Tito Albucio

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Tito Albucio (in latino Titus Albucius; ... – I secolo a.C.) è stato un politico, filosofo e oratore romano della tarda Repubblica.

Terminò i suoi studi ad Atene nell'ultima metà del secondo secolo a.C. e fu epicureo[1]. Familiarizzò bene con la letteratura greca, anzi, secondo Marco Tullio Cicerone, era ormai un Greco[2]. A causa della sua passione per la lingua e la filosofia greche, venne preso in giro dal poeta satirico Gaio Lucilio, i cui versi su di lui sono giunti a noi grazie a Cicerone[3]; e Cicerone stesso lo descrive come un uomo frivolo. Egli accusò, senza successo, Quinto Mucio Scevola l'Augure di malamministrazione (repetundae) della sua provincia[4].

Nel 104 a.C. Albucio fu propretore in Sardegna, e grazie ad alcuni insignificanti successi che aveva ottenuto contro i predoni, celebrò un trionfo nella provincia.

Quando ritornò a Roma, chiese al senato romano di ottenere l'onore di una supplicatio, ma la sua richiesta venne respinta, e venne accusato nel 103 a.C. di concussione da Gaio Giulio Cesare Strabone, zio di Giulio Cesare, e condannato all'esilio ad Atene. Gneo Pompeo Strabone si era offerto come accusatore, ma la sua richiesta venne respinta, perché era stato questore di Albucio[5].

In seguito alla sua condanna, si dedicò agli studi filosofici[6]. Scrisse alcune orazioni, che vennero lette da Cicerone.[7]

  1. ^ Vedi articolo inglese
  2. ^ Cicerone, Brutus 35.
  3. ^ Cicerone, de finibus bonorum et malorum 1, 3
  4. ^ Cicerone, Brutus 26. Orator 2, 70.
  5. ^ Cicerone, de provinciis consularibus 7. in Pisonem 38. Divinatio in Q. Caecilium 19. de officiis 2, 14.
  6. ^ Cicerone, Tusculanae disputationes 5, 37.
  7. ^ Cicerone, Brutus 35.

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