«Ad allenare l'Inter — sogno non segreto della sua inquieta carriera di tecnico — arrivò finalmente nel 1957. Ma ebbe il torto, schiavo com'era della sua formula fissa, di gabellare l'ottone per l'oro, un teorema per il football. Non capì che la gente voleva vedere il gioco — quel gioco che quando lui, Frossi, nell'Inter militava come atleta, era la sigla della squadra nerazzurra — e sostenne la tesi matta che lo 0 a 0 era il risultato perfetto. [...] Moratti comprese d'aver puntato sul cavallo perdente. E per Frossi all'Inter fu notte fonda.»
(Ricostruzione, tratta dal libro 3000 goals, dell'esperienza in panchina di Annibale Frossi.[3])
A compromettere l'esito del campionato 1956-57, dopo un girone d'andata archiviato con 20 punti in classifica[4], soggiunse una frenata nella fase di ritorno con l'ex calciatore Frossi a rilevare Ferrero in panchina.[5] La parentesi del "dottor Sottile" fu contraddistinta dalle divergenze insorte con Moratti[3], fatto riconducibile ad un «credo tattico» volto a ricercare nello 0-0 il risultato ideale[6][7]: col ruolo di tecnico affidato a Meazza per le battute conclusive[8], l'Inter giunse quinta a pari merito col Bologna.[1]
Sul piano statistico da segnalare in negativo l'assenza di vittorie negli impegni esterni[9], con appena 9 punti (frutto di altrettanti pareggi) racimolati in trasferta.[1]
Filippo Grassia e Gianpiero Lotito, INTER - Dalla nascita allo scudetto del centenario, Antonio Vallardi Editore, 2008, pp. 239, ISBN978-88-95684-11-6.