Cristiano Banti

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Cristiano Banti, 1860 c., foto Alinari

Cristiano Banti (Santa Croce sull'Arno, 4 gennaio 1824Montemurlo, 4 dicembre 1904) è stato un pittore italiano figurativo di formazione accademica, esponente di spicco del movimento dei Macchiaioli toscani.

Nato a Santa Croce sull'Arno in provincia di Pisa da famiglia borghese benestante (malelingue del tempo lo indicano come possibile figlio della marchesa Maria Ottavia Vettori, di cui la famiglia Banti erano fattori[1], poiché lei, sua madrina, lo nominò proprio erede), alla sua formazione accademica neoclassica presso l'Accademia di Belle Arti di Siena come allievo di Francesco Nenci, fa seguire un netto avvicinamento ai modi dei Macchiaioli, con cui entra in contatto dopo il suo trasferimento a Firenze nel 1855, dove frequenta gli artisti del Caffè Michelangiolo[2].

I suoi primi dipinti di soggetto storico (Galileo davanti al Tribunale dell'Inquisizione del 1857, medaglia d'argento all'Esposizione delle Belle Arti di Firenze, Torquato Tasso e Eleonora d'Este del 1858) sono influenzati dalla pittura di Domenico Morelli e Saverio Altamura. A fianco dei Macchiaioli, si interessa alla resa della natura dipinta en plein air e degli effetti di luce, sperimentando tra i primi l'utilizzo dello specchio nero (ton gris), tecnica pittorica sperimentata da Gabriel Decamps e Paul Delaroche consistente nel ritrarre la natura osservandola con uno specchio scuro per meglio filtrare i contrasti dei chiaroscuri.[2]

Dipinge prevalentemente quadri di soggetto storico ma soprattutto dipinge per sé stesso: la sua agiata condizione economica gli permette di ospitare nelle ville di Montorsoli e Montemurlo, ereditate dalla marchesa Vettori, artisti amici in difficoltà[2] e di collezionare opere degli amici Telemaco Signorini e Vincenzo Cabianca, oltre a Giovanni Boldini, Silvestro Lega, Giovanni Fattori, Giuseppe Abbati, Antonio Fontanesi e ad altri oggetti di pregio, quali vasi giapponesi, vetri di Murano.

Nel 1859 è a La Spezia con i pittori macchiaioli Telemaco Signorini e Vincenzo Cabianca traendo ispirazione dalla città e dal suo golfo.

Con Cabianca si trasferisce a Piantavigne, nelle vicinanze di Castelfranco di Sopra, continuando a ricercare effetti di luce nella rappresentazione di contadine colte in momenti di vita quotidiana e atteggiate a intima nobiltà. Nel frattempo, nel 1861, un viaggio a Parigi lo porta a conoscere la scuola di Barbizon, le opere di Corot e di Constant Troyon. A un secondo viaggio a Parigi nel 1875, ne seguiranno altri due a Londra nel 1879 e nel 1887 dove conosce James McNeill Whistler.[2] La sua collezione, andata dispersa dopo la sua morte, comprendeva anche dei Corot e dei Courbet, frutto delle sue esperienze parigine.

Nel 1870 è membro della giuria dell'Esposizione Nazionale di Parma. Nel 1884 viene nominato professore all'Accademia di belle arti di Firenze, è parte della Commissione riordinatrice degli Uffizi e fu nominato professore all'Accademia di belle arti di Firenze[2]. Anna Franchi, nel 1902, lo cita nel suo volume Arte e artisti toscani evidenziando la sua importanza nel miviemento dei macchiaioli[3].

Nel 1904, a ottanta anni d'età, muore a Montemurlo nella villa della moglie Leopolda, che lo ha reso padre di otto figli tra i quali Alaide, mancata sposa di Giovanni Boldini, protetto del padre che la ritrae in molteplici occasioni (1865 Ritratto di Alaide Banti in grigio, 1885 Ritratto di Alaide Banti al caminetto, Ritratto di Alaide Banti al pianoforte, Ritratto di Alaide Banti con l'ombrellino, Ritratto di Alaide Banti sul divano rosso), mentre parte della famiglia viene rappresentata in La Famiglia Banti del 1860 circa.

Un nucleo importante delle sue opere, insieme ad altre di macchiaioli facenti parte della sua antica collezione, è esposto alla Galleria d'arte moderna di Firenze, grazie al lascito di Adriana Banti Ghiglia del 1955.[2]

«Vi fu un tempo in cui scrissi: Esser celebri vuol dire essere mediocri; oggi ripeto volentieri questa sentenza, perché il caso me ne offre l'occasione. [...]. Uno degli artisti italiani veramente primarî e al tempo medesimo uno dei meno noti, è il pittore Cristiano Banti. Il suo nome è tanto lontano dalla celebrità, quanto è lontano dalla mediocrità il suo ingegno

Le carte Banti Cristiano[4] sono conservate presso la Biblioteca degli Uffizi.[5] Banti volle che tutte le lettere a lui indirizzate nelle quali vi era testimonianza delle ristrettezze economiche degli artisti fossero distrutte alla sua morte, in modo che la memoria dei suoi amici venisse risparmiata. Le quaranta lettere che costituiscono questo fondo, facente parte della Raccolta Marino Fedi, rimasero nascoste in un cassetto di un vecchio stipo. Vennero ritrovate solo molto dopo la morte dell'artista e disperse tra diversi collezionisti, finché Marino Fedi le rintracciò e le mise di nuovo insieme.

Cristiano Banti, Paesana toscana
  1. ^ Omaggio a Maria Ottavia Vettori Placidi, su ilcuoioindiretta.it. URL consultato il 17 febbraio 2020.
  2. ^ a b c d e f Banti Cristiano, su SIUSA Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. URL consultato il 3 dicembre 2018.
  3. ^ Laura Mare, Cristiano Banti dall'accademia senese al 'bozzetto' storico, in Siena tra Purismo e Liberty, 1988, pp. 72-75;246-248.
  4. ^ Fondo Banti Cristiano, su SIUSA Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. URL consultato il 3 dicembre 2018.
  5. ^ Biblioteca degli Uffizi, su uffizi.it.
  • Giorgio Di Genova, BANTI, Cristiano, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 5, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1963. Modifica su Wikidata
  • Giuliano Matteucci Cristiano Banti - catalogo dei dipinti dell'artista e delle opere della sua collezione, Firenze, Arti Grafiche Il Torchio, 1982.
  • Banti Cristiano, su SIUSA - Archivi di personalità.
  • Marta Batazzi, Giovanni Marziali, Letizia Sensini Siena tra purismo e liberty, Milano, Mondadori Editore, 1988.

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