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Filosofia medievale
La filosofia medievale costituisce un imponente ripensamento dell'intera tradizione classica greco-romana sotto la spinta delle domande poste dalle tre grandi religioni monoteiste. Tra i principali temi affrontati da questi pensatori, l'esistenza di Dio, i rapporti e la conciliazione tra fede e ragione, la natura dell'anima, la disputa sugli universali, l'etica e la metafisica.
Sebbene cronologicamente il medioevo venga fatto solitamente iniziare intorno alla seconda metà del V secolo, si considera che il suo pensiero sia nato circa trecento anni prima quando apparirono sulla scena i primi autori cristiani. Questi eruditi iniziarono a scrivere le proprie apologie mossi dal bisogno di difendere la nuova fede dalle numerose accuse che gli venivano mosse in una società ancora fortemente pagana ma ben presto svilupparono anche contenuti positivi per consolidare, sviluppare e omogeneizzare la ancora giovane dottrina cristiana. I mezzi per fare tutto ciò, molti di loro li trovarono nella filosofia greca antica che già conoscevano, rileggendola secondo la Rivelazione cristiana ricorrendo soprattutto a Platone poiché il suo pensiero appariva il più compatibile. La dottrina patristica, cioè la filosofia di questi "padri della Chiesa", iniziò nelle regioni ellenistiche di lingua greca dell'Impero Romano ma successivamente si diffuse anche nelle regioni latine. Il maggior esponente della patristica fu Agostino d'Ippona, vissuto tra IV e il V secolo, a cui si devono le basi riguardo ai concetti fondamentali della teologia cristiana come l'anima e la grazia.
Con la crisi e successiva caduta dell'Impero romano d'Occidente la filosofia occidentale subì un forte rallentamento aggravata dalla perdita di gran parte delle opere dell'antichità classica e la pressoché dimenticanza del greco antico. Solo i monasteri poterono porsi come argine a questa scomparsa della cultura passata, mentre i pochi pensatori in attività, salvo alcune eccezioni, non riuscivano a produrre opere che potessero distinguersi per originalità e profondità concettuale. Diversa fu la situazione nel mondo islam che invece tra il VII e il XIII secolo visse la sua epoca d'oro. Qui, a partire dal IX secolo sotto la dinastia abbaside, tornarono a circolare le opere dell'antichità classiche, tradotte in arabo, che erano scomparse in Occidente. al-Kindi è conosciuto per essere stato il primo dei filosofi peripatetici musulmani che, quindi, aprì la strada ad un pensiero che conciliava sapere antico e religione islamica. L'apice della filosofia islamica del tempo venne raggiunta con Avicenna (XI secolo) e Averroè (XII secolo) i cui commenti ad Aristotele avranno un vastissimo eco anche in Occidente.
In Occidente una prima rinascita culturale si ebbe con l'istituzione, intorno al 780, della Schola Palatina voluta da Carlo Magno e diretta da Alcuino di York. Ma bisognerà aspettare l'XI secolo e Anselmo d'Aosta per tornare ad avere un vero protagonista del pensiero occidentale. Anselmo è anche considerato uno dei precursori della filosofia scolastica, la filosofia cristiana che contraddistinse più di ogni altro il periodo medievale. Cresciuta durante il rinascimento del XII secolo all'interno delle scuole cattedrali trovò il suo apice con l'istituzione delle prime università medievali nel XIII secolo. I filosofi scolastici si occuparono soprattutto di conciliare la fede con la ragione ricorrendo ai testi antichi in loro possesso e al metodo della disputatio. L'apice della filosofia medievale si ebbe nel XIII secolo quando vi fu il recupero delle opere di Aristotele nell'Occidente latino, mediate dagli autori arabi, e la successiva maestosa opera di armonizzazione con la dottrina cristiana operata da Tommaso d'Aquino. Nel secolo successivo il pensiero medievale iniziò un lento declino mentre si andava ad affermare l'Umanesimo che spalancherà le porte alla filosofia rinascimentale.
Tempi, luoghi e temi
[modifica | modifica wikitesto]I limiti spaziali e cronologici della filosofia medioevale non sono definiti univocamente. Il filosofo francese Robert Pasnau ne colloca l'inizio a Baghdad nell'VIII secolo, e in Francia presso la corte itinerante di Carlo Magno nell'ultimo quarto dell'VIII secolo.[1] Alain de Libera sostiene invece una continuità tra filosofia pagana, bizantina e araba,[2] mentre il belga Maurice de Wulf ritiene che la filosofia medioevale per eccellenza si identifichi con il pensiero scolastico tomista, verso il quale la patristica svolse un ruolo preparatorio.[3] Sebbene tradizionalmente il medioevo venga fatto iniziare nel V secolo, nella storiografia italiana solitamente si usa considerare parte della filosofia medievale anche i lavori dei primi scrittori cristiani che, a partire dal II secolo, utilizzarono il pensiero degli antichi per dare una base dottrinale alla nuova fede.
Benché il medioevo in senso stretto sia un periodo storico che riguarda in particolare l'Europa cristiana, la filosofia medievale considera anche il pensiero arabo che fiorì nell'Islam che tra il VIII e il XIII secolo visse una vera e propria epoca d'oro. Per la verità le connessioni tra il mondo dei pensatori cristiani e musulmani furono fondamentali per lo sviluppo del pensiero; se infatti con la caduta dell'Impero romano d'Occidente in Europa vennero perse molte delle opere degli antichi filosofi, queste sopravvissero nell'Islam dove vennero tradotte e commentate per poi ritornare nuovamente nel contesto cristiano grazie ai sempre più numerosi contatti tra i vari popoli.
La filosofia medievale fu strettamente legata alla religione, poiché il pensiero filosofico era orientato alla comprensione e alla giustificazione delle verità teologiche. I principali sistemi filosofici si svilupparono all'interno delle tradizioni cristiana, islamica ed ebraica, integrando il pensiero greco, soprattutto di Platone e Aristotele, con le rispettive dottrine religiose. Una delle maggiori preoccupazioni di molti filosofi medievali, fu quella di cercare di conciliare fede e ragione, proponendo argomenti razionali per dimostrare l’esistenza di Dio e spiegare i misteri della fede. Un altro tema molto sentito soprattutto in Occidente fu quello relativo alla disputa sugli universali che verteva sulla loro natura e sulla loro esistenza. I maggiori pensatori si divisero tra realisti, che sostenevano che gli universali esistessero realmente, e i nominalisti, che li consideravano semplici nomi privi di esistenza reale. I filosofi medievali, inoltre, non mancarono di riflettere sulla conoscenza, ossia su come l’uomo conosce il mondo e Dio. Anche l'etica, la politica e il diritto furono argomenti di discussione in cui vennero analizzati svariati concetti che vanno dalla volontà umana, al peccato originale e il libero arbitrio, alla natura del potere e della legge. Soprattutto con il recupero delle opere di Aristotele nell'Occidente latino iniziarono ad essere presi in considerazioni temi come la natura, l'universo e la scienza.
La patristica
[modifica | modifica wikitesto]In Europa la diffusione del cristianesimo all'interno dell'Impero romano segnò la fine della filosofia ellenistica e l'inizio della Patristica, dalla quale si svilupperà la filosofia medievale. Patristica, cioè il pensiero degli antichi padri della Chiesa, rappresentò il primo tentativo di fusione e conciliazione fra la tradizione ebraica e la filosofia greca, di cui costoro cercarono di assimilare profondamente il senso del logos, concetto chiave della filosofia greca, in particolare di quella stoica e neoplatonica: logos significava la ragione e il fondamento universale del mondo, in virtù del quale la realtà terrena veniva ricondotta ad un principio intellettivo ideale, in cui risiederebbe la vera dimensione dell'essere. Soprattutto in Plotino, l'ultimo dei grandi filosofi greci, si avvertiva il tema della trascendenza dell'Idea platonica, da lui concepita come la forza spirituale che plasma gli organismi viventi secondo un progetto prestabilito.
Negli anni che vanno dalla fine dell'età apostolica agli inizi dell'alto medioevo, i pensatori cristiani si dedicarono a definire e sistematizzare la dottrina cristiana, affrontando questioni teologiche, filosofiche e morali, come la Trinità, la natura di Cristo, il peccato e la grazia, ma anche aspetti più pratici come la definizione della liturgia, dell’organizzazione delle prime comunità e di fornire una difesa alle accuse mosse dai pagani alla nuova fede. Il periodo ha visto la redazione di importanti opere scritte, catechismi e commentari che hanno contribuito alla formazione della tradizione cristiana e al consolidamento della Chiesa come istituzione.
La Patristica, sviluppatasi inizialmente nel mondo greco ellenistico e solo successivamente in quello di lingua latina, viene solitamente suddivisa in tre periodi: l'età dei padri apologeti (dal II al III secolo), il periodo aureo (dal IV al V secolo) e il periodo tardo antico del consolidamento (VI-VIII secolo).
Prima patristica dei padri apologeti
[modifica | modifica wikitesto]Intorno al II secolo, negli ambienti cristiani di lingua greca iniziò a sentirsi l'esigenza di difendere la nuova fede dagli attacchi dei pagani che sfociavano spesso in autentiche persecuzioni e calunnie. Si sviluppò così una nuova corrente letteraria, detta apologetica, in cui i primi pensatori cristiani rispondevano alle accuse cercando di dimostrare l'autenticità del loro credo in Gesù Cristo. Per le loro argomentazioni, i padri della Chiesa attinsero a piene mani dalla antica filosofia greca asserendo che questa fosse stata propedeutica al cristianesimo ma che solo con la Rivelazione si potesse giungere alla verità tanto cercata dai pensatori classici.[4][5] Attraverso la loro intensa produzione letteraria, questi scrittori difesero quindi la loro fede e consolidarono la dottrina cristiana contro fraintendimenti e deviazioni, formando una base intellettuale cruciale per lo sviluppo della teologia cristiana. I loro scritti cercarono di accreditare il cristianesimo come il vero garante religioso dell'impero, in sostituzione delle tradizioni pagane.[6][7][8]
Tradizionalmente, il primo apologeta cristiano a presentare argomentazioni di tipo filosofico è identificato nel vescovo Quadrato di Atene, attivo agli inizi del II secolo autore, intorno all'anno 124-125, di un'apologia per l'imperatore Adriano in cui sostiene la veridicità dei miracoli di Gesù.[9][10][11] Altri primi esempio includono Aristone di Pella, autore del Dialogo di Giasone e Papisco, e Melitone di Sardi, che scrisse una difesa del cristianesimo per Marco Aurelio. Questi primi pensatori sono conosciuti solo attraverso fonti secondarie poiché i loro lavori non sono sopravvissuti al tempo. Il più antico testo apologeta a noi pervenuto è l'Apologia di Aristide Marciano, un filosofo cristiano del 140, indirizzato all'imperatore Antonino Pio. Aristide sostenne una visione cristiana dell'universo basata sull'idea di un unico Dio creatore facendo ampiamente ricorso a concetti platonici.[10][11]
Giustino (100-163/167) è considerato il primo grande esponente della patristica. Convertitosi al cristianesimo, difese la fede fino al martirio a Roma. Scrisse due apologetiche per Antonino Pio e il Dialogo con Trifone, in cui argomentò che i grandi filosofi greci fossero in realtà precursori del cristianesimo.[11][12] Sostenne anche l'importanza del libero arbitrio e accennò al peccato originale.[13] Allievo di Giustino, Taziano il Siro sviluppò posizioni originali e si oppose alla filosofia greca. Nella sua opera principale, Oratio adversus Graecos, dimostrò la superiorità della fede cristiana, criticando la filosofia per la sua immorale e per la sua contraddittorietà.[14] Atenagora di Atene scrisse una Supplica in favore dei Cristiani, rispondendo alle accuse di ateismo, incesto e cannibalismo. Argomentò anche che i filosofi greci fossero monoteisti, come i cristiani.[15]
Ma, con la crescente diffusione del cristianesimo nell'immenso Impero romano, le comunità cristiane, ormai in aumento, si trovarono di fronte a un'altra necessità: formalizzare alcuni temi fondamentali della dottrina, della liturgia e della vita comunitaria. Questo sforzo mirava a uniformare la vita dei credenti e a proteggere la nuova fede dalle numerose deviazioni che inevitabilmente si erano create e che talvolta potevano sfociare in vere e proprie eresie. Ireneo di Lione si concentrò proprio su questo problema nella sua opera Adversus Haereses (contro le eresie), in cui presenta una condanna delle eterodossie scagliandosi in particolare contro lo gnosticismo. Ireneo contribuì all'emergere dell'idea di un'unica Chiesa, distinta dai gruppi marginali, e definì i punti fondamentali della dottrina cristiana, elaborando una sintesi globale.[16][17]
Tra il II e il III secolo, il cristianesimo si diffuse sempre di più nell'Occidente latino, con la conseguenza dell'emergere di apologeti cristiani che scrivevano in lingua latina. Tertulliano è considerato il principale esponente dell'apologetica latina e il primo grande filosofo del nord Africa. Nato a Cartagine, probabilmente avvocato a Roma, si convertì al cristianesimo e dedicò una vasta produzione letteraria alla nuova fede scagliandosi spesso contro le eresie. Se gli altri padri avevano accolto, pur con accenti diversi, la filosofia pagana Tertulliano dimostra un profondo scetticismo verso di essa se non addirittura una ostilità arrivando a considerarla come la principale causa delle eresie e definendo i filosofi come «patriarchi degli eretici». A tal proposito, nel suo De praescriptione haereticorum, si domandò: «Che cosa hanno in comune Atene e Gerusalemme? Che cosa l'Accademia e la Chiesa?». È celebre per aver espresso un concetto trinitario rigoroso, anticipando il concilio di Nicea.[18][19][20][21] Contemporaneo di Tertulliano, Marco Minucio Felice scrisse l'apologetico dialogo Octavius, mentre Ippolito di Roma, teologo e primo antipapa, produsse opere dogmatiche e apologetiche. Novaziano, un altro teologo, si concentrò sui comportamenti cristiani durante persecuzioni e potenziali scismi.[22][23][24]
Nel 180, Panteno, filosofo pagano convertito, fondò una Scuola catechetica di Alessandria per formare catechisti e difendere la fede contro eresie e filosofie pagane. La scuola, con i successori Clemente Alessandrino e Origene, giocò un ruolo cruciale nello sviluppo della teologia cristiana. Clemente, rettore della scuola dal 190 al 202, considerò la filosofia un utile strumento per spiegare la fede cristiana, pur affermando che la Rivelazione fosse l'unica verità. Introducendo il concetto di Logos, sostenne che la filosofia servisse a preparare la venuta di Cristo.[18][25][26][27]
Successore di Clemente, Origene guidò la scuola fino al 231, interpretando la Bibbia in modo allegorico e dando vita all'Origenismo. La sua opera De Principiis è una delle prime sistematiche presentazioni della teologia cristiana. Origene propose la redenzione universale, affermando che tutte le creature sarebbero reintegrate nel divino. Trattò anche della Trinità, descrivendo il Figlio come "generato" dal Padre, con una subordinazione che fu considerata eretica. Egli ritenne che Dio fosse incomprensibile e imperscrutabile, superiore a qualsiasi concezione umana.[28][29][30][31]
Il periodo aureo della patristica
[modifica | modifica wikitesto]Il 30 aprile 311, l'imperatore Galerio emanò un editto generale di tolleranza, ponendo fine alle persecuzioni contro i cristiani. Due anni dopo, Costantino I promulgò l'Editto di Milano, un accordo con Licinio che garantiva la libertà di venerare le proprie divinità a tutti i cittadini, inclusi i cristiani, segnando la svolta costantiniana. Con la legittimazione della fede, i teologi cristiani poterono dedicarsi all'evangelizzazione e alla difesa della dottrina contro eresie e devianze. Tra le controversie più gravi vi fu quella generata dal presbitero Ario, che sosteneva che il Figlio di Dio, essendo "generato", non potesse essere considerato Dio allo stesso modo del Padre. La sua dottrina, in contrasto con l'ortodossia, si diffuse rapidamente. Costantino convocò il Concilio di Nicea nel 325 per stabilire il dogma della Trinità, culminando con la condanna dell'arianesimo e la formulazione del credo niceno, affermando che Cristo fosse della stessa sostanza del Padre (Homoousion). Tuttavia, l'arianesimo continuò a prosperare, in particolare in Oriente.[32][33][34]
I tre padri cappadoci sono figure chiave della filosofia cristiana greco dopo il concilio di Nicea. Ispirati da Origine, essi crearono una cultura ellenistica cristiana, apprezzando la tradizione greca e distaccandosi dalla religione pagana. San Basilio (329-379), uomo di grande cultura, fondò un centro monastico e scrisse opere dogmatiche e ascetiche, valorizzando la cultura antica, in particolare quella platonica, per la formazione dei cristiani. Gregorio di Nazianzo, amico di Basilio, difese la dottrina nicena e sottolineò l'impossibilità di descrivere Dio con i nostri concetti. Gregorio di Nissa (335-395), fratello di Basilio, considerò la filosofia greca utile solo se purificata dagli errori profani e presentò i dogmi cristiani in modo sistematico, ispirandosi a Origene.[35] [36][37]
Anche i Padri latini del IV secolo vissero un periodo di grandi cambiamenti, con il cristianesimo che divenne la religione ufficiale dello stato. San Girolamo (347-420) tradusse la Bibbia in latino (Vulgata), mentre Tirannio Rufino tradusse i padri greci.[38] Arnobio (255-327), prima di convertirsi, scrisse un'apologia per chi intendeva avvicinarsi al cristianesimo, mentre Lattanzio (250-325) scrisse le Divinae institutiones, un'opera polemica contro i pagani e a favore della dottrina cristiana.[39][40][41] Ilario di Poitiers (310-367), con il suo De Trinitate, propose una sintesi della dottrina trinitaria, mentre Sant'Ambrogio (339-397), vescovo di Milano, contribuì alla formazione della dottrina cristiana con numerosi scritti. La sua opera De officiis ministrorum si ispira a Cicerone, rielaborando la sua concezione morale in chiave cristiana.[38][42][43]
Nel IV secolo, i filosofi latini iniziarono a utilizzare il platonismo, influenzati dalla fede cristiana, come base per il loro pensiero. Le traduzioni e i commenti delle loro opere su Platone furono cruciali per la diffusione del pensiero platonico nel medioevo, contribuendo allo sviluppo della teologia cristiana. Macrobio (385 circa-430 circa) scrisse un commentario al Somnium Scipionis di Cicerone, radicando il pensiero neoplatonico riguardante Dio e l'anima. Macrobio reinterpretò il mito della caverna di Platone e le idee di Plotino, esprimendo una riflessione sulla mortalità del corpo e l'immortalità dell'anima, che compie un viaggio ciclico tra cielo e terra. L'anima dimentica il suo luogo originario e, attraverso l'illuminazione e la purificazione, può tornare al divino. L'intelligenza, invece, è creata da Dio e contiene tutte le idee, mentre il Bene è la causa prima di tutto.[41][44]
Calcidio (fl. IV secolo) trasmise il neoplatonismo al medioevo con la sua traduzione del Timeo di Platone, offrendo un'interpretazione medio-platonica. Proponeva una dottrina dell'anima come sostanza spirituale razionale, rifiutando la tesi aristotelica.[41][45] Gaio Mario Vittorino (290-364) tradusse opere di Plotino e Porfirio. Inizialmente polemico contro i cristiani, la sua continua lettura delle Sacre Scritture lo portò alla conversione. Divenne un autore prolifico di trattati teologici, di cui solo alcuni sono giunti fino a noi. Nelle sue dispute contro gli ariani, sostenne le tesi nicene affermando che «il Verbo è Dio» e che il Verbo Gesù non è generato da un non-essere, ma è la manifestazione dell'essere in Dio Figlio.[38][46]
Il maggiore esponente della Patristica fu Agostino di Ippona: questi divenne un vescovo neoplatonico, e conciliò la filosofia greca con la fede cristiana riprendendo da Plotino il tema delle tre nature o ipostasi divine (Uno, Intelletto e Anima) e identificandole con le tre Persone della Trinità cristiana (Padre, Figlio e Spirito Santo), ma concependo il loro rapporto di processione non più in senso degradante, ma in un'ottica di parità-consustanzialità.[N 1] Secondo Agostino ci sono dei limiti oltre i quali la ragione non può andare, ma se Dio illuminerà la nostra anima con la fede riuscirà a placare la nostra sete di conoscenza. Agostino riprese da Plotino anche la concezione del male come semplice "assenza" di Dio: esso è dovuto perciò alla disobbedienza umana. A causa del peccato originale nessun uomo è degno della salvezza, ma Dio può scegliere in anticipo chi salvare; ciò non toglie che noi possediamo comunque un libero arbitrio.
Con Agostino emerse tuttavia, su questo punto, una differenza peculiare della filosofia cristiana rispetto a quella greca, nella quale era certamente presente l'idea della contrapposizione tra bene e male, ma era assente la nozione del peccato, per cui non c'era una visione lineare della storia come percorso di riscatto verso la salvezza. Agostino invece ebbe presente come la lotta tra bene e male si svolge soprattutto nella storia. Ciò comportò anche una riabilitazione della dimensione terrena rispetto al giudizio negativo che ne aveva dato il platonismo. Ora anche il mondo e gli enti corporei hanno un loro valore e significato, in quanto frutti dell'amore di Dio. Si tratta di un Dio vivo e Personale che sceglie volontariamente di entrare nella storia umana. All'amore ascensivo tipico dell'eros greco, Agostino affiancò pertanto l'amore discensivo di Dio per le sue creature, proprio dell'agape cristiano.[N 2]
L'ultima patristica
[modifica | modifica wikitesto]Con la morte di Agostino, si conclude il periodo d'oro della patristica antica. L'Impero romano d'Occidente si avviò verso un processo di dissoluzione, che lo portò ad essere sostituito dai regni romano-barbarici, mentre a Oriente l'Impero bizantino continuò a esistere per quasi un millennio, sebbene in un lento declino. Per quasi quattro secoli, le condizioni politiche, sociali ed economiche in Europa ostacolarono lo sviluppo culturale, rendendo rare le opere letterarie dei filosofi cristiani, spesso carenti di originalità. I Padri che vissero in Occidente dal V all'VIII secolo si concentrarono principalmente su traduzioni e commenti, preservando così parte del sapere antico per il medioevo. Nonostante ciò, emersero figure significative che contribuirono allo sviluppo del pensiero cristiano.[47][48]
Severino Boezio (475/477–524/526), magister officiorum del re Teodorico, intraprese il progetto di tradurre le opere di Platone e Aristotele, diventando l'unico intermediario tra la filosofia greca e il mondo latino. Sebbene non producesse contributi originali, il suo De consolatione philosophiae influenzò profondamente il pensiero medievale, introducendo simboli come la "ruota della fortuna" e definendo la filosofia come ricerca di Dio.[49][50] La sua traduzione e commento dell'Isagoge di Porfirio fu fondamentale per introdurre la questione sugli universali che diverrà alcuni secoli dopo un importante tema di ricerca della filosofia scolastica.[51] Gli scritti di Boezio furono fondamentali per i secoli successivi, «i suoi studi sulle arti liberali furono apprezzati proprio per quei motivi per cui la scienza storica moderna li considera opere di non alto livello speculativo, in quanto rappresentano il compendio delle dottrine greche sulla matematica, sulla filosofia e sulla musica. Il medioevo non richiese a Boezio di essere personale e originale, cercò nelle sue opera delle conoscenze che potessero tornare utili e che fossero scientificamente valide e, siccome, le trovò, ebbe di lui un'alta considerazione».[52]
Contemporaneo di Boezio, Benedetto da Norcia stabilì la regola benedettina, introducendo l'idea del progresso attraverso il lavoro manuale, contribuendo anche alla conservazione di testi antichi. Papa Gregorio Magno (circa 540-604) scrisse opere pastorali e liturgiche, come il trattato Cura Pastoralis, importante per il governo ecclesiastico durante le invasioni longobarde.[53][54] Isidoro di Siviglia (560 circa-636) scrisse le Etymologiae sive Origines, una delle prime enciclopedie della cultura occidentale.[55]
A Emesa, nell'attuale Siria e a quel tempo parte dell'impero romano d'Oriente, il vescovo Nemesio scrisse Sulla natura dell'uomo, una delle prime trattazioni sistematiche di antropologia cristiana, integrando conoscenze mediche pagane con la dottrina cristiana.[56] Teodoreto di Ciro (393 circa – 458 circa) difese la fede cristiana contro il paganesimo, collegando le verità cristiane con i filosofi antichi.[57]
Pseudo-Dionigi Areopagita, influenzato dal neoplatonismo agostiniano, elaborò una gerarchia della creazione, sostenendo che l'uomo potesse ascendere a Dio attraverso la teologia negativa e la teologia positiva. Mentre quest'ultima arriva a Dio tramite un progressivo accrescimento di tutte le qualità finite di ogni singolo oggetto, la prima al contrario procede per decrescita e diminuzione fino ad eliminare ogni contenuto dalla mente, poiché Dio, essendo superiore a tutte le realtà possibili e immaginabili, non è identificabile con nessuna di esse. Le sue idee influenzarono profondamente il pensiero scolastico medievale e in particolare su Giovanni Scoto Eriugena che nel 859 tradusse il Corpus areopagiticum.[58][59]
Massimo il Confessore (580-662) è considerato l'ultimo filosofo originale della patristica greca, contribuendo alla cristologia e combattendo le eresie del suo tempo.[60] Giovanni Damasceno, pur non essendo particolarmente originale, raccolse e sistematizzò i testi dei suoi predecessori nella sua opera De Fide Orthodoxa, trattando temi fondamentali della dottrina cristiana.[61][62][63]
L'aristotelismo arabo e giudaico
[modifica | modifica wikitesto]Mentre in Europa si diffondeva il platonismo, durante tutto il Medioevo gli arabi avevano mantenuto viva la tradizione filosofica facente capo ad Aristotele, con commenti e traduzioni del filosofo greco, e sviluppando interessi per le scienze naturali. Si trattava di un aristotelismo penetrato in Medio Oriente attraverso l'interpretazione che ne aveva dato in epoca ellenistica Alessandro di Afrodisia, mescolato con motivi giudaici, cristiani, e soprattutto neoplatonici. In questo sincretismo di culture, favorito dall'espansione araba verso l'Occidente, fiorirono nuovi centri come Baghdad, Granada, Cordova, e Palermo.
Tra le figure più importanti dell'ambito islamico, che cercarono di conciliare l'adesione al Corano con le esigenze della ragione, vi furono Al-Kindi, Al-Farabi, Ibn Bajjah, Avicenna, e Averroè. Avicenna in particolare fu anche medico, autore di un Canone della medicina e del Libro della Guarigione, nei quali si proponeva di far guarire l'anima dall'ignoranza. Influenzato da Plotino, sostenne che il mondo non è creato nel tempo, ma originato per emanazione dall'Uno, secondo un processo di concause che vede Dio generare indirettamente i livelli astrali inferiori, l'ultimo dei quali è l'aristotelico Intelletto Attivo, da lui associato alla Luna. Pur essendone partecipi, i singoli uomini possiedono soltanto un intelletto potenziale.
Averroè invece presuppone che il mondo esista per l'azione diretta di Dio, ma sempre in un contesto fuori dal tempo. Sostenne in un'ottica neoplatonica e con un certo approccio panteistico una corrispondenza tra le Sfere Celesti e la Terra sublunare, ma a differenza di Avicenna separò anche l'Intelletto passivo dalle singole anime umane: per lui l'attività intellettiva, sia agente che potenziale, è unica e identica in tutti gli uomini, e non coincide con nessuno di essi. Sottoponendo a critica tutta la conoscenza, sottolineò come la percezione sensibile abbia bisogno dell'Intelletto Agente per elevarsi all'astrazione, senza il quale essa produce saperi variabili da uomo a uomo. In soccorso deve quindi giungere la religione, che si affianca alla ricerca filosofica riservata invece a pochi. La doppia verità, concetto attribuito erroneamente a lui, è in realtà una semplificazione della sua dottrina, che anzi ebbe presente come le verità di fede e di ragione debbano costituire un'unica sola verità, conoscibile dai più semplici tramite la rivelazione e i sentimenti, e dai filosofi cui spetta invece il compito di riflettere scientificamente sui dogmi religiosi presenti in forma allegorica nel Corano. Tra le numerose opere di Averroè, che spaziano nei campi più svariati, la più imponente fu il Commentario alle opere di Aristotele, che lo rese noto nell'Europa cristiana.[64]
In ambito ebraico, invece, si era avuto già con Filone di Alessandria (I secolo d.C.) un primo tentativo di conciliare la Legge mosaica con la filosofia platonica, tentativo tuttavia che aveva avuto maggior seguito presso i primi cristiani. Sarà con Avicebron, e poi con Mosè Maimonide, che si ha un effettivo confronto tra la fede ebraica e il retaggio culturale greco. Maimonide incentrò la sua riflessione su alcuni princìpi fermi riguardanti l'esistenza di Dio e la sua immortalità. Egli si servì dell'aristotelismo, influenzato anche nel suo caso da numerosi concetti neoplatonici, per conciliare la fede nella Torah e nel Talmud con forme razionali di speculazione filosofica, sostenendo la trascendenza di Dio, la libera volontà umana e divina, e l'origine creazionistica del mondo, ma negando come Averroè l'immortalità dell'anima individuale.
Filosofia nel medioevo europeo
[modifica | modifica wikitesto]L'alto medioevo
[modifica | modifica wikitesto]Nei primi secoli dell'alto medioevo, le condizioni politiche, sociali ed economiche hanno ostacolato un qualsiasi tipo di sviluppo culturale, Tuttavia, con la riorganizzazione politica e il ripristino della pace attuati da Carlo Magno alla fine dell'VIII secolo, si verificò un nuovo rinvigorimento culturale. Carlo ben comprese che per amministrare e cristianizzare il vasto impero che aveva creato necessitava di funzionari istruiti. Così, intorno al 780, affidò ad Alcuino di York il compito di riformare il sistema scolastico, fondando la Schola palatina ad Aquisgrana. Alcuino, nonostante non fosse un filosofo originale, riorganizzò gli studi ponendo le basi per il metodo scolastico medievale.[65][66] Egli immaginò la creazione di una nuova Atene cristiana, che superasse l'antica, ispirandosi alle arti liberali e alle Scritture, e scrisse manuali per ciascuna disciplina, attingendo a vari autori cristiani e pagani.[67] Alla sua morte, altri maestri proseguirono la sua opera, dando vita nel IX secolo a discussioni teologiche su temi come la Trinità, l'Eucaristia e la predestinazione. Tra i più illustri si annoverano Lupo Servato, Pascasio Radberto e Rabano Mauro, quest'ultimo fondamentale per la cultura germanica.[65] Egli commentò opere di Aristotele e Porfirio, influenzando la filosofia del suo tempo.[68] Incmaro di Reims, consigliere di Carlo il Calvo, trattò il tema della giustizia e del governo nel De ordine palatii, influenzato da Gregorio Magno e Agostino d'Ippona.[69]
Alcuino e gli altri maestri furono promotori della rinascita carolingia, sebbene il loro contributo si limitasse principalmente all'organizzazione degli studi e al commento dei pochi classici disponibili nei monasteri. Tuttavia, l'unico pensatore dell'epoca che spiccò per originalità e capacità di sintesi teologica fu Giovanni Scoto Eriugena, che divenne capo della schola palatina intorno all'846-847.[65][70] Eriugena si distinse per la sua opera innovativa e per la rara padronanza del greco antico, che gli consentì di accedere direttamente alle fonti della patristica greca, traducendo e diffondendo opere di autori come Gregorio di Nissa, Massimo il Confessore e lo Pseudo-Dionigi, assorbendo da quest'ultimo il neoplatonismo che reinterpretò in chiave cristiana.[71][72] Secondo Étienne Gilson, Eriugena esplorò il vasto mondo della teologia greca, ma ne rimase sopraffatto, incapace di sviluppare una critica approfondita.[73] Nel corso dell'850, fu incaricato di confutare la teoria della predestinazione proposta da Gotescalco, ma nel farlo arrivò a negare l'esistenza dell'inferno, il che provocò la condanna del suo trattato De predestinatione come eresia durante il concilio di Valenza. Riuscì a evitare conseguenze grazie alla protezione di Carlo il Calvo.[70][74][75]
Nella sua opera più significativa, il De Divisione naturae, Eurigena elaborò una teoria del divino ispirata al neoplatonismo, integrata con il concetto cristiano di Dio come creatore. Secondo Eriugena, Dio è l'unica realtà e tutto proviene da Lui, ritornandovi. Egli divide l'essere divino in quattro parti: la natura non creata e creante, la natura creata e creante, la natura creata e non creante, e la natura non creata e non creante.[65][76][77] Questo pensiero cosmologico sostenne anche l'ordinamento gerarchico del sistema feudale carolingio, riflettendo una corrispondenza tra l'ordine sociale e quello celeste, con la preminenza del potere spirituale su quello temporale.[78]
Dopo la morte di Carlo il Calvo nell'877, la dissoluzione dell'impero carolingio, iniziata con il Trattato di Verdun (843), accelerò. Le invasioni di Normanni, musulmani e Ungheri e i conflitti interni in Francia provocarono instabilità politica e il declino delle strutture sociali. Questo contesto compromise i risultati della rinascita carolingia: le scuole chiusero e solo i monasteri benedettini riformati rimasero centri culturali. I pochi autori dell'epoca, come Remigio di Auxerre, si concentrarono più sulla preservazione del sapere che su nuove idee filosofiche.[79]
La situazione migliorò sotto il regno di Ottone I di Sassonia, che inaugurò la rinascita ottoniana. I principali esponenti di questo periodo furono Abbone di Fleury e Gerberto di Aurillac, futuro papa Silvestro II. Abbone insegnava presso l'Abbazia di Fleury, una delle poche scuole dove si studiavano grammatica, dialettica e aritmetica.[80] Gerberto, formatosi nella Spagna islamica, era esperto di retorica, logica e del quadrivio, interessandosi anche ad aritmetica, astronomia e musica.[81]
XI secolo: dialettici, antidialettici e Anselmo d'Aosta
[modifica | modifica wikitesto]L'anno 1000 segna tradizionalmente il passaggio dall'alto al basso medioevo, con un significativo cambiamento in Europa a partire dall'inizio dell'XI secolo. La situazione politica continuò a stabilizzarsi, mentre le favorevoli condizioni meteorologiche del "periodo caldo medievale" favorirono l'agricoltura e la crescita della popolazione. I centri urbani, precedentemente abbandonati, si ripopolarono, dando vita a nuovi ceti sociali che stimolarono l'economia, la religione e la cultura. La relativa sicurezza riavviò i commerci e gli spostamenti. Dopo anni di decadenza morale, la Chiesa cattolica andò incontro a una profonda riforma, riacquistando spiritualità e affrontando con successo il potere temporale nella "lotta per le investiture".[82]
Nel campo del pensiero, il nuovo millennio si aprì con una disputa incentrata sul valore e sull'uso della dialettica, ossia l'arte del ragionamento e del dibattito logico, per risolvere questioni filosofiche e teologiche. I dialettici ritenevano che la dialettica fosse uno strumento fondamentale per comprendere e argomentare i misteri della fede e della realtà. D'altra parte, gli antidialettici erano scettici riguardo al suo ricorso per trattare questioni religiose, sostenendo che la fede non potesse essere ridotta a mere formule logiche e che le verità divine trascendessero la capacità umana di ragionamento. A loro avviso, la dialettica rischiava di condurre a sottigliezze inutili e a deviazioni dal vero spirito della religione. La disputa tra dialettici e antidialettici fu centrale nello sviluppo della filosofia medievale e del suo modo di relazionarsi con la teologia, creando un equilibrio tra fede e ragione, tra approccio logico e intuizione spirituale.[72][83]
Tra gli antidialettici si distinse Pier Damiani, che rifiutava il valore del ragionamento logico, affermando la superiorità di Dio non solo sulle leggi naturali, ma anche su quelle logiche e su qualsiasi consuetudine umana. Secondo Damiani, Dio può compiere anche azioni che appaiono contraddittorie alla ragione, essendo il creatore della natura e libero da ogni vincolo.[84] Tra gli altri antidialettici, vanno ricordati anche Gerardo di Csanád, Otlone di Sant'Emmerano e Manegoldo di Lautenbach che arrivò, in un trattato scritto nel 1085, a sostenere che la filosofia, e quindi la ragione, avesse fallito.[83][85] Il dialettico di maggior successo dell'XI secolo fu Berengario di Tours, protagonista di una grave disputa teologica. Applicando i principi della dialettica e della razionalità alla teologia, Berengario mise in discussione la dottrina della transustanziazione, sostenendo che il pane e il vino nell'Eucaristia non si trasformassero realmente nel corpo e sangue di Cristo, ma che la presenza di Cristo fosse simbolica. Nonostante la sua fama, la sua posizione eucaristica fu condannata ufficialmente in vari sinodi e concili che lo costrinsero a ritrattare le sue idee più volte. Molti furono coloro che polemizzarono contro Berengario, tra cui Adelmanno di Liegi, Algero di Liegi, Alberico di Montecassino e, soprattutto, Lanfranco di Canterbury, quest'ultimo celebre anche per essere stato il maestro di Anselmo d'Aosta, il più importante filosofo del secolo.[83][86][87]
Anselmo d'Aosta, monaco benedettino e arcivescovo di Canterbury, è una figura di rilievo nel pensiero medievale cristiano e viene considerato l'antesignano della Scolastica,la filosofia cristiana protagonista dei tre secoli successivi, se non addirittura il «Padre». La sua teologia si basa sulla ricerca di una sintesi tra fede e ragione, seguendo le tradizioni platonica e agostiniana.[88][89][90] Le sue opere principali, il Monologion e il Proslogion, trattano la dimostrazione dell'esistenza di Dio. Nel Monologion, Anselmo argomenta a posteriori l'esistenza di un Essere supremo come fondamento di ogni cosa, mentre nel Proslogion presenta una prova ontologica a priori, in base alla quale Dio è l'Ente massimo di cui non si può pensare nulla di più grande; chi nega che a questo concetto dell'intelletto corrisponda una realtà, necessariamente si contraddice, perché allora si potrebbe pensare che l'Ente massimo sia minore di qualcosa ancora più grande che abbia anche l'esistenza.[N 3][91][92][93] Questa prova ha suscitato sia consensi che critiche; il monaco Gaunilone oppose una confutazione, a cui Anselmo rispose con il Liber apologeticus adversus respondentem pro insipientem.[94][95] Anselmo trascorse gli ultimi anni della sua vita impegnato in attività politiche durante la riforma gregoriana e nella scrittura. In uno dei suoi testi più celebri, Cur Deus homo, spiega come Dio, pur non potendo l'uomo riparare il peccato di Adamo ed Eva, si sia riconciliato con l'umanità facendosi uomo. Anselmo concluse la sua ricerca intorno a Dio riflettendo sulla natura e l'origine dell'anima, mantenendo fede al programma agostiniano di conoscere Dio e l'anima.[96][97]
Rinascita del XII secolo e la Scolastica medievale
[modifica | modifica wikitesto]Il XII secolo è stato un periodo storico caratterizzato da un profondo rinnovamento del mondo della cultura e da una fioritura delle arti e delle lettere grazie agli stimoli provenienti da un contesto di prosperità demografica ed economica senza precedenti, tanto che si usa parlare di "Rinascimento del XII secolo. L'evoluzione dei centri urbani, intanto, favorita da una concezione del lavoro rivolta alla costruzione del benessere comune e incentrata sull'opera della collettività, portarono i filosofi medioevali sempre più stabilire le proprie sedi nelle scuole annesse alle cattedrali, antesignane di quelle che nel secolo successivo saranno le Università nel Medioevo.[98]
E proprio all'interno di queste scuola nacque e si sviluppò la cosiddetta "filosofia scolastica". Con questo termine intendiamo generalmente, nelle parole della storica Sofia Vanni Rovighi, proprio «la filosofia e la teologia che venivano insegnate nelle scuole medievali» sebbene esso sia stato coniato dagli umanisti con una connotazione negativa in quanto associata ad una idea «di filosofia pedante e astrusa, che si perdeva in sottigliezze dialettiche, estranea al mondo e servilmente dipendente dalla teologia». Bisognerà aspettare la storiografia del XX secolo perché venisse «rivendicata al Medioevo una essenziale pluralità nella ricerca filosofica, una ricchezza e una varietà della speculazione dei maestri che sfuggono a ogni tentativo di ridurle a uniformità».[99][100]
Con il loro metodo basato sulla quaestio seguita dalla disputatio e facendo uso dei testi antichi a loro disposizione, gli scolastici concentrarono i loro studi principalmente sul rapporto tra ragione e fede, sulla natura di Dio, sulle prove della sua esistenza. Grande dibattito suscitò all'interno della scolastica la cosiddetta disputa sugli universali. La questione riguardava se i concetti universali, come "umanità" o "giustizia", fossero semplici idee mentali o entità reali. Questa disputa influenzò profondamente la metafisica, l'epistemologia e la teologia medievali, segnando il pensiero scolastico e la filosofia occidentale successiva. Diverse furono le soluzioni proposte, di cui si possono tratteggiare le principali. I realisti, a cui si possono già assegnare Scoto Eriugena e Anselmo d'Aosta, consideravano gli universali all'interno della realtà stessa, come sua essenza reale (in re); i nominalisti, Roscellino ne fu un esempio portato all'estremo, ne negavano qualsiasi realtà all'universale che per essi è dunque un semplice nome (ante rem, cioè esistono prima della realtà, nella mente di Dio).[51][101]
Tra gli istituti di nuova formazione acquistò notevole prestigio la scuola di Chartres, che si richiamava al pensiero neoplatonico di Agostino d'Ippona e di Boezio nonché all'importanza dell'insegnamento delle sette Arti Liberali. Fondata alla fine dell'XI secolo dal vescovo Fulberto, giunse al suo massimo splendore sotto la guida di eminenti pensatori come Bernardo di Chartres, Gilberto Porretano, Teodorico di Chartres e Guglielmo di Conches. Nell'ambito della disputa sugli universali gli scolastici di Chartres sostennero che le idee sono del tutto a priori, essendo creature del Padre, mentre sul piano cosmologico seguirono l'interpretazione data da Calcidio al Timeo di Platone, identificando lo Spirito Santo con la platonica Anima del mondo.[102][103][104][105][106]
Della disputa sugli universali si inserì anche il celebre Pietro Abelardo, più favorevole al concettualismo, dando luogo a una discussione che fu il tratto caratteristico della Scolastica, protraendosi per vari secoli.[107] Anima tormentata, noto per le sue dispute e per la tragica relazione con Eloisa, si concentrò su logica, teologia ed etica. La sua opera più celebre, il Sic et non, mette a confronto sentenze dei Padri della Chiesa su problemi teologici, ridimensionandone l'autorità. Nel dubbio vedeva lo stimolo per la ricerca e la conoscenza della verità, enfatizzando nel contempo l'importanza della ragione. Il pensiero di Abelardo riguardo al rapporto tra fede e ragione può essere sintetizzato in una sua iconica frase: «non si può credere in nulla se prima non lo si è capito».[108] L'idea di applicare la dialettica (intesa da lui come ragionamento razionale) ai temi sacri e agli scritti dei Padri (che potevano essere così confutati), lo portarono a subire diverse condanne, tra cui quella al concilio di Soissons e al concilio di Sens, dove fu accusato di eresia.[109][110]
Tra i più accaniti avversari di Abelardo vi fu il cistercense Bernardo di Chiaravalle, una delle figure più importanti della mistica medievale. Bernardo osserva con sospetto l'eccessivo uso della ragione da parte di Abelardo e di altri pensatori, pur non arrivando a condannare del tutto la ricerca razionale. Egli ritiene comunque che la ragione sia nettamente inferiore rispetto alla via contemplativa. Nei suoi scritti, Bernardo descrive i passi necessari per raggiungere la verità e l'ascesi attraverso la povertà, la contemplazione e la preghiera, ritenendo queste le uniche risorse capaci di allontanare l'uomo dalla sua condizione peccaminosa. San Bernardo vedeva l'amore divino come un processo di trasformazione interiore, in cui l'anima può elevarsi gradualmente fino all'unione mistica con Dio, superando il mondo materiale e le passioni. Un elemento fondamentale di questo cammino è la moralità della vita, che si manifesta sia nell'intenzione di perseguire il bene, sia nell'agire in conformità con l'ordinamento divino. In questo, Bernardo si oppone ad Abelardo, il quale dava maggiore importanza alla sufficienza della sola intenzione. Nonostante il suo approccio critico alla ragione, Bernardo sviluppò comunque alcune dottrine filosofiche, concentrandosi soprattutto sulla figura di Dio, che egli definisce "colui che è", il principio dell'essere di ogni cosa.[111][112]
Se Bernardo fu certamente il più grande mistico del suo tempo, accanto a lui vi furono altri mistici che contribuirono allo sviluppo della spiritualità medievale. Tra questi, figure come Guigo II, Guglielmo di Saint-Thierry, Aelredo di Rievaulx, Isacco della Stella e Alchero di Chiaravalle contribuirono ad arricchire la tradizione mistica con prospettive e pratiche diverse tutte guidate dall'importanza della contemplazione e della preghiera.[113][114]
Una via di mezzo tra ricorso alla ragione e misticismo, venne trovata nella scuola di San Vittore. Fondata intorno al 1110 da Guglielmo di Champeaux, maestro nonché avversario di Abelardo che, in seguito alle critiche del suo ambizioso allievo era stato costretto a cambiare posizione,da realista a nominalista, sulla questione degli universali. I maestri della scuola che si susseguirono, come Ugo di San Vittore, cercarono di armonizzare ragione e fede, promuovendo la contemplazione e lo studio scientifico, ma subordinando tutto alla preghiera. Nel suo Didascalicon, Ugo presenta una sistematizzazione del sapere, considerando lo studio un mezzo per comprendere Dio, ma sempre subordinato alla preghiera mentre nel De sacramentis christianae fidei, approfondisce la dottrina cristiana, trattando i sacramenti come segni visibili delle realtà divine.[115][116][116] Riccardo di San Vittore enfatizzò l’importanza della meditazione come percorso verso la contemplazione, ma riteneva che la ragione e la fede potessero coesistere e che anzi la prima potesse essere funzionale alla seconda. Rifiutava, invece, lo studio delle arti profane e la dialettica fine a se stessa.[117][118][119] Di posizioni più estreme Gualtiero di San Vittore che criticò l’eccessivo razionalismo, preferendo una teologia più spirituale. Nella sua opera più famosa, Contra quatuor labyrinthos Franciae, attaccò quattro pensatori contemporanei, Abelardo, Gilberto di Poitiers, Pier Lombardo e Guglielmo di Conches, che riteneva allontanassero la teologia dalla contemplazione spirituale a favore di un approccio razionale. Per Gualtiero, la filosofia doveva essere subordinata alla fede e alla tradizione.[120]
Nel XII secolo, si sentì l'esigenza di ordinare la dottrina cattolica e le interpretazioni dei Padri della Chiesa. Un esempio fu il lavoro di Anselmo di Laon, ma fu Pier Lombardo con i suoi Libri Quattuor Sententiarum a raggiungere il massimo successo. Quest'opera, pur non essendo originale, raccolse varie dottrine e testi, equilibrando ragione e fede, con un forte riferimento a Sant'Agostino diventando un testo centrale nelle università del XIII secolo. Giovanni di Salisbury studiò a Parigi, dove assorbì le influenze della dialettica scolastica.[121] È conosciuto per due opere principali: il Policraticus, che sostiene la superiorità della Chiesa sullo Stato, e il Metalogicon, che difende lo studio delle arti liberali e della logica. Giovanni critica chi svaluta la ragione, enfatizzando l'importanza di un'educazione solida per la virtù e la conoscenza, ma disapprova anche l'uso superficiale della logica.[122]
Riscoperta dell'aristotelismo nel XIII secolo
[modifica | modifica wikitesto]All'inizio del XIII secolo, l'Europa attraversava un periodo di profonda trasformazione economica, sociale e culturale: le crociate aveva espanso i contatti con il mondo arabo, il vecchio sistema feudale iniziava a lasciare spazio alla nascita degli Stati nazionali, il papato raggiungeva l'apice del suo potere sotto papa Innocenzo III mentre nascevano e si diffondevano gli ordini mendicanti.[123] A Bologna e a Parigi studenti e professori iniziarono ad associarsi spontaneamente, dando origine alle prime università medievali.[124][125][126]
Intorno agli anni 1210, si assistette ad un recupero delle opere di Aristotele nell'Occidente latino grazie alla circolazione delle traduzioni dei commenti dei filosofi arabi Avicenna e Averroè. Il secondo, in particolare, presentava un aristotelismo più "vero" ossia non mediato e accordato alla dottrina monoteistica islamica. La diffusione sostanzialmente integrale della quasi totalità delle opere di Aristotele ebbe effetti dirompenti nella società del tempo. Da una parte si assistette ad un rilancio dello studio della natura, da secoli relegato ad una nicchia costituita da maghi e alchimisti, che divenne disciplina ufficiale basata su osservazioni e sperimentazioni, ma dall'alta parte destò non poche preoccupazione poiché vi erano non pochi aspetti non compatibili con la dottrina cristiana, soprattutto riguardo alla natura dell'anima, all'eternità del mondo e alla casualità. L'obbiettivo perseguito dai filosofi scolastici era sempre stato quello di armonizzare fede e ragione ma ora questa sfida sembrò complicarsi enormemente sotto la nuova prospettiva tanto da spingere l'università di Parigi a vietare la lettura in pubblico o in privato di gran parte dei testi o dei commenti di filosofia naturale di Aristotele. Una commissione venne nominata per il controllo e la selezione dei testi ammessi.[127][128][129]
Ma siccome che per correggere, selezionare e eventualmente confutare le tesi di Aristotele era necessario prima conoscerle, il lavoro della commissione finì per contribuire spontaneamente alla diffusione e all'assimilazione del pensiero aristotelico nella cultura cristiana.[130] Gli esisti di questa assimilazione furono, tuttavia, diversi. Guglielmo d'Auxerre, tra i primi scolastici a cimentarsi con il pensiero aristotelico, pur non opponendosi alle sue tesi, preferì la mediazione di Avicenna tentando di coordinarla con la dottrina cristiana.[129] Alessandro di Hales cercò invece di integrare alcuni principi aristotelici sebbene rifiutando di aderire al sistema nel suo complesso e preferendo rimanere legato al neoplatonismo tradizionale.[129][131] Roberto Grossatesta ne fu un forte critico «affermando la necessità di un ritorno all'agostinismo per preservare e rinnovare la tradizione scolastica». Tuttavia lo studio di Aristotele lo portò a confrontarsi con la natura.[132][133] Ruggero Bacone, discepolo di Grossatesta, fu uno dei primi a commentare i libri di fisica e metafisica di Aristotele all'Università di Parigi; per lui era necessario approcciarsi alle opere classiche, sia pagane che cristiane, con senso critico e, se necessario, correggendo gli errori. Questa posizione, lontana dalla tradizionale passiva accettazione dell'auctoritas fu tra le prime a gettare le basi di quello che sarà il metodo scientifico e l'empirismo.[134][135] Di Guglielmo d'Alvernia, teologo e consigliere di re Luigi XII, è stato detto che «nessuno ha utilizzato Avicenna più di lui e nessuno ha combattuto Avicenna più di lui».[136] Raimondo Lullo criticò Averroè e sostenne che la fede potesse essere dimostrata logicamente. Nel suo trattato Ars generalis, propose la logica come scienza universale e base di tutte le conoscenze.[137]
La discussione riguardante l'aristotelismo venne affrontata anche all'interno dei due grandi ordini mendicanti del tempo, francescani e domenicani, con approcci ben diversi. Se i primi si dimostrarono cauti rispetto alle tesi che potevano contraddire la dottrina cristiana, preferendo una dottrina più tradizionale, i secondi tentarono di armonizzare in modo sistematico la filosofia aristotelica con la teologia cristiana. Tra i francescani, Bonaventura da Bagnoregio si distingue per il suo approccio particolarmente complesso nei confronti di Aristotele.[138] Da una parte riconobbe il valore speculativo e l'attenzione verso lo studio della natura, ma dall’altra ne respinse l'impostazione generale poiché ritenuta avversa, alla verità cristiana. Preferì dunque la tradizionale visione platonico-agostinana in quanto permetteva una piena conciliazione tra filosofia e teologia.[139] Centrale per Bonaventura il tema agostiniano dell'illuminazione divina, sia pure riservato ai soli concetti spirituali.[140]
Il domenicano Alberto Magno fu invece tra i primi a considerare il pensiero di Aristotele come «un patrimonio da assimilare, e non come una dottrina da conoscere solo per meglio combatterla». L'incompatibilità con la dottrina cristiana venne da lui risolta introducendo una distinzione fra l'ambito della fede, di cui si occupa la teologia, e quello della scienza, in cui opera la ragione, pur cercando sempre un punto di incontro tra questi due campi. Alla fede, Alberto, assegnò Agostino come massima autorità, e alla scienza Aristotele, accolto però sempre da un punto di vista critico. Seguendo il lavoro di Aristotele, Alberto si occupò anche delle discipline scientifiche. Tra i suoi scritti si trovano diverse osservazioni originali sul mondo animale, vegetale e minerale, tanto che si può considerare come «uno dei pochissimi autori medievali che si avvicinò a una effettiva osservazione della natura».[141]
Tommaso d'Aquino
[modifica | modifica wikitesto]Discepolo di Alberto fu Tommaso d'Aquino, il quale analogamente, di fronte all'avanzare dell'aristotelismo arabo che sembrava voler mettere in discussione i capisaldi della fede cristiana, mostrò che quest'ultima non aveva nulla da temere, perché le verità della ragione non possono essere in contrasto con quelle della Rivelazione, essendo entrambe emanazione dello stesso Dio. Tommaso riuscì così a costruire un tale «sistema di sapere mirabile per logica e trasparenza organica connessione» tra il pensiero aristotelico e quello platonico-agostiniano grazie al quale «l'aristotelismo diventa docile e flessibile alle esigenze della speculazione cristiana; e non per mezzo di espedienti occasionali o di adattamenti artificiali (secondo il metodo di Alberto Magno) ma in virtù di una riforma radicale del sistema».[142][143][144]
Conciliando l'aristotelismo con la Rivelazione cristiana, Tommaso, creò un imponente sistema che tentava di stabilire un accordo tra ragione e fede sperandone gli ambiti che fino ad allora erano generalmente considerati sovrapposti. Alla base di tutto ciò vi era la certezza che essendo entrambe dono di Dio e quindi vere, non può esserci contraddizione tra di loro e se ve ne sono queste sarebbero soltanto apparenti.[145] Nel lavoro speculativo di Tommaso centrale fu la ricerca di Dio, poiché solo grazie a lui «tutto si unifica e acquista luce e coerenza». La sua esistenza è da lui dimostrata attraverso "Cinque vie", cinque argomenti cosmologici in buana parte ispirati dalla cosmologia aristotelica, che descrive nella Summa Theologiae, la sua opera fondamentale, cioè una forma letteraria basata su un metodo di lezione.[146][147][148]
Sebbene il "tomismo" fu accolto talvolta con diffidenza dai suoi contemporanei, dopo la seconda metà del XV secolo il prestigio di Tommaso aumenterà a tal punto da essere oggi considerato «il filosofo ufficiale della Chiesa» nonché il «maggiore pensatore del medioevo e il più grande filosofo cristiano della storia».[149]
Tra il XIII e XVI secolo
[modifica | modifica wikitesto]Verso la fine del XIII secolo in Europa emersero due correnti di pensiero contrapposte. Una, nota come "averroismo", proponeva una lettura radicale delle opere di Aristotele negando la necessità di un conciliazione tra fede e ragione a favore della seconda; e una seconda, opposta e reazionaria, che invece chiedeva un ritorno alla tradizione dei Padri e per questo chiamata "agostinismo".[150] L'idea fondamentale dell'Averroismo fu quella della "dottrina della doppia verità". La verità filosofica era quella le cui conclusioni possono essere raggiungibili mediante la ragione e l'indagine razionale, mentre quella religiosa trovava il suo basamento nelle Sacre Scritture e sugli insegnamenti della Chiesa comprendendo anche elementi soprannaturali che sfuggono alla comprensione razionale.[151] Sigieri da Brabante, esponete tra gli averroisti, arrivò a conclusioni che contrastavano con la fede cristiana ma giustificò asserendo che queste fossero frutto del suo lavoro come filosofo ma come credente egli accettava le verità religiose. Ad esempio, egli sostenne l'eternità del mondo e il determinismo dei fenomeni naturali negando così la libertà umana.[152][153] Per Boezio di Dacia, il pensiero filosofico era l'unico bene supremo accessibile pienamente all'uomo e che attraverso la ragione l'uomo poteva solo tentare di avvicinarsi alla conoscenza di Dio, bene sommo ma parzialmente sfuggevole all'esperienza umana.[154] All'opposto, tra i maggiori rappresentanti del movimento agostinianoo, vi furono Giovanni Peckham, che esaltava la spiritualità dell’anima;[155] Ruggero Marston, con il suo radicale rifiuto dei filosofi pagani; e Matteo d'Acquasparta che operò un recupero della teoria agostiniana della conoscenza sensibile come attività dell’anima.[156]
La fiducia riguardo alla possibilità della ragione umana di indagare i misteri della fede, ovvero la base della scolastica medievale, iniziò a essere messa in crisi a partire dal Trecento, quando il filosofo scozzese Duns Scoto affermò che esiste un limite che non può essere esplorato dalla filosofia e oltre il quale la ragione non può andare.[157][158] Il filosofo scozzese criticò la possibilità di accettare le dimostrazioni a posteriori, ritenendo che fossero valide solo quelle a priori, confutando così la possibilità di dimostra l'esistenza di Dio tramite argomenti razionali come avevano fatto molti filosofi cristiani, tra cui lo stesso Tommaso d’Aquino prima di lui.[159] Un certo recupero del rapporto tra religione e filosofia sia ha però quando Scoto dimostra di essere un sostenitore dell'univocità dell'essere. In questo contesto sollevò il problema dell'haecceitas, ossia dell'essenza che determina un particolare oggetto in un certo modo rendendolo "questo qui" (hic et nunc), Scoto sostenne che degli universali posti all'origine delle singole realtà non si può dire nulla, essendo impossibile stabilire il perché del loro essere così e non diversamente.[157][160] Chiamato il "dottor Sottile" per le sue argomentazioni raffinate e ricche di distinzioni, Duns Scoto si può considerare "un ponte" tra l’età dell’oro e il declino della scolastica. Da un lato, «la sua sintesi filosofico-teologica fu, accanto a quelle di San Bonaventura e di San Tommaso, una delle più notevoli sistemazioni del pensiero medievale»; dall'altro, anticipò la frammentazione e la complessità che segneranno la crisi della scolastica nel XIV secolo.[161][162]
Gli ultimi sviluppi del pensiero medievale
[modifica | modifica wikitesto]La distinzione tra fede e ragione proposta da Scoto venne ulteriormente radicalizzata dal francescano Guglielmo di Occam e questo fece di lui "ponte" dalla filosofia medievale verso quella moderna. Fu, infatti, tra i primi ad affermare con forza l'incapacità del pensiero razionale di indagare sui misteri della fede e quindi a porre una netta scissione tra filosofia e teologia, ponendosi con «atteggiamento laico, ma non laicista».[163][164][165][166] Per Occam fede e ragione sono nettamente distinte e non sovrapponibili. Egli riteneva che la ragione fosse limitata alle realtà naturali e non potesse dimostrare le verità della fede, come l'esistenza di Dio, che per lui non è oggetto di conoscenza razionale ma solo di fede.[167][168][169][170] Basandosi su una concezione riduzionista del sapere (all'origine del suo famoso rasoio, che postula: «Non moltiplicare gli enti oltre il necessario»), Occam criticò i concetti di causa e di sostanza, da lui giudicati metafisici, in favore di un approccio empirico alla conoscenza.[171][172][173] Il principio riduzionista (o "di economicità") interessò anche la disputa sugli universali dove Occam si posizionò chiaramente a favore del nominalismo. Per lui gli universali non sono reali bensì solo nomi che esistono esclusivamente nell'intelletto umano.[174][175]
Il radicale cambiamento di prospettiva apportato da Occam alla filosofia, basato sull'osservazione e sulla logica, inaugurò una nuova percezione dello studio della natura destinata a durare per circa due secoli e che contribuì significativamente alla successiva rivoluzione scientifica e alla nascita del pensiero scientifico. Le teorie naturalistiche di Aristotele furono messe per la priva volta sottoposte a severe analisi che ne misero in discussione persino i principi fondamentali.[176][177] Tra gli allievi di Occam, Giovanni Buridano fu un attento osservatore della natura e il primo a concepire la forza di inerzia come spiegazione per il movimento dei corpi arrivando a formulare la teoria dell'impeto.[178] Nicola d'Oresme fornì un notevole contributo nell'astronomia anticipando alcune delle conclusioni di Copernico. Alberto di Sassonia partì dalle teorie di Buridano per dimostrare il movimento degli astri nel cielo senza, tuttavia, superare il tradizionale sistema geocentrico.[179] Nicola d'Autrecourt sviluppò una visione atomistica del mondo, rifiutando la concezione aristotelica della continuità della materia. Propose anche una revisione radicale del concetto di causa-effetto.[180][181]
L'affermarsi di una netta separazione tra fede e ragione ebbe dei riflessi anche sulla società e sulla politica del tempo. Già con Guglielmo di Occam era emersa l'idea che potere spirituale e temporale dovessero essere disgiunti negando nel contempo al papato il potere assoluto.[182] Anche iI celebre poeta Dante Alighieri, nel suo De Monarchia, arrivò a conclusioni simili.[183][184] All'opposto Egidio Romano riprese le teorie politiche agostiniane rivendicando la Plenitudo potestatis come proprietà costitutiva dell'autorità papale. Per lui, il Papa, dovrebbe esercitare la sua sovranità anche sul potere temporale al fine di garantire l'ordine.[185] L'occamismo politico venne ripreso anche da Giovanni di Jandun, un radicale sostenitore della lettura averroista di Aristotele, e soprattutto dal suo collaboratore Marsilio da Padova che nel suo Defensor pacis, pubblicato nel 1324, offrì una critica radicale all'autorità pontificia, sostenendo la supremazia del potere laico e la netta separazione tra Stato e Chiesa. Per Marsilio, la sovranità risiede nel popolo, che attraverso la legge esprime la volontà collettiva. La Chiesa, al contrario, deve limitarsi al suo ruolo spirituale, senza interferire negli affari politici. Rifiutò, inoltre, il centralismo papale preferendo invece la teoria del conciliarismo. Il pensiero politico di Marsilio rappresne3tò uno dei momenti cruciale nella transizione dal Medioevo all'età moderna.[186]
In Germania, intanto, Meister Eckhart poneva le basi della mistica speculativa tedesca, accentuando per parte sua il carattere misterioso e imperscrutabile di Dio, elaborando una teologia negativa radicalmente apofatica. Mosso dal bisogno di trovare una giustificazione alla fede ora che gli elementi razionali erano venuti meno Eckhart, riprendendo concetti neoplatonici, propose una dottrina che ruota intorno al concetto di "nascita di Dio nell'anima". Secondo questa visione. Dio si manifesta interiormente nell'uomo, consentendo all'anima di riconnettersi alla sua origine divina. Questo processo richiede un distacco completo dal mondo materiale e una "desoggettivazione" che porta all'unione con l'Uno.
Ockham è considerato l'ultimo grande scolastico, dopo di lui non si annoverano più né grandi sistemi organici né personalità di spicco. I filosofi successivi peccano di originalità limitandosi perlopiù al sostegno o al semplice sviluppo delle correnti iniziate dai loro maestri che monopolizzano la scena, ovvero scotismo, tomismo e occamismo. La strenua difesa di questa o quella dottrina portò a dispute, spesso sterili e prive di contenuti sostanziali, finalizzate più a esibire la propria finezza di pensiero che a esprimere un'autentica volontà di ricerca intellettuale e spirituale.[187] In un contesto in cui la scolastica mostrava di aver terminato la sua fase creativa e sistematica, emerse il più dinamico ambiente culturale legato all'Umanesimo con il suo approccio anti-dogmatico, storicizzante, razionalista in cui l'uomo e la sua ragione erano poste al centro. Le università persero la loro centralità come fucina del pensiero che invece trovò nelle corti e nei centri urbani il luogo dove prosperare. La filosofia divenne più legata alla vita pratica e alla politica mentre la sempre maggior spaccatura tra ragione e fede aprì la strada alla scienza moderna e alla Riforma protestante. Con il XV secolo però la società medievale era oramai al tramonto e l'Europa si apriva alla filosofia rinascimentale e moderna.[188]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- Esplicative
- ^ Prima di Agostino, la tesi di un'unica Sostanza in tre Persone era già stata stabilita dal Concilio di Nicea. Anche Origene Adamantio e Gregorio Nazianzeno avevano sostenuto come il rapporto che legava il Padre al Figlio e allo Spirito Santo non era di subordinazione ma di parità.
- ^ Agostino utilizza il termine latino caritas per indicare l'agape cristiano, ad esempio in Meditazioni, V, 4, o nel Commento al Vangelo di Giovanni, 65, 1, dove parla dell'amore come attributo di Dio, e non più solo dell'uomo, che «ci rinnova, rendendoci uomini nuovi, eredi del Testamento Nuovo, cantori del cantico nuovo» (Opere di sant'Agostino, a cura di Agostino Trapè, Nuova Biblioteca Agostiniana [= NBA], Città Nuova, p. 1141).
- ^ «O Signore, tu non solo sei ciò di cui non si può pensare nulla di più grande (non solum es quo maius cogitari nequit), ma sei più grande di tutto ciò che si possa pensare (quiddam maius quam cogitari possit) [...]. Se tu non fossi tale, si potrebbe pensare qualcosa più grande di te, ma questo è impossibile» (Anselmo d'Aosta, Proemio e nn. 1.15: 226; 235).
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Collegamenti esterni
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