«Il primo scudetto di Angelo, quello del '63, fu preceduto da un robusto intervento personale del presidente dopo un deludente derby e una sconfitta a Bergamo. L'incavolatissimo patron mandò in montagna Corso e Mazzola, impose l'impiego di Maschio e Bolchi al posto di titolari «cotti». Il tutto sotto gli occhi dell'esterrefatto Herrera. Sbocciò una stagione magica che diede il via alla leggenda della Grande Inter.»
Se la vena polemica del Mago davanti ai microfoni non conosceva tregua[21], comportandone anzi una parziale censura di cui beneficiò il dirigente Giuseppe Prisco ricevendo autorizzazione a presentarsi alla stampa dopo le partite[22][23], l'Inter approcciava frattanto con debole passo un campionato che consacrò in avvio il Bologna dell'ex Fulvio Bernardini[24][25]: i virgiliani ora guidati da Hidegkuti (successore di un Fabbri passato sulla panchina azzurra[26]) imponevano la parità all'esordio[7][27], con la «maledizione» delle trasferte in Sicilia ancora viva — lamentando in tal senso una sconfitta al Cibali —[28][29] e un derby chiuso sul nulla di fatto il 21 ottobre 1962.[27][30] San Siro veniva quindi espugnato dall'Atalanta una domenica più tardi[27], precipitando la squadra a una lunghezza dai bianconeri settimi in classifica.[7][31]
La dura "strigliata" ricevuta da Angelo Moratti spingeva l'allenatore a correttivi nella formazione-base[27][32], impostando ora la mentalità tattica su una difesa ermetica e sulla veloce ripartenza in contropiede[32][33]: a protezione dei pali ecco Buffon[34][35], con Burgnich terzino-marcatore e Facchetti che scalzava Masiero in fascia mancina conferendo al ruolo una storica propensione all'offensiva.[36][27]
Il capitano Picchi riuscì nell'adattamento da laterale difensivo a battitore libero coprendo le spalle al centrale Guarneri[37][38], con Zaglio «faticatore» in mediana[39]; riferimento del centrocampo era adesso un Suárez votato alla regia anziché alle sortite da incursore[27][40], panni in cui Sandro Mazzola (del quale fu scongiurato il trasferimento al Como[36]) si fece preferire a Maschio.[41] Jair sottraeva a Bicicli la posizione di ala destra[18][42], mentre Corso agiva nominalmente sul lato sinistro senza però essere in realtà legato a rigido dettame[32][43]: spazio in attacco per l'ex granataDi Giacomo[7][44], un acquisto compensato dal passaggio di Hitchens ai sabaudi offrendo così una maglia straniera al summenzionato verdeoro.[36][7]
Annientate con facilità entrambe le genovesi[45], i nerazzurri recuperarono punti ai felsinei smarritisi dopo la brillante partenza[27]: una quaterna realizzata in Emilia nello scontro diretto valeva l'aggancio al podio[46], col successo prenatalizio a danno della Juventus che fruttava addirittura la vetta solitaria.[7][47] Gli uomini di Amaral portarono comunque in dote il titolo invernale[7], concludendo la fase d'andata a +1 sui meneghini[48]: in seguito allo scenario di ex aequo insorto il 3 febbraio 1963[7][49], l'ideale snodo era localizzato nella stracittadina del 24 febbraio.[50]
I rivali gettarono infatti la spugna a Marassi[7], favorendo il ritorno in testa della Beneamata cui il pareggio con l'opponente di Rocco lasciava anzi qualche rammarico[51]: Tagnin calcava il manto erboso dopo una lunga assenza «incollandosi» in marcatura a Rivera[52], con appena 13" sufficienti a Mazzola per rompere l'equilibrio battendo così il record di Altafini che impiegò 20" a sbloccare il punteggio nella sfida del 26 marzo 1961.[53][54] Suárez falliva poi il rigore del possibile raddoppio[52], con Sani a decretare infine la divisione della posta in palio[52]: nell'occasione andava in archivio il sedicesimo risultato utile consecutivo[55], un filotto avente in Bergamo il capolinea.[4][56]
Pur a fronte del salvaguardato primato[7], l'incolore prestazione contro gli orobici suscitò le rimostranze del presidente circa l'utilizzo di elementi in scarsa condizione[4][57]: tra questi lo schieramento dell'infortunato Di Giacomo[58], rinunciando al debutto del classe 1943 Roberto Boninsegna.[4][58]
Durante l'ultimo scorcio del campionato il tecnico procedeva a lievi ritocchi[59], coi guanti di Buffon ceduti per esempio a Bugatti[27][60]: si faceva da parte anche Zaglio con Bolchi nuovo incontrista[61], mentre la spinta da interno del rispolverato Maschio concorse a far sperimentare Mazzola quale attaccante.[27][62] Cruciale lo spartiacque del 28 aprile 1963[7], quando l'Inter si misurò al Comunale con l'inseguitrice recando un vantaggio di 4 punti[63][64]: nello stadio che aveva battezzato il suo lancio tra i professionisti[7][65], il figlio di Valentino eluse la guardia dei difensori avversari trovando il gol-scudetto.[66]
Domenica 5 maggio 1963 ecco giungere anche il responso aritmetico[27][7], poiché un pareggio sul quale i piemontesi furono bloccati dal Mantova rese in pratica ininfluente la débâcle sofferta da Picchi e soci nella capitale[67][36]: il saluto al pubblico avveniva impattando col Torino nell'ultima giornata[68][69], dove Enzo Bearzot consegnò all'astro nascente la maglia vestita da suo padre fino al 1949.[70] Un tricolore atteso dal 1954 — destinato a rappresentare l'origine di una vittoriosa epoca —[68][36] si associò alla Coppa Campioni conquistata dal Milan[71], rendendo il capoluogo lombardo la prima e unica città in Italia ad accentrare nella medesima stagione i titoli nazionale e europeo.[72][73]
^«Allora non c'erano le squalifiche per le dichiarazioni sugli arbitri, ma le sanzioni economiche esistevano e lui [Herrera] dopo le partite continuava a parlare. Nel settembre 1962 Moratti convocò me e il Mago. A Herrera ordinò: "Lei non parla più. Farà dichiarazioni solo il lunedì". E a me: "Dopo le partite, parlerai solo tu".» Cfr. Grassia, Lotito, Capitan Zanetti, Facchetti presidente e la scomparsa di Prisco, pp. 197-198.
^Acquistato durante la sessione autunnale di calciomercato.
^L'incontro, originariamente in programma al 12 dicembre 1962, viene rinviato per impraticabilità di campo dovuta alla neve; cfr. Leo Cattini, Rinviato per la neve il match col Padova, in La Stampa, 13 dicembre 1962, p. 15.