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Terremoto di San Ginesio
Data12 marzo 1873
Ora20:04 (GMT/UTC+1)
EpicentroMorello, San Ginesio (MC)[1][2]
43°05′20.4″N 13°16′44.4″E
Stati colpitiItalia (bandiera) Italia
Intensità MercalliIX (distruttiva)
MaremotoNo
Mappa di localizzazione: Italia
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Posizione dell'epicentro

Il terremoto di San Ginesio del 1873, citato in letteratura scientifica come terremoto delle Marche meridionali, fu un terremoto avvenuto il 12 marzo 1873 nella località Morello di San Ginesio, in provincia di Macerata.

Durante la nottata i sismografi registrarono il verificarsi di un terremoto di grande magnitudo della scala Mercalli. Il sisma risultò inquadrabile unicamente in una zona ristretta dell'Italia, tra San Ginesio (comune dell'epicentro) e Camerino.[3] Nonostante ciò, le osservazioni macrosismiche furono avvertite da 196 paesi, 185 italiani, 8 croati, 2 sloveni e 1 svizzero.[4]

I danni provocati

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San Ginesio e Camerino

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Rispetto a gli altri colpiti, il Comune di San Ginesio, all'epoca abitato da 1655 persone, fu il maggiore a subire danni: la località Morello, una frazione abitata da 6 famiglie circa venne completamente rasa al ruolo e venne colpita da un vasto incendio,[5] nel centro storico crollarono parti di 70 case e della chiesa di San Francesco, le chiese di di San Tommaso e Barnaba e la Pieve Collegiata subirono alcuni danni, una famiglia rimase bloccata sotto le rovine della propria abitazione, uscendone però salvi e altri crolli e gravi danni si verificarono in tutto il territorio del contado.[6][7][8]

Nello stesso tempo a Camerino, il secondo paese più danneggiato, il terremoto causò danni diffusi in tutta la zona dell'abitato, colpendo maggiormente le case coloniche della campagna: si aprirono mostrando gravi lesioni, i comignoli dei tetti crollarono e la chiesa di Sant'Antonio crollò parzialmente e successivamente fu necessario abbatterla per evitare danni alle abitazioni vicine. Altre strutture subirono danni, tra cui le chiese di Santa Maria in Via e di Sant'Angelo, il convento di San Carlo, l'asilo, l'università e la prefettura.[5][6][9]

Provincia di Macerata

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Un'altra località gravemente colpita, oltre a San Ginesio e Camerino, fu San Marco, situata tra Pievebovigliana, il lago di Fiastra e quello di Polverina, dove la chiesa e la casa parrocchiale crollarono quasi completamente.[9]

  • A. Serpieri, Rapporto delle osservazioni fatte sul terremoto avvenuto in Italia la sera del 12 marzo 1873, in Supplemento alla Meteorologia Italiana, Roma.
  • A. Serpieri, Sul terremoto avvenuto in Italia il 12 marzo 1873, in Rendiconti del Regio Istituto Lombardo, Milano, 1873.

Questo evento sismico attirò l’attenzione degli studiosi del tempo, i quali erano particolarmente interessati alla sperimentazione, allora in corso, dei questionari macrosismici, che dimostrarono proprio in questa occasione di poter convogliare alla ricerca scientifica un numero considerevole di osservazioni sul territorio. Infatti, tramite questa nuova rete di osservatori e di corrispondenti dislocata su tutto il territorio italiano, in Istria e in Dalmazia, Serpieri riuscì a raccogliere in breve tempo moltissimi dati sulla fenomenologia della scossa. Anche i due successivi lavori di Serpieri (1876, 1878) (9), sul terremoto del 17-18 marzo 1875, riportano informazioni riguardanti la scossa del 12 marzo 1873. Il metodo di lavoro di Serpieri è descritto da Giovannozzi (1887) (10). Per la revisione, oltre alla rilettura critica delle fonti di Baratta, sono state utilizzate le cartoline macrosismiche, conservate presso l’Archivio dell’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria di Roma (11), relative a 10 località: Sassuolo, Finale Emilia, Acquapendente, Vetralla, Assisi, Ripi, Poggio Mirteto, Spoleto, Velletri, Città della Pieve. Altri materiali dell’osservazione scientifica del tempo sono stati individuati presso gli archivi del Seminario vescovile di Tortona e di Alessandria: si tratta di osservazioni meteorologiche che contengono riferimenti a risentimenti locali (12). Testimonianze dirette dell’evento sono contenute nella corrispondenza scientifica di Bertelli (1873) (13) e nelle pubblicazioni periodiche degli Osservatori di Moncalieri, di Modena e di Parma (14). Per quanto riguarda la documentazione amministrativa, al fine di verificare le informazioni, pubblicate dalla stampa, relative a danni causati dal terremoto a Firenze, che si troverebbe fuori dall’area del risentimento, è stata utilizzata la corrispondenza del sindaco di Firenze Peruzzi (Archivio Storico Comunale di Firenze, "Affari sfogati...", 486) (15). Le informazioni reperite sono relative ai danni riportati dal convento del Carmine di Firenze, all’epoca temporaneamente adibito a caserma. La scossa lasciò una precisa memoria dei risentimenti locali in alcune storie di paesi anche molto lontani dall’area epicentrale: sono stati utilizzati il manoscritto Lenzi, conservato presso l’Archivio Comunale di Cento (16); il manoscritto Soster (Biblioteca Civica "Villa Valle" di Valdagno) (17); il manoscritto Lodi (Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara, cl.I, 648) (18). Dalla stampa coeva sono state utilizzate 6 corrispondenze giornalistiche afferenti a 3 testate (19). La letteratura sismologica si è dimostrata particolarmente attenta a questo evento, fornendo una ricca serie di riferimenti locali: Goiran (1880) (20), Gatta (1884) (21), Luvini (1887) (22), Bettoni (1888) (23), Grablovitz (1888) (24), Piovene (1888) (25), Tommasi (1888) (26), Chistoni (1896) (27), Galli (1906) (28), Bettoni (1908) (29), Davia (1909) (30), Nigri (1914) (31).

È stata revisionata la bibliografia del Catalogo PFG (1985), basata su Baratta (1901) (1) e sul catalogo inedito di Peronaci (1974) (2). Le fonti di Baratta (1901) sono costituite da pubblicazioni scientifiche, quasi tutte di elevato valore descrittivo. Si tratta degli studi di Dal Pozzo di Mombello (1873) (3), De Rossi (1873) (4) e Serpieri (1873, 1874) (5) e dei quadri sinottici del "Bullettino del Vulcanismo Italiano" (1874) (6). Anche il catalogo di Mercalli (1883) (7) fa riferimento al già citato studio di Serpieri (1873) (8). Questo evento sismico attirò l’attenzione degli studiosi del tempo, i quali erano particolarmente interessati alla sperimentazione, allora in corso, dei questionari macrosismici, che dimostrarono proprio in questa occasione di poter convogliare alla ricerca scientifica un numero considerevole di osservazioni sul territorio. Infatti, tramite questa nuova rete di osservatori e di corrispondenti dislocata su tutto il territorio italiano, in Istria e in Dalmazia, Serpieri riuscì a raccogliere in breve tempo moltissimi dati sulla fenomenologia della scossa. Anche i due successivi lavori di Serpieri (1876, 1878) (9), sul terremoto del 17-18 marzo 1875, riportano informazioni riguardanti la scossa del 12 marzo 1873. Il metodo di lavoro di Serpieri è descritto da Giovannozzi (1887) (10). Per la revisione, oltre alla rilettura critica delle fonti di Baratta, sono state utilizzate le cartoline macrosismiche, conservate presso l’Archivio dell’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria di Roma (11), relative a 10 località: Sassuolo, Finale Emilia, Acquapendente, Vetralla, Assisi, Ripi, Poggio Mirteto, Spoleto, Velletri, Città della Pieve. Altri materiali dell’osservazione scientifica del tempo sono stati individuati presso gli archivi del Seminario vescovile di Tortona e di Alessandria: si tratta di osservazioni meteorologiche che contengono riferimenti a risentimenti locali (12). Testimonianze dirette dell’evento sono contenute nella corrispondenza scientifica di Bertelli (1873) (13) e nelle pubblicazioni periodiche degli Osservatori di Moncalieri, di Modena e di Parma (14). Per quanto riguarda la documentazione amministrativa, al fine di verificare le informazioni, pubblicate dalla stampa, relative a danni causati dal terremoto a Firenze, che si troverebbe fuori dall’area del risentimento, è stata utilizzata la corrispondenza del sindaco di Firenze Peruzzi (Archivio Storico Comunale di Firenze, "Affari sfogati...", 486) (15). Le informazioni reperite sono relative ai danni riportati dal convento del Carmine di Firenze, all’epoca temporaneamente adibito a caserma. La scossa lasciò una precisa memoria dei risentimenti locali in alcune storie di paesi anche molto lontani dall’area epicentrale: sono stati utilizzati il manoscritto Lenzi, conservato presso l’Archivio Comunale di Cento (16); il manoscritto Soster (Biblioteca Civica "Villa Valle" di Valdagno) (17); il manoscritto Lodi (Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara, cl.I, 648) (18). Dalla stampa coeva sono state utilizzate 6 corrispondenze giornalistiche afferenti a 3 testate (19). La letteratura sismologica si è dimostrata particolarmente attenta a questo evento, fornendo una ricca serie di riferimenti locali: Goiran (1880) (20), Gatta (1884) (21), Luvini (1887) (22), Bettoni (1888) (23), Grablovitz (1888) (24), Piovene (1888) (25), Tommasi (1888) (26), Chistoni (1896) (27), Galli (1906) (28), Bettoni (1908) (29), Davia (1909) (30), Nigri (1914) (31).

Note (1) Baratta M. I terremoti d’Italia. Saggio di storia, geografia e bibliografia sismica italiana (ristampa anastatica, Sala Bolognese 1979). Torino 1901 (2) Peronaci F. Elenco cronologico dei terremoti verificatisi nel territorio nazionale dal 1700 al 1973, Ministero dei Lavori Pubblici (inedito). 1974 (3) Dal Pozzo di Mombello E. Sul terremoto in Italia del 12 marzo 1873, in "Corrispondenza scientifica in Roma per l’avanzamento delle scienze", vol.8, pp.149-156. Roma 1873 (4) De Rossi M.S. Sulla continuazione del periodo sismico vulcanico-apennino dal 3 febraio al 30 aprile 1873, in "Atti della Pontificia Accademia de’ Nuovi Lincei", vol.26, pp.262-299. Roma 1873 (5) Serpieri A. Rapporto delle osservazioni fatte sul terremoto avvenuto in Italia la sera del 12 marzo 1873, in "Supplemento alla Meteorologia Italiana", a.1872, pp.45-83. Roma 1873 Serpieri A. Sul terremoto sentito in Urbino la sera del 12 marzo 1873. Prime note. Urbino 1873 Serpieri A. Sul terremoto avvenuto in Italia il 12 marzo 1873, in "Rendiconti del Regio Istituto Lombardo", s.II, vol.6, fasc.10. Milano 1873 Serpieri A. Nuove osservazioni sul terremoto avvenuto in Italia il 12 marzo 1873 e riflessioni sul presentimento degli animali per i terremoti, in "Rendiconti del Regio Istituto Lombardo", s.II, vol.6, fasc.12. Milano 1873 Serpieri A. Sullo studio della perturbazione elettrica foriera di terremoto, in "Rivista Scientifico-Industriale", a.1874, pp.209-217. Firenze 1874 (6) De Rossi M.S. Quadri sinottici [e cronologici] dei fenomeni endogeni italiani col confronto di altri fenomeni per il primo quadrimestre dell’anno meteorico 187[3] (Decembre 187[2] ­ Marzo 187[3]), in "Bullettino del Vulcanismo Italiano", a.1, pp.I-XXII. Roma 1874 (7) Mercalli G. Vulcani e fenomeni vulcanici in Italia (ristampa anastatica, Sala Bolognese 1981). Milano 1883 (8) Serpieri A. Rapporto delle osservazioni fatte sul terremoto avvenuto in Italia la sera del 12 marzo 1873, in "Supplemento alla Meteorologia Italiana", a.1872, pp.45-83. Roma 1873 (9) Serpieri A. Documenti, nuove note e riflessioni sul terremoto della notte 17-18 marzo 1875, in "Supplemento alla Meteorologia Italiana", a.1875, fasc.4, pp.3-51. Roma 1876 Serpieri A. Il terremoto di Rimini della notte 17-18 marzo 1875 e considerazioni generali sopra varie teorie sismologiche. Discorso letto nella Università di Urbino per l’apertura dell’anno scolastico 1877-78. Urbino 1878 (10) Giovannozzi G. Della vita e degli scritti di Alessandro Serpieri delle Scuole Pie. Firenze 1887 (11) Archivio dell’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria, Cartoline macrosismiche sul terremoto del 12 marzo 1873 compilate dall’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica.

(12) Archivio del Seminario Vescovile di Tortona, Osservazioni meteoriche dell’Osservatorio Meteorologico di Volpeglino dall’anno 1870 all’anno 1894.

Archivio del Seminario Vescovile di Alessandria, Osservazioni meteorologiche 1854-1964.

(13) Bertelli T. Il terremoto notato a Firenze al Collegio della Querce, in "Corrispondenza scientifica in Roma per l’avanzamento delle scienze", vol.8, pp.156-157. Roma 1873 (14) Terremoti [marzo 1873], in "Bullettino Meteorologico dell’Osservatorio del R.Collegio Carlo Alberto in Moncalieri", vol.8 (1872-1873), p.52. Torino 1874 Terremoto del 12 marzo 1873, in "Bullettino Meteorologico dell’Osservatorio del R.Collegio Carlo Alberto in Moncalieri", vol.8 (1872-1873), pp.113-114. Torino 1874 Archivio dell’Osservatorio geofisico dell’Università di Modena, Registro delle osservazioni meteorologiche dell’anno 1873.

Archivio dell’Osservatorio Meteorologico di Parma, 646/9, Osservazioni ridotte dal 1º ottobre 1870 al 31 marzo 1875.

(15) Archivio Storico Comunale di Firenze, filza 486, Affari sfogati al tempo del sindaco comm. Peruzzi, doc.11266, Lettera della Direzione del Genio Militare di Firenze al sindaco, Firenze 13 marzo 1873.

(16) Archivio Comunale di Cento, Manoscritti, 3.3.146-149, Francesco Lenzi, Notizie intorno alla città di Cento dall’anno 1815 al 1879, 4 voll., sec.XIX.

(17) Biblioteca Civica "Villa Valle" di Valdagno, Giovanni Soster, Memorie di Valdagno dal 1836 al 1892, 18 voll.

(18) Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara, Manoscritti, cl.I, 648, Gaetano Lodi, Memorie dal 1868 al 1892, 9 voll., sec.XIX.

(19) Gazzetta di Milano, 1873.03.18. Milano 1873 Gazzetta di Milano, 1873.03.15. Milano 1873 Gazzetta di Milano, 1873.03.17. Milano 1873 Gazzetta di Milano, 1873.03.19. Milano 1873 Gazzetta Ferrarese, 1873.03.14, n.61. Ferrara 1873 La Nazione, 1873.03.14. Firenze 1873 (20) Goiran A. Storia sismica della provincia di Verona. Verona 1880 (21) Gatta L. Sismologia. Milano 1884 (22) Luvini G. Perturbazione elettrica foriera del terremoto, in "Rivista Scientifico-Industriale", a.1887. Firenze 1887 (23) Bettoni P. Note storiche su terremoti, in "Annali dell’Ufficio Centrale Meteorologico e Geodinamico Italiano", s.II, vol.8, a.1886, parte 4, pp.209-219. Roma 1888 (24) Grablovitz G. Terremoti avvertiti nella città di Trieste dal 1869 al 1886, in "Archeografo Triestino", n.s., vol.14, pp.333-344. Trieste 1888 (25) Piovene G. Cronaca dei terremoti a Vicenza, in "Annali dell’Ufficio Centrale Meteorologico e Geodinamico Italiano", s.II, vol.8, a.1886, parte 4, pp.45-57. Roma 1888 (26) Tommasi A. I terremoti nel Friuli dal 1116 al 1887, in "Annali dell’Ufficio Centrale Meteorologico e Geodinamico Italiano", s.II, vol.8, a.1886, parte 4, pp.183-205. Roma 1888 (27) Chistoni C. Notizie sui terremoti avvertiti a Modena dal 1830 al 1895 ricavate dal registro del Real Osservatorio, in "Memorie della Regia Accademia di Scienze Lettere ed Arti di Modena", s.II, vol.12, pp.LXIX-LXXXIII. Modena 1896 (28) Galli I. I terremoti nel Lazio. Velletri 1906 (29) Bettoni P. Cronistoria sismica della regione benacense, in "Commentari dell’Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti in Brescia per l’anno 1908", pp.260-299. Brescia 1908 (30) Davia E. Cronistoria del terremoto a Ferrara, in "Il Duca", a.2, n.3, pp.1-2, n.5, pp.6-7, n.6, pp.6-7. Ferrara 1909 (31) Nigri V. La Capitanata. Foggia e il suo clima desunto da 30 anni di osservazioni sulla specola meteorico-sismica. San Severo 1914

Chiesa di San Giovanni Battista
La chiesa di San Giovanni Battista nel 2020, come si presenta dopo la sua chiusura a causa dello sciame sismico del 2016 e del 2017
StatoItalia (bandiera) Italia
Regione  Marche
LocalitàCampanelle (San Ginesio)
ReligioneCattolica di rito romano
TitolareSan Giovanni Battista
DiocesiArcidiocesi di Camerino-San Severino Marche
Stile architettonicoRomanico

La chiesa di San Giovanni Battista, comunemente conosciuta come chiesa delle Campanelle, è una ex chiesa parrocchiale, ora chiesa sussidiaria, di San Ginesio, in provincia di Macerata, nel territorio dell'arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche; fa parte della vicaria di San Ginesio.

La chiesa, ora inagibile a causa dello sciame sismico del 2016 e del 2017, è l'unica chiesa presente nella frazione.[10] La struttura venne costruita nel 1936 in stile romanico, con l'utilizzo di materiale proveniente da ruderi civili, più precisamente mattoni. Nel 1969, a seguito del Concilio Vaticano II, la chiesa venne restaurata.[11] Dopo una visita effettuata dal l'arcivescovo Giuseppe D'Avack, che valuto la chiesa come inidonea per continuare ad ospitare la parrocchia, venne costruita, tra il 1958 ed il 1962, una nuova chiesa nella confinante frazione di Passo San Ginesio, consacrata solamente nel 1965, con la celebrazione della Santa Messa e il posizionamento temporaneo dell’altare per le funzioni. Il 26 luglio 1979 l’Ordinario diocesano dell'arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche pubblicò il decreto con il quale si richiedeva lo spostamento della sede parrocchiale nella nuova chiesa, la chiesa di San Michele Arcangelo (chiamata nello stesso modo della parrocchia), richiesta che venne poi confermata dal decreto del Presidente della Repubblica, n. 249, del 25 febbraio 1983.[12]

Costruita inizialmente in solo laterizio, la facciata a salienti presenta un rosone in pietra rosa con croce centrale, che riporta i simboli dei Quattro Evangelisti, ed è decorata con numerosi archetti pensili sopra ad una cornice in cotto. Sul lato destro della struttura si trovano la cappella semicircolare ed il campanile, costruito solamente nel 1944, coronato di cuspide. Sul lato sinistro si trova la sagrestia costruita con materiali diversi, tra cui il cemento armato.[11] La pietra posta sopra la porta d'ingresso della sagrestia potrebbe provenire da una precedente chiesa dedicata sempre a San Giovanni Battista presente nel XIX secolo.[13] Nonostante la chiesa si presenti con una pianta a croce latina, i due bracci sono asimmetrici, infatti la sagrestia ha pianta quadrata e la cappella ha pianta semicircolare. L'interno presenta una crociera con tre archi decorati con degli archivolti in mattoni che aprono sulla navata ed un quarto sul presbiterio, sollevato da un pavimento rivestito di marmo. Un secondo altare si trova nella cappella laterale.[11]

Dopo l'Unità d'Italia, il neo Regno d'Italia si pose il problema di come unificare tutti i 25 catasti autonomi appartenenti ai precedenti stati preunitari della penisola. Con l'evolversi dell'organizzazione finanziaria, il 26 settembre 1869 venne emanato il Regio Decreto n. 5286, che unificò tutti i catasti in un unico direttivo provinciale,

le Intendenze di finanza, e con R.D. 6151, 24 dicembre 1870, si dispose la doppia conservazione del catasto presso le Agenzie delle imposte e del catasto e presso le Intendenze. Con D.M. 7 gennaio 1882 vennero istituiti gli Uffici tecnici di finanza, uno per ogni provincia, che fusero i servizi catastali con quelli tecnico-erariali. La legge Messedaglia, che riordinò l'imposta fondiaria, superando il censo stabile e portando al nuovo catasto - entrato in conservazione a Belluno solo nel 1956 - venne varata il 18 marzo 1886.

Per approfondimenti si visualizzi link. Bibliografia: M. BERENGO, L'agricoltura veneta dalla caduta della Repubblica all'Unità, Milano, 1963, pp. 25-63; Novissimo Digesto Italiano, III, Torino, 1974, pp. 3-24; Ibid., VIII, 1975, pp. 784-787; Ibid., XIX, Torino, 1973, pp. 1079-1086; Capitolo Catasti della voce Archivio di Stato di Milano, in Guida generale degli Archivi di Stato italiani, III, Roma, 1983, pp. 950-954; E. TONETTI, capitolo Catasti della voce Archivio di Stato di Venezia, in Guida generale degli Archivi di Stato italiani, IV, Roma, 1994, pp. 1070-1077; Id., I catasti per la storia della proprietà, del regime agrario e delle mutazioni territoriali, in "Protagonisti", XXIII (2003), n. 84, pp. 113-135.

Gli stessi atti risultanti dalle operazioni di impianto e di aggiornamento di questi catasti, promosse dai vari uffici degli antichi stati preunitari preposti alla loro attuazione e conservazione, presentavano rilevanti differenze formali e sostanziali. Questa situazione determinava gravi sperequazioni nell'applicazione delle imposte gravanti sugli immobili nelle varie parti del paese e nella distribuzione dei carichi fiscali fra i contribuenti.

Nel 1871 era stata istituita (decreto 2 marzo 1871) una apposita Commissione per la perequazione dell'imposta fondiaria, che aveva l'incarico di verificare la situazione dei catasti in Italia e di predisporre un progetto per un nuovo catasto, che avrebbe risolto i gravi problemi di giustizia fiscale e di certezza del diritto indotti delle difformità di accatastamento esistenti nel territorio nazionale.

Con la legge 11 agosto 1870, n. 5784 e con il regolamento 5 giugno 1871, n. 267, inoltre, venne varata l'attuazione del catasto dei fabbricati (legge 11 agosto 1870).

Il regio decreto 6 marzo 1881, n. 120, ebbe il compito di meglio definire il quadro delle strutture periferiche dell'amministrazione catastale, prevedendo l'istituzione degli Uffici tecnici di finanza, organi dell'amministrazione periferica con competenza provinciale ed espressamente preposti ai servizi del catasto e ad altri servizi di natura tecnica e fiscale; questi Uffici vennero posti alle dipendenze della Direzione generale delle imposte dirette e del catasto del Ministero delle finanze (decreto 6 marzo 1881).

Lo stesso decreto del 1881 dispose anche la soppressione degli Uffici tecnici del macinato esistenti in sede periferica con competenza sulla tassa del macinato che colpiva le produzioni agricole e della omonima Direzione esistente presso il Ministero, e stabilì che le loro attribuzioni fossero esercitate dagli stessi Uffici tecnici di Finanza di nuova istituzione (art. 4). Infine, lo stesso provvedimento del 1881 indicò che gli ingegneri aggiunti già in servizio presso i soppressi Uffici tecnici del macinato avrebbero conservato gli stipendi attuali ed avrebbero prestato la loro opera presso gli Uffici tecnici di finanza, prefigurando un loro graduale assorbimento nei ruoli di questi uffici (art. 5).

Con la legge 1 marzo 1886, n. 3862 viene finalmente stabilita l'attuazione di un nuovo catasto geometrico particellare dei terreni fondato su criteri di attuazione uniformi per tutto il territorio nazionale (legge 1 marzo 1886). La stessa legge istituisce un Ufficio generale del catasto dipendente dal Ministero, con competenze tecniche e amministrative e ad esso vengono assegnati compiti di direzione e vigilanza sulle operazioni catastali e sulle attività svolte dall'Ufficio tecnico di finanza.

Tra le principali attribuzioni degli Uffici tecnici di finanza si ricordano qui quelle inerenti:

  • Il demanio e le consulenze tecniche erariali;
  • L'applicazione dell'imposta di fabbricazione, il suo accertamento e l'ispezione nelle fabbriche e nelle officine;
  • Il riscontro periodico delle variazioni di consistenza dei beni accatastati e l'aggiornamento della cartografia catastale e degli atti correlati (registri partitari);
  • La conservazione del catasto attraverso l'aggiornamento dell'intestazione delle partite catastali.

A poco più di cinquant'anni dalla loro istituzione, gli Uffici tecnici di finanza mutarono la loro denominazione (decreto 22 ottobre 1936) in quella di Uffici tecnici erariali. Sebbene le competenze dei nuovi organi periferici del Ministero delle finanze restassero identiche, il provvedimento (vedi voce relativa) dispose un'organizzazione più efficiente di una struttura che, nonostante le tante e rilevanti prerogative, nei primi decenni di vita aveva sofferto proprio della mancanza di un sistema organizzativo funzionale e ben articolato.

Dopo essere stati il 28 giugno 2019 con la legge n. 58 che ha trasformato il Decreto Crescita,[14] hanno il compito di accertamento, ispezione, controllo ed espletamento delle formalità relative all'imposizione indiretta sulla produzione e sui consumi. Gli UTF svolgevano servizio di accertamento tributario, amministrativo-contabile e tecnico-fiscale stabilito dalle leggi sulle imposte di fabbricazione ed imposte erariali di consumo. Svolgevano, inoltre, funzioni di consulenza professionale richieste da altri organi dello Stato nelle materie di competenza.

Anisetta Meletti
CategoriaAnisetta
MarcaDitta Silvio Meletti
NazioneItalia (bandiera) Italia
Alcolico
ColoreTrasparente
Gradazione alcolica34%

L'anisetta Meletti è un'anisetta prodotta dalla Ditta Silvio Meletti S.r.l., con sede ad Ascoli Piceno.

Ditta Silvio Meletti S.r.l.
StatoItalia (bandiera) Italia
Forma societariaSocietà a responsabilità limitata
Fondazione20 settembre 1870 a Ascoli Piceno
Fondata daSilvio Meletti
Sede principaleAscoli Piceno
SettoreAlimentare
ProdottiMeletti
FatturatoTra € 1,5 e 3 milioni (2021)

La Ditta Silvio Meletti S.r.l. è un'azienda italiana che si occupa della produzione e distribuzione di bevande alcoliche.

La Ditta Silvio Meletti nacque il 20 settembre 1870,[15] stesso giorno della presa di Roma, ad Ascoli Piceno per volere di Silvio Meletti. Prima di dare vita all'azienda, Silvio fu costretto a lasciare gli studi per aiutare la madre nel negozio di famiglia, dove si vendeva anche un distillato casareccio all'anice. Dopo aver studiato distilleria in un libro francese del XVIII secolo, perfezionò la ricetta del liquore, dando così vita all'anisetta Meletti, prodotta con l'anice verde (pimpinella anisum). Una volta perfeziona la ricetta, nel 1870 venne fondata l'azienda e per ottenere visibilità, Silvio adottò l'autopromozione. L'azienda, diventata famosa a livello europeo partecipando all'expo 1878, subì una leggera crisi a partire dal 1896, quando Silvio venne colpito da una malattia. Per evitarne la chiusura, iniziò a consegnare cioccolatini per l'azienda dolciaria Venchi, approfittandone per distribuire e far circolare il suo liquore. Dopo la prima guerra mondiale, Silvio venne affiancato dal figlio Aldo.[16][17]

Agli inizi del XX secolo, Silvio acquistò a Piazza del Popolo l'edificio delle poste e telegrafi, dando così vita al Caffè Meletti (1903)[18] e decise di trasferire l'azienda nei pressi della stazione ferroviaria di Ascoli Piceno.[19] Nel periodo seguente al proibizionismo, la Ditta Meletti esportò le sue produzioni in America, per poi ricevere l’attribuzione di fornitura ufficiale dal Re d'Italia, con concessione del brevetto di Fornitori della Real Casa.[15] Il 20 ottobre 2021 l'azienda è stata riconosciuta nel Registro Speciale dei Marchi Storici di interesse nazionale, istituito dall'Ufficio italiano brevetti e marchi del Ministero dello sviluppo economico.[20]

Elenco dei prodotti

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  • Bon bon
  • Cioccolato
  • Ciocoliva
  • Colomba
  • Fondente
  • Golosi
  • Liquorini
  • Panettone
  • Tavolette
  • Torroncini
  • Torroni
Calzolaio
NazioneItalia (bandiera) Italia
PeriodoDalla seconda guerra mondiale o dal dopoguerra in poi
IdeatoreCalzolai marchigiani
Base primariaVarnelli e Caffè Borghetti

Il calzolaio (Lu carzolà o lu cazolà in dialetto maceratese) è un cocktail marchigiano non riconosciuto ufficialmente dall'IBA.

Il calzolaio è un cocktail nato, secondo le storie locali, tra l'unione del Varnelli, un mistrà prodotto dall'omonima azienda, e il Caffè Borghetti, un liquore a base di caffè originario della provincia di Ancona, durante il periodo della seconda guerra mondiale. Questo cocktail nasce all'interno delle botteghe dei calzolai marchigiani, presumibilmente per riscaldare i soldati e i clienti che entravano nel locale,[23] anche se potrebbe essere nato per la mancanza di un caffè corretto durante il lavoro.[24] La massima fama del cocktail venne raggiunta solo tra gli anni 1960 e 1970, diffondendosi notevolmente nei bar, per poi decadere drasticamente nel consumo.[25] Il giornalista Paolo Massobrio ne "Il Glossario", riguardo il Calzolaio dice:

«Lu Cazolà, è l’espressione dialettale marchigiana con cui si identifica il calzolaio, ma nella zona dove la provincia di Ascoli Piceno incontra quella di Macerata, secondo una ricerca di Miguel Catalini di Falerone, questa parola indica il modo di bere di prodotti locali: il liquore al caffè e il Varnelli, il tipico liquore aromatizzato all’anice. [...] La storia di questa bevanda ha inizio negli anni del primo dopoguerra, quando il caffè disponibile era di pessima qualità, e per renderlo più gradevole, era abitudine correggerlo con il Varnelli. E si diceva che si seguiva il modo di procedere dei calzolai, ovvero si metteva il Varnelli come "lu cazolà ce mette ‘na pezza"»

Composizione e varianti

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La composizione del Calzolaio è completamente soggettiva, poiché non esiste un regolamento ufficiale. Secondo quando afferma la Distilleria Varnelli, il cocktail deve essere composto da 1 cl di Varnelli e 3 cl di Caffè Moka (simile al Caffè Borghetti, ma di produzione dell'azienda),[26] anche se la ricetta iniziale dovrebbe essere composta da 2/3 di Caffè Borghetti e 1/3 di Varnelli.[23] Come varianti, al posto del Varnelli, si può utilizzare la sambuca o l'anisetta.[27]

Concetto Focaccetti
NascitaSan Ginesio, 25 marzo 1917
MorteRegno di Montenegro, 7 ottobre 1943
Cause della morteFucilazione
Dati militari
Paese servitoItalia (bandiera) Italia
Forza armataRegio Esercito
Anni di servizio1942-1943
GradoSottotenente
GuerreSeconda guerra mondiale
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Concetto Focaccetti (San Ginesio, 25 marzo 1917Regno di Montenegro, 7 ottobre 1943) è stato un militare italiano.

Concetto Focaccetti nacque a San Ginesio il 25 marzo 1917, da Luigi Focaccetti e Maria Lorenzani. Parente al vescovo Concetto Focaccetti e all'ex sindaco di San Ginesio, Carlo Focaccetti, educato nella scuola salesiana, si diresse a Roma dove frequentò il Regio Liceo Ginnasio Tasso, diplomandosi nel 1936. Appassionato della medicina veterinaria, frequentò il corso all'università di Bologna, laureandosi il 12 giugno 1940, per poi essere ammesso come allievo ufficiale nel Regio Esercito, dove studiò per diventare veterinario militare alla Scuola di Applicazioni di Cavalleria di Pinerolo. Dopo aver ottenuto alcune promozioni di grado, allievo ufficiale di complemento (15 maggio 1941) e sottotenente di complemento (15 luglio 1941), venne trasferito al deposito del 32° Reggimento Artiglieria Divisione Fanteria "Marche" e poi, il 4 gennaio 1942, alla 4ª Infermeria Quadrupedi. Il 6 gennaio raggiunse Bari dove venne inquadrato nel 4° Reggimento alpini battaglione "Ivrea".[28][29]

L'arrivo nei Balcani e la morte

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Il 26 marzo 1943 raggiunse il reparto operante nei Balcani, ma con l'armistizio di Cassabile, che causò lo smarrimento delle truppe, si scontrò con le truppe SS naziste nella zona ai confini del Regno di Montenegro e l'Erzegovina, scese per conquistare i territori sotto il dominio italiano. In una lettera scritta alla mamma del 14 agosto, Concetto espresse la situazione sentimentale delle truppe, facendo emergere allo stesso tempo il patriottismo e l'amore per il corpo degli alpini.[28][29] La lettera dice:[30]

«Carissima Mamma, è un poco di tempo che non ricevo tue notizie dopo la famosa lettera nella quale mi annunciavi i cambiamenti avvenuti in Italia in conseguenza alla caduta del fascismo. Mi piacerebbe sapere più che le notizie ufficiali – anche noi fortunatamente possediamo una radio a pile – le reazioni di questo o di quello e i riflessi sulla vita ginesina. Ce ne debbono essere pur stati, non è vero? Nel nostro ambiente le prime notizie hanno creato un poco di sbandamento – dal lato sentimentale s’intende – ma ora dopo gli ordini precisi e dopo esserci fatta una chiara idea della situazione la vita è ripresa normale e le piccole discussioni sono cessate. L’unica realtà da tenere in conto è la guerra che continua e continuerà chiamandoci a sostenere per la salvezza della nostra Italia sacrifici ben più forti di quelli che fino ad ora abbiamo sopportato. Ci stiamo preparando a sostenere qualsiasi evenienza con animo saldo e forte. Certo che si è accentuata la nostalgia dell’Italia sul cui suolo ci piacerebbe stare per poter difendere direttamente le nostre case ed i nostri cari. Sentiamo anche qui, però, di compiere il nostro dovere e di compiere qualche cosa di utile. Sono proprio contento di stare con gli alpini perché sono forti, calmi, sereni e non si lasciano facilmente influenzare. In certi momenti si ha proprio bisogno di sentirsi “tuc un” tutti uno come è scritto sulla bandiera del nostro battaglione. Perciò devi essere molto tranquilla per me. In qualunque evenienza saprò fare il mio dovere d’Italiano senza incertezze e senza recriminazioni. Non ci resta che guardare con serenità ai doveri dell’ora. Si tratta di salvare l’Italia, le sue istituzioni, il suo avvenire. Il passato è…passato. Si tratta di affrontare la realtà con fermezza e sono certo che riusciremo a cavarcela con onore e a salvare almeno l’essenziale se non si potrà ottenere una risultato completo. Spero che a San Ginesio il cambiamento di governo non abbia causato niente di sensazionale e che la vita si svolge calma e tranquilla come sempre. Qui la nostra vita si svolge abbastanza bene… Tanti baci. Benedicimi. Concetto»

Accerchiato, dopo vario tempo di combattimento venne catturato, fatto prigioniero e fucilato il 7 ottobre, dopo essersi rifiutato di rispondere all'interrogatorio che i tedeschi gli fecero. Secondo il notiziario prigionieri, non si avevano più sue notizie dal mese di settembre.[31] Dopo varie ricerche, i resti vennero portati a San Ginesio nel 1955 e seppelliti nel cimitero. La medaglia d'argento, il documento originale e alcuni dei suoi oggetti, come la pipa e una mostrina della divisa, sono conservati nella sede degli Alpini del Comune.[28][29]

Chiesa di San Michele Arcangelo
StatoItalia (bandiera) Italia
Regione  Marche
LocalitàPasso San Ginesio (San Ginesio)
ReligioneCattolica di rito romano
TitolareSan Michele Arcangelo
DiocesiArcidiocesi di Camerino-San Severino Marche
Consacrazione1965
FondatoreMsgr. Giuseppe d'Avack
ArchitettoEnrico Lenti
Stile architettonicoNeorealismo
Inizio costruzione1958
Completamento1962
Sito webwww.sanginesioturismo.it/chiesa-san-michele-arcangelo/

Il chiesa di San Michele Arcangelo, conosciuta anche come chiesa di Passo San Ginesio (chiesa de lu Passu in dialetto maceratese) è una chiesa parrocchiale di San Ginesio, in provincia di Macerata, nel territorio dell'arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche; fa parte della vicaria di San Ginesio. La chiesa è la più recente costruita all'interno del territorio comunale, rispetto alla più antica, che risale al X secolo.

A seguito di alcune dimostrazioni popolane per la costruzione di una nuova chiesa, l'arcivescovo Giuseppe d'Avack diede l'avvio burocratico per la realizzazione della nuova chiesa, dedicata a San Michele Arcangelo, su un terreno donato da Giuseppe Massimiliani e dalla Autolinee SASP. Nella pergamena inserita nella costruzione, d'Avack scrive:[32]

«Raccogliendo il desiderio di molti, l'arcivescovo di Camerino, Giuseppe d'Avack preparò, questa Chiesa, dedicata all'Arcangelo Michele, in premio alla fede di questa Terra, perché le generazioni avvenire, nella quotidiana fatica, avessero, un punto di incontro fraterno, il conforto la benedizione di Dio.

Su suolo offerto in dono, da Giuseppe Massimiliani, e dalla Società Automobilistica Santangiolese Pennese, sotto la vigile custodia dell'Arcangelo, nella materna assistenza, della Regina del Cielo e della Terra, questa pietra, segna l'inizio dell'opera, intrapresa con i benefattori di Legge del Governo Italiano, tramite il Genio Civile di Macerata, su disegno di Enrico Lenti di Roma, e custodisce in sé, i voti le preghiere la riconoscenza, dei Fedeli. Passo S.Angelo, 26 luglio 1959»

La costruzione della chiesa e della casa canonica avvenne tra il 1958 ed il 1962, anche se la consacrazione venne effettuata solamente nel 1965, con la celebrazione della Santa Messa e il posizionamento temporaneo dell’altare per le funzioni. Il 26 luglio 1979 l’Ordinario diocesano dell'arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche pubblicò il decreto con il quale si richiedeva lo spostamento della sede parrocchiale nella nuova chiesa, precedentemente situata nella chiesa di San Giovanni Battista della frazione Campanelle, richiesta che venne poi confermata dal decreto del Presidente della Repubblica, n. 249, del 25 febbraio 1983.[33] A seguito del terremoto del 2016 e del 2017 la chiesa fu una delle poche a non subire gravi danni e restare agibile.

La chiesa, costruita seguendo la concezione stilistica del neorealismo e con pianta esagonale, è realizzata con pietre rosacee che rivestono una struttura di cemento armato intonacato, che diventa parte decorativa. L’ingresso, con un portale realizzato completamente in muratura, sporge verso la piazza per circa un metro ed è sormontato da una vetrata triangolare di vario colore. La stessa tipologia di vetrate si possono trovare lungo il perimetro della struttura a creare un divisore naturale tra la parte decorativa in muratura e in cemento. Il campanile, in cemento non intonacato, venne costruito sopra il tetto con una struttura ramificata che si divide in sei parti. Secondo i progetti per la sua realizzazione, venne concepito originariamente per ospitare le campane, idea che poi non su seguita.[34] Così come l’esterno, anche interno è diverso rispetto al progetto originale: esempio è il pavimento, realizzato in marmo arabescato con tonalità che variano dal rosso, al grigio e al bianco,[33] dove al centro si può trovare una grande croce, anch'essa realizzata in marmo, che precedentemente doveva essere circondata da una pavimentazione.[34] La chiesa dispone anche di una cantoria da cui si può accedere attraverso una scala in cemento armato inserita nel muro perimetrale, decorata con delle inferriate in ferro battuto.[35]

L'interno presenta numerose opere dell'artista milanese Arnaldo Mazzanti, tra cui si aggiungono una donata da Emanuele Germozzi di Bolzano, che rappresenta la vita primordiale come un grumo di sangue che esce dal nulla. Le opere del Mazzanti sono:[33][32]

  • Cristo Crocifisso e Oranti: il crocifisso, inaugurato il 24 dicembre 1967 alla presenza dell'arcivescovo Bruno Frattegiani, che lo definì "Abbastanza positivo" per le fattezze di Gesù. Nel 1970 vennero realizzate altre due figure in terracotta ai lati del crocifisso, che rappresentano la perplessità e il dubbio, della figura alla sinistra del crocifisso, in contrasto con la fiducia e l'abbandono della figura a destra;[36]
  • Madonna e Bambino o Maria Madre della Chiesa: l'opera, inaugurata il 7 settembre 1969, rappresenta in primo piano la Madonna che tiene in braccio Gesù bambino al fianco di Giovanni XXIII, con vesti dorate, accompagnato da un cardinale, con le vesti rosse, e un vescovo di origine africana, con le vesti bianche. Nel quadro sono rappresentate altre figure, tra cui malati di lebbra e un frate francescano;

A seguito del Concilio Vaticano II, venne realizzato un nuovo altare che si sostituì al precedente realizzato in laterizio, inaugurato il 31 agosto 1972, dove al suo interno vennero inserite alcune reliquie di Santi o martiri.[32] Per le festività pasquali del 2017, il pittore Marco Franchini dipinse nella nicchia del battistero un affresco, che rappresenta lo Spirito Santo che scende dai Monti Sibillini come un fiume che raggiunge la chiesa.[37]

La confraternita del Sacro Cuore di Gesù, conosciuta anche come confraternita dei Flagellanti, confraternita dei Disciplinanti, confraternita dei Sacconi, o anticamente come confraternita dei Penitenti per la vicinanza all'ordine francescano, è una confraternita di San Ginesio, fondata nel 1365 e soppressa con l'arrivo di Napoleone Bonaparte, poi rifondata nel 1820.

La prima fonte storica della confraternita risale all'anno 1338, quando il ginesino Angelillo di Matteo avanzò l'istanza al Capitolo Vaticano, a nome della confraternita, di costruire una chiesa con ospedale nel terreno lasciato in contrada Vallevetica dal concittadino Nunzio Cecchi Benvenuti. Cedendo alla richiesta, il Capitolo concedé la possibilità di edificare in quel campo e lasciò in gestione tutti i lasciti alla confraternita. Terminata la costruzione dell'edificio sacro nel 1365, conosciuto oggi come Complesso Monumentale dei Santi Tommaso e Barnaba, la confraternita vi spostò la sua sede, originariamente situata nell'oratorio di San Girolamo, che verrà occupato poi da alcune donne religiose, che lo trasformeranno in un monastero, dando vita cosi all'ordine delle Evangeliche.[38][39] Tra la confraternita e le monache evangeliche si creò un rapporto benevolo che portò i due ordini a collaborare tra loro.[39]

L'adesione alla confraternita crebbe sempre di più, raggiungendo i 242 membri nel 1456, sotto il priorato di Matteo Petrelli De Rossi, comportando così delle modifiche nella gestione organizzativa. Ciò portò all'affiancamento del priore di tre figure, due consiglieri e un cappellano. Nel 1457, trovandosi in difficoltà economica, la confraternita decise di edificare un ospedale insieme al governo di San Ginesio e alla confraternita della Scopa, chiamato Ospedale di San Paolo, venduto poi alla confraternita del Santissimo Sagramento nel 1547.[38][39]

Nel XVI secolo, essendo esonerata dalla giurisdizione del vescovo di Camerino, poiché direttamente controllata dal Capitolo Vaticano, e trovandosi in una sede costruita isolata dal resto del paese, nella confraternita si diffusero vari idee provenienti dal luteranesimo, promosse anche dall'allora priore Matteo Gentili, la cui famiglia fin dall'origine dell'ordine religioso vi restò connessa. Negli anni 1575 e 1579 l'Inquisizione, venuta a conoscenza di ciò, condannò per eresia alcuni confratelli,[39] mentre altri, come Matteo e Alberico Gentili,[40] riuscirono a fuggire e a salvarsi.

La confraternita restò attiva fino all'arrivo di Napoleone Bonaparte, quando a causa delle restrizioni promulgate dal Regno d'Italia, fu costretta a sciogliersi. Prima del suo ricongiungimento, avvenuto nel 1819 per mano del vescovo Nicola Mattei Baldini e del sacerdote Gaspare del Bufalo, molto documenti riposti nella chiesa vennero dispersi. Una volta ripristinato l'ordine secondo lo statuto della confraternita del Sacro Cuore di Gesù di San Teodoro in Campo Vaccino a Roma, nel 1820 venne unita all'omonima confraternita, per poi dividersi nel 1823 dopo che i confratelli ginesini vollero ripristinare il vecchio regolamento.[38][39]

  • Confraternita del Sacro Cuore di Gesù, I senza volto, a cura di Valeria Balzi, 2015.
Santuario di Santa Maria Addolorata Già Chiesa di Santa Maria Addolorata
StatoItalia (bandiera) Italia
Regione  Marche
LocalitàLa Corva (Porto Sant'Elpidio)
ReligioneCattolica di rito romano
TitolareSanta Maria Addolorata
DiocesiArcidiocesi di Fermo
Stile architettonicoRomanico
Completamento1548

Il santuario di Santa Maria Addolorata, conosciuto anche come santuario dell'Addolorata, santuario della Corva o chiesa di Santa Maria Addolorata, è un santuario mariano e il principale luogo di culto di Porto Sant'Elpidio, in provincia di Fermo.

Edificata nel 1548 lungo la strada che da Sant'Elpidio a Mare scendeva al porto (attuale Porto Sant'Elpidio) e dedicata originariamente a San Giovanni Battista, la piccola chiesa rurale raccoglieva i fedeli della comunità madre della collegiata di Sant'Elpidio Abate. Fino alla ristrutturazione, avvenuta nel 1958, sulla facciata si poteva leggere una lapide che riportava il promotore della costruzione, Palmerio Massimo,[41] e la data della sua costruzione, con la scritta: hoc opus f.f. palmerius maxius - a.d. mdxxxxviii. Nel 1745 l'arcivescovo Alessandro Borgia, durante una visita nella frazione, ritenne necessario che la struttura fosse ingrandita per ospitare più fedeli, distanti dalla chiesa principale, e provvista di una casa parrocchiale. Il 6 novembre dello stesso anno fu eretta a Cappellania Curata, staccando così una porzione di popolo dalla chiesa madre di Sant'Elpidio a Mare. Le funzioni parrocchiali entrarono in piena esecuzione solo dal 15 settembre del 1888, giorno di Santa Maria Addolorata, quando il parroco ottenne il permesso di celebrare tutti i sacramenti nella suddetta chiesa, dopo lunghe trattative con il capitolo di Sant'Elpidio.[42][43][44]

Il 25 luglio 1829, durante la liturgia per la festa di San Giacomo, mentre il parroco Filippo Toscani stava per iniziare la celebrazione della Santa Messa, l'urna contenente il simulacro della Madonna, costruito con le braccia incrociate sul petto, si aprì e l'icona sacra aprì le braccia verso i fedeli. Conclusa la messa, don Toscani provò a rimettere le braccia nella posizione iniziale, senza però ottenere risultato. La notizia del miracolo si diffuse molto velocemente, attirando numerose persone anche da altre località. Il prodigio venne confermato dall'arcidiocesi di Fermo attraverso un processo canonico, ma i documenti che lo attestano sono andati persi.[45]

Nel 1904, per festeggiare il 75esimo anniversario dall'avvenimento del miracolo, la facciata della chiesa e l'urna dell'icona vennero rifatte, la cappella della Madonna venne dipinta e il parroco, Nicola Catini, raccolse tutte le informazioni dell'evento miracoloso per inserirle in un manoscritto dal titolo Brevi memorie della Chiesa rurale di S. Maria della Corva in Sant'Elpidio a Mare.[45][46]

Il 21 giugno del 1958, con decreto dell'arcivescovo Norberto Perini, la chiesa venne eletta a santuario mariano. Nel 1977 venne realizzato un locale laterale per ospitare più persone, la chiesa venne nuovamente ristrutturata Negli anni 1980 la chiesa divenne un punto cruciale della comunità portoelpidiese, grazie al lavoro di don Mario Moriconi e don Luigino Marchionni, mentre negli anni 1990, 2000 e 2010, venne restaurata e modificata nuovamente.[43][44][46]

Crocifisso di San Ginesio
AutoreScuola senese
Datasconosciuta
MaterialeLegno
Dimensioni205×100 cm
UbicazioneCollegiata di Santa Maria Assunta, San Ginesio

Il Crocifisso di San Ginesio, conosciuto anche come Crocifisso Ligneo, è una piccola scultura lignea raffigurante la crocifissione di Gesù, databile al 1495-1497 circa, opera di alcuni ignoti artisti della scuola senese.

Con la pubblicazione delle Costituzioni egidiane del XIV secolo, promulgate dal cardinale Egidio Albornoz al fine di mettere ordine nel patrimonio di San Pietro mentre la sede papale era in Francia, ad Avignone, San Ginesio passò sotto il controllo dei duchi Da Varano di Camerino, che lo governarono dal 1355 fino al 1434, prima sotto forma di Vicariato e poi di Feudo.[47][48] Nel XV secolo, l'indebolimento della casata favorì la discesa del condottiero milanese Francesco Sforza che, nel 1434, assoggettò un gran numero di territori della Chiesa, tra cui San Ginesio, che furono poi liberati nel 1443 dall'altro Capitano di ventura Niccolò Piccinino, al soldo del papato. A partire dal 1445 San Ginesio riconobbe pacificamente la sua appartenenza al dominio pontificio, di cui peraltro non aveva mai smesso di essere suddito, ma tra il 1450 e l'elezione al soglio pontificio di Pio II, avvenuta nel 1458, nel paese maceratese avvenne qualche tentativo di restaurare il regime precedente. Ad essere accusati furono trecento ginesini che, esiliati dal territorio, trovarono riparo a Siena. Il loro comportamento in questa città fu così lodevole e irreprensibile che i suoi governanti inviarono degli ambasciatori senesi a San Ginesio per difendere la loro causa presso la magistratura, ottenendone il perdono e il permesso di rientrare in patria. Gli esuli si presentarono a Porta Picena recando in dono un crocifisso in segno di pace.[48]

Descrizione e stile

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Il crocifisso si presenta molto fragile e con evidenti segni di usura. Cristo è rappresentato molto magro e scarno, con braccia che mostrano il completo abbandono del corpo senza vita, un petto con la gabbia toracica ben in vista, la ferita sul costato e con gambre piegate in avanti più magre delle braccia. I piedi sono trafitti direttamente dal chioso senza poggiare sul soppedaneo, mentre la testa, trafitta dalla corona di spine e reclinata verso destra, è sormontata da un nimbo a forma di disco, decorato da un quadrilobo e sorretto da un piccolo sostegno che poggia direttamente sui capelli di Gesù. I capelli lunghi poggiano sulle spalle, come per tradizione, mentre i baffi si sovrappongono alla barba bipartita che copre il mento. I lineamenti del viso sono ben evidenti, con zigomi ben in vista, occhi chiusi e bocca leggermente aperta che lascia intravedere la lingua, mentre l'espressione mostra un dolore che sfigura il viso.[49]

  • Luigi Maria Armellini, Il crocifisso dei trecento esuli ginesini, San Ginesio, 1996.
Assalto a Roma del 19 ottobre 2021
parte Proteste contro le politiche COVID-19 in Italia
Data9 ottobre 2021
LuogoVari luoghi di Roma
CausaGestione della pandemia di COVID-19
EsitoCondanna e arresto di alcuni dei responsabili
Schieramenti
  • Polizia di Stato
  • CGIL
  • Comandanti
    • Giuliano Castellino
    • Nicola Franzoni
  • Luciana Lamorgese
  • Lamberto Giannini
  • Effettivi
    Circa 10 mila manifestanti840 agenti della Polizia di Stato
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    Con il termine "assalto di Roma" si indica una sommossa popolare avvenuta a Roma il 9 ottobre 2021 da alcuni partecipanti della manifestazione No Green Pass e alcuni esponenti del partito Forza Nuova, nati contro il decreto-legge approvato dal Governo Draghi che obbligava l'utilizzo della certificazione verde per lavorare.

    Il 16 settembre 2021, il Governo Draghi approvò un decreto-legge contenente l’obbligo di utilizzo della Certificazione verde, chiamata comunemente come Green Pass, nei luoghi di lavoro, per contrastare l'apparente sviluppo dell'andamento pandemico in Italia.[50][51] Ciò scatenò la reazione di alcuni civili di estrema destra, contrari alla pubblicazione del DL, diffusa anche all'interno di alcuni social, come Telegram. Pamela Testa, militante di Forza Nuova, condivise sul suo profilo numerosi post a favore dell'insurrezione contro le direttive di Stato, rivendicando il 29 settembre 2021 di essere l’organizzatrice della manifestazione No Green Pass e esprimendo, il 3 ottobre, che le persone sarebbero state pronte a marcare su Roma,[52] ricordando indirettamente la marcia su Roma dell'ottobre 1922.

    Il giorno 9 ottobre 2021, in vista dell'organizzazione della manifestazione, autorizzata dal Comune di Roma,[53] circa 10mila persone si sono radunate in Piazza del Popolo per manifestare contro l'utilizzo della certificazione verde,[54] ma ad alimentare le tensioni furono i numerosi contenuti web pubblicati nei gruppi No Vax e No Green Pass, diffusi all'interno dei maggiori social. Secondo Luciana Lamorgese, l'allora ministro dell'interno, sarebbe dovuta essere preseduta a circa 4mila persone e solo 840 agenti della Polizia di Stato furono dispiegati.[55]

    Dopo la manifestazione, un corteo non autorizzato iniziò ad incamminarsi per le vie di Roma, creando scompiglio e confusione. I luoghi bersaglio dei manifestanti furono molteplici, infatti il corteo si divise per colpire diverse zone, tra cui Palazzo Chigi, presieduto tempestivamente dalla Polizia di Stato, il ponte Regina Margherita e la sede nazionale della Confederazione Generale Italiana del Lavoro,[56] mentre ad essere presi di mira verbalmente furono diverse figure politiche del Governo Draghi. Durante l'assalto sono stati utilizzati lacrimogeni, bombe carta e numerosi oggetti come armi, tra cui sedie, sanpietrini, monopattini e impalcature.[57]

    A guidare il corteo contro la sede nazionale della CGIL, chiusa quel sabato per problemi alla logistica causata dalla pandemia di COVID-19,[58] fu Giuliano Castellino, leader della sede romana di Forza Nuova,[57] accompagnato da Roberto Fiore, leader nazionale del partito politico. Alcuni manifestanti del gruppo, principalmente di estrema destra, riuscendo a sfondare l'ingresso con calci e pugni, dopo aver completamente distrutto e vandalizzato il piano terra, occuparono temporaneamente la struttura, poi sgombrata dalla Polizia di Stato. A partecipare all'assalto e all'irruzione della struttura anche Biagio Passaro, ristoratore leader di IoApro, un movimento nato contro le chiusure delle attività di ristorazione.[59]

    A conclusione degli eventi, gli arrestati furono 12, tra cui Giuliano Castellino, Roberto Fiore, Pamela Testa, Biagio Passaro, Luigi Aronica, uno dei fondatori dei Nuclei Armati Rivoluzionari, e Fabio Corradetti, figlio della compagna di Castellino,[52][60] i denunciati 57, con capi d'accusa come saccheggio, istigazione a delinquere, violazione di domicilio e resistenza, e 41 feriti delle forze dell'ordine. Come espresso da Stefano Milani, capo della comunicazione del sindacato, ad essere attaccati furono anche alcuni siti web, tra cui quello della CGIL.[52]

    A condannare i vari fatti accaduti durante il 9 ottobre, molti esponenti della CGIL, così come politici e altre figure pubbliche. Stefano Milani ha definito l'assalto come un colpo a tutta la comunità e la democrazia, mentre Riccardo Sanna, coordinatore dell’area delle politiche per lo sviluppo, ha sottolineato la stanchezza che i poliziotti stavano sopportando.[58] Il segretario nazionale Maurizio Landini, oltre a sostenere l'idea dell'offesa alla democrazia e che nessuno avrebbe riportato l'Italia nel ventennio fascista, ha espresso il suo giudizio riguardo le azioni successe, sostenendo che costoro sono frutto di squadrismo, idea sostenuta anche dai segretari nazionali Luigi Sbarra di CISL e Pierpaolo Bombardieri di UIL.[61]

    Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, hanno sostenuto telefonicamente la piena solidarietà del governo,[57][61] Giorgia Meloni, fin dal giorno dopo, si è distanziata dagli assalti, affermando di non condividere né la matrice, né la violenza[58][60] e né il lavoro affidato al ministro dell'interno Lamorgese.[62] mentre Francesco Lollobrigida, allora capogruppo alla Camera di Fratelli d'Italia, disse che il compito di giudicare i manifestanti spetta alla magistratura. Emanuele Fiano sostenne di inviare alla Camera una mozione urgente per lo scioglimento di Forza Nuova.[60][63] Sostegno e condanna vennero espressi anche dal ministro della salute, Roberto Speranza, il ministro degli affari esteri, Luigi di Maio, la Presidente del Senato e della Camera, Maria Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico, il ministro dell'interno, Luciana Lamorgese, il segretario della Lega, Matteo Salvini, e dal vicepresidente di Forza Italia, Antonio Tajani.[61][62] Via Twitter, invece, si sono espressi i leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, e del Partito Democratico, Enrico Letta.[62]

    Procedimenti giudiziari

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    L'11 luglio 2022 sono state confermate le prime condanne per l'assalto alla CGIL. Fabio Corradetti e Massimiliano Urisno, leader palermitano di Forza Nuova, sono stati condannati con rito abbreviato a 6 anni di reclusione[64] Riguardo Roberto Fiore e Giuliano Castellino, il tribunale del riesame ha confermato la scarcerazione con l'obbligo di firma quotidiana, mentre per Luigi Aronica la totale scarcerazione.[53]

    Emanuele Salvatore Lena
    SoprannomeNenè, Acciaio
    NascitaRagusa, 1 febbraio 1920
    MortePrada, 8 novembre 1944
    Cause della morteFucileria
    Dati militari
    Paese servitoRepubblica Sociale Italiana (bandiera) Repubblica Sociale Italiana
    Forza armata
    Anni di servizio1943-1945
    GradoTenente
    GuerreSeconda guerra mondiale
    CampagneCampagna d'Italia
    Comandante diGruppo 201 (partigiani)
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    Emanuele Salvatore Lena, conosciuto con il soprannome di "Nenè" o "Acciaio" (Ragusa, 1 febbraio 1920Prada, 8 novembre 1944) è stato un militare, partigiano e antifascista italiano.

    Emanuele Lena nacque a Ragusa l'1° febbraio 1920. Cresciuto in una famiglia benestante, nel 1940 si iscrive all’università di Bologna per studiare agraria, ma nel 1942 fu costretto ad interrompere gli studi a causa della chiamata obbligatoria alla leva militare presso l'Esercito Nazionale Repubblicano, che lo inviò, l’8 settembre 1943, ad Alessandria come ufficiale di artiglieria. Colpito dall'insicurezza, decise di tornare verso il sud Italia, ma visti i numerosi pericoli che poteva incontrare durante il viaggio, nati con la guerra civile, si fermò a Tolentino dalla sorella, una monaca carmelitana. Trovando riparo in una famiglia contadina, dopo la morte di Salvatore Ficili, un ragazzo ragusano ucciso per aver tentato di sottrarsi all'arruolamento, si mette in contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che, nel gennaio 1944, lo mette al comando del gruppo partigiano conosciuto come "Gruppo 201",[65] che aveva il compito di controllare la Strada Statale 77 dove passavano i rifornimenti tedeschi per il fronte di Nettuno e Cassino.[66] Con l’arrivo di Lena al comando, il gruppo si trasferì nella zona di Fiungo, Fiastra, incominciando il suo periodo più prosperoso, attuando numerose azioni antifasciste tra cui il sabotaggio delle reti stradali tra Tolentino, Serrapetrona e Caldarola.[67] Il 16 marzo partecipa ad convegno del CLN di Macerata a Invernale di Cessapalombo, indetto per dare una coordinazione ai lavori dei numerosi gruppi distribuiti nel territorio provinciale. Con la nomina del colonnello Cesare Baldi a capo delle operazioni, che decise di sospendere per almeno 15 giorni le operazioni militari per fare rifornimenti e aspettare i lanci degli alleati, Lena non accettò gli ordini, ma Baldi, tramite Augusto Pantanetti, comandante del Gruppo Nicolò, lui i suoi uomini vennero disarmati e suddivisi in altre formazioni della zona:[68] alcuni trovarono rifugio nell'eremo di San Liberato, mentre altri e lo stesso Lena formarono, cinque giorni dopo l'eccidio di Montalto, il Gruppo 201 Volante.[69]

    Il 15 aprile 1944, una volta divenuto capo del nuovo gruppo, organizzò la cattura del presidente della provincia di Macerata Ferruccio Ferazzani in visita a Tolentino, ma l'azione si rivelò fallimentare e su di lui venne messa una taglia. Fuggito dal territorio, anche inseguito alla morte dei partigiani Livio Cicalè e Giuseppe Biagiotti, dopo essere stato probabilmente intercettato e costretto, sotto la minaccia della deportazione in Germania, a schierarsi per la Repubblica Sociale Italiana, ricompare nel mese di maggio come istruttore delle SS italiane presso il centro di addestramento di Cremona. Il 16 agosto venne arrestato perché, come riporta un rapporto dell'ottobre 1944 dell'OVRA, la polizia segreta fascista, durante il servizio per la RSI, svolgeva propaganda antifascista e aiutava le nuove reclute a fuggire. Dopo lunghi e violenti interrogatori, l’11 settembre è trasferito presso il carcere di Brescia, dove l’8 novembre venne prelevato per essere condotto dal Comando della Guardia Nazionale Repubblicana di Breno. Secondo una nota dei carabinieri del 28 settembre 1945, Lena riuscì a fuggire durante il trasporto in treno, ma venne raggiunto da una scarica di fucileria delle guardie che lo scortavano, per poi perdere la vita.[65] La salma venne recuperata il giorno successivo, per essere poi tumulata il 10 giorno novembre nel cimitero di Cividate Malegno.

    Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
    «Comandante di grandi qualità, coraggioso, entusiasta, organizzatore, trascinatore di uomini, mentre incitava popolazione e partigiani della zona alla lotta contro l’oppressore; capeggiava numerose arditissime azioni di guerra, nelle quali Egli era sempre il principale protagonista. Più volte da solo fronteggiava impavido il nemico con il fuoco della sua arma automatica. Catturato e condannato alla deportazione in Germania, nel tentativo di evadere durante il viaggio in ferrovia, cadeva colpito dal fuoco della scorta del treno. Zona di Tolentino: giugno 1944 – Italia Settentrionale: luglio 1944 – 8 novembre 1944.»
    — Roma, 16 aprile 1959
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    Analisi della voce[72]

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    San Ginesio
    Dettagli
    StatoItalia (bandiera) Italia
    RegioneMarche
    Riconoscimento
    TipoDOC
    Istituito con
    decreto del
    25/07/2007 modificato il 05/10/2010, il 30/11/2011 e il 06/11/2013
    Gazzetta Ufficiale del25/07/2007, n.180 modificata la n.245 e con la n.295
    Vitigni con cui è consentito produrlo
    Vedi qui

    Il San Ginesio, conosciuto anche come San Ginesio DOC, è un vino a Denominazione di Origine Controllata (DOC)[75] prodotto nei comuni di San Ginesio, Caldarola, Camporotondo di Fiastrone, Cessapalombo, Colmurano, Gualdo, Loro Piceno, Ripe San Ginesio e Sant'Angelo in Pontano, in provincia di Macerata.

    Caratteristiche

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    I vini rossi presentano un colore rosso rubino, variabile di intensità, e odore caratteristico e delicato. Generalmente il suo sapore è armonico, ovvero che tutte le sue componenti si uniscono perfettamente, anche alcuni possono essere fruttati. Le caratteristiche di "San Ginesio spumante" variano in base alla tipologia. Sia gli spumanti dolci che secchi hanno una spuma persistente sul bicchiere quando si versa, un colore simile ai vini rossi, ma con sfumature violacee e un odore fruttato. I prodotti secchi, a differenza di quelli dolci, hanno una sapore più amarognolo.[76][77]

    Vitigni con cui è consentito produrlo

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    I vitigni con cui si producono le varie tipologie di vino, variano in base alla tipologia prodotta. In dettaglio:[78][79]

    • San Ginesio rosso: Sangiovese minimo 50%; Cabernet franc, Cabernet sauvignon, Ciliegiolo, Merlot e Vernaccia Nera, soli o raggruppati per un minimo del 35%. Possono essere aggiunti anche altri vitigni a bacca nera non aromatici, massimo 15%.
    • San Ginesio spumante (secco o dolce): Vernaccia Nera: minimo 85%, ma si possono utilizzare altri vitigni non aromatici, massimo 15%.

    Abbinamenti consigliati

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    I vini di "San Ginesio rosso" possono essere abbinati bene con numerose pietanze, tra cui i vincisgrassi, compresi quelli alla maceratese, il pollo alla griglia, formaggi con media stagionatura o erborinati e alcuni salumi, tra cui il ciauscolo.[79][80] "San Ginesio spumante"; invece, se è uno spumante secco può essere servito con piatti a base di pesce, come i risotti, mentre se è uno dolce può accompagnare numerosi dolci al cucchiaio o a base di frutta.[80]

    Adriano Angerilli
    SoprannomeCapitano della Foresta
    NascitaSan Ginesio, 13 marzo 1918
    MorteArezzo, 18 giugno 2021
    Etniaitaliana
    Dati militari
    Paese servito
    Forza armata
    CorpoCorpo forestale dello Stato
    Anni di servizio1939-1983
    Grado
    GuerreSeconda guerra mondiale
    CampagneCampagna del Nordafrica
    BattaglieOperazione Compass
    DecorazioniMedaglia di bronzo al merito Silvano
    PubblicazioniVedi qui
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    Adriano Angerilli (San Ginesio, 13 marzo 1918Arezzo, 18 giugno 2021) è stato un militare italiano.

    Adriano Angerilli nacque a San Ginesio il 13 marzo 1918. Dopo aver frequentato gli studi agrari presso l'università di Bologna, entrò in servizio nel corpo della Forestale a Firenze nel 1939, per poi spostarsi a Vallombrosa, Sondrio e Napoli. Laureato con laurea triennale il 27 ottobre 1941,[81] fu costretto a lasciare gli studi, poiché venne chiamato alle armi in vista della seconda guerra mondiale. Offrendosi volontario, durante l campagna del Nordafrica venne stanziato nell'Africa settentrionale, rimanendo ferito nella battaglia di Tobruch. Fatto prigioniero dalle truppe Alleate britanniche, precisamente appartenenti alla Western Desert Force, venne trasferito negli Stati Uniti e rinchiuso nel campo di prigionia di Hereford, in Texas, dal 1943 al 1946, dove resterà fino alla chiusura.[82][83]

    Ritornato in Italia, riprese i suoi studi iscrivendosi nuovamente al corso agrario dell'università di Bologna, che frequenterà dal 1948 al 1950. Rientrato in servizio presso la forestale, venne stanziato prima ad Ascoli Piceno, poi ad Avezzano, ad Arezzo, a Forlì, a Perugia e a L'Aquila, andando in pensione nel 1983, con il grado di dirigente superiore.[82][83] Durante la sua carriera ottenne, nel 1952 venne insignito della medaglia di bronzo al merito silvano, divenne capo dell'Ispettorato regionale delle foreste dell'Abruzzo[84] e capo del Dipartimento Forestale di Arezzo,[85] ottenendo anche una laurea in lettere dopo il pensionamento.[84]

    Dopo aver compiuto 103 anni ed aver ricevuto gli auguri personali del sindaco di San Ginesio, Giuliano Ciabocco,[86] morirà il 28 giugno 2021. Attento alle problematiche ambientali, in una lettera alla famiglia, il generale di corpo d'armata, Antonio Pietro Marzo, lo ricorda come un uomo buono, che nel corso della sua vita cercò anche di aiutare le persone anziane ricoverate all'ospedale San Donato, come infermiere volontario.[87]

    • San Ginesio, vol. 1 (2005);
    • San Ginesio, vol. 2 (2007);
    • Hereford, Texas: onore e filo spinato 1943-1946 (2009).
    Aristide Morichelli d'Altemps

    Sindaco di San Ginesio
    Durata mandatoottobre 1860 –
    1969
    Predecessorese stesso (come priore)
    SuccessoreFilippo Angerilli

    Durata mandatoAgosto 1880 –
    1891
    PredecessoreRaniero Mazzabufi
    SuccessoreVincenzo Angerilli

    Dati generali
    Prefisso onorificoConte
    ProfessioneNobile

    Aristide Morichelli, conosciuto anche con il doppio cognome Morichelli d'Altemps (San Ginesio, 15 aprile 1826San Ginesio, 6 gennaio 1896) è stato un nobile, avvocato e politico italiano.

    Aristide Morichelli d'Altemps nacque a San Ginesio il 15 aprile 1826. Appartenente alla nobile famiglia Morichelli d'Altemps, nata per unione matrimoniale dal padre Ilarione Morichelli e Marianna d'Altemps nel 1818,[88] in giovane età diventa sottotenente della Seconda Compagnia Civica del Battaglione di San Ginesio e, a 25 anni, durante il governo dello Stato Pontificio, nelle 96 persone più ricche, con un bene di oltre 900 scudi. Le sue idee politiche erano in linea con quelle della sinistra storica, ed appoggiava l'anarchia e i movimenti rivoluzionari: proprio per questo fu messo sotto sorveglianza dalle autorità locali, nonostante alloggiasse temporaneamente a Macerata.[89] Laureato in legge, il 17 settembre 1851 venne eletto consigliere comunale, anche se il delegato apostolico di Macerata non convalidò la votazione, ritenendola nulla per questioni politiche. Dopo essere stato nuovamente eletto il 3 settembre 1857, il 10 novembre dello stesso anno venne scelto per diventare priore, l'equivalente del sindaco, di San Ginesio, carica che ricoprirà dal 1858 al 1860.[90]

    Assunta la carica il 26 gennaio 1858, e automaticamente divenuto capo della magistratura del paese, con gli eventi che portarono alla battaglia di Castelfidardo il 19 settembre 1860, venne scelto come presidente della Giunta Provvisoria di Governo cittadino e membro di quello provinciale, carica che ricoprirà dal 24 settembre 1860 al 10 febbraio 1961. Con la nascita del Regno d'Italia, nel mese di ottobre del 1860 divenne il primo sindaco di San Ginesio, anche se il suo operato fu ricco di faide interne. Costretto a lasciare il suo incarico nel 1868 per motivi familiari, venne rieletto nuovamente nell'agosto del 1882, ricoprendo nuovamente il titolo di sindaco fino al 1891.[91]

    Adriano Angerilli, Il sindaco Aristide Morichelli d'Altemps, in San Ginesio, vol. 1, Arezzo, Tipografia Artigiana di Giovanni Ezechieli, gennaio 2005, pp. 101-159.

    Sindaco di San Ginesio
    StatoItalia (bandiera) Italia
    TipoSindaco
    In caricaGiuliano Ciabocco (Lista civica)
    da11 giugno 2018
    PredecessoreMario Scagnetti
    Eletto daCittadini di San Ginesio
    Ultima elezione10 giugno 2018
    Prossima elezione2023
    Durata mandato5 anni
    SedePalazzo del Municipio
    IndirizzoVia Capocastello, 35
    Sito webwww.comune.sanginesio.mc.it/

    Di seguito l'elenco cronologico dei sindaci di San Ginesio e delle altre figure apicali equivalenti che si sono succedute nel corso della storia.

    Regno d'Italia (1861-1946)

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    Periodo Primo cittadino Partito Carica Note
    ottobre 1860 1868 Aristide Morichelli-d'Altemps Sindaco -
    aprile 1868 1874 Filippo Angerilli Sindaco -
    dicembre 1874 1882 Raniero Mazzabufi Sindaco -
    agosto 1882 1891 Aristide Morichelli-d'Altemps Sindaco -
    marzo 1891 1897 Vincenzo Angerilli Sindaco -
    16 febbraio 1897 24 agosto 1897 Vincenzo Potente Regio Commissario -
    1897 1900 Vincenzo Bruti Sindaco -
    1900 1908 Vincenzo Angerilli Sindaco -
    1908 1914 Beniamino Costantini Sindaco -
    20 maggio 1914 26 settembre 1914 Rodolfo Fioretti Commissario Prefettizio -
    1914 22 dicembre 1919 Alfredo Angerilli Sindaco -
    1919 16 ottobre 1920 Vincenzo Romita Commissario Prefettizio -
    1920 1923 Alfredo Graziosi Sindaco -
    1° luglio 1923 19 ottobre 1923 Alberto De Helguero Commissario Prefettizio -
    20 ottobre 1923 18 febbraio 1924 Filippo Pascali Commissario Prefettizio -
    18 febbraio 1924 30 marzo 1924 Giuseppe Tomassetti Commissario Prefettizio -
    1924 5 settembre 1925 Gustavo Baldoni Sindaco -
    1925 3 settembre 1927 Giuseppe Piersanti Sindaco -
    1927 1928 Ugo Michelangeli Commissario Prefettizio -
    1928 1930 Giuseppe Piersanti Partito Nazionale Fascista Podestà -
    aprile 1930 3 agosto 1930 Ugo Michelangeli Commissario Prefettizio -
    4 agosto 1930 3 settembre 1930 Giacomo Ferroni Partito Nazionale Fascista Podestà -
    1930 gennaio 1931 Evandro Restelli Commissario Prefettizio -
    1931 18 marzo 1933 Evandro Restelli Partito Nazionale Fascista Podestà -
    19 marzo 1933 15 settembre 1933 Amedeo Pennesi Commissario Prefettizio -
    1933 1934 Giuseppe Onofri Commissario Prefettizio -
    1934 24 aprile 1937 Giuseppe Onofri Partito Nazionale Fascista Podestà -
    1937 24 aprile 1938 Oscar Piatti Partito Nazionale Fascista Podestà -
    125 aprile 1938 14 luglio 1938 Giuseppe Consoli Commissario Prefettizio -
    1938 22 gennaio 1940 Adriano Valori Partito Nazionale Fascista Podestà -
    1940 3 marzo 1944 Giuseppe Cardarelli Partito Nazionale Fascista Podestà -
    4 marzo 1944 20 giugno 1944 Guglielmo Sanguinetti Commissario Prefettizio -
    20 giugno 1944 28 agosto 1944 Guido Micheletti Comitato di Liberazione Nazionale Presidente -
    1944 7 aprile 1946 Cesare Barbi Comitato di Liberazione Nazionale Sindaco [92]

    Repubblica Italiana (dal 1946)[93][94]

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    Periodo Primo cittadino Partito Carica Note
    8 aprile 1946 7 giugno 1946 Eliseo Salvucci Sindaco -
    1946 1946 Pietro Gentilozzi Sindaco -
    1946 26 ottobre 1947 Cesare Barbi Sindaco -
    1947 7 giugno 1951 Galdino Quassinti Sindaco -
    1951 10 giugno 1956 Alfredo Graziosi Sindaco -
    1956 20 novembre 1960 Febo Allevi Sindaco [95]
    1960 gennaio 1965 Franco Gentilozzi Sindaco -
    1965 settembre 1966 Giorgio Giorgi Sindaco -
    1966 giugno 1970 Euro Verdicchio Sindaco -
    1970 1978 Carlo Focaccetti Sindaco -
    1978 1980 Vincenzo Angerilli Sindaco -
    1980 1985 Vittorio Giorgi Sindaco -
    5 giugno 1985 10 giugno 1990 Vittorio Giorgi Democrazia Cristiana Sindaco -
    11 giugno 1990 23 aprile 1995 Pietro Enrico Parrucci Sindaco -
    24 aprile 1995 13 giugno 1999 Pietro Enrico Parrucci Lista civica di Centro-destra Sindaco -
    14 giugno 1999 19 gennaio 2003 Vittorio Taccari Lista civica Sindaco sfiduciato [96]
    20 gennaio 2003 25 maggio 2003 Salvatore Calvagna Commissario Prefettizio [97]
    26 maggio 2003 13 aprile 2008 Pietro Enrico Parrucci Lista civica Sindaco -
    14 aprile 2008 26 maggio 2013 Mario Scagnetti Lista civica Sindaco -
    27 maggio 2013 10 giugno 2018 Mario Scagnetti Lista civica "San Ginesio in movimento" Sindaco -
    11 giugno 2018 in carica Giuliano Ciabocco Lista civica "San Ginesio rinasce" Sindaco -

    Repubblica Italiana (dal 1946)

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    Chiesa di San Giovanni Battista
    StatoItalia (bandiera) Italia
    Regione Marche
    LocalitàRapagnano
    IndirizzoPiazza Siccone
    Religionecattolica di rito romano
    TitolareSan Giovanni Battista
    DiocesiArcidiocesi di Fermo
    Stile architettonicoRomanico
    Sito webwww.parrocchiarapagnano.it/

    La Chiesa di San Giovanni Battista è il principale luogo di culto cattolico di Rapagnano, in provincia di Fermo e arcidiocesi di Fermo.

    La chiesa Di San Giovanni Battista è l'unione di numerosi edifici, precisamente delle chiese di Santa Maria di Staturano San Severo e della chiesa dei Santissimi Giovanni e Paolo. L'origine degli edifici primitivi è ad oggi sconosciuta, anche se tramite alcuni documenti si evince che già nel XV secolo, precisamente nel 1453 e 1454, erano già presenti. Le due chiese erano entrambi chiese parrocchiali. Nella seduta dei consiglieri comunali, avvenuta il 4 aprile 1700, numerose mura avevano bisogno di un intervento di consolidamento, ma i lavori che l'amministrazione comunale eseguì, non fecero cessare il problema.

    Nella relazione stilata dai parroci Bernardino Perozzi d'Acquaviva e Giuseppe Campanelli, datata nel gennaio del 1728, si capisce che nonostante ci fossero due parrocchie e due parroci differenti, solo una chiesa e un solo parroco esercitavano la loro professione, alternandosi settimanalmente, mentre i funerali erano celebrati dal parroco a cui il defunto apparteneva. Nel 1753, precisamente l'11 gennaio, dopo che le problematiche continuarono a peggiorare, la comunità decise di abbattere il pulpito della chiesa di Santa Maria, vista la mancanza di fondi per poter finanziare i lavori. Nello stesso mese però, dopo un'accurata valutazione da parte delle autorità competenti, il degrado era in uno stato troppo avanzato in tutta la chiesa, quindi si decise di demolirla.

    Nel settembre del 1755, l'arcivescovo Alessandro Borgia, in visita al paese, approvò la costruzione della nuova chiesa e il 20 marzo 1959 venne posta la prima pietra dell'attuale chiesa, completata nel 1763.

    La chiesa di San Giovanni Battista è l'unione di numerose strutture

    La chiesa parrocchiale di Rapagnano è intitolata a San Giovanni Battista.

    L'attuale aspetto architettonico si deve all'unione di due luoghi sacri preesistenti, quelli di San Giovanni e dei SS.Maria e Severino, avvenuta nei primi anni del XIX secolo (1808).

    Svetta sulla facciata sobria e graziosa il campanile; l'ingresso si apre sulla cella inferiore della torre campanaria, dove è collocata un'iscrizione di caratteri gotici, in onore del figlio prediletto di Rapagnano, il pontefice Giovanni XVII, eletto nel 1003.

    La decorazione pittorica interna fu opera di Attilio Tentoni, allievo di Luigi Fontana nei primi anni del Novecento, vi è inoltre conservata, presso un altare, in una teca, la veneratissima reliquia della mano destra del Battista, giunta nel piccolo borgo nel corso del Trecento.

    Nel 1999 vi è stato allestito un Museo Parrocchiale, che espone dipinti, oggetti d'arte e sculture provenienti dalle chiese del paese e dalle località limitrofe: tra le opere più significate spiccano tre pale d'altare del XVI secolo di Carlo Ridolfi, artista veneto, e una Madonna con il Bambino del XVII secolo attribuita alla scuola del celebre Carlo Maratta.

    Dario Antonelli
    NascitaRipe San Ginesio, 18 settembre 1911
    MorteBergamo, 30 aprile 1945
    Cause della mortecaduto in combattimento
    Dati militari
    Paese servitoItalia (bandiera) Italia
    Forza armata
    Arma
    Corpo
    Anni di servizio1929-1931, 1933-1945
    Grado
    ComandantiGiampiero Pellegrini (1941)
    GuerreSeconda guerra mondiale
    Campagne
    BattaglieBattaglia di Fonteno
    Comandante diCompagnia O.P. "Macerata"
    Altre caricheInsegnante
    Fonti citate nel corpo del testo
    voci di militari presenti su Teknopedia

    Dario Antonelli (Ripe San Ginesio, 18 settembre 1911Bergamo, 30 aprile 1945) è stato un insegnante e militare italiano.

    Dario Antonelli nacque il 18 settembre 1911 a Ripe San Ginesio, un paesino della Provincia di Macerata, da Ciro Antonelli, fante che partecipò alla Prima guerra mondiale, ed Emma Bompadre, una bottegaia. Interessato alle scienze Agrarie, dopo il diploma ottenuto nel 1929 iniziò a lavorare per alcune aziende agricole locali, prestando contemporaneamente servizio militare nel Regio Esercito fino al 18 settembre 1931, diventando Camicia nera. Nel 1933 ottenne l'autorizzazione ad insegnare, venendo trasferito al vicino paese di San Ginesio: lì svilupperà maggiormente il suo sentimento patriottico, avvicinandosi anche alla politica del Partito Nazionale Fascista. Nello stesso anno diventa Camicia nera scelta nella 109° Legione CC.NN. di Macerata.

    L'1 giugno 1936 dopo essersi iscritto alla Scuola Allievi Ufficiali del 94° Reggimento fanteria di Fano, divenne allievo ufficiale e venne stanziato nel 157° Reggimento fanteria di Macerata il 31 ottobre, per poi essere congedato il 27 ottobre 1939 con il grado di sottotenente, per ricoprire il grado di sottocapomanipolo nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, per pio essere promosso capomanipolo nell'aprile 1940.

    Seconda guerra mondiale

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    La campagna greca e jugoslava

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    Con l'entrata in guerra del Regno d'Italia, il 7 settembre 1940 Antonelli venne spedito nell'Albania italiana, giungendo a Durazzo il giorno dopo. Più di un mese dopo, precisamente i 28 ottobre 1940, venne schierato in prima linea sul fronte greco-albanese, rimanendo però ferito in combattimento a una spalla il 15 novembre. Curato in uno ospedale da campo, fece ritorno in Italia il 20 novembre per ricevere altre cure mediche a Ripe San Ginesio e all'ospedale militare di Ancona. Rientrato in servizio il 20 settembre 1941, si diresse a Zara, nello Stato Indipendente di Croazia, con la 7° Brigata CC.NN. guidata da Giampiero Pellegrini: lì, insieme alla sua squadra, sarà bersaglio di innumerevoli attacchi improvvisi. Partecipando alle riconquiste che il Regio Esercito Jugoslavo stava portando avanti, combatterà prima a Drvar, poi a Kljuc, dove rimarrà in isolamento, insieme agli altri commilitoni fino alla primavera del 1942, senza ordini né rifornimenti a causa del rigido inverno. Dopo che il battaglione si ricongiunse con le altre truppe nei pressi della Dalmazia, si ritrova a combattere a Braškov, ma ferito nella gamba destra, venne ricoverato all'ospedale San Demetrio di Zara e dismesso il 31 marzo 1943, quando ebbe l'autorizzazione a raggiungere la famiglia nel suo paese natale.

    La campagna italiana

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    Dopo essere rientrato in servizio, il 2 giugno 1943 venne trasferito dal Comando della 7° Legione della MVSN a Roma. Avvilito dalla situazione militare italiana, l'8 settembre 1943 decise di chiedere il pensionamento, ma con la proclamazione dell'armistizio, decise di dirigersi a Macerata per contribuire a ricomporre l'esercito, insieme agli ex commilitoni e alcuni giovani. Preso quindi il comando di un gruppo di soldati della 109esima Legione, si impegnò ad effettuare numerosi lavori di ordine pubblico in tutta la Provincia di Macerata, contrastando i ribelli e promuovendo la leva militare a favore della neo Repubblica Sociale Italiana, sia con azioni militari che con discorsi pubblici.[98] Dal settembre 1943 al febbraio 1944 si occupò della ricerca e della cattura di slavi e soldati degli Alleati evasi dai campi di prigionia o dalle carceri, senza entrare eccessivamente in scontri a fuoco. In seguito ad un attacco avvenuto lungo la SS 77 ai danni dell'Ispettorato Militare del Lavoro, numerose squadre vennero stanziate nella provincia, tra cui l'I Battaglione CC.NN. "IX Settembre" ed SS: Antonelli ebbe il compito di verificare eventuali ritorsioni dei rastrellamenti contro i civili.[99] Con il peggioramento della situazione della RSI, Antonelli partì in direzione dell'Italia settentrionale, insieme alla sua Compagnia e a numerosi civili maceratesi, per recarsi a Mantova, dove venne messo al comando della Compagnia O.P. "Macerata". Stanziato a Canneto Sull'Oglio poi a Bergamo nella Caserma dei Mille della Guardia Nazionale Repubblicana, venne promosso a capitano da Renato Ricci, per poi dirigersi a Clusone dall'agosto del 1944 all'aprile del 1945. In questo periodo partecipò agli scontri a fuoco che si verificarono nella zona est del lago di Endine, eventi conosciuti come battaglia di Fonteno.[100] Il 25 ottobre il reparto di Antonelli collaborò a compiti tattici con la Waffen-SS, dirigendosi quindi nei pressi dell'Alta Val Seriana,[101] mentre il 16 dicembre sono chiamati per accogliere l'arrivo di Benito Mussolini in Piazza San Sepolcro.

    La compagnia continua ad occuparsi di rastrellamenti e della resistenza presente nelle zone: il 23 febbraio catturarono due staffette donna della banda "Moscatelli", per poi liberarle su ordine di Antonelli perché non voleva fare guerra contro le donne. Il 24 aprile Antonelli ebbe l'ordine di ripiegare verso Bergamo in vista dell'avvicinarsi della fine della seconda guerra mondiale: la compagnia venne imbarcata in treni il 26 aprile, cantando nel mentre "Addio mia bella addio". Giunti prima nella stazione di Ponte Nossa e poi in quella di Gazzaniga, Antonelli venne informato che la linea ferroviaria era interrotta e non potevano proseguire, quindi decise di chiamare la Prefettura di Bergamo per informarla dell'accaduto, senza sapere che la struttura era già occupata dal Comitato di Liberazione Nazionale. Dopo momenti di sgomento, Antonelli venne accompagnato presso la casa parrocchiale del parroco Luigi Lazzari, dove incontrò alcuni esponenti del CLN per firmare la resa.

    Dopo aver firmato la resa in cambio dell'incolumità dei suoi commilitoni, Antonelli è ospitato nella casa del parroco, mentre il resto dei soldati vennero imprigionali presso lo stabilimento della ditta Ansaldo. Il 29 aprile, preoccupato delle condizioni dei suoi commilitoni, si diresse alla fabbrica per sincerarsi, ma venne riconosciuto dai civili che avvertirono i partigiani. All'uscita dalla struttura fu costretto a consegnarsi alle truppe della resistenza, che lo portarono a Bergamo, lo rinchiusero nelle carceri di Sant'Agata e lo uccisero il 30 aprile presso il cimitero. Il resto dei soldati venne condotto nel carcere di Bergamo, dove subirono violenze e torture, contro gli accordi firmati alla resta.

    Croce di guerra al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
    «Comandante di un plotone Esploratori, guidava il suo reparto alla conquista dell'obiettivo assegnatogli. Contrattaccato violentemente dal nemico, con bravura e fermezza tenacemente resisteva, finché ferito era costretto ad allontanarsi. Esempio di valore e sprezzo del pericolo. Monte Malit (Fronte Greco) 15/11/1940 - XIX -»
    — 24 gennaio 1943[102]
    RisorgiMarche
    LuogoPaesi dell'entroterra, Marche, Italia (bandiera) Italia
    Anni2017 – presente
    Frequenzaannuale
    Fondato daNeri Marcorè
    Dateluglio - agosto
    Generemusicale
    Sito ufficialerisorgimarche.it/

    RisorgiMarche è un festival musicale itinerante, ideato da Neri Marcorè, che si svolge annualmente nei paesi dell'entroterra marchigiano colpiti dal terremoto del 2016 e 2017.

    RisorgiMarche nasce come idea per lo sviluppo turistico dei paesi colpiti dal terremoto del Centro Italia del 2016 e del 2017. La prima edizione dello spettacolo è stata il 25 giugno 2017[103] e da lì, si svolge annualmente. Organizzato da Neri Marcorè, in ogni edizione del festival sono presenti numerosi artisti musicali e spettatori. Nel 2018 il festival ha visto un incremento delle persone partecipanti, da 80 mila a 150 mila, che anno incrementato lo sviluppo economico del Comune ospitante.[104] Circa 70 mila di esse sono state presenti al concerto di chiusura di Jovanotti[105]

    Oltre ad essere gratuito per gli spettatori, RisorgiMarche è stato ideato per essere ecosostenibile: le persone assistono agli spettacoli in un campo, sotto il sole e a chilometri di distanza dal parcheggio, mentre gli artisti si esibiscono senza palcoscenico e senza illuminazione.[106][107]

    Nel 2019, come affermato dallo stesso Marcorè, l'edizione è stata organizzata per aumentare la stampa a parlare della ricostruzione del territorio, dopo un calo d'interesse iniziato nel 2017.[108] Nel 2020, nonostante la pandemia di COVID-19, lo staff del festival si è adattato alle normative emanate dallo Stato permettendo così lo svolgimento della quarta edizione.[109]

    Nel 2021 il festival ha iniziato delle collaborazioni con i Comuni, effettuando nuovi concerti in linea con l'ecosostenibilità, alcuni fuori dal territorio marchigiano e dai borghi colpiti dal terremoto.[110] I finanziamenti della Regione Marche, originariamente di 150 mila euro, nello stesso anno sono diminuiti di due terzi, per poter finanziare altri progetti.[111]

    Monumento ai Caduti di tutte le guerre

    Il Monumento ai Caduti di tutte le guerre è un monumento ai caduti di Macerata, che si trova in piazza della Vittoria, posto all'inizio del Corso Camillo Benso conte di Cavour.

    L'opera venne realizzata tra il 1927 e il 1932 dall'architetto Cesare Bazzini, concepita come accesso scenografico allo stadio della Vittoria.[112]

    Il giallo dei Sibillini è un fatto di cronaca nera nato dopo la morte di Jeanette Bishop e Gabriella Guerin, avvenuta in una data incerta. La sparizione delle due donne avvenne il 29 novembre 1980 sui Monti Sibillini, nei pressi di Sarnano.[113] Le indagini si estero anche in altri Stati, gran parte nell'Unione Europea, e in Brasile.

    Ellen Dorothy Jeanette Bishop, conosciuta con il cognome Rothschild essendo l'ex moglie del finanziere Evelyn Rothschild o con il cognome May acquisito dal secondo marito Stephen Charles May, stanziava a Sarnano nel mese di novembre del 1980 con la sua segretaria e interprete Gabriella Guerin, per eseguire dei lavori di restauro ad una casa acquistata presso la frazione Schito. Il 29 novembre Bishop e la Guerin decisero di andare a fare un giro nei pressi della montagna, dirigendosi con la loro auto, una Peugeot 104, verso Sassotetto. Quella sera le condizioni climatiche erano avverse, infatti vi fu una tormenta di neve che si prolungò fino al giorno dopo.[114]

    Non vedendo il ritorno delle due donne, nel mese di dicembre un elicottero dei carabinieri del Nucleo elicotteri di Ancona partì alla loro ricerca, riuscendo ad individuare l'auto. Le forze dell'ordine iniziarono le indagini e riuscirò a scoprire che l'auto era stata parcheggiata volontariamente. Delle impronte furono trovare nei pressi di una casa e si pensò che Jeanette e Gabriella avessero utilizzato la struttura come rifugio a causa della nevicata abbondante. L'auto non presentava segni di lotta, segni di scasso o furto e segni di guasti.[115]

    Il 14 gennaio il marito Stephen disse di dare una ricompensa di 208 000 dollari per chi avesse ritrovato Jeanette viva,[116] ma il 18 gennaio 1982 i carabinieri di Camerino, non trovando i corpi delle due donne, ipotizzarono che fossero morte assiderate, anche se l'allora marito di Jeanette non concordò con l'ipotesi. Il 27 gennaio due cacciatori si imbatterono, in un bosco tra il Lago di Fiastra e l'eremo di San Liberato,[117] negli oggetti personali e negli scheletri delle due donne: le ossa erano state danneggiate dai cinghiali e alcune di esse erano mancanti. Con l'autopsia si riuscì a capire che sia Jeanette che Gabriella morirono sul luogo del ritrovamento.[118]

    Nel dicembre del 1982 il caso venne preso dal procuratore di Macerata Alessandro Iacoboni, che aprì un fascicolo per omicidio doloso. Scotland Yard, nel mentre, stava effettuando delle indagini sulla morte di un antiquario romano, Sergio Vaccari, ucciso con quindici coltellate il 17 settembre 1982 nel suo appartamento ad Holland Park: quest'indagine complicò ulteriormente il caso della morte delle due donne, poiché si scopri che Jeanette era uno dei contatti dell'uomo. La figura di Jeanette e dell'antiquario sono collegate con il furto alla casa d'aste "Christie's" di piazza Navona e dei telegrammi, a volte incomprensibili, sono stati ritrovati.[119] Il 25 settembre 1989 Iacoboni conclude che il caso è attribuibile ad un duplice omicidio con cause e responsabili ignoti.[120]

    Durante le indagini il nome della Bishop uscì nel caso Orlandi[121] e su confessione di Marco Fassone Accetti, Jeanette venne scelta per denunciare delle violenze sessuali ai danni del presidente dell'Istituto per le opere di religione Paul Marcinkus.[122]

    Il Gruppo Futurista "Boccioni" è stato un collettivo di persone attivo dal 1932 al 1942 che diffusero il futurismo a Macerata, fino a raggiungere le Marche, il territorio nazionale e l'estero. Il Gruppo prende il nome da Umberto Boccioni.

    La nascita del futurismo maceratese

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    Nel 1922 Ivo Pannaggi portò il futurismo a Macerata, facendo interpretare opere teatrali e organizzando presso il Palazzo del Convitto Nazionale la Prima Esposizione Futurista, promossa anche dalla Esposizione Provinciale d’Arte.[123] La presenza di Filippo Tommaso Marinetti mise Macerata al centro dell'attenzione, ma solo dieci anni dopo, ovvero nel 1932, il futurismo si svilupperà maggiormente. In quest'anno infatti Sante Monachesi, Rolando Bravi, Mario Buldorini e Ferdinando Paolo Angeletti diedero vita al Gruppo Futurista "Boccioni", pubblicando il proprio manifesto, un disegno chiamato Futurismo maceratese.[124] Questo portò alla nascita del futurismo maceratese, sviluppato dapprima a Macerata, nell'omonima provincia, fino a diffondersi in tutte le Marche, rientrando nel periodo conosciuto come "secondo" futurismo. Fu proprio Marinetti a definire il Gruppo come "gruppo marchigiano".[125]

    La nascita del Gruppo portò ad uno sviluppo di numerose arti, come quella della pittura, della scultura, della grafica, della pubblicità, del cinema e di opere folkloristiche, influenzando lo stile di vita maceratese fino agli anni 1970.[126] Molti dei membri, come Arnaldo Bellabarba e Bruno Tano, svilupperanno le loro opere sulla figura dell'aeroplano e molte opere di esse vennero esposte all'estero. L'aeropittura infatti riusciva ad unire il movimento e la velocità, temi promulgati dal futurismo, con la realtà di quei giorni: proprio nel 1936 venne inaugurato l'aeroporto di Forlì, nel 1938 iniziò la costruzione della caserma Armando Di Tullio dei V.A.M. e nel 1939 l'aeroporto di Falconara diventa operativo.[125]

    Gli anni 1940 e lo scoppio della seconda guerra mondiale

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    Nel 1940 con la mostra Mostra d'Arte Futurista venne seguita da un convegno per le sorti del gruppo con l'avvento della seconda guerra mondiale: fu proprio l'inizio della guerra che porto gran parte di componenti ad abbandonare il Gruppo, come Ezio Bartocci, Alberto Peschi e Umberto Peschi, chiamati alle armi. Tano rimase l'unico esponente del futurismo marchigiano. Il Gruppo si presentò per l'ultima volta alla XXII Biennale di Venezia, per poi sciogliersi dopo la morte di Tano, avvenuta all'ospedale di Macerata il 23 luglio 1942.[125]

    • Esposizione Provinciale dei sotto i Trenta, Macerata, 1938;
    • Mostra di Aeropittura futurista, Ancona, 1938;
    • Mostra Viaggiante di Aeropittura Futurista, Falconara Marittima e Rimini, 1939;
    • Mostra di Arte Futurista al Teatro Lauro Rossi, Macerata, 1940;
    • Mostra Fotografica delle Terre d’Oltremare, Macerata, 1940;
    • Prima Mostra Nazionale dei fotoplastici di Guerra, Macerata, 1942;
    • Aerrimobili, Ripe San Ginesio, 2021.
    • Roberto Cresti, Aerrimobili: il metà-futurismo del Gruppo "Boccioni" Macerata 1932-1942, Ripe San Ginesio, Edizioni Simple, 2021.
    Giuseppe Nicola Gilberti
    vescovo della Chiesa cattolica
     
    Incarichi ricoperti
     
    Nato1630 a San Ginesio
    Ordinato presbitero20 ottobre 1651
    Nominato vescovo12 maggio 1681
    Consacrato vescovo17 novembre 1963 dal vescovo Giacomo Franzoni
    Deceduto6 ottobre 1699 (69 anni)
     

    Giuseppe Nicola Gilberti (San Ginesio, 16306 ottobre 1699) è stato un vescovo cattolico italiano.

    Chiesa di San Francesco
    StatoItalia (bandiera) Italia
    Regione  Marche
    LocalitàSan Ginesio
    ReligioneCattolica di rito romano
    TitolareSan Francesco
    DiocesiArcidiocesi di Camerino-San Severino Marche
    Stile architettonicoRomanico
    Inizio costruzioneXI secolo
    Completamento1050
    Sito webwww.sanginesioturismo.it/chiesa-san-fancesco/

    La chiesa di San Francesco è una chiesa cattolica romana situata a San Ginesio, nelle Marche.

    Intorno alla metà del XI secolo i monaci benedettini edificarono la chiesa, originariamente dedicata a San Pietro, nella via più antica di San Ginesio, la via Capocastello (Caput Castriin latino). Nel 1216 venne data ai frati francescani che, nel 1230, la intitolarono a San Francesco. Questi a loro volta la cedettero ai Conventuali che rimasero fino alla soppressione napoleonica. Nel corso della sua storia la chiesa ottenne un'altra denominazione, ovvero chiesa dei comizi, poiché al suo interno si radunava il popolo ginesino per prendere importanti decisioni che riguardavano la comunità e per eleggere i Priori del Comune.[127] Fu proprio in questo periodo che il convento ospitò Bernardino da Siena e Giacomo della Marca.[128]

    Per qualche decennio la chiesa e il convento limitrofo venne dato al demanio, per tornare poi di proprietà dell’Ente ecclesiastico che nel 1836 vi insediò il Terzo Ordine Regolare di San Francesco, spostati dalla chiesa di Santa Maria in Fiolce. Nel 1861, con la nascita del Regno d'Italia, il convento divenne di proprietà dello Stato, diventando così sede del Comune di San Ginesio.[129] Ai frati venne data un'altra struttura, un palazzo signorile posto di fronte alla chiesa, visto che la zona dove la chiesa venne costruita ospitava i nobili.[130]

    Il 26 settembre 1997, a seguito del terremoto che colpì le Marche e l'Umbria, la chiesa ha subito un cedimento delle fondazioni della zona absidale e del campanile: visto ciò nel 1999 vennero inserite delle catene in ferro per sorreggere il campanile e venne consolidata la zona dell'abside.[131][132] Con il terremoto del 2016 e del 2017 il timpano della chiesa è crollato, mentre una parte del tetto è decaduto all'interno.[133] Le scosse, inoltre, hanno provocato danni alle mura perimetrali e all'abside. Per la messa in sicurezza, la Soprintendenza dei beni archeologici delle Marche ha disposto l'utilizzo di speciali fibre di vetro e particolari malte, pilastrini, setti murari e contrafforti. Per evitare infiltrazioni d'acqua è stata posizionata una guaina impermeabile.[133][134]

    La chiesa presenta una pianta rettangolare ed è costruita in romanico e gotico. Il portale della facciata a salienti, del 1240, presenta numerose decorazioni gotiche, come le colonne tortili, per poi essere ritoccato intorno al XVIII secolo per assumere linee riconducibili al neoclassicismo. L'abside, anch'esso gotico, presenta delle arcate con finestroni trilobati, che illuminano la chiesa. L'attuale convento dei frati del Terzo Ordine Regolare, ha la cosiddetta "porta del morto", una porta utilizzata nei palazzi signorili dalle famiglie nobili per far uscire i cadaveri.[131][132]

    L'interno non è diviso in navate, con tre campate separate da un lesene dove è inserita una nicchia. La muratura laterale presenta sei altari, tre per ogni lato, simile all'auditorium Sant'Agostino, all'interno di cappelle realizzate in stile barocco. Il presbiterio è introdotto da un arco trionfale, posto avanti ad un parapetto e all’altare principale. L’abside è a pianta poligonale e sul lato est si apre una cappella costruita utilizzando una pianta quadrata. Sono presenti anche delle volte a botte a sesto ribassato, mentre il tetto è costruito a due falde con solaio in mattoni, rivestito utilizzando dei coppi. Il tutto è sorretto da travi di legno e capriate.[131][132]

    La chiesa presenta un intonaco di colorazione rosacea e ospita numerosi affreschi. Nella navata è presente un arcosolio dipinto e nella cappella a lato del presbiterio sono conservati alcuni affreschi della scuola giottesca[135] che raffigurano alcune storie della vita di San Francesco, che riprendono quelli della Basilica Superiore di Assisi.[132] Nella prima metà del XX secolo Guglielmo Ciarlantini eseguì alcune decorazioni e dipinse il battesimo di Gesù.

    Il Dantes Adriacus è una xilografia originaria del 1920 di Adolfo de Carolis, creata in occasione del sesto centenario della morte di Dante Alighieri. Il titolo dell'opera deriva da un suggerimento di Gabriele D'Annunzio al de Carolis, all'epoca illustratore delle sue opere. Infatti, il de Carolis donò una copia dell'originale proprio al poeta che la chiamò "Dantes Adriacus".[136] Le versioni del Dante Adriacus riportano la dedica "PER LA CITTÀ DI VITA E PER GABRIELE D'ANNUNZIO ADOLFO DE CAROLIS PICENO INCISE MCMXX", mentre un'altra versione conosciuta semplicemente come "Dante Alighieri" non riporta la seguente dicitura.[137]

    Nel primo piano dell'opera troviamo una rappresentazione di Dante a mezzo busto frontalmente allo spettatore. Le sue mani sono incrociare tra loro e poste sopra alla sua opera principale, la Divina Commedia, precisamente sugli ultimi versi del Paradiso (A l’alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e ’l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle.). In prossimità della mani troviamo altri due libri, sempre opere di Dante, precisamente il Convivio a sinistra e Vita Nova a destra. Sullo sfondo troviamo tre arcate diversamente illuminate, che simboleggiano le tre cantiche: quella di sinistra rappresenta l’Inferno, quella centrale il Purgatorio e quella di destra, con una lucerna accesa che rappresenta la Sapienza, il Paradiso.

    Adolfo de Carolis donò varie xilografie a numerosi Comuni, come San Ginesio nel 1925,[138] con dedica dello stesso autore, e Montefiore dell'Aso.[137] Anche D'Annunzio donò numerose copie: Ravenna,[136] Trento[139] e Trieste[140], hanno xilografia che riportano una dedica unica e diversa dello stesso D'Annunzio.

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