Monopartitismo

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     Repubblica parlamentare

     Repubblica presidenziale

     Sistemi dove l'esecutivo viene eletto dal parlamento, ma non dipende da esso (Repubblica direttoriale oppure Repubblica presidenziale mista)

     Repubblica semipresidenziale

     Monarchia parlamentare

     Monarchia costituzionale

     Monarchia assoluta

     Repubbliche monopartitiche

     Situazione politica frammentata o incerta

     Paesi in cui sono state sospese le disposizioni costituzionali riguardanti l'esecutivo

Il monopartitismo è una forma di governo in cui un solo partito politico può presentare i propri candidati alle elezioni, mentre tutti gli altri partiti sono dichiarati fuorilegge o hanno una capacità estremamente limitata di partecipazione elettorale. In senso esteso, si può parlare di Stato monopartitico anche se la costituzione e le leggi vigenti in linea di principio consentirebbero una pluralità di partiti oppure quando le pratiche elettorali impediscono all'opposizione di vincere le elezioni, facendo sì che un unico partito resti alla guida del paese. Non bisogna confondere il monopartitismo con il sistema a partito egemone.

Una variante di un sistema monopartitico puro (che permette l'esistenza legale di un singolo partito), è un sistema in cui possono esistere una pluralità di partiti, ma da intendere come membri di una coalizione in stile fronte popolare, come nel caso del Fronte Democratico per la Riunificazione della Patria nordcoreano e del Fronte Unito cinese[1]. In questi sistemi non è prevista la presenza di partiti di opposizione, e tipicamente tutti i partiti legali esprimono sostegno verso l'ideologia ufficiale dello Stato e le sue alte cariche, inoltre, in questi sistemi non è solitamente permessa la libera creazione di partiti[2], che devono essere approvati dalle autorità.

Un'ulteriore differenziazione è fra i sistemi monopartitici in cui alle elezioni si possono presentare solo candidati espressi dal partito, e quelli in cui sono ammessi candidati non appartenenti al partito, che si presentano però come candidati indipendenti, questo sistema era particolarmente evidente in Unione Sovietica, dato che il PCUS faceva parte di una alleanza elettorale chiamata "Blocco dei comunisti e dei senza partito".

Negli stati monopartitici, il partito di governo viene spesso indicato semplicemente con l'espressione "il Partito"; questo era per esempio il modo in cui veniva indicato il Partito Comunista dell'Unione Sovietica e il Partito Operaio Unificato Polacco nei rispettivi paesi. L'iscrizione, la militanza e la fedeltà al partito in questi regimi diventa spesso uno status symbol del cittadino modello[3], e i criminali e gli eventuali dissidenti vengono solitamente espulsi, questo accadde significativamente a Zinov'ev e Kamenev ad opera di Stalin[4] e dei suoi sostenitori, e più recentemente in Cina, con l'espulsione di Bo Xilai, avversario politico di Xi Jinping e accusato di diversi crimini.[5][6]

Nella maggior parte dei casi, gli stati monopartitici si fondano su ideologie totalitarie, come il fascismo, il nazionalsocialismo[7] e il marxismo-leninismo. Ad oggi gli unici sistemi monopartici rimasti seguono, almeno nominalmente, l'ideologia marxista-leninista e le sue varianti, come il socialismo con caratteristiche cinesi. Il movimento comunista globale non va però interpretato come coesamente favorevole a un sistema monopartitico, in quanto molte scuole di pensiero, tipicamente libertarie, vi si oppongono.

Molti stati monopartitici nacquero in seguito alla decolonizzazione, con i partiti, movimenti e gruppi di guerriglia delle lotte per l'indipendenza che si organizzarono in tale senso dopo aver raggiunto i propri obbiettivi militari. Tipicamente gli Stati nati in questo periodo e in questo modo erano di natura socialista e cercavano naturalmente il supporto internazionale di paesi come l'Unione Sovietica, la Cina e Cuba nel contesto della guerra fredda, ma esistono degli esempi non comunisti, come il regime del Movimento Popolare della Rivoluzione in Zaire, di carattere anti-comunista e autoritario di destra[8]. La stessa Cuba seguì questo processo, con il Movimento del 26 Luglio che si è evoluto in Partito Comunista di Cuba adottando apertamente il marxismo-leninismo[9] come ideologia cardine e cercando il supporto economico e militare dell'URSS.

Ogni sistema monopartitico ha sempre mostrato caratteristiche di dittatura o comunque di illiberalismo. L'instaurazione di un regime di questo tipo spesso coincide con la trasformazione di un sistema precedentemente pluripartitico in uno monopartitico, con la messa al bando dei movimenti politici di opposizione, per esempio, questo accadde successivamente alla rivoluzione d'ottobre e alla guerra civile russa[10]. Tuttavia, sono possibili molti distinguo in funzione della natura specifica di un sistema monopartitico. In alcuni casi, l'unico partito di governo può esprimere diversi candidati per una determinata carica politica, e questi candidati possono a loro volta avere programmi politici differenti, seppure entro i limiti definiti in modo più o meno specifico dalla linea di partito. Di conseguenza, l'elettore può in effetti avere almeno in parte il potere di esprimere un voto influente sull'evoluzione politica del proprio paese, o a volte astenersi in segno di protesta, questo era comune in URSS[11] ed è illegale in Corea del Nord, dove votare è obbligatorio e non vi è segretezza[12]. Nella Jugoslavia socialista, il Governo cercò di creare una competizione elettorale tra diversi candidati rendendo obbligatorio la presenza di almeno due candidati sulle schede e permettendo la segretezza del voto.[13]

In questi Stati è relativamente facile che emerga un culto della personalità del "leader supremo" del Paese, gli esempi più lampanti sono stati quello di Iosif Stalin e quello di Mao Zedong (in particolar modo durante la rivoluzione culturale), il culto della personalità della famiglia Kim è tutt'ora vigente in Corea del Nord e particolarmente pervasivo[14]. Questo aspetto è però criticato da alcuni sostenitori del monopartitismo socialista, come Nikita Chruščëv, che con il suo discorso "Sul culto della personalità e le sue conseguenze" criticava il culto di Stalin come degenerazione della forma di governo sovietica, che doveva idealmente avere un approccio di centralismo democratico, concetto leninista che si può riassumere in "libertà di discussione, unità di azione", e quindi di democrazia intra-partito.[15][16][17]

Stati monopartitici

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Stati costituzionalmente monopartitici

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La seguente tabella elenca gli Stati costituzionalmente monopartitici esistenti:

Stato Capo del Partito Partito Fronte popolare
Cina (bandiera) Cina Xi Jinping, segretario generale Partito Comunista Cinese Fronte Unito
Corea del Nord (bandiera) Corea del Nord[18] Kim Jong-un, segretario generale Partito del Lavoro di Corea Fronte Democratico per la Riunificazione della Patria
Cuba (bandiera) Cuba Miguel Díaz-Canel, primo segretario Partito Comunista di Cuba
Eritrea (bandiera) Eritrea Isaias Afewerki, presidente Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia
Laos (bandiera) Laos Thongloun Sisoulith, segretario generale Partito Rivoluzionario del Popolo Lao Fronte Lao per la Costruzione Nazionale
Vietnam (bandiera) Vietnam Nguyễn Phú Trọng, segretario generale Partito Comunista del Vietnam Fronte della Patria Vietnamita
Sahara Occidentale (bandiera) Sahara Occidentale[19] Brahim Ghali, segretario generale Fronte di Liberazione Popolare (Polisario)

Stati de facto monopartitici

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La seguente tabella elenca gli Stati ad oggi de facto monopartitici con i rispettivi presidenti:

Stato Capo di Stato Partito Note
Siria (bandiera) Siria Bashar al-Assad Partito Ba'th (Fronte Nazionale Progressista) Ereditò la presidenza dal padre nel 2000; eletto con il 99,7% dei voti e riconfermato nel 2007 con il 96,7% di voti a favore.
Kazakistan (bandiera) Kazakistan Qasym-Jomart Toqaev Amanat Presidente dal 2019. Membro del partito di maggioranza Nur Otan come il suo predecessore Nursultan Nazarbaev (presidente dal 1990 al 2019).
Uzbekistan (bandiera) Uzbekistan Shavkat Mirziyoyev Partito Liberale Democratico dell'Uzbekistan Presidente dal 2016, eletto con l'88,6% dei voti.
Tagikistan (bandiera) Tagikistan Emomalī Rahmon Partito Democratico Popolare del Tagikistan Presidente dal 1993, e continua a mantenere il potere a seguito della sua vittoria nella guerra civile.
Turkmenistan (bandiera) Turkmenistan Serdar Berdimuhamedow Partito Democratico del Turkmenistan Presidente dal 2022; ha ereditato la presidenza dal padre.
Guinea Equatoriale (bandiera) Guinea Equatoriale Teodoro Obiang Nguema Mbasogo Partito Democratico di Guinea Equatoriale Presidente dal 1979 in seguito a un colpo di Stato militare. Leader africano in carica da più tempo.
Cambogia (bandiera) Cambogia Hun Manet Partito Popolare Cambogiano Alle elezioni del 2018 il partito ha ottenuto tutti i seggi.
  1. ^ Constitution of the People's Republic of China, su npc.gov.cn.
    «Nei lunghi anni di rivoluzione e costruzione, si è formato sotto la guida del Partito Comunista Cinese un ampio fronte comune che è composto dai partiti democratici e dalle organizzazioni popolari e che abbraccia tutti i lavoratori socialisti, tutti i costruttori del socialismo, tutti i patrioti che sostengono il socialismo e tutti i patrioti che si candidano per la riunificazione della patria.»
  2. ^ John Gittings, The changing face of China: from Mao to market, Oxford University Press, 2005, ISBN 978-0-19-280612-3.
  3. ^ Backgrounder: What does it mean to be a Party member? - Xinhua | English.news.cn, su xinhuanet.com. URL consultato il 17 maggio 2024.
  4. ^ L. Trotsky: The Expulsion of Zinoviev - 1 (October 1932), su marxists.org. URL consultato il 17 maggio 2024.
  5. ^ (EN) Bo Xilai scandal: Timeline, in BBC News, 11 aprile 2012. URL consultato il 17 maggio 2024.
  6. ^ (EN) Top Chinese officials 'plotted to overthrow Xi Jinping', 20 ottobre 2017. URL consultato il 17 maggio 2024.
  7. ^ Vincenzo Zangara, IL PARTITO UNICO E IL NUOVO STATO RAPPRESENTATIVO IN ITALIA E IN GERMANIA (PDF), Zanichelli, 1938.
  8. ^ CNN - Mobutu dies in exile in Morocco - Sept. 7, 1997, su edition.cnn.com. URL consultato il 17 maggio 2024.
  9. ^ (EN) Fidel Castro declares himself a Marxist-Leninist | December 2, 1961, su HISTORY. URL consultato il 17 maggio 2024.
  10. ^ Internet Archive, The Russian Revolution, 1917-1921., Grosset & Dunlap, 1965, ISBN 978-0-448-00189-0. URL consultato il 17 maggio 2024.
  11. ^ Gilison, Jerome M., Soviet Elections as a Measure of Dissent: The Missing One Percent (3 ed.).
  12. ^ The upside-down world of North Korean elections, su ft.com. URL consultato il 17 maggio 2024.
  13. ^ (EN) Fred Warner Neal, Titoism in Action: The Reforms in Yugoslavia After 1948, University of California Press, 1958. URL consultato il 17 maggio 2024.
  14. ^ (EN) North Korea: Kim family's master propagandist dies at 94, su bbc.com. URL consultato il 17 maggio 2024.
  15. ^ "22 febbraio 1956 - Krusciov denuncia Stalin al XX Congresso", su archivio.quirinale.it.
  16. ^ Khrushchev's Secret Speech, 'On the Cult of Personality and Its Consequences,' Delivered at the Twentieth Party Congress of the Communist Party of the Soviet Union, su digitalarchive.wilsoncenter.org.
  17. ^ Lenin: 1906/rucong: VIII. The Congress Summed Up, su marxists.org. URL consultato il 17 maggio 2024.
  18. ^ Costituzione Repubblica Popolare Democratica di Corea (archiviato dall'url originale il 19 febbraio 2020).
  19. ^ Costituzione Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi. URL consultato il 22 gennaio 2020 (archiviato dall'url originale l'11 novembre 2007).

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Altri progetti

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