Indice
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Inizio
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1 Ambito familiare e formazione
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2 Gli anni dello squadrismo
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3 L'attività politica, culturale e giornalistica
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4 La guerra d'Etiopia
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5 L'ascesa
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6 Il MinCulPop e Doris Duranti
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7 Segretario del Partito Fascista Repubblicano
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8 L'assise di Verona
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9 I franchi tiratori di Firenze
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10 La creazione delle Brigate Nere
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11 La missione in Venezia Giulia
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12 Il Ridotto alpino repubblicano
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13 Le ultime giornate di Salò
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14 Intitolazioni
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15 Onorificenze
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16 Pubblicazioni
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17 Nella cultura di massa
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18 Note
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19 Bibliografia
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20 Voci correlate
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21 Altri progetti
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22 Collegamenti esterni
Alessandro Pavolini
Alessandro Pavolini | |
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Pavolini negli anni 30. | |
Segretario del Partito Fascista Repubblicano | |
Durata mandato | 15 novembre 1943 – 28 aprile 1945 |
Predecessore | carica istituita |
Successore | carica abolita |
Ministro della cultura popolare del Regno d'Italia | |
Durata mandato | 31 ottobre 1939 – 6 febbraio 1943 |
Capo del governo | Benito Mussolini |
Predecessore | Dino Alfieri |
Successore | Gaetano Polverelli |
Deputato del Regno d'Italia | |
Legislatura | XXIX |
Sito istituzionale | |
Consigliere nazionale del Regno d'Italia | |
Legislatura | XXX |
Dati generali | |
Partito politico | Fasci italiani di combattimento (1920-1921) Partito Nazionale Fascista (1921-1943) Partito Fascista Repubblicano (1943-1945) |
Titolo di studio | Laurea in giurisprudenza e in scienze politiche |
Università | Università degli Studi di Firenze |
Professione | giornalista |
Alessandro Pavolini | |
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Pavolini con l'uniforme delle Brigate Nere. | |
Nascita | Firenze, 27 settembre 1903 |
Morte | Dongo, 28 aprile 1945 (41 anni) |
Cause della morte | fucilazione |
Luogo di sepoltura | Cimitero Maggiore di Milano |
Dati militari | |
Paese servito | Regno d'Italia Repubblica Sociale Italiana |
Forza armata | MVSN Regia Aeronautica Brigate Nere |
Specialità | Corrispondente di guerra Osservatore |
Unità | 15ª Squadriglia da bombardamento Caproni "La Disperata" |
Anni di servizio | 1923 - 1924 1935 - 1937 1943 - 1945 |
Grado | Centurione (MVSN) Capitano (regia aeronautica) Comandante in capo (brigate nere) |
Guerre | Guerra d'Etiopia Seconda guerra mondiale |
Campagne | Campagna d'Italia |
Battaglie | Battaglia dell'Endertà Seconda battaglia del Tembien |
Comandante di | Brigate nere |
Altre cariche | Politico Ministro della cultura popolare Segretario del Partito Fascista Repubblicano |
"fonti nel corpo del testo" | |
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Alessandro Pavolini (Firenze, 27 settembre 1903 – Dongo, 28 aprile 1945) è stato un giornalista, politico, scrittore, generale e gerarca fascista italiano, Ministro della cultura popolare del Regno d'Italia e segretario del Partito Fascista Repubblicano. Nel 1922 partecipò alla Marcia su Roma, e nel 1929 divenne federale di Firenze. Dopo l'arresto di Mussolini (25 luglio 1943) fuggì nella Germania nazista e di lì si attivò per la ricostituzione del fascismo in Italia. Fondatore delle Brigate nere (milizia volontaria della Repubblica Sociale Italiana attiva dal luglio del 1944), fu catturato e giustiziato dai partigiani a Dongo.
Ambito familiare e formazione
[modifica | modifica wikitesto]Il padre era il livornese Paolo Emilio Pavolini, poeta e filologo, nonché docente ordinario di sanscrito e di civiltà dell'India antica presso l'Istituto di Studi Superiori di Firenze. La madre era Margherita Cantagalli, di una famiglia dell'alta borghesia fiorentina.[1][2] Alessandro nacque nell'aristocratica e antica residenza fiorentina occupata dalla famiglia in via San Gallo 57.
Dal 1916 al 1920 frequentò il ginnasio e il liceo classico presso l'istituto Michelangiolo di Firenze. Si iscrisse quindi alla facoltà di legge dell'Università di Roma e all'Istituto superiore di studi Cesare Alfieri dell'Università di Firenze, dove studiò scienze sociali.[1] Al contempo, incominciava le prime esperienze letterarie e alternava l'impegno culturale a quello politico.
Gli anni dello squadrismo
[modifica | modifica wikitesto]Il 1º ottobre 1920 aderì ai Fasci Italiani di Combattimento di Firenze e partecipò a varie azioni violente nelle squadre d'azione del conte Dino Perrone Compagni, rimanendo allo stesso tempo amico di Carlo e Nello Rosselli.[3]
Il 28 ottobre 1922, in occasione della Marcia su Roma, trovandosi nella capitale per sostenere alcuni esami universitari, si unì al gruppo di fascisti proveniente da Firenze.[1]
Tra il 1922 e il 1923 fece parte del Fascio dissidente di Firenze, più radicale e intransigente, e per un periodo attivo con un rapporto di collaborazione e competizione con il Fascio ufficiale, assieme a Raffaele Manganiello e alla cosiddetta "Banda dello Sgombero", della quale fece simbolicamente parte anche il padre. Rientrerà, con tutti i dissidenti, nel Fascio ufficiale durante il 1923.[4]
Tra il 1923 e il 1924 svolse il servizio militare come sottotenente dei Bersaglieri, ottenendo il grado di centurione della MVSN al suo congedo.
Nel 1924, nel contesto della crisi seguita all'assassinio di Giacomo Matteotti, perorò la causa della "seconda ondata" fascista, che avrebbe dovuto instaurare una dittatura, spazzando via ogni residua opposizione politica e realizzando la fascistizzazione dello Stato. Partecipò quindi alla contestazione del docente antifascista Gaetano Salvemini all'Università degli Studi di Firenze[1].
L'attività politica, culturale e giornalistica
[modifica | modifica wikitesto]Successivamente ricoprì vari incarichi negli istituti di cultura e nei movimenti giovanili fascisti: nel 1925 fu addetto stampa della Legione Ferrucci. Successivamente collaborò a Battaglie fasciste, Rivoluzione fascista, Critica fascista, Solaria (1926-1932) e saltuariamente a riviste letterarie. Pubblicò il romanzo Giro d'Italia. Romanzo sportivo e compose poesie a tema crepuscolare.
Nel maggio del 1927, grazie all'interessamento di Augusto Turati, allora segretario del partito, e del marchese Luigi Ridolfi, fu nominato vicefederale di Firenze (cioè vicesegretario della federazione provinciale). Si sposò nel 1929 e la coppia ebbe tre figli, Ferruccio (1930), Maria Vittoria (1931) e Vanni (1938).[1]
Il 17 settembre 1929, in seguito al rapporto del prefetto di Firenze al Ministero dell'Interno, vennero segnalati i suoi precedenti di "attivo squadrista" e di partecipante alla Marcia su Roma,[4] permettendogli quindi di ottenere il Brevetto della Marcia su Roma,[5] requisito che tra l'altro concedeva una serie di preferenze e benefici durante il regime.[6]
Sempre nel 1929 successe, appena ventiseienne, al marchese Ridolfi alla carica di segretario della federazione provinciale del PNF di Firenze. In questo ruolo, riuscì a rafforzare la presenza fascista nell'area, portando gli iscritti dai circa 30.000 che erano nel 1929 ai quasi 45.000 della fine del 1933: aprì case del fascio nelle campagne e appoggiò raggruppamenti nei rioni urbani, incoraggiando la realizzazione di attività di propaganda ricreative soprattutto di carattere sportivo e turistico. Informò lo sviluppo di Firenze di modi peculiari al capoluogo, promuovendo la riscoperta del calcio storico, con una partita annuale in costume, e l'artigianato locale (con una fiera nazionale).[1] Favorì inoltre la realizzazione dell'autostrada Firenze-Mare e della centrale Stazione di Santa Maria Novella, e istituì il Maggio Musicale Fiorentino. Diventato gerarca, fu in questo periodo che cominciò ad alimentare il "mito della giovinezza", tra i motivi fondanti del regime, esaltando e puntando principalmente l'attenzione sugli anni dello squadrismo[4]:
«Sede di Via Cavour, sede di piazza Ottaviani... Acri mesi del '20, del '21. Bastonature che nascevano in piazza, improvvise, come i mulinelli della polvere nelle sere di vento; canti irosi nei rioni ostili; revolverate; vie deserte con tutte le porte, le persiane serrate come per un temporale; i camions; i morti (gli occhi stravolti nel viso dell'amico, quel sangue, sulla pietra) e gli indimenticabili vivi, "i vecchi": rivelazione di temperamenti straordinari colti nell'istante dello scatenamento (...) corto circuito d'inquietitudini, di entusiastiche devozioni; vita di capannello e di spedizione, combattimento alle cantonate, alle siepi; disperati litigi; armi spaiate; berretti da ciclista, elmi, baveri alzati.»
Nel 1929 inoltre fondò la rivista Il Bargello, organo della federazione fiorentina e rivista letteraria tra le più interessanti del Ventennio: riuscì a convogliarvi alcune future grandi firme della letteratura e del giornalismo italiano, come Elio Vittorini, Vasco Pratolini, Romano Bilenchi, Ardengo Soffici, Indro Montanelli[1][7]. Quest'ultimo scrisse di Pavolini[7]:
«...sotto la crosta dell'intellettuale tollerante c'era la sostanza di un estremista.»
Eletto deputato nel 1934, lasciò la direzione del Fascio fiorentino e si spostò a Roma. Insieme con Giuseppe Bottai, contribuì all'ideazione e all'organizzazione dei Littoriali della cultura e dell'arte. Dal 1934 al 1942 fu stabilmente al Corriere della Sera come inviato speciale. Durante questa esperienza, in un articolo si scagliò contro la stampa estera, affermando che gli stranieri fossero "lividi d'ira e d'invidia perché hanno la precisa coscienza del livello morale che passa tra i nostri giornali, araldi di un'idea, e quelli delle 'grandi democrazie', asserviti alla massoneria e all'affarismo"[7].
Fu nell'ambiente romano che nacque l'amicizia con Galeazzo Ciano, genero del Duce e dal 1935 ministro per la Stampa e la Propaganda.[1]
Già nel settembre 1935 Pavolini si trovava ad Asmara come corrispondente di guerra in vista dell'imminente conflitto etiopico.[senza fonte] Quando il conflitto scoppiò, molti gerarchi partirono volontari. Ciano e Pavolini vennero assegnati alla stessa squadriglia aerea da bombardamento, la 15ª, detta la Disperata. Pavolini aveva l'incarico di ufficiale osservatore e di reporter.[1]
La guerra d'Etiopia
[modifica | modifica wikitesto]Nella veste di giornalista, Pavolini magnificò Ciano e il concetto razzista della presunta natura "civilizzatrice" dell'avventura coloniale. Nell'articolo La titanica opera compiuta in Eritrea, uscito sul Corriere della Sera il 17 settembre 1935, riferì enfaticamente dell'ingrandimento del porto di Massaua. Dal complesso della sua attività di corrispondente, traspariva grande disprezzo per gli abissini, considerati immensamente inferiori ai colonizzatori.[1]
Il 3 ottobre partecipò alla sua prima azione durante il bombardamento della città etiopica di Adua.[senza fonte]
Di questo periodo è un inno in onore di Galeazzo Ciano, comandante della squadriglia:
«Vita, sei nostra amica. Morte, sei nostra amante.
Nella prima carlinga è Ciano comandante.
A chi ci seguirà, il varco si aprirà
Anche la geografia bombardando si rifarà»
Nel periodo che va da Natale ai primi di febbraio del 1936, Pavolini fu costretto all'inattività a causa di una licenza in Italia di Ciano: in questo periodo progettò azioni ardimentose da proporre a Ciano, che rimasero tutte sulla carta: come l'occupazione di un isolotto sul Lago Tana, in territorio nemico, dove impiantare una base aerea facilmente difendibile, dalla quale dare man forte ai ribelli avversi all'imperatore d'Etiopia. A questo proposito scrisse a Ciano:
«Sono sicuro che un'impresa del genere, che rimarrebbe storica negli annali dell'aviazione, e nella fantasia di tutti i ragazzi del mondo, non può non sedurti così come ha innamorato me fino all'ossessione (sono dieci giorni che non penso ad altro).»
Dopo il ritorno di Ciano alla squadriglia, il 15 febbraio Pavolini prese parte agli attacchi contro l'esercito etiopico in ritirata dopo la sconfitta subita nella Battaglia dell'Endertà:
«Si trattava di convertire in disastro la ritirata di un nemico già duramente sconfitto. Ecco che l'Aeronautica A.O., questa materia umana e meccanica atta ad assumere ogni forma, iniziò un altro fra i nuovi impieghi dell'aviazione di guerra. L'aviazione concepita come cavalleria d'inseguimento. Vere e proprie cariche di velivoli si avventarono lungo le carovaniere, incalzando i fuggiaschi ai guadi, dispersero le colonne, perseguitarono i dispersi con la mitragliatrice e la carabina.»
Nel corso delle medesime operazioni il nemico fu bombardato con 60 tonnellate di iprite, un'arma chimica il cui impiego era vietato dalla Convenzione di Ginevra: Pavolini non ne fa menzione.[12] Il 27 febbraio ebbe inizio la Seconda battaglia del Tembien che vide la rotta dell'esercito guidato da Ras Kassa Haile Darge. Pavolini dall'alto descrisse la situazione evolversi:
«Quando vedemmo le truppe che puntando sul rovescio dell'Amba Aradam avevano determinato il crollo di Mulugheta proseguire e sbloccare a Gaelà, anche la sorte di Cassa e Sejum apparve segnata. Erano ormai fra due Corpi d'Armata come fra due mandibole ben arcuate. E non restava che stringere. Quest'operazione finale, nelle selve, nelle forre e nelle caverne del Tembien, richiamava ancora una volta alla mente immagini di caccia grossa. Somigliò ad una gigantesca battuta.[13][14]»
Commentando la fine della battaglia nei pressi del lago Ascianghi Pavolini scrisse:
«Infinite altre ecatombi, spesso molto più vaste, ha visto la storia delle guerre. Ma di rado la strage si concentrò in un tempo e in uno spazio altrettanto ristretti. [...] Fulminata, una generazione giaceva sui tratturi dell'altopiano. A bocca chiusa marciavano gli occupanti, attenti a non inciampare. Il fetore riduceva i comandi al minor numero possibile di sillabe. E finalmente fu la pianura, fu la prateria.[15][16]»
Il 15 aprile l'aereo su cui si trovava Pavolini ebbe un guasto e pertanto si decise di puntare sulla città di Dessiè appena occupata dalle truppe eritree del generale Alessandro Pirzio Biroli. Ma quando si danneggiò anche uno dei due motori fu costretto a effettuare un atterraggio di emergenza nel piccolo campo di aviazione di Quoram in territorio nemico. Da qui furono poi recuperati il giorno seguente.
Alcuni giorni prima dell'occupazione di Addis Abeba, per un Ciano desideroso di compiere un'impresa ardimentosa, Pavolini progettò un'incursione nell'aeroporto della città al fine di catturarne il comandante. Il 30 aprile, da Dessiè, Ciano accompagnato da Ettore Muti partì alla volta di Addis Abeba: l'impresa non ebbe però successo, in quanto la rapida reazione dei difensori abissini non permise all'aereo di atterrare. Ripresa quota, Ciano si accontentò di lanciare un gagliardetto della "Disperata" sulla piazza principale della città.[17] Pavolini rievocò la sua esperienza bellica nel libro di memorie di guerra Disperata, edito dalla Vallecchi nel 1937. Il libro ha toni analoghi a quelli di altri memoriali redatti da altri noti reduci della guerra d'Etiopia[18] e rivela disprezzo verso il nemico, assenza di pietà nel suo sterminio ed esaltazione della bella morte, valori reputati - allora - positivi e degni di essere francamente proclamati e rivendicati.[19]
L'ascesa
[modifica | modifica wikitesto]Di ritorno in Italia dall'Africa nel maggio del 1936, la carriera di Pavolini conobbe una significativa ascesa, esplicatasi sotto la protezione di Ciano, dal giugno 1936 ministro degli Esteri, con il quale condivideva una linea attendista rispetto alla possibilità di entrare in guerra a fianco del Terzo Reich. Da deputato che era, Pavolini divenne presidente della Confederazione fascista dei professionisti e artisti (dal 29 ottobre 1934 al 23 novembre 1939); membro del Consiglio Nazionale delle Corporazioni (1939-1943); componente della commissione per la bonifica del libro, istituita dal ministero della cultura popolare (1938-1939); membro del Gran Consiglio del Fascismo (1939-1943).[20]
Ciano lo protesse e lo difese a più riprese, più di quanto non avesse mai fatto per qualsiasi altro,[21] una prima volta nel 1935 quando a Mussolini giunse una segnalazione nella quale, dopo essere stato ridicolizzato come combattente, Pavolini veniva accusato di cumulare incarichi e prebende sino a mettere assieme stipendi da favola[22] e in almeno un'altra occasione, nel novembre 1937, quando Mussolini espresse a Ciano dubbi sul "lealismo politico" di Pavolini.[23]
Almeno sino al 1939 Pavolini si mantenne, in pubblico, vicino al sentimento antitedesco di Ciano, tanto che in occasione dell'occupazione della Boemia esclamò:
«Ecco l'occasione buona per mettere a posto per sempre la Germania.[24]»
e l'eco di tale dichiarazione giunse sino a Berlino.[25]
Il MinCulPop e Doris Duranti
[modifica | modifica wikitesto]Dal 31 ottobre 1939 fu titolare del Ministero della cultura popolare (MinCulPop), in sostituzione di Dino Alfieri, inviato come ambasciatore al Vaticano. Per Montanelli, con la sua nomina "salì sul firmamento fascista una stella che avrebbe brillato di luce sanguigna durante il periodo repubblichino".[3] A ispirare la nomina di Pavolini fu l'amico Ciano, che, già la sera del 19 ottobre, aveva annotato nel suo Diario[20]:
«È imminente un grosso cambio di guardia al Governo. Il Duce si accinge a fare Ministri tutti i miei amici, Muti, Pavolini, Riccardi, Ricci. Manda via Alfieri, e ciò mi dispiace perché è un buon camerata. Cercherò di tenerlo io a galla e se non riuscirò a vararlo come Presidente della Camera, vorrei nominarlo Ambasciatore presso la Santa Sede.»
Tale fu la percezione dell'influenza di Ciano nel rimpasto ordinato da Mussolini, mentre la guerra europea divampava ormai da due mesi, che presso alcuni circoli il nuovo governo veniva indicato come il "gabinetto Ciano".[26]
Nello stesso periodo l'attrice Doris Duranti, diva del cosiddetto "cinema dei telefoni bianchi", divenne sua amante e tale resterà sino al 1945, quando Pavolini la fece rifugiare in Svizzera.
Le veline
[modifica | modifica wikitesto]Tra i principali compiti quotidiani del Ministero assegnato a Pavolini v'era la redazione delle cosiddette "veline" del Minculpop (tecnicamente denominate "note di servizio"), che, in base alla censura fascista imponevano agli organi di stampa italiani che cosa dire e come dirlo.[27] L'arrivo di un uomo colto come Pavolini alla guida del dicastero, tuttavia, non portò alcun miglioramento - al contrario - nello stile e nella sostanza di tale attività, tesa a sostituire interamente la propaganda ai fatti e alle notizie.[28] Già una settimana dopo l'inizio del mandato, infatti, la velina del giorno della gestione Pavolini assume toni perentori:
«Nelle cronache delle partite di calcio e negli articoli sul campionato non attaccare gli arbitri; ... Assoluto divieto di abbinare altri nomi alle acclamazioni all'indirizzo del Duce»
Nel febbraio del 1940 viene emessa una velina che rappresenta egregiamente il culto della personalità dedicato a Mussolini, cui Pavolini non cessa di dare impulso:[29]
«Tenere sempre presente che tutto quanto si fa in Italia attualmente: lo sforzo produttivo del Paese, la preparazione militare, la preparazione spirituale, ecc., tutto promana dal Duce e porta la sua sigla inconfondibile»
La foga con la quale la propaganda promossa sotto la supervisione di Pavolini viene prodotta porta anche a infortuni linguistici, che contribuiranno all'ironia che si va diffondendo in modo sotterraneo nel Paese all'indirizzo del "colto" ministro e del suo ministero:[29]
«È inutile continuamente parlare, in questa fase del conflitto, della non-belligeranza italiana: ma si può parlare invece che ci troviamo [sic!] in un periodo di intensissima preparazione, con le armi al fianco, e osserviamo con la più vigile attenzione gli avvenimenti che si svolgono intorno a noi.»
Con l'Italia ormai coinvolta nel conflitto mondiale, le veline aumentano il proprio distacco dalla realtà sino a specificarlo, a volte, esse stesse in modo esplicito, come quando, nell'anniversario della Marcia su Roma, il Minculpop non esita a emettere una nota tutt'altro che bellicosa ma alquanto surreale, destinata probabilmente a tacitare i pettegolezzi che si vanno sempre più facendo intensi circa la relazione sentimentale tra Pavolini e Doris Duranti, che per questo viene popolarmente schernita come "l'artista per (sua) eccellenza":[29]
«Tra i presenti alla "prima" del film "Bengasi" dare anche il ministro Pavolini (anche se non ci sarà).»
Allo scopo di stigmatizzare la rivista fascista "Il Primato", che aveva pubblicato in copertina un'illustrazione raffigurante alcuni soldati seduti in un bivacco, durante la guerra Pavolini emise un messaggio che recitava:
«In Italia i soldati devono stare sempre in piedi.»
Nel gennaio del 1941 fu inviato sul fronte greco, col grado di capitano, sempre al seguito di Ciano. Pavolini perse l'incarico di ministro a seguito di un rimpasto governativo voluto da Mussolini l'8 febbraio 1943, nel tentativo di controllare il fronte interno, mentre la guerra appariva ormai perduta: i pesanti bombardamenti alleati sulle città italiane e il diluvio di feriti e di caduti, che né la propaganda di Pavolini né la censura militare riuscivano più a occultare, avevano ormai reso chiaro a tutti ciò che da tempo era chiaro anche ad alcuni membri di casa Savoia.[32]
Pavolini fu dunque privato del ministero (sostituito da Gaetano Polverelli) e nominato direttore del quotidiano romano Il Messaggero. Quello impostogli da Mussolini costituì un arretramento - seppure momentaneo, in quanto conservò la carica di consigliere nazionale del PNF - nel prestigio di Pavolini[33] e un altrettanto momentaneo allontanamento dalla politica attiva di alto livello, sebbene a Pavolini fosse stata comunque offerta una tribuna, quella di direttore di un importante quotidiano, che gli consentiva inoltre di tornare a coltivare la sua vecchia passione per il giornalismo. Continuò l'attività letteraria con la pubblicazione di memorie come Disperata (1937) e racconti o romanzi come Scomparsa d'Angela (1940).
La caduta del fascismo
[modifica | modifica wikitesto]Il 25 luglio 1943 Pavolini venne a conoscenza della destituzione e del conseguente arresto di Mussolini dal ministro Zenone Benini.[34] Pavolini, tornato a casa, mise al sicuro la famiglia facendola ospitare da uno zio, l'architetto Brogi, poi si rifugiò presso l'amico Pierfrancesco Nistri in via Tre Madonne, temendo di poter essere ucciso dai carabinieri, fedeli alla Monarchia e a Badoglio, come avvenne poco dopo con Ettore Muti.[35] Nel corso dei due giorni lì passati maturò la decisione di recarsi in Germania al fine di continuare a combattere al fianco dei tedeschi.[36]
«Dal regime ho avuto tutto e intendo restituirgli tutto. C'è una sola strada possibile per salvare almeno il nostro onore di fascisti.»
Cinque minuti prima della mezzanotte del 27 luglio a bordo di un'auto munita di targa diplomatica giunse a Villa Wolkonsky, all'epoca sede dell'ambasciata tedesca a Roma e l'indomani mattina dallo scalo aereo di Ciampino, partì per Königsberg raggiungendo Vittorio Mussolini.
Segretario del Partito Fascista Repubblicano
[modifica | modifica wikitesto]La ricostituzione del partito fascista
[modifica | modifica wikitesto]Dalla Germania, Pavolini svolse opera costante di propaganda mostrandosi ai tedeschi oltre che fedelissimo del Duce, anche fascista intransigente. Infatti ancor prima dell'armistizio di Cassibile del 3 settembre, insieme con Vittorio Mussolini, da Königsberg sviluppò i piani politici per la restaurazione del fascismo in Italia e pronunciò comunicati via radio in italiano che preannunciavano il ritorno del Duce al governo. Quando questi fu liberato dalla prigionia sul Gran Sasso e condotto in Germania, Pavolini fu tra coloro che a Monaco sostennero la necessità di dare al centro-nord Italia un "Governo Nazionale Fascista"[38] dopo la fuga da Roma del Re e di Badoglio, insistendo con Mussolini affinché ne assumesse la guida.[39]
Così Pavolini si rivolse a Mussolini al loro primo incontro dopo la liberazione da Campo Imperatore:
«Il governo provvisorio nazionale fascista attende la ratifica dal suo capo naturale: solo così si potrà annunciare la composizione del governo.»
Dopo alcuni tentennamenti, Mussolini si risolse ad accettare la guida della nuova entità statale. La scelta di Mussolini, per la quale spingeva Hitler stesso, che voleva nuovamente dare dignità al proprio maestro e amico, indispettì parte dei gerarchi nazisti, che avrebbero preferito una figura più malleabile.[41]
La Repubblica Sociale Italiana
[modifica | modifica wikitesto]Costituita la Repubblica Sociale Italiana fu nominato segretario provvisorio del neonato Partito Fascista Repubblicano (PFR), nomina che comportava inoltre l'assunzione del rango di Ministro Segretario di Stato.[42][43] Il 17 settembre si recò con Guido Buffarini Guidi a Roma, dove aprì la sede del Partito a palazzo Wedekind riorganizzandone la struttura e l'organizzazione.[44] Da qui lanciò un appello radiofonico agli italiani:
«Facile è l'entusiasmo nelle vittorie, più arduo ma più degno è tener fede nei giorni avversi con i denti stretti e col pugno duro. Chi oggi si arrende si rassegna alla perpetua vergogna e alla miseria per sé e per i suoi. Fascisti e cittadini romani e italiani, riaccendete l'intimo fuoco delle speranze e della volontà, stringetevi intorno a Mussolini e alla bandiera d'Italia. Non tradiamo i Caduti d'Italia e l'Italia non cadrà.»
Il 23 settembre Pavolini convinse il maresciallo Rodolfo Graziani ad aderire al PFR dopo un burrascoso colloquio. Successivamente convocò gli ufficiali del Presidio Militare di Roma e, annunciato loro che "il partito che io guido sarà un partito totalitario", ordinò alla divisione Piave di deporre le armi, consegnarle ai tedeschi e mettersi in marcia verso il nord in attesa di ulteriori ordini.[46] Il 24 settembre fece celebrare la prima cerimonia funebre in onore di Ettore Muti, ucciso in maniera misteriosa durante il suo arresto notturno a Fregene da parte di carabinieri inviati da Badoglio.[47]
L'idea di Pavolini di creare un esercito prettamente fascista per la Repubblica Sociale Italiana lo portò a vari scontri con Graziani, che desiderava che il nascente Esercito Nazionale Repubblicano fosse apolitico, e con l'amico Ricci che era al comando della Guardia Nazionale Repubblicana. Pavolini riuscì poi a ottenere soddisfazione con la creazione delle Brigate Nere.
Fu aperta la campagna tesseramenti al nuovo Partito Fascista Repubblicano. Secondo le direttive di Pavolini si negò aprioristicamente la tessera a coloro che avevano appoggiato il Governo Badoglio e ai fascisti pentiti che chiedevano la reintegrazione.[48] Il tesseramento fu poi chiuso per il sospetto che potessero giungere richieste strumentali da parte di "avventurieri ed opportunisti".[44] Abolì inoltre l'uso del termine gerarca e i fronzoli che adornavavo le divise militari, rendendole il più possibile spartane. A fine ottobre erano già state raccolte circa 250.000 richieste di iscrizione al PFR.
Questo dato portò al congresso costituente di Verona (novembre 1943)[49] raccontando: «Ci siamo impadroniti dei ministeri mandando un camerata accompagnato da due, massimo da quattro giovani fascisti armati di mitra[50]».
In realtà i due gerarchi erano nella capitale, seguendo un progetto discusso a Monaco con Mussolini, per riunire la Camera dei Fasci e il Senato per far loro dichiarare decaduta la monarchia, ma si avvidero che era eccessivamente rischioso, avendo le Camere già votato in modo apertamente antifascista.[51] Il 5 novembre, a seguito dell'omicidio di diversi fascisti nel corso di imboscate (colpì in particolar modo l'uccisione del console della Milizia Domenico Giardina), Pavolini emanò la seguente ordinanza che comminava la pena di morte ai responsabili:
«Di fronte al ripetersi di atti proditori nei riguardi dei fascisti repubblicani per parte di elementi antinazionali al soldo del nemico, il segretario del P.F.R. ordina alle squadre del partito di procedere all'immediato arresto degli esecutori materiali o dei mandanti morali degli assassini. Previo giudizio dei tribunali speciali, detti esecutori o mandanti siano passati per le armi. Per mandanti morali intendo i nemici dell'Italia e del fascismo, responsabili dell'avvelenamento delle anime.[52]»
Il Manifesto di Verona
[modifica | modifica wikitesto]Alessandro Pavolini partecipò con Benito Mussolini e Nicola Bombacci alla stesura del Manifesto di Verona, che fu poi posto ai voti e approvato al Congresso del Partito Fascista Repubblicano del 14 e 15 novembre 1943.
L'assise di Verona
[modifica | modifica wikitesto]Pavolini, chiamato a presiedere il primo e unico Congresso del Partito Fascista Repubblicano (PFR) in qualità di segretario, aveva aperto l'assise leggendo un messaggio di Mussolini in cui si invitava ad adoperarsi per dare alla nuova repubblica un esercito. Pavolini proseguì la propria relazione paventando il pericolo costituito dagli attentati partigiani e richiamandosi al fascismo delle origini:
«Camerati si ricomincia. Siamo quelli del Ventuno... Lo squadrismo è stata la primavera della nostra vita. Chi è stato squadrista una volta, lo è per sempre.»
per poi concludere:
«È l'antico tricolore che in una lontana primavera nacque senza stemmi sulla sua parte bianca, là dove noi idealmente iscriviamo, come su una pagina tornata vergine, una sola parola: "Onore".[53]»
In seguito furono poi approvati i 18 punti del Manifesto di Verona. Mussolini descrisse a Dolfin il congresso come:
«È stata una bolgia vera e propria! Molte chiacchiere confuse, poche idee chiare e precise. Si sono manifestate le tendenze più strane, comprese quelle comunistoidi. Qualcuno, infatti ha chiesto l'abolizione, nuda e cruda, del diritto di proprietà.»
Sostanzialmente il Congresso di Verona segnò la vittoria dei fascisti più intransigenti a scapito della corrente moderata,[55] come dimostrò anche l'avvenuta rappresaglia di Ferrara.
La rappresaglia di Ferrara
[modifica | modifica wikitesto]Mentre il congresso era in corso, giunse a Verona la notizia dell'uccisione di Igino Ghisellini, pluridecorato[56] reggente la Federazione di Ferrara (Ghisellini dopo l'armistizio, aveva aperto trattative con gli antifascisti rifiutate però dal Partito comunista). Pavolini comunicò subito la notizia all'assemblea:
«Il commissario della federazione di Ferrara che avrebbe dovuto essere qui con noi, il camerata Ghisellini, è stato ucciso con sei colpi di pistola. Noi eleviamo a lui il nostro pensiero. Egli sarà vendicato!»
Alla notizia i partecipanti all'assise cominciarono a gridare: "A Ferrara, a Ferrara". Pavolini, assecondando le richieste di rappresaglia disse: «Lo faremo con il nostro stile spietato e inesorabile» e disponendo l'invio solo degli squadristi ferraresi e di Verona e Padova aggiunse:
«Non si può gridare in presenza del morto; si agisce in modo disciplinato. I lavori continuano. I rappresentanti di Ferrara raggiungano la loro città. Con essi vadano le formazioni della polizia federale di Verona e gli squadristi di Padova.»
In seguito alle disposizioni date da Pavolini, diverse squadre si recarono a Ferrara per eseguire la rappresaglia nel corso della quale settantacinque antifascisti furono prelevati dalle loro abitazioni e dalle locali carceri. Undici di essi furono sommariamente fucilati la notte stessa del 15 novembre, mentre alcuni altri morirono successivamente in carcere. La rappresaglia di Ferrara fu criticata da Mussolini per la sua ferocia e la sua inopportunità politica: in quel momento egli cercava di riunire quel che restava del Paese sotto la RSI, non precipitarlo ulteriormente in una guerra fratricida.
«Un atto stupido e brutale.»
Tuttavia, da quel momento il dado fu definitivamente tratto. Roberto Farinacci commentò così l'episodio su "Il Regime Fascista": «La parola d'ordine è stata: occhio per occhio, dente per dente. Si è creduto forse che noi non avessimo la forza e il coraggio di reagire. I fatti ora hanno parlato».
Da quel momento la stampa di Salò prese a impiegare largamente il neologismo "ferrarizzare" quale sinonimo di analoghe operazioni di liquidazione del nemico interno[60] reputate "esemplari". Secondo Indro Montanelli:
«Il fanatismo divenne violenza e crudeltà anche in uomini che, come Alessandro Pavolini, avevano sensibilità e cultura»
Il processo di Verona
[modifica | modifica wikitesto]La vittoria dell'ala dura del fascismo repubblicano al congresso di Verona sancì un sentimento comune a tutte le federazioni del nord Italia, desiderose di vendetta su coloro che nel Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943 avevano sfiduciato Mussolini apponendo la propria firma sull'Ordine del giorno Grandi. I membri del Gran Consiglio che vennero arrestati furono processati e cinque di essi condannati alla pena capitale, gli altri tredici condannati a morte in contumacia.
In serata tutti e cinque i condannati a morte compilarono la loro domanda di grazia, compreso Ciano che la firmò dopo numerose sollecitazioni; per decisione di Pavolini le richieste di grazia non furono mai inoltrate a Mussolini. Esse, dopo un procedimento assai contorto, furono formalmente respinte dal console Italo Vianini.
Fu in questo contesto che Pavolini si guadagnò la definizione di "irriducibile" e a tal proposito lo si ricorda come "il Superfascista". Secondo Mack Smith, la sua prima fama sarebbe stata quella di un uomo "intelligente e sensibile", ma oramai "il fascismo ne aveva fatto un fanatico privo di scrupoli, un uomo spietato e vendicativo che credeva nella politica del terrore".[61] A Ferdinando Mezzasoma, suo "successore" al Ministero della cultura popolare, ordinò che i giornali evitassero appelli "per la pacificazione delle menti e la concordia degli spiriti, per la fraternizzazione degli italiani".[62]
Carolina Ciano, madre dell'ucciso, attribuì in un suo scritto la responsabilità della sua fucilazione a Pavolini insieme con Buffarini, Cosmin[63] e donna Rachele, la moglie di Mussolini.
I franchi tiratori di Firenze
[modifica | modifica wikitesto]Nel giugno 1944, alla caduta di Roma, Pavolini era a Firenze per organizzare al meglio la resistenza della città e permettere quindi agli alleati tedeschi di organizzare le difese sulla Linea Gotica.[64] In una relazione a Mussolini scrisse:
«Particolare cura dedico all'organizzazione dei gruppi di attivisti da lasciare sul posto o eventualmente da irradiare al Sud. Iniziative ben consistenti sono state prese per Terni, Arezzo, Grosseto, Firenze, Livorno, Pisa: radio clandestine, tipografie, bande, movimenti politici.»
Nell'agosto 1944 prese parte ai primi combattimenti nella sua Firenze a capo dei fascisti fiorentini, riuscendo a resistere in armi per molti giorni dopo l'arrivo degli Alleati, e ritardando la conquista della città organizzando i franchi tiratori, un gruppo di persone male armate, che comprendeva anche ragazzi di 15 anni, fanaticamente disposte a morire pur di rallentare l'avanzata degli Alleati.[66] Il 18 agosto il "Corriere Alleato" diede notizia dei primi scontri con i franchi tiratori fascisti a Firenze:
«Le camicie nere repubblicane di Mussolini sono state viste, per la prima volta, in combattimento contro i patrioti nei sobborghi settentrionali di Firenze.»
L'attività dei franchi tiratori fascisti terminò soltanto il 1º settembre quando la città fu definitivamente conquistata dagli Alleati appoggiati da nuclei di partigiani.
La creazione delle Brigate Nere
[modifica | modifica wikitesto]La costituzione delle Brigate Nere fu un disegno lungamente inseguito da Pavolini, sin da quando a Roma, nei primi giorni del suo lavoro di ricostituzione del partito fascista, aveva inteso farne un'organizzazione intransigente e totalitaria, esclusivista e combattente su ispirazione delle vecchie squadre d'azione dello squadrismo.[68] Il progetto vide l'opposizione di Rodolfo Graziani e Renato Ricci contrari alla creazione di un esercito politicizzato.[69]
Scrisse a proposito Pavolini:
«Gli italiani non temono il combattimento e quelli che sono fedeli al Duce lo sono per davvero. Non amano però essere rinchiusi in caserma, inquadrati, irreggimentati... Il movimento partigiano ha successo perché il combattente nelle file partigiane ha l'impressione di essere un uomo libero. Egli è fiero del suo operato perché agisce indipendentemente e sviluppa l'azione secondo la sua personalità e individualità. Bisogna quindi creare un movimento antipartigiano sulle stesse basi e con le stesse caratteristiche.»
L'idea fu apprezzata dai tedeschi (in particolare da Wolff e da Rahn), quando ormai gli Alleati premevano verso la linea Gotica ancora in costruzione, facendo loro balenare la possibilità di creare, usando le strutture e gli uomini del partito, un nuovo corpo armato più efficiente, agile e deciso della Guardia Nazionale Repubblicana, in grado davvero di "distruggere la piaga del ribellismo" e di assicurare la tranquillità delle retrovie germaniche.
Il 22 giugno 1944 Pavolini consegnò le armi agli iscritti del PFR di Lucca costituendo di fatto quella che sarà la prima Brigata nera, denominata "Mussolini" il cui comando fu assegnato a Idreno Utimpergher. La nascita ufficiale delle Brigate Nere fu annunciata dallo stesso Pavolini alla radio il 25 luglio 1944, nel primo anniversario del "tradimento" del Gran Consiglio. Discorso che concluse con queste significative parole:
«[...] Forze della riscossa saranno le Brigate Nere in cui fiammeggierà, in una seconda primavera, il vecchio fuoco dello squadrismo. A noi, camerati! Nonostante ogni fallace apparenza l'avvenire ci appartiene, perché noi apparteniamo ad una Europa eroica, le cui luci, necessarie al mondo, non possono spegnersi!»
Il 30 giugno 1944 completò la costituzione di 41 Brigate Nere, una per ogni provincia della RSI, intitolate ciascuna a un fascista. A esse si affiancavano sette brigate autonome e otto brigate mobili per un totale di 110.000 unità.
Nel contesto dello stesso annuncio, Pavolini rese noto che i brigatisti già "saldamente inquadrati" erano ventimila, una cifra destinata a crescere in numero,[71] ma non in efficienza: questo sia per la mancanza di materiali sia in quanto i quadri del partito, spesso privi di esperienza e istruzione militare, vennero trasformati istantaneamente in comandanti di formazioni militari.
Le Brigate Nere dovevano essere impiegate, secondo le parole pronunciate in giugno da Mussolini e riprese da Pavolini, per dare corpo alla "marcia della Repubblica Sociale contro la Vandea", riferendosi al Piemonte, dove i partigiani erano particolarmente attivi sin dal settembre 1943 e, guidati da comandanti esperti (spesso ufficiali del Regio Esercito che avevano deciso di dare vita alla resistenza dopo l'armistizio), erano riusciti a strappare larghe porzioni di territorio al controllo nazifascista anche per estesi periodi di tempo.
Fu durante queste prime operazioni svolte dalle Brigate Nere in Piemonte che Pavolini il 12 agosto 1944 nella valle dell'Orco fu ferito da una bomba nel corso di un attacco partigiano della 77ª brigata "Garibaldi". Pavolini fu ricoverato all'ospedale di Cuorgnè, ove rimase un mese prima di poter far ritorno, ancora aiutandosi con un bastone, a Maderno[non chiaro] dove risiedeva. A seguito del ferimento, su proposta di Wolff, Pavolini fu insignito da Hitler della Croce di Ferro per i suoi "meriti nella guerra antiribellistica".[72]
Più tardi partecipò alle operazioni di riconquista della Repubblica partigiana dell'Ossola che avvennero tra il 10 e il 23 ottobre. Il 16 dicembre Pavolini accompagnò Mussolini nell'auto scoperta che fece il giro di Milano prima del discorso del Teatro Lirico, di piazza San Sepolcro e del Castello Sforzesco, l'unica uscita pubblica del duce dopo il 25 luglio 1943.
La missione in Venezia Giulia
[modifica | modifica wikitesto]A fine gennaio 1945 Pavolini fu inviato da Mussolini in Venezia Giulia. Nei territori orientali i tedeschi, fin dal 1943 avevano costituito la Adriatisches Küstenland, sottraendo di fatto quei territori al regno d'Italia e non sottoponendoli all'autorità della Repubblica Sociale Italiana. Pavolini si recò a Udine, Gorizia, Fiume, Trieste intrattenendosi con i rappresentanti del Partito Fascista Repubblicano, di cui raccolse le lamentele circa l'ingombrante alleato tedesco che favoriva l'elemento croato a discapito degli italiani. Pavolini pronunciò, al Teatro Verdi di Trieste, un discorso improntato sulla difesa dell'italianità della città:
«Talvolta in questa vostra trincea avanzata che è Trieste, all'estremo di lunghe strade isolate dal bombardamento nemico, per le comunicazioni scarse e per altri motivi che conoscete, vi è accaduto di sentirvi lontani. Ebbene, io posso dirvi una cosa sola: nessuno più di voi triestini e gente della Venezia Giulia è vicino ogni ora al cuore di Mussolini.»
Il Ridotto alpino repubblicano
[modifica | modifica wikitesto]«Un'Idea vive nella sua pienezza e si collauda nella sua profondità quando il morire battendosi per essa non è metaforico giuramento ma pratica quotidiana.»
Fu sostenitore, o forse proprio ideatore,[74] della proposta avanzata da Mussolini il 17 settembre del 1944[75] del Ridotto alpino repubblicano (RAR), che prevedeva di ritirare in Valtellina tutte le truppe ancora teoricamente disponibili (in particolare le Brigate Nere) onde poter opporre un'estrema resistenza contro gli Alleati. Ne fu il principale organizzatore e fu nominato presidente della commissione di coordinamento dei lavori del RAR: aveva scelto come comandante il generale Onorio Onori, vi aveva destinato e accasermato le truppe (squadristi toscani con rispettive famiglie) e programmava un concentramento di circa 50.000 uomini. Dette queste notizie a Mussolini durante la riunione del 14 aprile 1945 a Villa Feltrinelli a Gargnano, alla presenza dei massimi esponenti della RSI: Graziani, Filippo Anfuso (nuovo viceministro degli esteri), il generale delle Allgemeine SS Wolff, il ministro dell'interno Zerbino, il colonnello Dollmann e diversi altri generali sia italiani sia tedeschi. Consegnò inoltre programmi di trinceramento come l'escavazione di caverne (bunker) e la traslazione nel ridotto delle ceneri di Dante. Fra le altre idee di Pavolini vi era la costruzione di una stazione radio di propaganda e di una tipografia per la stampa di un giornale che avrebbe dovuto essere distribuito lanciandone le copie da un aereo in volo. Essendo tutti i convenuti, Pavolini compreso, già convinti dell'imminente fine, concluse gridando che "in Valtellina si consumeranno le Termopili del fascismo". La proposta, tuttavia, non ebbe concreto seguito.
Per i fascisti ancora fedeli Pavolini dispose premi in denaro e la possibilità di scegliere tra il rifugio in Germania o la "mimetizzazione", fruendo di documenti falsi e di tessere annonarie; con Mezzasoma, ministro del Minculpop, preordinò la distribuzione di fondi segreti fra quei fascisti che avessero voluto proseguire in clandestinità la lotta nell'Italia del dopoguerra e la disseminazione di "talpe" in istituzioni e organismi cruciali. Con una nota riservata, suggerì a Mussolini di organizzare in Svizzera una centrale fascista di una trentina di elementi fidati, costituendovi un fondo monetario speciale in valuta straniera per le occorrenze future.
Le ultime giornate di Salò
[modifica | modifica wikitesto]Dopo il fallimento delle trattative di resa con il CLN, Mussolini, dopo una riunione al palazzo della Prefettura a Milano, decise di accettare la proposta di Pavolini e impartì l'ordine di dirigersi verso il Ridotto alpino repubblicano, ordine mascherato nella formula "Precampo a Como". Pavolini ordinò alle Brigate Nere della Liguria e del Piemonte di muovere verso la Valtellina e stimò in circa 25.000 le unità in movimento. Prima di partire ebbe un violento scontro con Graziani, che lo accusò di mentire e di illudere il Duce,[76] e con Junio Valerio Borghese, il quale gli disse che la X Flottiglia MAS non sarebbe andata in Valtellina[77] e che si sarebbe arresa "a modo nostro".
Alla partenza di Mussolini, Pavolini spintonò Carlo Borsani, cieco di guerra pluridecorato e Medaglia d'oro al valor militare, che supplicava il Duce di trattenersi a Milano dove stava trattando la resa con i partigiani.[78]
Mussolini partì la sera del 25 aprile; il giorno dopo Pavolini insieme con Idreno Utimpergher, Comandante della Brigata Nera di Lucca, si mise alla testa di una colonna di 178 veicoli, che contavano 4.636 uomini e 346 ausiliarie. Una volta giunto a Como non vi trovò Mussolini, il quale aveva proseguito sino a Menaggio. Il 27 aprile da Menaggio proseguì verso Dongo, in direzione dell'alto Lario.
Pavolini si unì quindi all'autocolonna di Mussolini, che a propria volta si unì a un'autocolonna della FlaK (contraerea) tedesca in ritirata verso la Germania. Pavolini portò sul suo autoblindo[79] in testa al corteo[80] sia quello che diverrà noto come l'oro di Dongo, sia gli archivi documentari, forse contenenti anche il presunto carteggio Churchill-Mussolini.[81] Dopo circa un'ora di viaggio Pavolini fermò la colonna, chiedendo a Mussolini (della cui sicurezza si autoproclamò responsabile) di scendere dalla sua auto per viaggiare sul suo autoblindo.
Poco più avanti incapparono in un posto di blocco della 52ª Brigata Garibaldi, agli ordini del conte Pier Luigi Bellini delle Stelle. I partigiani, consultato il comando di zona, accettarono qualche ora dopo di far passare i tedeschi. A Mussolini intanto era stato fatto indossare un pastrano e un elmetto da sottufficiale tedesco, nel tentativo di farlo in tal modo passare inosservato e consentirgli di superare il posto di blocco.
Raggiunto un accordo col conte Bellini, gli autocarri tedeschi partirono e poterono proseguire con Mussolini. Gli italiani, dopo la partenza dei tedeschi, avrebbero dovuto invece tornare indietro: l'autocarro di Pavolini partì bruscamente e, per superare una cunetta, fece una manovra scomposta con una repentina accelerata, equivocata come un tentativo di forzare il blocco. Ne nacque una sparatoria. Mentre Barracu proponeva di arrendersi, Pavolini gridava "Dobbiamo morire da fascisti, non da vigliacchi": preso il mitra si lanciò quindi verso il lago, correndo e sparando. Fu inseguito dai partigiani e ferito da schegge di proiettile ai glutei.[82]
A seguito di una battuta di ricerca fu catturato la notte, indebolito dalla ferita; fu poi portato a Dongo, nella Sala d'Oro del palazzo comunale, dove poi fu condotto brevemente anche Mussolini, anch'egli nel frattempo riconosciuto e catturato.[83]
Insieme con Paolo Porta e Paolo Zerbino, Pavolini fu processato per collaborazionismo con il nemico, passibile per il CLN di fucilazione immediata secondo l'ordinanza del 12 aprile precedente. A. Pavolini fu fucilato a Dongo il 28 aprile insieme a Paolo Porta e Paolo Zerbino. Lo stesso giorno, a Dongo, furono fucilati anche gli altri 12 arrestati che erano con loro. Il cadavere di Pavolini fu esposto il giorno dopo a Milano, a Piazzale Loreto, insieme a quello di Mussolini.
Intitolazioni
[modifica | modifica wikitesto]Nel 2006 il consiglio comunale di Rieti, per iniziativa del sindaco di Alleanza Nazionale, decise l'intitolazione di una via cittadina a Pavolini[84], ma alla fine l'iniziativa fu revocata per le numerose proteste nel 2010.[85]
Onorificenze
[modifica | modifica wikitesto]— Regio Decreto 26 settembre 1941.[87][88]
— Regio Decreto 2 aprile 1936[90]
Onorificenze estere
[modifica | modifica wikitesto]Pubblicazioni
[modifica | modifica wikitesto]- Giro d'Italia. Romanzo sportivo, Foligno, F. Campitelli, 1928.
- L'indipendenza finlandese, Roma, Anonima Romana, 1928.
- Nuovo Baltico. Viaggio, Firenze, Vallecchi, 1935.
- Disperata, Firenze, Vallecchi, 1937. Nuova edizione Libreria Europa 2019
- Le arti in Italia. Vol. I, Milano, Domus, 1938.
- I nuovi orientamenti costituzionali degli Stati, Milano, Istituto per gli studi di politica internazionale, 1938.
- Scomparsa d'Angela. Racconti, Milano-Verona, A. Mondadori, 1940.
- Ogni soldato è fascista, ogni fascista è soldato. Discorso tenuto ai fascisti e al popolo di Firenze il 31 dicembre 1940, Roma, 1941.
- Rapporto sull'attività dell'Istituto nel triennio 1939-1942, Roma, I.R.C.E., 1942.
- Ritorno alle origini. 28 ottobre 1943, Milano, Edizioni erre, 1943.
- Il figliuol prodigo dell'eroismo. Ettore Muti, Milano, Edizioni erre, 1944.
- Nel 22. annuale della Marcia su Roma. Discorso pronunziato a piazza S. Sepolcro a Milano il 28 ottobre XXII E. F., Min. Cul. Pop., 1944.
- Le tappe della rinascita, Milano, Edizioni erre, 1944.
- Nuovo Baltico a cura di Massimiliano Soldani, Società Editrice Barbarossa, 1998. - www.orionlibri.net
Nella cultura di massa
[modifica | modifica wikitesto]Filmografia
[modifica | modifica wikitesto]Nel film del 1974 Mussolini ultimo atto, diretto da Carlo Lizzani, Pavolini è interpretato da Massimo Sarchielli.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c d e f g h i j Dizionario biografico degli italiani, voce su Alessandro Pavolini, Volume 81, 2014, Treccani.
- ^ Dizionario biografico degli italiani, voce su Paolo Emilio Pavolini, Volume 81, 2014, Treccani.
- ^ a b Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia dell'Asse, Rizzoli, 1980.
- ^ a b c .
- ^ Legge n. 100 del 31 gennaio 1926.
- ^ La Grande Storia, RAI, Alla corte di Mussolini, di Enzo Antonio Cicchino.
- ^ a b c Indro Montanelli, L'Italia delle grandi guerre: Da Giolitti all'armistizio, BUR, p. 269 sgg.
- ^ Arrigo Petacco, Pavolini, L'ultima raffica di Salò, Arnoldo Mondadori Le Scie, Ottobre 1982, pagg. 74-75.
- ^ Arrigo Petacco, Pavolini, L'ultima raffica di Salò, Arnoldo Mondadori Le Scie, Ottobre 1982, pag. 82.
- ^ Alessandro Pavolini, Disperata, Vallecchi, Firenze, 1937, pag. 243.
- ^ Alessandro Pavolini, Disperata, 1937, pag. 279 della ristampa moderna.
- ^ L'uso dei micidiali gas vescicanti e asfissianti fu tenuto segreto e poi negato per molti decenni nelle versioni ufficiali (ma anche da un testimone come Indro Montanelli) sino a tempi relativamente recenti. Si dovette infatti attendere il 7 febbraio 1996 perché la verità venisse ufficialmente a galla quando l'allora Ministro della Difesa, generale Domenico Corcione, ammise davanti al Parlamento l'uso delle armi chimiche da parte italiana durante la guerra d'Etiopia.
- ^ Alessandro Pavolini, Disperata, Vallecchi, Firenze, 1937, pag. 254.
- ^ Alessandro Pavolini, Disperata, 1937, pagg 287-288, della ristampa moderna.
- ^ Alessandro Pavolini, Disperata, Vallecchi, Firenze, 1937, pag. 266.
- ^ Alessandro Pavolini, Disperata, 1937, pag. 304 della ristampa moderna.
- ^ Arrigo Petacco, Faccetta nera. Storia della conquista dell'impero, Mondadori, Milano, pagg. 162-163.
- ^ Come Vittorio Mussolini con Voli sulle Ambe, Giuseppe Bottai con il suo Quaderno africano (Giunti, 1995. ISBN 88-09-20618-5) o Indro Montanelli, con XX Battaglione eritreo (Milano, Panorama, 1936).
- ^ Angelo Del Boca, Italiani, brava gente?, Vicenza, Neri Pozza, 2005, p. 188.
- ^ a b Guido Bonsaver, Mussolini censore: Storie di letteratura, dissenso e ipocrisia, Laterza, p. 129 sgg.
- ^ Giordano Bruno Guerri, Galeazzo Ciano - una vita (1903-1944), Mondadori, Milano, 2005, p. 620 ISBN 88-04-48657-0.
- ^ Si scrisse al Duce che Pavolini guadagnasse al mese 17.000 lire, al tempo una fortuna; Ciano lo aiutò a scrivere - diversi autori (tra i quali Giordano Bruno Guerri, Galeazzo Ciano, 2005, cit. p. 621) sottintendono in pratica sotto dettatura - una risposta nella quale dettagliava di percepirne "«solo 9950» (che non erano poco)". Così Giordano Bruno Guerri alle pagine citate: "Fra tutti gli uomini del fascismo Pavolini è quello più «costruito» da Ciano, senza il quale - a differenza per esempio di Alfieri - non sarebbe giunto oltre la carica di federale. [...] Fin dall'Etiopia lo difende e lo aiuta in tutti i modi, più di quanto abbia fatto con qualsiasi altro. Un episodio emblematico del 1935: a Mussolini era giunta un'«informazione» (delazione) dove Pavolini dopo essere stato ridicolizzato come combattente veniva accusato di cumulare cariche e prebende per 17.000 lire mensili, una cifra enorme. Ciano, saputa la cosa, fece stendere a Pavolini una dichiarazione secondo la quale guadagnava «solo 9950 lire» (che non era poco)..".
- ^ Galeazzo Ciano, Diari, nota 21 novembre 1937.
- ^ Come riportato in Giordano Bruno Guerri, "Galeazzo Ciano - una vita (1903-1944)", Mondadori, Milano, 2005, p. 446 ISBN 88-04-48657-0).
- ^ Come riportato in Giordano Bruno Guerri, "Galeazzo Ciano - una vita (1903-1944)", Mondadori, Milano, 2005, p. 446 ISBN 88-04-48657-0, righe 7 e 8).
- ^ Franco Catalano, L'Italia dalla dittatura alla democrazia. 1919/1948, volume 1, Feltrinelli, terza edizione, maggio 1974, p. 246.
- ^ Corriere della Sera "«Ignorate Greta Garbo»: veline da ridere del Minculpop", presentazione del libro di Riccardo Cassero «Le veline del Duce» (Sperling & Kupfer), 23 novembre 2004.
- ^ Arrigo Petacco, La seconda guerra Mondiale, Roma, Armando Curcio Editore, vol. 8, pp. 278, 279).
- ^ a b c d e f Arrigo Petacco, La seconda guerra Mondiale, Roma, Armando Curcio Editore, vol. 8, p. 279).
- ^ Arrigo Petacco, La seconda guerra Mondiale, Roma, Armando Curcio Editore, vol. 8, p. 279); vedi anche Presentazione del Corriere della Sera del libro "Il Superfascista" di Arrigo Petacco, Mondadori.
- ^ Giordano Bruno Guerri, Galeazzo Ciano - una vita (1903-1944), Mondadori, Milano, 2005, p. 116 ISBN 88-04-48657-0.
- ^ Maria Josè, moglie del principe ereditario Umberto, già ai primi di settembre del 1942 - un anno prima dell'armistizio dell'8 settembre 1943 - aveva avviato, tramite Guido Gonella, contatti con il Vaticano, nella persona di monsignor Giovanni Battista Montini, auspicando di potersi avvalere della diplomazia papale quale tramite per aprire un canale di comunicazione con gli Alleati (in particolare con l'ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede, Myron C. Taylor), al fine di far uscire l'Italia dalla seconda guerra mondiale.
- ^ Il direttore de Il Messaggero, come del resto la totalità dei media in Italia, dipendeva dalle veline prodotte quotidianamente dal Minculpop e doveva osservarle alla lettera.
- ^ Arrigo Petacco, Pavolini, L'ultima raffica di Salò, Arnoldo Mondadori Le Scie, Ottobre 1982, pag. 151-Zenone Benini riferì poi di averlo udito gridare "Mitra! Mitra! Alla macchia!" mentre si allontanava.
- ^ Arrigo Petacco, Pavolini,L'ultima raffica di Salò, Arnoldo Mondadori Le Scie, Ottobre 1982, pag. 150: "È noto, d'altra parte, che il suo nome, insieme a quello di Ettore Muti, figurava in testa alla lista dei fascisti da liquidare compilata dal maresciallo.
- ^ Arrigo Petacco, Pavolini,L'ultima raffica di Salò, Arnoldo Mondadori Le Scie, Ottobre 1982, pagg. 152-154.
- ^ Arrigo Petacco, Pavolini,L'ultima raffica di Salò, Arnoldo Mondadori Le Scie, Ottobre 1982, pag. 153.
- ^ Ugoberto Alfassio Grimaldi, articolo Sotto la bandiera di Salò, su Storia illustrata, nº200, luglio 1974, pag. 23:"Il messaggio dei fedelissimi che parlano alla radio di Monaco di Baviera, nella notte tra l'8 e il 9, annuncia genericamente la costituzione di un Governo Nazionale Fascista.
- ^ Così in Arrigo Petacco, La nostra guerra, 1940-1945, Mondadori, 1995.
- ^ Arrigo Petacco, Pavolini,L'ultima raffica di Salò, Arnoldo Mondadori Le Scie, Ottobre 1982, pag. 160.
- ^ Ugoberto Alfassio Grimaldi, articolo Sotto la bandiera di Salò, su Storia illustrata, nº200, luglio 1974, pag. 23:"Ma uno Stato fascista sarebbe nato anche in sua assenza (Mussolini): anzi alcuni gerarchi nazisti l'avrebbero preferito senza di lui, temendo che la figura carismatica del duce limiti la libertà d'azione della Germania, impedisca, come vorrebbe Goebbels, di "fare tabula rasa in Italia".
- ^ Luigi Ganapini, La repubblica delle camicie nere, Garzanti, Milano 2002, pag 159:"(il quale già dal 1937 godeva del rango di ministro di Stato)".
- ^ Luigi Ganapini, La repubblica delle camicie nere, Garzanti, Milano 2002, pag 159:"Tra i primi ordini del duce in veste di Capo della Repubblica Sociale italiana sta il conferimento della carica di segretario del partito ad Alessandro Pavolini e il successivo riconoscimento del suo rango di ministro di Stato".
- ^ a b Arrigo Petacco, La nostra guerra, 1940-1945, Mondadori, 1995.
- ^ Ernesto Zucconi, "Autobiografia della Repubblica Sociale Italiana", Ra.Ra. Edizioni, Settembre 1999, pag. 11.
- ^ Arrigo Petacco, La seconda guerra Mondiale, Roma, Armando Curcio Editore, vol. 8, p. 280).
- ^ Arrigo Petacco, Ammazzate quel fascista! Vita intrepida di Ettore Muti, Mondadori, 2003.
- ^ Arrigo Petacco, Pavolini, L'ultima raffica di Salò, Arnoldo Mondadori Le Scie, Ottobre 1982, pag. 170.
- ^ Il termine "Congresso costituente" è usato dagli storici per brevità: il nome ufficiale era "Rapporto nazionale".
- ^ Resoconto stenografico del Congresso di Verona.
- ^ Giorgio Bocca, La repubblica di Mussolini, Mondadori.
- ^ Arrigo Petacco, Pavolini,L'ultima raffica di Salò, Arnoldo Mondadori Le Scie, Ottobre 1982, pag. 172.
- ^ Arrigo Petacco, Pavolini,L'ultima raffica di Salò, Arnoldo Mondadori Le Scie, Ottobre 1982, pag. 171.
- ^ Giuseppe Mayda, articolo La lunga notte di Ferrara, su Storia illustrata, nº200, luglio 1974, pag. 33.
- ^ Giuseppe Mayda, articolo La lunga notte di Ferrara, su Storia illustrata, nº200, luglio 1974, pag. 34: In sostanza il congresso sancisce il trionfo delle teorie estremiste di Pavolini e Farinacci e l'approvazione del loro concetto del "fascismo delle squadre d'azione".
- ^ Tre medaglie d'argento e tre di bronzo.
- ^ Giuseppe Mayda, articolo La lunga notte di Ferrara, su Storia illustrata, nº200, luglio 1974, pag. 34.
- ^ Giuseppe Mayda, articolo La lunga notte di Ferrara, su Storia illustrata, nº200, luglio 1974, pag. 34-35.
- ^ Giuseppe Mayda, articolo La lunga notte di Ferrara, su Storia illustrata, nº200, luglio 1974, pag. 36.
- ^ Nemico interno (partigiani, badogliani, "traditori" in genere), giudicato distinto, ma oggettivamente estensione di quello "esterno", gli Alleati.
- ^ Denis Mack Smith, Mussolini, 1981 (trad. Giovanni Ferrara Degli Uberti, RCS 1997).
- ^ Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della guerra civile, Rizzoli, 1983.
- ^ Prefetto di Verona, noto per aver gridato durante il processo: "I difensori parlino a testa bassa sennò ci sarà piombo anche per loro".
- ^ Luca Tadolini Storia dei franchi tiratori della RSI, edizioni all'insegna del Veltro, 1998, pag 27.
- ^ Arrigo Petacco, Pavolini,L'ultima raffica di Salò, Arnoldo Mondadori Le Scie, Ottobre 1982, pag. 188.
- ^ Luca Tadolini Storia dei franchi tiratori della RSI, edizioni all'insegna del Veltro, 1998.
- ^ Luca Tadolini Storia dei franchi tiratori della RSI, edizioni all'insegna del Veltro, 1998, pag 90.
- ^ a b Giorgio Bocca, articolo Via libera alle brigate nere, su Storia illustrata, nº200, luglio 1974, pag. 76.
- ^ Gianpaolo Pansa, Il gladio e l'alloro, Arnoldo Mondadori Le Scie, Marzo 1991, pag. 148.
- ^ Giorgio Pisanò, "Gli ultimi in grigioverde", CDL Edizioni, Milano, pag. 2300.
- ^ Gianpaolo Pansa, Il gladio e l'alloro, Arnoldo Mondadori Le Scie, Marzo 1991, pag. 169: "Graziani e Canevari indicano in circa 30.000 uomini la forza delle Brigate nere. Questa cifra trova conferma nel rapporto tedesco che, alla data del 9 aprile 1945, assegna ai reparti del PFR 22.000 volontari".
- ^ Arrigo Petacco, Pavolini, L'ultima raffica di Salò, Arnoldo Mondadori Le Scie, Ottobre 1982, pagg. 201-202.
- ^ Arrigo Petacco, Pavolini,L'ultima raffica di Salò, Arnoldo Mondadori Le Scie, Ottobre 1982, pag. 209.
- ^ Ideatore per Arrigo Petacco in L'archivio segreto di Mussolini, Mondadori, 1997.
- ^ Frederick William Deakin, La brutale amicizia. Mussolini, Hitler e la caduta del fascismo italiano, Torino, Einaudi, 1990, p. 968, ISBN 88-06-11786-6.
- ^ Mussolini, presente, chiese poi a Graziani se si trattasse forse di un nuovo 8 settembre e quegli rispose che era molto peggio: "siamo al si salvi chi può".
- ^ Borghese era l'unico comandante militare fascista che era stato informato dai tedeschi delle trattative segrete di resa frattanto condotte con gli Alleati dai comandanti nazisti in Italia.
- ^ Luigi Bongiorno, Künstenland, 2007.
- ^ Un Lancia 3 RO con targa di Lucca perché assegnato a Pavolini da Utimpergher; il veicolo era in realtà un autocarro di serie cui i brigatisti avevano applicato alcune lastre di protezione, 3 mitragliatrici ed un cannoncino da 20 mm.
- ^ In tutto 174 italiani e 177 tedeschi distribuiti (oltre che sul mezzo di Pavolini) su 11 auto (Mussolini, i vertici della RSI ed alcuni familiari), 3 autocarri delle Brigate nere di Como, 2 autocarri della Allgemeine SS del colonnello Birzer (caposcorta tedesco del Duce), 2 veicoli delle "Fiamme Bianche" e gli autocarri della Flak precedentemente incontrati.
- ^ Così in Petacco, op.cit.
- ^ Ricciotti G. Lazzero, Le Brigate Nere, Rizzoli, 1983.
- ^ Arrigo Petacco, Pavolini, L'ultima raffica di Salò, Mondadori, 1982.
- ^ Una strada al gerarca fascista. Bufera sul sindaco di Rieti
- ^ DOPO QUATTRO ANNI IL COMUNE REVOCA VIA PAVOLINI
- ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n.219 del 18 settembre 1940, pag.2.
- ^ Registrato alla Corte dei conti addì 20 novembre 1941 registro 11 aeronautica foglio 352.
- ^ Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n.115 del 15 maggio 1942, pag.4.
- ^ [Alessandro_Pavolini.png]
- ^ Bollettino Ufficiale 30 aprile 1936, dispensa 29ª, registrato alla Corte dei Conti lì 15 aprile 1936, registro n.11, foglio 55.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Arrigo Petacco, Il Superfascista. Vita e morte di Alessandro Pavolini, Mondadori, 1999.
- Massimiliano Soldani, L'ultimo poeta armato. Alessandro Pavolini segretario del PFR, Seb. www.orionlibri.net
- Lorenzo Pavolini. Accanto alla tigre, Fandango, 2010.
- Mimmo Franzinelli Squadristi: protagonisti e tecniche della violenza fascista, 1919-1922, Mondadori, 2003. ISBN 88-04-51233-4
- Malte Koenig, "Censura, controllo e notizie a valanga. La collaborazione tra Italia e Germania nella stampa e nella radio 1940-41", in: Italia contemporanea, n. 271, 2013, pp. 233–255.
- Arrigo Petacco, Pavolini, L'ultima raffica di Salò, Mondadori, 1982.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]- Paolo Emilio Pavolini
- Corrado Pavolini
- Gaetano Salvemini
- Il Bargello
- Guerra d'Etiopia
- Igino Ghisellini
Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikisource contiene una pagina dedicata a Alessandro Pavolini
- Wikiquote contiene citazioni di o su Alessandro Pavolini
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Alessandro Pavolini
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Pavolini, Alessandro, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Giacomo Perticone, PAVOLINI, Alessandro, in Enciclopedia Italiana, II Appendice, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1949.
- Pavolini, Alessandro, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.
- Giovanni Teodori, PAVOLINI, Alessandro, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 81, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2014.
- (EN) Opere di Alessandro Pavolini, su Open Library, Internet Archive.
- Alessandro Pavolini, su storia.camera.it, Camera dei deputati.
- Fascismo: biografie, Alessandro Pavolini - Storia XXI secolo
- Matteo Mazzoni (Università di Firenze), Aprile 1929: Alessandro Pavolini federale di Firenze, su storiadifirenze.org
Controllo di autorità | VIAF (EN) 45176546 · ISNI (EN) 0000 0001 0968 4566 · SBN IEIV015341 · BAV 495/343391 · LCCN (EN) n83215546 · GND (DE) 122192168 · BNF (FR) cb144501550 (data) · J9U (EN, HE) 987007276709105171 · CONOR.SI (SL) 252325987 |
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