Il Padre Nostro Padre Nostro in trascrizione, vedi anche ultima sezione della voce
"jt=n, imy m pt.w, d=tw ḏsr rn=k, jy(w) t3=k, jw ir.t=tw mrw.t=k mj m pt, m t3. d=k n=n min t=n n(y) r' nb n sšm=k n m bjn, sfḫ n m bw-ḏw. jḫ wnn=tw..."
"Padre Nostro, che sei nei cieli, sia santificato il Tuo nome, venga il Tuo regno (lett. terra), sia fatta la Tua volontà, come in cielo, così in Terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano e non ci indurre in tentazione (lett. nel male), ma liberaci dal male. Amen (lett. così sia)"
La lingua egizia (in egizio (traslitterato) r n kmt, letteralmente bocca della Terra Nera ossia ciò che si parla lungo le rive del Nilo)[1], nota anche come egizio antico (questa espressione è però impropria, perché propriamente l'egizio (o egiziano) antico sarebbe la fase storica della lingua parlata durante l'Antico Regno e inoltre non esiste una forma moderna da cui differenziarlo), è una lingua che appartiene alla famiglia delle lingue afro-asiatiche, imparentata con il gruppo delle lingue berbere e con quello delle lingue semitiche.
Le prime testimonianze scritte della lingua dell'Antico Egitto risalgono all'incirca al 3200 a.C. e la lingua sopravvisse fino al V secolo nella forma del demotico e fino al medioevo nella forma della lingua copta; la sua lunga durata, oltre quattro millenni, la rende una delle lingue storiche più antiche conosciute agli uomini moderni.
La lingua ufficiale dell'Egitto è oggi l'arabo che, progressivamente, nei secoli successivi alla conquista arabo-musulmana nel VII secolo, si sostituì alla lingua copta come lingua quotidiana. Il copto viene ancora usato come lingua liturgica della Chiesa cristiana copta.
Illustrazione all'articolo Tabula Aegyptiaca hieroglyphicis exornata pubblicato sugli Acta Eruditorum del 1714
Le lingue afroasiatiche (o anche camitosemitiche) sono generalmente raggruppate in tre gruppi: le lingue semitiche, come l'arabo e l'ebraico, le lingue camitiche, come le lingue berbere e somale, e un terzo gruppo costituito appunto dall'egizio: le somiglianze tra queste lingue, in particolare con quelle camitiche, sono diverse.
La struttura della grammatica, ad esempio, che ha indotto gli studiosi a organizzare la grammatica egizia sull'esempio di quelle dell'arabo e dell'ebraico. Alan Gardiner, nella sua Egyptian Grammar, cita sempre i verbi alla terza persona singolare, com'è convenzione nelle lingue semitiche.
Alcune parole e desinenze: in amarico il femminile si forma con la desinenza -it, in egizio con la -t (probabilmente pronunciata /a:t/ in origine, poi la /t/ cadde restando solo nella scrittura, come la tāʾ marbūṭa dell'arabo, e la /a/ sembra in seguito essersi chiusa in /e/); sia in egizio sia in amarico il pronome suffisso di 1ᵃ persona plurale è -n; in egizio, la consonante che forma la parola "uomo" è s (nella moderna prassi convenzionale, la parola è pronunciata se), mentre in amarico "uomo" è səw.
Caratteristica dell'egizio, presente anche in tutte le lingue semitiche, è la distinzione di genere nel pronome di 2ª persona singolare, che ha forme distinte per maschile e femminile.
Un'altra parentela semantica è, ad esempio, il verbo sḏm (ascoltare), molto simile allo šemà ebraico. In egiziano esiste il verbo šmˁ, che significa "cantare": la parentela di campo semantico è notevole; oppure, cfr. l'egiziano šw (il vuoto) con l'ebraico šwa (il nulla, zero).
Solitamente le sei fasi vengono riunite in due gruppi: il primo comprende le prime tre (egizio arcaico, antico e medio), il secondo le ultime tre (egizio tardo, tolemaico e demotico e il copto). Questa suddivisione è giustificata dal fatto che le fasi all'interno di ciascun gruppo mostrano una certa uniformità, pur differenziandosi fra di loro.
Talvolta l'egizio, nella sua totalità, viene non del tutto correttamente chiamato egizio/egiziano antico. Dal momento che effettivamente esiste una fase della lingua detta egizio antico, questa denominazione può generare confusione; inoltre, non c'è motivo di parlare di egizio/egiziano antico, perché, essendo l'arabo la lingua parlata oggi in Egitto, non esiste una versione "moderna" della lingua da cui differenziarlo.
I primi esempi della scrittura ideografica egizia risalirebbero al 3000 a.C. e i testi in essi redatti sono generalmente raggruppati nella denominazione di "egizio arcaico".
L'egizio antico fu parlato per oltre 500 anni, dal 2600 a.C. in poi ed è attestato soprattutto nei Testi delle piramidi. L'egizio medio, la lingua classica (vi è scritta la maggior parte dei testi, soprattutto monumentali, ma anche molte opere letterarie e scientifiche), fu parlato a partire circa dal 2000 a.C. per altri 700 anni, fino all'apparire dell'egizio tardo; sopravvisse ancora fino ai primi secoli dell'era cristiana come lingua scritta di tradizione, nello stesso modo in cui il latino fu la lingua scritta di preferenza in Europa fino al XVIII secolo. L'egizio tardo, parlato fra il 1300 e il 700 a.C., fu la lingua amministrativa nel periodo ramesside, ma le sue origini si ritrovano fin dal periodo amarniano; è attestato in un vasto corpus letterario ed epistolare. Il demotico apparve intorno al 650 a.C. e sopravvisse come lingua scritta fino al V secolo. Il copto, il cui dialetto bohairico è tuttora utilizzato come lingua di culto dai cristiani copti, apparve nel IV secolo e sopravvisse come lingua scritta di uso corrente fino al XIV secolo e probabilmente fu utilizzato ancora come lingua parlata nelle campagne ancora per qualche secolo. L'arabo si sostituì gradualmente al copto parlato e venne utilizzato come lingua dell'amministrazione politica musulmana a partire dalle invasioni arabe del VII secolo.
L'egizio antico, medio e tardo utilizzavano la scrittura geroglifica, solitamente di utilizzo monumentale (da cui anche il nome greco: ἱερός = sacro, γλύφειν = incidere), termine che in qualche modo riprendeva la voce egizia mdw nṯr (convenzionalmente pronunciata medu necer)
,"parole del dio" (del dio Thot, cui era attribuita l'invenzione della scrittura) e quella ieratica, evolutasi parallelamente ai geroglifici, con cui ha uno stretto legame, e caratterizzata da una forte corsivizzazione e frequenti legature fra i segni, solitamente utilizzata per la scrittura quotidiana su papiro, legno o pietra. Dalla scrittura ieratica deriva anche quella utilizzata per il demotico, la cui apparenza è vagamente simile alla moderna scrittura araba, sebbene non ci sia alcuna parentela. Il copto fu scritto utilizzando l'alfabeto copto, una forma modificata dell'alfabeto greco, con alcuni simboli presi in prestito dal demotico per i suoni inesistenti nel greco antico.
È formato da parole con radici prevalentemente triconsonantiche, come nfr "bello". Sono tuttavia presenti anche termini con radici biconsonantiche, come per esempio rˁ "sole", e alcuni con un numero di consonanti ancora maggiore, ad esempio cinque come in sxdxd "essere sottosopra". È importante sottolineare che le sequenze fonetiche appena descritte non sono propriamente parole, ma, come detto, radici che rappresentano aree semantiche, con cui si creano le parole vere e proprie per mezzo di varie vocalizzazioni.
Le vocali e altre eventuali consonanti venivano poi aggiunte alla radice per dare origine alle parole della lingua, in modo simile a quanto tuttora avviene nell'arabo o nell'ebraico. Nella maggior parte dei casi ignoriamo quali fossero le vocali aggiunte, in quanto l'egizio, in modo analogo alle lingue semitiche antiche e moderne, non scriveva le vocali: di conseguenza, il termine ˤnkh potrebbe significare "vita", "vivere", "vivente" o "vivendo", a seconda della vocalizzazione. Nella moderna trascrizione, "a", "i" e "u" rappresentano delle consonanti egizie: per esempio il nome di Tutankhamon era scritto in egiziano come "twt ˁnkh Jmn". Gli esperti hanno ricostruito il valore di questi simboli, ma per alcuni non si è del tutto certi della correttezza. Se a questo si aggiunge che la vocalizzazione, non segnata nella scrittura e quindi per la maggior parte sconosciuta, è del tutto arbitraria (le semiconsonanti e alef e ‘ayin sono lette come vocali e dove non compaiono questi suoni si aggiunge convenzionalmente una e), se ne deduce che la pronuncia attuale dell'egizio ha ben poco a che vedere con quella originale. Attraverso il copto e le trascrizioni di parole e frasi egizie in altre lingue (ad esempio le Lettere di Amarna, scritte in accadico) è stato comunque possibile, per una certa misura, ricostruire l'antica pronuncia.
Fonologicamente, l'egizio differenziava consonanti bilabiali, labiodentali, alveolari, palatali, velari, uvulari, faringali e glottali, in una distribuzione simile a quella dell'arabo.
Morfologicamente, come in altre lingue semitiche, viene usato il costrutto detto stato costrutto che combina due o più vocaboli: in questa trasformazione il primo vocabolo subisce spesso variazioni (ad esempio una -h finale diventa -t nei nomi femminili e in mlkt shba ("la regina di Saba"), mlkt è la trasformazione dal termine mlkh.
Inizialmente non erano conosciuti gli articoli, né i determinativi, né gli indeterminativi; le forme più tarde utilizzarono invece a questo scopo le parole pȝ, tȝ e nȝ (il segno "ȝ" trascrive il colpo di glottide), rispettivamente per il maschile singolare, femminile singolare e plurale comune.
La lettura che danno gli egittologi all'egiziano è convenzionale: Champollion riuscì, partendo dal copto, definibile in un certo senso come "egiziano con le vocali", e dal greco ad assegnare a ciascun segno un valore fonetico.
L'egiziano invece veniva notato senza vocali, quindi noi abbiamo solo lo scheletro consonantico, come se in italiano scrivendo cn dovessimo poi integrare le vocali occorrenti leggendo "cane", "cena" o "Cina" a seconda dei casi. Lo stratagemma cui sono ricorsi gli egittologi è quello di intercalare tra consonante e consonante una vocale convenzionale, la "e".
Sapere però quale fosse la reale pronuncia dell'egiziano è quasi impossibile. Anche il copto, ovviamente, ha sviluppato fenomeni fonologici propri. Tuttavia, vi sono alcuni capisaldi di pronuncia della quale possiamo dirci certi.
La parola ḥtp,
che significa pace, riposo, offerta, soddisfazione
viene letta non hetep, ma hotep: grazie ai Greci e ad altre trascrizioni sappiamo quale fosse il suono originale. Allo stesso modo la parola Ptḥ non viene letta Peteh, ma Ptah[4]: grazie ai Greci sappiamo quale fosse la pronuncia reale del nome della divinità.
, ma sappiamo dalla trascrizione qual era la pronuncia originale: probabilmente a inizio parola la j tendeva ad aprirsi in a.
Allo stesso modo, sappiamo che, probabilmente, la parola ms
generare, nascere, si leggeva "mos", come sappiamo dai diversi nomi quali Ramose, Ahmose, Thutmose.
Tuttavia sono state spesso proposte diverse accezioni, un esempio è Rˤ-ms-sw: il nome Ramesse, portato da ben undici sovrani, dei quali il più celebre è senz'altro il secondo.
Le letture sono diverse, Ramesse, Ramses o Ramsete (le ultime due derivate da due delle varie forme latine del nome: Ramses è nominativo, Ramsete è la forma italianizzata a partire dell'accusativo Ramsetem, in modo analogo ad altre parole che sono passate in italiano allo stesso modo): escludendo il quasi cacofonico Ramessu, pronuncia che segue pedissequamente la trascrizione fonetica, la migliore sarebbe Ramesse, perché più vicina alla dicitura originale.
Inoltre è accertato che la desinenza ".t" dei femminili, seppur scritta, non era più pronunciata già dall'Antico Regno[5].
Alla fonologia dell'egiziano si è interessato Alessandro Roccati, ordinario di Egittologia all'università di Torino.
Substrato egiziano nella toponomastica egiziana moderna e nell'onomastica italiana
In particolare, la città di El-Ashmunein, l'antica Ermopoli, nella quale possiamo osservare il graduale passaggio dall'egiziano, al copto sino all'arabo.
Il nome egiziano era infatti ḫmnw, "Gli Otto", in relazione all'Ogdoade ermopolitana, gli otto dèi che la presiedevano.
Poi, in copto, divenne ϢΜΟΥΝ, con significato analogo e poi in arabo alla radice Šmūn furono aggiunti l'articolo El, una A protetica e la desinenza -ein che esprime la desinenza del duale; tale duale è dovuto al fatto che nei testi copti si parlava di due Šmūn, da cui la letterale traduzione.[6]
Infine, alcuni nomi di persona usati nella lingua italiana sono di derivazione egizia, come Isidoro, filtrato dal greco Isis-doron, dono di Iside, e Susanna, dall'egizio sšn "loto", filtrato attraverso l'ebraico.
Si introducono qui le generalità del sostantivo e, di conseguenza, della morfologia dell'aggettivo, che presenta le medesime caratteristiche, concordando in genere e numero col nome cui è riferito.
Per referenze, vedi nota[7].
Il duale è molto raro, viene usato soprattutto per indicare nomi esistenti in coppia in natura o considerati spesso come coppia, quali rd.wy (le due gambe, maschile) ir.ty (i due occhi, femminile) ma, soprattutto, due termini fondamentali: t3.wy, le Due Terre, Alto e Basso Egitto, e nb.ty, le Due Signore, le dee Nekhbet e Uadjet, protettrici dell'Alto Egitto e del Basso Egitto e il cui nome designa anche una parte della titolatura ufficiale dei faraoni.
I due geroglifici che indicano le Due Terre e le Due Signore.
Per notare il genere, gli egizi utilizzavano diversi espedienti grafici: limitandosi alla determinazione delle persone, venivano generalmente indicati con l'apposizione dei determinativi classificati come A1 per il maschile e B1 per il femminile nella lista Alan Gardiner:
Per indicare i plurali o i duali, gli egizi svilupparono nei tremila anni di storia della loro lingua diversi sistemi.
Il più antico, usato nell'Antico Regno, consisteva nell'indicare il termine una volta per il singolare, due volte per il duale, tre volte per il plurale.
ir.t, l'occhio/un occhio
ir.ty, i due occhi
ir.tw gli occhi
Caso estremo:
Questa successione designa la psḏ.t, l'Enneade creatrice, notazione usata anche nel Medio e Nuovo Regno.
L'altro sistema, più utilizzato dal Medio Regno in poi, è quello dell'aggiunta dei geroglifici che designano le desinenze del plurale, del singolare e del duale e, per il plurale, l'aggiunta di tre tratti:
Questa notazione è molto usata, seppur qualche volta non per designare il plurale vero e proprio, ma la "moltitudine"
Rmṯ, l'umanità, si scrive:
Esistono poi i nomi detti "di relazione", detti anche con termine tratto dalle grammatiche arabe "nisba", nei quali l'aggiunta di una '.y' indica la derivazione semantica: sḫt significa campagna, sḫty contadino, campagnolo[8].
oppure
L'aggettivo con funzione attributiva è generalmente posposto al nome e concorda con questo in genere e numero.
L'aggettivo con funzione predicativa si esprime con iw-soggetto-m-aggettivo/nome, cfr. con I work as policeman in inglese.
Non esiste declinazione, esattamente come in italiano.
L'egiziano distingue due tipi principali di proposizioni: la proposizione a predicato avverbiale (PPA) e a predicato nominale (PPN). La prima, a sua volta, distingue tra PPA con e senza lessema verbale.
Si tratta di una frase nominale, introdotta dalla particella 'jw' per il presente, 'wn'
per il passato e 'wnn'
per il futuro tradotte come verbo essere; si tenga conto che in egiziano non esistono veramente due ausiliari: essere può venir reso con jw, per esprimere il possesso si usano perifrasi simili al dativo di possesso in latino: jw b3k n(y) nb
significa "il servo è al padrone" o, meglio, "il padrone ha un servo"[10].
La frase esclamativa non prevede la particella jw ma la particella mk e il pronome dipendente e non il suffisso[11]
(guarda!).
Negazione della PPA
La negazione richiede 'nn'
(sostituito a 'jw') per il presente e 'n'
(seguito da 'wnn') per il futuro (la negazione al passato non è attestata)[12].
La PPN, invece, esprime una relazione costante, che non cambia nel tempo e che dunque non richiede iw che significa "essere (attualmente)"[13].
Ad esempio:
mk, b3k pw,
cioè: "guarda, tu sei un servo".
In questo caso 'pw' è il soggetto, si tratta di un pronome indefinito: la traduzione letterale, infatti, sarebbe: "guarda (ciò), sei tu servo".
Un curioso tipo di PPN è nfr pw
, che significa "ciò è buono" ma che, posto alla fine di un testo, significa "fine".
Il verbo egiziano presenta diverse differenze con il verbo italiano, che nella traduzione si perdono ma che servono per comprendere i fenomeni specifici della lingua.
Distinzione tra aspetto "iterativo" e aspetto "singolativo"
Molto importante in egiziano è la distinzione tra azione puntuale e reiterata, che, per quanto riguarda le lingue indoeuropee si era in parte perduta in latino in favore di un'espressione più particolareggiata della scala temporale[15], molto forte in greco, ma che si perde inevitabilmente in traduzione, abbastanza importante in inglese.
In egiziano, infatti, assistiamo all'opposizione tra due strutture verbali principali:
l'aoristo: esprime l'azione abituale nel presente, iterativa, nel passato o nel futuro; ad esempio: "quando avevo vent'anni, ero solito fare colazione al bar" è un modo per indicare che quest'azione nel passato era abituale, per distinguerla dal "quando avevo vent'anni andai (una volta) a far colazione al bar", che esprime un evento unico e non più ripetuto;
il 'compiuto' e l''incompiuto'. Esprimono un'azione puntuale, singola, nel presente, passato e futuro.
Se l'azione si sta svolgendo, si usa l'incompiuto, se l'azione si è conclusa, si usa il compiuto.
Si noterà, infatti, che tutte le strutture che esprimono l'incompiuto egiziano sono perifrastiche e tradotte in italiano significano "stare per", "star facendo" qualcosa: si traducono col verbo in forma semplice semplicemente per non sovraccaricare la traduzione.
Il compiuto esprime l'azione puntuale, accaduta una sola volta, e conclusasi: "io caddi/sono caduto/ma ora mi sono rialzato".
Il locutore egiziano, se avesse usato l'aoristo per un verbo del genere avrebbe voluto dire che cadeva tutti i giorni, abitualmente.
Attivo italiano e passivo egiziano - Il pronome "zero"
Nella traduzione italiana, eccetto se in egiziano è presente il pronome impersonale "=tw", che rende la frase passiva o impersonale, se il contesto vuole un verbo all'attivo, questo verbo viene tradotto all'attivo.
Tuttavia, non c'è piena corrispondenza tra forme attive tra le due lingue; determinate forme del verbo erano sentite dal locutore egiziano come passivi.
Questo è dovuto alla presenza di un pronome, non scritto ma individuato dai linguisti,chiamato "zero" e notato "Ø", che in italiano non si traduce o si rende come "ciò", seguito da una subordinata dichiarativa italiana, chiamata in egiziano "esplicitazione del soggetto".[16]
Molte forme che in italiano sono verbi, infatti, sono trattate in egiziano come frasi nominali:
Ad esempio: n Ø wnm-n=f, è la negazione dell'aoristo, che si traduce in italiano come "non ero solito mangiare" o letteralmente: "non (si faceva) ciò, mangiare da parte mia".
Dunque, strutture passive con significato attivo in italiano sono:
Il compiuto con e senza agente: entrambi andrebbero tradotti letteralmente come "(ciò) è stato fatto da parte (di lui)", ma per una migliore resa stilistica si usa correntemente l'attivo[18]
Indica un ordine, consiste in sostanzialmente in una forma analoga al prospettivo, priva di pronome se si vuole dare un ordine reciso, wnm! (mangia!), più cortese con forme perifrastiche o con il pronome d=j wnm=k (stabilisco che tu mangi)[25]
Non è da considerarsi un passato, esistono infatti un compiuto presente, passato e futuro.
Per paragonarlo all'italiano, il presente, il futuro semplice e l'imperfetto sono incompiuti: mangio, mangerò, mangiavo.
Il passato prossimo è il compiuto presente: io ho mangiato; il trapassato prossimo è il compiuto passato: io avevo mangiato; il futuro anteriore è il compiuto futuro: io avrò mangiato[27].
Il compiuto, facendo una traduzione letterale, è in realtà un passivo, e, a seconda che venga espresso o meno il complemento d'agente, si parla di "compiuto con agente" o "senza agente".
Il compiuto senza agente
Non viene espresso l'agente dell'azione.
Jw d3b.w wnm=kw
io ho mangiato dei fichi.
Al verbo si uniscono le terminazioni del perfetto[28]:
1ª persona
=kw
2ª persona
=tj
3ª persona
=w masch., =tj femm.
1ª persona
=nw
2ª persona
=tywny
3ª persona
=w
Da notarsi che la =w della 3ª singolare, quasi sempre, cade.
Il compiuto con agente
Prevede l'inserimento di un agente, seppur questo non comporti, nella traduzione, cambiamenti di sorta[29].
La struttura è jw verbo-n-agente- oggetto
-N è contrazione di jn, preposizione che significa "da".
La terminazione del perfetto cade.
jw wnm-n=j d3b.w ho mangiato dei fichi, letteralmente, "dei fichi sono stati mangiati da me".
Sostituendo a jw wn e wnn si ottengono il compiuto passato e futuro.
N spj wnm=k d3b.w mj pn: non avesti mai mangiato fichi come questi.
N p3=f ḫpr mjt.t ḫt, non è mai ancora successa una cosa simile.
Compiuto dei verbi intransitivi
Essendo il compiuto, in realtà, una forma passiva, teoricamente solo i verbi transitivi possono averne uno vero e proprio.
Il compiuto degli intransitivi esprime l'essere, l'essere diventato[32], e, per i verbi cognitivi, l'essere venuto a sapere, il passaggio da uno stato precedente (ignoranza) a uno successivo (conoscenza)[33].
jw b3k nfr=w, il servo è diventato buono.
Da notarsi come gli aggettivi, come nfr, non siano altro che verbi in funzione predicativa e, in questo caso, riprendono la loro funzione reale.
Con wn=w si esprime "esserci, esistere" jw wn=w b3k, il servo c'è[34].
In egiziano esistono forme nominali/perifrastiche del verbo, i participi.
La loro traduzione è la medesima dell'italiano: o giustapposti come l'aggettivo o definiti con forme quali "colui che", "colei che" ecc.
I participi sono raggruppati in tre forme: imperfettiva, perfettiva e progressiva.
Inoltre, essendo forme nominali, prendono la desinenza di genere e numero:
wnm(w) colui che mangia
wnm(w).t colei che mangia
wnm(w).w coloro che mangiano
wnm(w).tw coloro le quali mangiano
Rari i duali.
Infine, i participi possono essere attivi o passivi, con o senza agente.
Il prospetto generale delle desinenze:
Tempo
Desinenze attivo
Desinenze passivo senza agente
Desinenze passivo con agente
Imperfettivo (presente)
(w)
tende a cadere
w
desinenza del pronome di 3^ persona, =f o =s
Perfettivo (passato)
(w) tende a cadere
(w) tende a cadere
-n=f o -n=s
Prospettivo (futuro)
t(y)=f(y) si aggiunge t(y) alla radice del verbo e lo si fa seguire da un allotropo del pronome di terza persona sing. masch. e femm.
Come si è visto, non c'è piena corrispondenza tra attivo e passivo italiano e attivo e passivo egiziano.
Per quanto possibile fare paragoni, il passivo dei verbi può essere espresso con il pronome tw+jn+pronome suffisso.
Tw è un pronome con valore impersonale.
Gli aggettivi dimostrativi sono quattro serie di aggettivi con radice uguale e desinenza diversa. Sono sempre posposti al nome cui sono legati, eccetto p3, t3, n3, che nel Tardo Egiziano assunsero anche valore di articolo determinativo.
Prospetto radici e desinenze degli articoli
Singolare
Plurale
Maschile
desinenze
Femminile
desinenze
Maschile - femminile)
desinenze
p
n, 3, w, f
t
n, 3, w, f
n
n, 3, w, f
pn
tn
nn
p3
t3
n3
pw
tw
nw
pf
tf
nf
Da notarsi che il dimostrativo può, a differenza dell'italiano, accompagnare anche un nome proprio:
e altre forme, a seconda di chi parla, dio, vivente, re, persona comune, defunto
=j
1ª singolare
,
=k (masch.) =ṯ (femm.)
2ª singolare
,
=f (masch.) =s (femm. e neutro)
3ª singolare
=n
1ª plurale
=ṯn
2ª plurale
=sn
3ª plurale
=tw
impersonale
Il segno = prima del pronome indica che bisogna attaccare il pronome al nome che lo precede: b3=j, il mio ba.
Esiste poi un pronome indefinito, =tw,
usato soprattutto col prospettivo e con valore impersonale.
Nn wnm(w)=tw non si mangerà.
Essi fungono da soggetto, aggettivo possessivo, complemento di termine e di specificazione preceduti dalla preposizione n.
Non esistono forme di cortesia; si dava del tu anche al faraone. L'unica perifrasi di subordinazione verso i superiori era b3k-jm, "quel servo lì", tradotto come "quest'umile servo"
In egiziano le coordinate si esprimono con la giustapposizione di più frasi assieme, con l'ellissi di jw o degli analoghi.
Le subordinate si esprimono con le congiunzioni citate sopra, il soggetto non è più il pronome suffisso e ma quello dipendente.
Come in italiano esistono proposizioni oggettive, finali, causali, relative e il periodo ipotetico.
Si tratta sostanzialmente di una proposizione subordinata oggettiva.
Qualsiasi tipo di proposizione PPA o PPN può essere in posizione completiva.
Sono generalmente introdotte da verbi detti "operatori", come rdj (porre, fare che, permettere) jr (fare, fare che), ḏd (dire).
L'egiziano fa largo uso di formule fisse, frasi fatte, poste all'inizio di testi, alla fine, nei cerimoniali.
Tra le tante:
D(w) ˁnḫ
dotato di vita, uno degli epiteti del re,
(dw) ˁnḫ, wḏ3, snb
(dotato di) vita, forza e salute! Talmente usato da essere abbreviato dagli egizi con '.w.s, le iniziali dei tre nomi, rappresentati dal segno ‘nḫ, dal segno wḏ3 e dal segno s. In italiano si abbrevia, nella traduzione, con v.f.s!, vita, forza, salute!
ḥtp d(j) n(y)-sw.t
"un'offerta che il re fa" è la lettura tradizionale degli egittologi. Scritto spesso n(y)-sw.t d(j) ḥtp, in quanto nomi come re (n(y)-swt) dio (nṯr), o i nomi delle divinità venivano anteposti per rispetto.
In realtà, è una formula di invocazione delle tombe e significa faccia il re che si plachino.
ḏd mdw
"parole dette" ("dire le parole"): inizio dei cerimoniali
m3ˁ-ḫrw
anche nelle forme:
e
e
"giusto di voce" o "giustificato": è l'epiteto del defunto che ha superato l'esame di Osiride e, pertanto, ha avuto "la voce giusta" e ora può risiedere nei campi divini.
Lett.:Questo vada dall'inizio alla fine come trovato nel documento, è così che il documento deve andare dall'inizio alla sua fine, come trovato in scrittura.
Formula di chiusura dei testi letterari egizi, di quando in quando diversamente sviluppata, talvolta firmata, come nel Racconto del naufrago.
Traduzione di un breve brano con analisi delle strutture grammaticali
Prendiamo in considerazione due testi tratti dalla Cappella Bianca di Sesostri I a Karnak come riportati dal Corso di Egiziano Geroglifico Mathieu-Grandet.
Il chiosco di Sesostri I
N(y)-sw.t bjty Ḫpr-k3-Rˁ ir-n=f m mnw n jt=f Jmn-Rˁ, sˁḥˁ n=f s.t=f n(y).t ḫˁ.t m m3w.t
Il re dell'Alto e Basso Egitto Kheperkarâ ha fatto come monumento per suo padre Amon-Ra (l'atto di erigere) per lui il suo luogo di apparizione come divinità
N(y)-sw.t bjty significa "re"; grammaticalmente è un nome con n(y) quindi un costrutto per indicare l'appartenenza: "re", infatti, in egiziano era espresso come "colui che appartiene al giunco e all'ape". Sempre col nome di relazione n(y) declinato al femminile si esprime n(y).t ḫt, "l'apparizione che a lui appartiene, la sua apparizione".
jr-n=f è un compiuto con agente: verbo-n-pronome di 3^persona
sˁḥˁ è un verbo causativo: i verbi fattivi sono una classe particolare di verbi costituiti dall'affisso s+verbo: servono per rafforzare il significato del verbo e indicare che l'azione la si compie con partecipazione al fatto: 'ḥ' significa "alzarsi, sorgere"; con l'aggiunta di s si esprime l'azione di sollevare, di erigere.
Parole dette da Amon-Ra, che presiede Ipet-Sut (Karnak), " Io, tuo padre, o Sesostri, ti ho dato l'eredità di Geb"
Ḏd mdw è la formula fissa "parole dette".
Jn Jmn-Rˁ è nuovamente un compiuto con agente.
ḫnt(y) è un nome di relazione, o "nisbe", -questo termine è un prestito della grammatica araba,
nella quale esistono questi nomi- la radice ḫnt è quella della preposizione omonima che significa
essere davanti, precedere e, in questo caso, presiedere.
jnk, jt=k è una PPN: "io, (ciò) tuo padre" con soggetto pronome indipendente.
D-n=(j) n=k è un'altra formula fissa, con la quale la divinità ricorda al sovrano qual è l'origine del suo potere: il pronome =j è eliso perché generalmente all'iscrizione era accompagnata un'immagine del dio: il soggetto diventava quindi l'immagine. Stesso fenomeno si verifica con l'ellissi di jw: basta l'immagine a contestualizzare "qui e ora" ciò di cui si parla.
(Cappella di Sesostri I, pl 36, sc.20)
Da L'oasita eloquente, scritto sapienziale del Medio Regno, un ottimo esempio di proposizione a predicato nominale:
S pw, wn Ḫw-n-Jnpw rn=f
(Oasita eloquente, r° 1, da Chioffi, Rigamonti, Antologia della Letteratura Egiziana del Medio Regno, Vol. I, Ananke Edizioni, Torino, 2007)
C'era un uomo, il cui nome era Khueninpu.
S pw è la PPN, letteralmente sarebbe "Ciò era questo, un uomo"
Wn Ḫw-n-Jnpw rn=f, lett. "Essendo Khueninpu il suo nome"; Khw-n-Jnpw è un participio passivo con agente, significa quello che Anubi ha protetto.
Nel testo geroglifico Anubi (Inpu), è collocato per primo con anteposizione onorifica.
...All'alba, sorgi sull'orizzonte e risplendi come Aton durante il giorno: scacci le tenebre e dai i tuoi raggi, le Due Terre sono in festa ogni giorno sveglie e in piedi: tu le hai fatte alzare; lavano le loro membra, prendono le vesti le loro braccia sono alzate in adorazione del tuo sorgere. La terra intera compie il suo lavoro. Ogni animale è contento nel suo pascolo, alberi e cespugli verdeggiano, gli uccelli volano dal loro nido con le loro ali alzate in adorazione del tuo ka. Gli animali selvatici tutti saltano sui piedi quelli che volano e quelli che si posano vivono quando sorgi per loro. Le barche navigano secondo corrente o controcorrente, perché ogni via è aperta quando sei sorto. I pesci nel fiume guizzano davanti a te, i tuoi raggi penetrano fino in fondo al mare.
Testi principali della letteratura egiziana antica
James Allen, Middle Egyptian: An Introduction to the Language and Culture of Hieroglyphs, Cambridge University Press, Cambridge, 1999-2010-2014, ISBN 978-0-521-74144-6
Gustave Lefebvre, Grammaire de l'égyptien classique, Institut français d'archéologie orientale, Il Cairo, 1940-1955 (seconda edizione a cura di Serge Sauneron)
Rainer Hannig, Ägyptisches Wörterbuch II. Mittleres Reich und Zweite Zwischenzeit, 2 voll., Philipp von Zabern, Darmstadt, 2006, ISBN 978-3-8053-3690-1
Rainer Hannig, Die Sprache der Pharaonen. Großes Handwörterbuch Ägyptisch-Deutsch (2800 bis 950 v. Chr.), 5ª edizione, Philipp von Zabern, Darmstadt, 2009, ISBN 978-3-8053-1771-9
Rainer Hannig, Die Sprache der Pharaonen. Großes Handwörterbuch Deutsch-Ägyptisch, Philipp von Zabern, Darmstadt, 2000, ISBN 978-3-8053-2609-4
Rainer Hannig, Wortschatz der Pharaonen in Sachgruppen, Philipp von Zabern, Darmstadt, 2012, ISBN 978-3-8053-4473-9
Sergio Donadoni, Storia della letteratura egizia, Edizioni Accademia (già Nuova Accademia), Milano, 1957; Sansoni-Accademia, Firenze-Milano, 1968; Lindau, 2020, ISBN 978-8833532776
Miriam Lichtheim, Ancient Egyptian Literature, University of California Press, 2019, ISBN 978-0520305847 [in origine 3 voll. 1973-1976-1980]
^vedi ad es. il racconto delle Avventure di Sinuhe, quando il siriano Amunenesci, che lo ospita, gli dice: "Io ho compreso la parlata di Kemet" (Chioffi, Rigamonti, Antologia della letteratura egizia del Medio Regno, vol. II, Ananke, Torino, 2008, pp.82)
^Nilo nell'Enciclopedia Treccani, su treccani.it. URL consultato il 26 aprile 2019 (archiviato dall'url originale il 24 marzo 2019).
^cfr, ad es., la Stele di Rosetta, nella quale, nella versione greca, Tolomeo viene definito Πτoλεμαίου αἰωνοβίου, ἠγαπημένου ὑπὸ τοῦ Φθᾶ, da Alberto Elli et al., La stele di Rosetta e il decreto di Menfi, Ananke, Torino, 2009
^ Alan Gardiner, Prefazione, in Civiltà egizia, Einaudi.
^Lo stesso sistema si ritrova ancora nelle lingue neolatine, ma con maggiore enfasi nella differenziazione del passato. Un esempio di aspetto verbale in italiano è l'opposizione fra il passato remoto (io feci) e l'imperfetto (io facevo).
^Edda Bresciani, Letteratura e poesia dell'antico Egitto, pag 412-413 Einaudi, Torino, ISBN 978-88-06-19078-1
^Edda Bresciani, Letteratura e poesia dell'antico Egitto, Einaudi, Torino, ISBN 978-88-06-19078-1
^Per riferimenti si intendono le fonti (iscrizioni, papiri, ecc.) in cui si può ritrovare una data parola repertoriata nel vocabolario nel suo contesto originale.
Garbagnati Marcello, Articolo sull'origine del toponimo El-Ashmunein pubblicati su Egittologia.net
Alan Gardiner, Egyptian grammar: being an introduction to the study of hieroglyphs, Griffith Institute, Ashmolean Museum, Oxford, (1927-1950-1957) ISBN 978-0-900416-35-4