  72. ^ A tutt'oggi non vi è accordo fra gli storici su una più accurata valutazione del numero di profughi Sintesi di un testo di Ermanno Mattioli e Sintesi di un testo dello storico Enrico Miletto Archiviato il 22 luglio 2011 in Internet Archive.
  73. ^ I vincoli del consociativismo, articolo di Piero Melograni, Il Sole 24 ore, 1999.
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Riferimenti normativi

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  • Legge 24 giugno 1929, n. 810, in materia di "Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi e del Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l'Italia, l'11 febbraio 1929 - VII. (029U0810) (GU n.130 del 5-6-1929)"
  • Legge 24 giugno 1929, n. 1159, in materia di "Disposizioni sull'esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi"
  • Regio decreto 28 febbraio 1930, n. 289, in materia di "Norme per l'attuazione della legge 24 giugno 1929, n. 1159, sui culti ammessi nello Stato e per il coordinamento di essa con le altre leggi dello Stato"
  • Sacra Congregatio Concilii, Istruzione circa le chiese ed altri enti di culto, "in applicazione degli artt. 27 e 29 del Concordato lateranense e per la esecuzione dell’art. 14 e degli altri relativi, di cui nelle Istruzioni del 20giugno 1929", 25 giugno 1930, n. 2779.[1]

offensiva di Aprile

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Campagna dei Balcani
parte della seconda guerra mondiale
Carri armati tedeschi passano accanto alle colonne di prigionieri greci e britannici
Data6 aprile 1941 - 23 aprile 1941
LuogoAlbania, Jugoslavia, Grecia
EsitoVittoria italiana parallelamente alla vittoria tedesca
Modifiche territorialiPartecipazione italiana alla spartizione di Jugoslavia e Grecia tra le potenze dell'Asse.
Schieramenti
Comandanti
Voci di battaglie presenti su Teknopedia

L'offensiva di aprile nel 1941 fu l'ultima azione militare dell'Italia nella campagna di Grecia e nella campagna dei Balcani. Essa si svolse parallelamente alle operazioni dei tedeschi in Grecia (Operazione Marita) e Jugoslavia (Invasione della Jugoslavia).

L'invasione di Jugoslavia e Grecia da parte delle forze tedesche e italiane nell'aprile del 1941.

Nel marzo del 1941 si prolungava lo stallo militare in Albania, dove le forze italiane fronteggiavano l'esercito ellenico, a seguito della fallita invasione della Grecia nel novembre del 1940, e l'aeronautica britannica. Il 27 marzo, un colpo di stato in Jugoslavia rimuoveva il reggente filo-fascista Paolo dal controllo che questi esercitava sul filo-britannico re Pietro II. Ritenendo giunto il momento di estromettere i britannici dai Balcani e quindi da tutta l'Europa continentale, Adolf Hitler affidò a Walther von Brauchitsch il coordinamento della doppia invasione di Grecia (Unternehmen Marita) e Jugoslavia (Projekt 25) per il 6 aprile (il giorno del matrimonio della figlia del nuovo primo ministro jugoslavo Dušan Simović).[2] Mussolini volle che l'Italia partecipasse alla nuova "campagna in Balcania", in cui il capo di stato maggiore Ugo Cavallero seppe abilmente approfittare dell'azione tedesca per perseguire gli obiettivi italiani.[3]

Dopo un duro bombardamento della Luftwaffe sul Belgrado (Operazione Castigo), la seconda armata della Wermacht guidata da Maximilian von Weichs invase il paese. Lo stesso fece l'armata in Venezia Giulia del Regio Esercito comandata da Vittorio Ambrosio, mentre i fascisti croati (Ustascia) presero Zagabria con un colpo di mano.[4] Le colonne italiane avanzarono in Slovenia fino a prendere Lubiana, per passare in Croazia, dove, a Karlovac (12 aprile), si congiunsero con le truppe tedesche provenienti dal Reich (Austria) e dall'Ungheria. Belgrado fu occupata dall'ufficiale tedesco Fritz Klingenberg, che guidava un piccolo corpo di spedizione inquadrato nella dodicesima armata al confine con la Romania. Ben cinquanta velivoli jugoslavi furono distrutti dalla Luftwaffe e dalla Regia Aeronautica, quasi tutti a terra; cinque sembrarono trovar scampo volando in Grecia, ma furono raggiunti e distrutti dai bombardieri italiani all'aeroporto greco di Paramitia.[5]

La Jugoslavia tentò due offensive, ambedue rivolte contro possedimenti dell'Italia, ed entrambe respinte dalle forze armate italiane. La prima consistette nel tentativo di sbarcare a Zara, testa di ponte italiana in territorio jugoslavo, ma non si materializzò a seguito dei raid della Regia Aeronautica che danneggiarono prima il cacciatorpediniere Beograd a Sebenico e poi un certo numero di navi a Cattaro. La seconda fu diretta contro Scutari in Albania, con l'obiettivo di unirsi alle forze greche. Il disegnò fallì completamente: truppe italiane dell'Albania contrattaccarono sia verso la Macedonia, dove si congiunsero con i reparti avanzati tedeschi a Dibra e Scutra, sia risalendo fino a Dubrovnik (Ragusa), dove, il 17 aprile, il generale Alessandro Pirzio Biroli incontrò la fanteria di Emilio Giglioli che aveva disceso la Dalmazia dall'enclave italiana di Zara e occupato Sebenico e Spalato.[6]

Grande merito nella riuscita delle operazioni ebbe anche il Servizio Informazioni Militare italiano, che decifrò i codici jugoslavi e, penetrando nel traffico radio, impartì volontariamente ordini confusionari ad aerei e truppe del nemico.[7] Sbandato e circondato, l'esercito jugoslavo capitolò il 17 aprile: il generale Radivoje Janković, delegato dal capo di stato maggiore Danilo Kalafatović, firmò con tedeschi e italiani "l'armistizio di Belgrado", per poi accompagnare in esilio il re Pietro II di Iugoslavia. Tra la conferenza di Vienna (23 aprile) e il trattato di Roma (18 maggio), la diplomazia italo-tedesca frantumò la Jugoslavia nel seguente modo:

La spartizione della Jugoslavia.

Albania e Grecia

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L'Operazione Marita dei tedeschi (in rosso) e l'offensiva di aprile degli italiani (in verde) nel 1941

Contemporaneamente all'attacco italo-tedesco in Jugoslavia, si svolse l'offensiva dell'Asse contro la Grecia. La dodicesima armata tedesca, guidata dal feldmaresciallo Wilhelm List, venne divisa in due corpi: uno procedette allo sfondamento della Linea Metaxas al confine greco-bulgaro; l'altro aggirò le difese greche tramite l'occupazione di Skopje nella Macedonia jugoslava. Salonicco cadde in mano ai tedeschi il 9 aprile, mentre il 10 aprile le forze di List sfondarono la linea difensiva allestita dai britannici lungo il fiume Aliacmone.

Mentre la Wermacht dilagava in Grecia, l'esercito italiano riconquistò l'Albania meridionale: il 14 aprile le truppe italiane rioccuparono Coriza, seguita il 18 aprile da Argirocastro e il 22 aprile dal ponte di confine a Perati. Il 21 aprile le forze armate greche firmarono l'armistizio con quelle tedesche, chiedendo loro, al fine di non cedere terreno agli italiani, di interporsi tra l'armata ellenica e l'esercito italiano in Epiro. Mussolini rifiutò l'accordo e ordinò di invadere nuovamente la Grecia per marciare in territorio nemico: proseguì così la lotta tra italiani avanzanti e greci in ritirata, non senza momenti di tensione con i tedeschi che cercavano di interporsi tra le parti in lotta.[8] Il 23 aprile gli italiani giunsero in vista di Giannina, dove lo stesso giorno fu firmato l'armistizio ("armistizio di Giannina") dal generale Alfred Jodl per la Germania, dal generale Alberto Ferrero per l'Italia, e dal generale Tsolakoglu per la Grecia: quest'ultimo fu messo a capo di un regime collaborazionista che trattò la resa e l'occupazione del paese, mentre il re Giorgio II andò in esilio.[9][10]

La battaglia di Grecia proseguì di fatto per alcune settimane, dato che le forze inglesi e i presidi ellenici più fedeli al re continuarono a lottare. Il 27 aprile le prime unità tedesche fecero il loro ingresso ad Atene, mentre tra il 28 e il 30 aprile le truppe italiane occuparono con una serie di operazioni anfibie e lanci di paracadutisti le isole Ionie;[11] entro il 30 aprile i tedeschi avevano completato l'occupazione della Grecia continentale, e il 20 maggio seguente diedero avvio all'invasione dell'isola di Creta: paracadutisti e forze aerotrasportate tedesche conquistarono l'isola entro il 1º giugno al termine di pesanti scontri con i difensori anglo-greci. Le forze britanniche furono quindi costrette a evacuare il paese e i Balcani.[12]

L'occupazione della Grecia.

Il territorio greco fu così spartito tra le nazioni dell'Asse:[13]

La medaglia d'oro al valor militare fu conferita al 5, 8, e 9 reggimento degli alpini

Nell’offensiva di aprile, con mirabile slancio travolgevano le resistenze accanite ed ostinate opposte dal nemico e il 17 raggiungevano Argirocastro, catturando prigionieri ed ingente bottino (Doliana - Vesane - Makricampos - Cippo 21 - M. Bureto - Quota 1640 - Sella Radati - Tepeleni - Lekeli). Fronte greco, 28 ottobre 1940 - 23 aprile 1941

  1. ^ Citata da prof.ssa Maria Vismara Missiroli, 2 - L'Istruzione della Congregazione del Concilio del 1930 (PDF), in L’art. 27 ultimo capoverso del Concordato lateranense e la sua applicazione al Santuario della B. Vergine delle Grazie in Brescia, Stato, Chiese e Pluralismo Confessionale, Università di Milano, 6 febbraio 2012, p. 2, DOI:10.13130/1971-8543/2014, ISSN 1971-8543 (WC · ACNP), OCLC 7180235799. URL consultato il 12 febbraio 2020 (archiviato dall'url originale il 2 dicembre 2017). Ospitato su archive.is. con riferimento a Pio Cpriotti, 1975.
  2. ^ Germany and the 2nd World War Volume III: The Mediterranean, south-east Europe, and north Africa, 1939-1941, Gerhard Schreiber, Bernd Stegemann, Detlef Vogel, 1995, p. 484
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  7. ^ Enrico Cernuschi, Le operazioni aeronavali contro la Jugoslavia, 6–8 aprile 1941, in Storia Militare no. 242, p. 33.
  8. ^ Bollettino n. 323 del 24 aprile 1941. Fino alle ore 18 del 23 aprile, l’avanzata italiana proseguì in territorio greco senza soste. Furono messi fuori combattimento circa 6000 italiani tra morti e feriti, compresi 400 ufficiali. Unità italiane bombardarono piroscafi al porto di Patrasso e nella baia di Milo.
  9. ^ Mario Cervi, Storia della guerra di Grecia, Milano, Rizzoli, 2005,
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