Organizzazione militare dei Celti | |
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Rilievo in marmo greco antico (circa 330 a.C.) raffigurante un oplita in combattimento (Ny Carlsberg Glyptotek) | |
Descrizione generale | |
Attiva | VIII/VII secolo a.C.[1] - III secolo a.C. |
Nazione | Civiltà greca |
Servizio | Forza armata |
Tipo | forze armate terrestri (fanteria e cavalleria) e navali |
Ruolo | Espansione e difesa del territorio |
Battaglie/guerre | Guerre greco-puniche Guerre persiane Guerra del Peloponneso Guerra di Corinto Guerra tebano-spartana |
Reparti dipendenti | |
Marina militare greca Fanteria pesante (Opliti) Fanteria leggera (Peltasti, Sciriti, Toxotai) Cavalleria | |
Fonti citate nel corpo del testo | |
Voci su unità militari presenti su Teknopedia |
Per organizzazione militare degli antichi Greci s'intende lo studio della storia militare e dell'arte bellica dei Greci dal volgere del Medioevo ellenico (1100–800 a.C.) all'ascesa del regno di Macedonia, cioè il lasso di tempo che comprende la storia arcaica della Grecia (800–480 a.C.) e la sua fase "Classica" (480–346 a.C.).
La guerra ha caratterizzato tutta la storia dell'antica Grecia, a partire dal Medioevo in poi. Il Medioevo greco volgeva al termine quando un notevole incremento demografico consentì il ripristino della cultura urbanizzata, che portò all'ascesa delle città-stato ( Poleis ). Questi sviluppi inaugurarono il periodo della Grecia arcaica (800-480 a.C.). Ripristinarono inoltre la possibilità di una guerra organizzata tra queste Poleis (in contrapposizione, ad esempio, alle incursioni su piccola scala per procurarsi bestiame e grano). La natura frastagliata della società greca antica sembra aver reso inevitabili i conflitti continui su scala più ampia.
Con l'ascesa delle città- stato si sviluppò un nuovo stile di guerra: la falange oplitica . Gli opliti erano fanti corazzati, armati di lance e scudi . Nei media, la falange era una formazione di soldati con gli scudi uniti e le lance puntate in avanti. Il vaso Chigi, datato intorno al 650 a.C., è la più antica raffigurazione di un oplita in completo assetto da combattimento. Con questa evoluzione della guerra, le battaglie sembrano consistere principalmente nello scontro tra falangi di opliti delle città-stato in conflitto. Poiché i soldati erano cittadini con altre occupazioni, la guerra era limitata in termini di distanza, stagione e portata. Nessuna delle due parti poteva permettersi pesanti perdite o campagne prolungate, quindi sembra che i conflitti siano stati risolti con un'unica battaglia .
Contesto storico
[modifica | modifica wikitesto]La Grecia delle poleis
[modifica | modifica wikitesto]La pólis (in greco antico: πόλις?, "città"; plurale πόλεις, póleis) è il modello di città-Stato tipico dell'antica Grecia basato sull'attiva e continua partecipazione degli abitanti liberi alla vita politica. In contrapposizione alle altre città-stato dell'Antichità, la particolarità delle poleis non era tanto la forma di governo democratica (come ad Atene) o oligarchica (come a Sparta) quanto l'isonomia: il fatto che tutti i cittadini liberi fossero sottoposti alle stesse norme di diritto, secondo una concezione che identificava l'ordine naturale dell'universo con le leggi della città.[2][3]
Apparsa intorno all'VIII secolo a.C., al termine del Medioevo ellenico (1100–800 a.C.), la lunga parentesi di caos socio-politico innescato dal crollo della civiltà micenea (in generale dal cosiddetto "collasso dell'Età del Bronzo") e dalla calata dei Dori, la polis divenne il vero e proprio centro politico, economico e militare del mondo greco. Ogni polis era organizzata autonomamente, secondo le proprie leggi e le proprie tradizioni. Questa nuova città intesa come comunità politica si basava su: (i) stabilità delle comunità sul territorio, (ii) sviluppo dell'economia agricola, (iii) dispersione della proprietà terriera, (iv) crescita demografica e (v) miglioramento del livello di vita. Le poleis erano in origine piccole comunità autosufficienti, rette da governi autonomi: una sorta di piccoli Stati indipendenti l'uno dall'altro.[2][3]
Il carattere autonomo delle poleis deriverebbe dalla conformazione geografica del territorio della Grecia che impediva facili scambi tra le varie realtà urbane poiché prevalentemente montuoso. La penisola greca e le isole egee sono infatti territori prevalentemente aridi. La penisola è caratterizzata da alture brusche, mentre mancano bacini fluviali o pianure rilevanti. Ne deriva una cronica insufficienza alimentare ed una difficoltà nelle comunicazioni interne, che è anche un ostacolo diretto ad ogni intento di unificazione politica. Di qui la tensione dei Greci verso il mare: tutte le poleis, con le notevoli eccezioni di Tebe e Sparta, furono città portuali, com'è il caso di Atene (con il celeberrimo porto del Pireo) e Corinto sulla penisola, di Mileto ed Efeso in Asia minore, o delle isole di Samo e Chio (poco distanti dalle coste anatoliche).[2][3] L'ovvio risultato di questi fattori fu l'avvio, già in epoca contestuale all'affermazione della polis, della colonizzazione greca del Mar Mediterraneo che, riprendendo le fila di relazioni commerciali già presenti al tempo della koinè del bronzo,[4][5] esportò fuori dalla madrepatria la cultura greca, il modello della polis e la figura dell'oplita.
La guerra nella Grecia Classica
[modifica | modifica wikitesto]Quando la civiltà greca si trovò a confrontarsi con il resto del mondo, la sua organizzazione militare dovette mutare ed adattarsi, scampando così al pericolo di involvere nel solo combattimento oplitico. La plurisecolare esperienza bellica maturata dai Greci nel Mediterraneo occidentale, fondamentalmente in Sicilia, con le guerre greco-puniche (600–265 a.C.) che li videro scontrarsi con Etruschi e Cartaginesi, permise loro di affinare la macchina bellica oplitica al fianco del secondo fiore all'occhiello delle loro forze armate, la marina militare,[N 1] e con la presenza di forze di cavalleria di peso e consistenza impensabili nel teatro bellico natio: i primi grandi scontri furono infatti battaglie navali, come la celebre Battaglia del Mare Sardo (535 a.C.), tanto che le fonti etrusche non ci parlano di un "esercito etrusco" fino a che lo stesso non fu assemblato per affrontare (infruttuosamente) gli opliti dello stratego Aristodemo di Cuma nella Battaglia di Cuma (524 a.C.)[6] che ripeté poco dopo il colpo nella Battaglia di Aricia[7] e sfruttò la fama guadagnata per imporsi come tiranno della sua città.[8]
Il successivo scontro con l'Impero achemenide di Persia, principiato con una contesa per il dominio sulle coste anatoliche, fece il resto. Di fronte all'enorme numero di truppe che gli Achemenidi potevano schierare, le singole poleis non potevano realisticamente combattere da sole, perciò durante le guerre persiane (499–448 a.C.), le alleanze tra gruppi di città (casistica già verificatasi durante gli scontri con punici e tirreni in Italia), la cui composizione variò nel tempo, divenne la norma. Ciò modificò radicalmente la portata della guerra, il numero delle truppe coinvolte e la portata delle relative perdite, sia in tema di vite umane sia di devastazioni arrecate dalla guerra: si considerino per esempio la devastazione di Eretreia (490 a.C.)[9] nella Prima guerra persiana (492–490 a.C.) o la distruzione dell'Acropoli di Atene nella Seconda guerra persiana (480–479 a.C.). La falange oplitica si dimostrò di gran lunga superiore alla fanteria persiana in conflitti come la battaglia di Maratona (490 a.C.), la battaglia delle Termopili (480 a.C.) e la battaglia di Platea (479 a.C.). Proprio per sopperire questa carenza nelle loro forze, secondo lo storico Alexander Nefiodkin, i persiani avrebbero creato il carro falcato poi schierato contro le truppe di Alessandro Magno.[10]
Complice il ruolo egemone ricoperto nella conduzione della guerra ai Persiani, le poleis di Atene e Sparta raggiunsero una posizione di preminenza politica in Grecia che sfociò ben presto in una velenosa rivalità poi declinatasi in un lungo conflitto interno. La pluri-decennale guerra del Peloponneso (431–404 a.C.) ebbe una portata diversa dai conflitti precedenti tra poleis. Fu una contesa tra leghe di città, non solo della madrepatria greca ma anche delle colonie vecchie e nuove sparse nel Mediterraneo, dominate rispettivamente da Atene e Sparta, che condivisero manodopera e risorse finanziarie portando ad una diversificazione delle operazioni belliche. La guerra oplitica arcaica, intesa come rapido e brutale scontro tra truppe d'élite per risolvere rapidamente una contesa, era in declino.[11] La Guerra del Peloponneso vide lo svolgersi di solo tre importanti battaglie campali, nessuna delle quali si rivelò decisiva. Al contrario, si fece sempre più affidamento su fanteria di marina, schermagliatori, mercenari, grandi assedi (come l'Assedio di Platea 429–427 a.C., l'Assedio di Siracusa 415–413 a.C., per citarne alcuni),[12] con conseguente attenzione per mura cittadine (le "Lunghe Mura", come quelle di Atene)[13] e armi d'assedio (in greco antico: μηχᾰναι?, mechanai), oltre a tattiche non basate su elementi fissi. Queste riforme resero possibili strategie di logoramento ben più consistenti delle normali devastazioni della guerra oplitica arcaica (si veda la sezione "Strategia"),[14] aumentarono notevolmente il numero delle vittime e costrinsero la falange oplitica ad una serrata evoluzione per mantenersi efficace ed efficiente.[15]
Dopo la sconfitta degli Ateniesi nel 404 a.C. e lo scioglimento della Lega di Delo, dominata dagli Ateniesi, l'antica Grecia cadde sotto l'egemonia spartana . Ma la situazione era instabile e l'Impero persiano sponsorizzò una ribellione tra le potenze unite di Atene, Tebe, Corinto e Argo, che sfociò nella guerra di Corinto (395-387 a.C.). La Persia cambiò schieramento, ponendo fine alla guerra, in cambio delle città della Ionia e della non ingerenza spartana in Asia Minore . L'egemonia spartana durò altri 16 anni, finché, nella battaglia di Leuttra (371 a.C.), gli Spartani furono definitivamente sconfitti dal generale tebano Epaminonda.
I Tebani agirono con prontezza per stabilire la propria egemonia sulla Grecia. Tuttavia, Tebe non aveva sufficienti risorse e manodopera e si ritrovò sovraccarica. Dopo la morte di Epaminonda e la perdita di uomini nella battaglia di Mantinea, l'egemonia tebana cessò. Le perdite subite nei dieci anni di egemonia tebana lasciarono tutte le città-stato greche indebolite e divise. Le città-stato della Grecia meridionale erano troppo deboli per resistere all'ascesa del regno macedone a nord. Con tattiche rivoluzionarie, il re Filippo II sottomise gran parte della Grecia al suo dominio, aprendo la strada alla conquista del "mondo conosciuto" da parte di suo figlio Alessandro Magno . L'ascesa del regno macedone è generalmente considerata l'inizio del periodo ellenistico e segnò certamente la fine della caratteristica battaglia tra opliti nell'antica Grecia.
Esercito
[modifica | modifica wikitesto]Fanteria
[modifica | modifica wikitesto]La fanteria pesante degli Opliti
[modifica | modifica wikitesto]L'oplita o oplite (al plurale opliti; in greco antico: ὁπλίτης?, hoplìtēs) era il cittadino-soldato delle poleis, armato di lancia e scudo.[17]
Il momento esatto in cui la "Rivoluzione oplitica", com'ebbe a definirla l'archeologo Anthony Snodgrass,[1] modificò in via definitiva la guerra eroica/omerica è ad oggi incerto ma la teoria prevalente la colloca tra l'VIII o il VII secolo a.C., quando «l'età eroica [id est il Medioevo ellenico] fu abbandonata e fu introdotto un sistema [militare] molto più disciplinato», mentre, da un punto di vista tecnologico, lo scudo argivo, molto più maneggevole del vecchio scudo miceneo, diveniva popolare.[18] Stante l'evoluzione tecnologica e strutturale, lo storico Peter Krentz sostiene che «l'ideologia della guerra oplitica come competizione ritualizzata non si sviluppò nel VII secolo [a.C.], ma solo dopo il 480 [a.C.], quando le armi non oplitiche iniziarono ad essere escluse dalla falange.»[19] L'antropologo Anagnostis Agelarakis, basandosi sulle recenti scoperte archeo-antropologiche del più antico polyandrion monumentale (una sepoltura comunitaria di guerrieri maschi) nell'isola di Paro (Grecia), ha suffragato l'esistenza della falange oplitica all'ultimo quarto dell'VIII secolo a.C.[20] Al netto delle speculazioni teoriche appena discusse sul momento d'origine della falange e del modus bellandi oplitico, manchiamo di dati storico-archeologici puntuali sui primi conflitti tra poleis nei quali si costruì e consolidò la tradizione oplitica. Quei conflitti cioè combattuti tra VIII e VII secolo a.C.,[21] periodo in cui la Grecia era costellata di poleis poi distrutte o assoggettate alle poleis più grandi entro quel fenomeno socio-politico noto come Sinecismo (in greco antico: συνοικισμóς?, sunoikismos).[22][23]
L'oplita doveva provvedere autonomamente al proprio equipaggiamento,[24][25] Pertanto, solo coloro che potevano permettersi le armi combattevano come opliti ed erano perciò, nella Grecia delle poleis come nel successivo esercito repubblicano romano, le classi medie a costituire il grosso della fanteria. Gli opliti portavano una particolare forma di scudo (gcr. aspis) chiamato "scudo argivo" o "scudo concavo", impropriamente chiamato da taluni oplon, dal vocabolo che in greco antico: ὅπλον?, hòplon significa genericamente "arma", che misurava tra 80 e 100 centimetri (31 e 39 pollici) di diametro e pesava tra 6,5 e 8 kg (14 e 18 lb).[26] Lo scudo era l'equipaggiamento essenziale dell'oplita e lo definivano: non tutti gli opliti avevano la panoplia completa ma tutti i soldati dotati del giusto scudo, la loro vera "arma" (grc. ὅπλον, hòplon), erano considerati opliti.[27][28][29] Quando presente, la corazza oplitica, a campana o muscolota,[30] il thórax (grc. θώραξ), era formata da due pezzi di bronzo o realizzata in lino, il linothorax, d'uso più comune di quanto non si pensi non solo perché più economica e capace comunque di fornire una discreta protezione ma anche perché la funzione più prettamente difensiva era affidata allo scudo.[31] Sotto al thórax, la zona inguinale e le cosce erano protette tramite gli pteruges (in greco antico: πτέρυγες?, ptéruges, lett. "Piume"), una gonnella formata da due file sovrapposte di nappe in cuoio che potevano essere appesantite da lamine di bronzo.[32][N 2] L'arma offensiva principale dell'oplita era, come detto, una lancia di 2,5–4,5 metri (8,2–14,8 ft), larga 2,5 centimetri (1 in), chiamata doru o dory. L'arma secondaria era una spada corta di derivazione micenea, lo xiphos (grc. ξίφος xìphos), a lama diritta e doppio taglio.
L'indipendenza e la mancata unità delle poleis, nonché le loro frequenti rivalità, aumentarono la frequenza dei conflitti ma al contempo limitarono a livello regionale la portata delle guerre. La limitata manodopera non consentiva alla maggioranza delle poleis né di formare grandi eserciti di cittadini-soldati né di protrarne troppo a lungo il servizio se non si voleva privare i campi e le botteghe artigiane della vitale manovalanza.[33] Ci si aspettava comunque che tutti gli opliti prendessero parte a qualsiasi campagna promossa dai capi cittadini poiché, come sostenuto dai grandi filosofi greci, lo stato ideale era un'oligarchia di opliti.[34] Essendo dovere del cittadino greco svolgere il servizio militare, qualsiasi assemblea di liberi cittadini era per definizione un'assemblea di guerrieri: gli opliti erano cittadini in battaglia e i cittadini degli opliti in assemblea.[35] Il cittadino greco, quanto meno nella Grecia classica, era quindi, per definizione, un oplita.[36] La natura stessa dell'oplita medio, un cittadino-soldato dedito o all'agricoltura o all'artigianato, ne faceva un guerriero dilettante che poteva assentarsi da casa per una stagione militare relativamente breve, spesso circoscritta alla sola estate. Esistevano chiaramente delle eccezioni: gli Spartani erano de facto dei soldati professionisti mantenuti dallo Stato e addestrati per tutta la vita, dispiegabili anche in campagne di durata pluriennale (ad esempio il lungo assedio di Platea al principio della Guerra del Peloponneso), mentre le loro terre venivano coltivate dagli Iloti;[37][38] i loro più grandi avversari, gli Ateniesi, venivano esentati dal servizio militare solo dopo i 60 anni (passati i 50 non potevano essere impegnati in una spedizione all'estero).[39]
Fanteria leggera
[modifica | modifica wikitesto]Gli eserciti greci comprendevano anche un numero significativo di fanteria leggera, gli Psiloi, come truppe di supporto per gli opliti pesanti, che fungevano anche da addetti ai bagagli per la fanteria pesante. Tra questi c'erano i lanciatori di giavellotto ( akontistai ), i lanciatori di pietre ( lithovoloi e petrovoloi ) e i frombolieri ( sfendonitai ), mentre gli arcieri ( toxotai ) erano rari, provenienti principalmente da Creta o da tribù mercenarie non greche (come nella cruciale battaglia di Platea del 479 a.C.). Gli eserciti greci gradualmente declassarono l'armatura degli opliti (con torace imbottito di lino ed elmi aperti) per rendere la falange più flessibile e trasformarono i giavellottieri in fanteria generica leggermente corazzata ( thorakitai e thyreophoroi ) con giavellotti e talvolta lance. Alla fine, questi tipi completarono efficacemente la falange in stile macedone che prevalse in tutta la Grecia dopo Alessandro Magno.
Cavalleria
[modifica | modifica wikitesto]La cavalleria era sempre esistita negli eserciti greci dell'era classica, ma il costo dei cavalli la rendeva molto più costosa dell'armatura degli opliti, limitando la cavalleria ai nobili e ai molto ricchi (classe sociale degli hippeis ). Agli inizi dell'era degli opliti la cavalleria non ebbe quasi nessun ruolo, principalmente per ragioni sociali, ma anche tattiche, poiché la falange della classe media dominava completamente il campo di battaglia. Gradualmente, e soprattutto durante la guerra del Peloponneso, la cavalleria acquisì sempre più importanza, acquisendo tutti i ruoli che poteva svolgere, tranne forse l'attacco frontale. Esplorava, schermava, molestava, aggirava e inseguiva, con il momento più significativo che fu l'uso della cavalleria siracusana per molestare e infine distruggere l'esercito ateniese in ritirata della disastrosa spedizione siciliana del 415-413 a.C. Una delle truppe più famose di cavalleria greca era la cavalleria tarantina, originaria della città-stato di Taras nella Magna Grecia.[40]
Tattica
[modifica | modifica wikitesto]- La falange oplitica
La falange oplitica della Grecia Classica era una formazione tattica in cui i fanti s'allineavano in ranghi serrati.[41] Stante questa generica definizione, l'effettiva disposizione dei fanti, durante la marcia e nelle varie fasi dello scontro, poteva variare.[N 3] Un ordine più aperto, per azioni di carica o fiancheggiamento, poteva prevedere il distanziamento degli opliti a circa 90 cm l'uno dall'altro, con il grande scudo portato piatto ovvero praticamente adeso al corpo e le lance proiettate in avanti. L'ordine più serrato, con lo scudo portato in obliquo e quindi la distanza inter-opliti ridotta a circa 45 cm, avrebbe permesso al fante della linea posteriore di affiancare la sua lancia a quella del compagno sulla fila anteriore al costo di un'avanzata più lenta e complessa, necessitante cioè di molta disciplina, ma ideale per far sì che, al momento dell'impatto, la prima fila di guerrieri, i c.d. "protostati", fosse supportata anche dalle armi dei compagni in un muro di scudi ed una massa di punte di lancia rivolte verso il nemico, insomma un bersaglio ostico per un assalto frontale. L'ordine serrato permetteva inoltre a una percentuale maggiore di soldati di essere attivamente impegnati in combattimento in un dato momento piuttosto che solo quelli in prima fila.[42]
L'unità base della falange era la enomotia (lett. "gruppo giurato"), 24 soldati disposti su tre colonne di otto opliti guidati da un enomotarco supportato da un comandante di retroguardia chiamato ouragos. Quattro enomotiae componevano un lochos al comando di un lochagos, sorta di anticipazione della centuria romana e del suo ufficiale, il centurione. Più lochoi erano raggruppati in unità più grandi, come la taxis ateniese o la mora spartana.[43] Quanto appena descritto è però frutto di teorizzazioni, mancando adeguate informazioni in merito ed in ragione della certa presenza di varianti regionali tanto quanto evoluzioni. Tenuto come punto fermo il lochos quale primaria suddivisione dell'esercito, il suo potenziale e la sua struttura interna poteva essere modificati.[44]
La falange è un esempio di formazione in cui il combattimento singolo e altre forme individualistiche di battaglia venivano soppressi per il bene comune. Nei combattimenti del Medioevo ellenico descrittici nell'Iliade, le parole e le azioni degli eroi estremamente potenti, i "campioni", cambiavano le sorti della battaglia. Invece di avere eroi individuali, la guerra della Grecia Classica si basava sulla comunità e sull'unità dei soldati. Con amici e familiari che spingevano da entrambe le parti e i nemici che formavano un solido muro di scudi di fronte, l'oplita aveva grande bisogno d'impegno e forza mentale ancor più che d'abilità tecnica al combattimento, seppur questa non fosse sottostimata né ignorata. Formando un muro umano che garantiva una comune, potente corazzatura, gli opliti divennero molto più efficaci al costo di poche perdite. Gli opliti dovevano quindi essere molto disciplinati e veniva loro insegnato a essere leali e affidabili poiché dovendo affidarsi ai vicini per la reciproca protezione.[45] La falange non poteva infatti essere più forte del suo elemento più debole e la sua efficacia dipendeva da quanto bene gli opliti riuscivano a mantenere la formazione e la posizione nella mischia. Quanto più l'esercito era disciplinato e coraggioso, tanto più era probabile che vincesse.
L'avanzata della falange (grc. ephodos)[47] era uno dei momenti più critici, poiché ostacoli naturali o tragitti particolarmente lunghi potevano compromettere l'ordine delle file e presentare la falange davanti al nemico disordinata o non compatta.[48] Era poi spesso la paura a rompere le fila della falange prima dello scontro.[49] Al momento dello scontro, i protostati delle due falangi s'avvicinavano alla distanza necessaria per lo scontro con la lancia,[42] mentre arcieri, psiloi e peltasti scagliavano pietre e giavellotti da dietro le loro linee. Gli scudi si scontravano, mentre ciascun lato cercava di respingere a forza l'altro,[50] e i protostati schermagliavano in quella che Sofocle definì la «tempesta di lance»,[46] mirando alla gola, alle cosce ed all'inguine dei nemici, cercando al contempo di tenere la posizione. Quando le lance si spezzavano, eventualità molto frequente, si passava al combattimento con le spade, in una mischia via via più serrata e, spesso caotica.[42] La rotta, durante lo scontro, era pertanto causata dalla fuga della retroguardia poiché la prima fila era letteralmente impossibilità a ritirarsi.[51] In certi momenti, s'impartiva alla falange o a una parte di essa il comando d'avanzata collettiva di un certo numero di passi in avanti (da mezzo passo a più passi), il famoso othismos,[52][53] cosicché, avanzando, la falange utilizzava il suo peso collettivo per respingere la linea nemica e spezzarne la formazione tanto quanto il morale. Gli othismos potevano essere molteplici ma dai resoconti degli autori greci sembra che fossero ben calcolati ed orchestrati.[54] Una volta che una delle linee si rompeva, gli sconfitti fuggivano dal campo, talvolta inseguite da psiloi, peltasti e cavalieri, tal altra dagli opliti vittoriosi: nella Battaglia delle Lunghe Mura di Corinto, parte della sopracitata Guerra di Corinto, gli Argivi sconfitti si ritirarono disordinatamente dalla falange spartana che li schiacciò contro le mura e ne fece scempio.[55] L'inseguimento eseguito dalla falange era però un'arma a doppio taglio che poteva rovesciare le sorti della battaglia, pertanto era oculatamente gestito dallo stratego (aveva, non a caso, un suo segnale di tromba).[56] In generale, le perdite dell'esercito che rompeva i ranghi erano altissime: il 14% per gli sconfitti contro il 5% dei vincitori.[57] Se un oplita riusciva a fuggire, era spesso costretto a disfarsi del suo ingombrante scudo, svergognandosi così agli occhi di amici e familiari (che per tutta la vita gli avrebbero ricordato tale onta) e diventando un rhipsaspis, un «lanciatore di scudo».[58][59]
La visione c.d. "ortodossa" dello scontro oplitico come sopra descritto (carica → impatto → othismos → collasso → fuga) si rifà alle tesi di Hanson 1990, attualmente ritenute le più valide, laddove, nel corso degli Anni 1990 alcuni studiosi aveva avanzato l'ipotesi che lo scontro da falangi finesse con il risolversi in un disordinato insieme di scontri individuali com'era sempre stato sin dal Medioevo ellenico.[60] Al netto di strategia e tattica, la battaglia degli opliti aveva una sua ritualità: il suo ideale era sconfiggere il nemico, non distruggerlo.[61]
- Schermaglie, imboscate e guerriglia
Una tattica di guerra non comune nell'antica Grecia, durante le battaglie tra opliti, era l'uso dell'imboscata. Quando iniziarono ad essere impiegate le forze armate leggere, gli agguati divennero una strategia riconosciuta. La versione più nota di questa tattica si verificò durante la battaglia di Dime nel 218 a.C., quando una delle due parti finse di ritirarsi dai combattimenti e indusse il nemico a seguirla in un'imboscata. Questa tattica divenne così nota che nel 217 a.C. l'esercito straziano rifiutò di inseguire gli Acarnani durante la loro ritirata per paura di cadere in un'imboscata.[62]
Marina militare
[modifica | modifica wikitesto]Come anticipato, alcune importantissime poleis ebbero una spiccata propensione per la marineria che si tradusse tanto in una fiorente attività coloniale quanto nello sviluppo di una potente marina militare.[2][3][4][63][64] In questo aspetto, laddove lo sviluppo delle forze militari di terra segna, nella Grecia Classica, un netto distinguo rispetto alla tradizione bellica minoico-micenea, la diretta evoluzione è più che evidente.
Le navi
[modifica | modifica wikitesto]Nel Mar Egeo, le prime navi da guerra, riconoscibili dai loro remi e dalla loro forma allungata, ci sono testimoniate da un piatto di terracotta del III millennio a.C., scoperto nell'isola di Siro. Le navi tramandateci dall'arte micenea s'arricchiscono di dettagli: vele, alberi e piattaforme di prua e di poppa. Sono le medesime navi descritte da Omero, certo stereotipate quanto a forma ma con ricchezza di dettagli sui particolari: «navi nere», «ben fatte», con la prora blu o rossa, così leggere che ogni notte si potevano trarre fuori dall'acqua e tirarle in secca sulla riva e così basse che era facile saltare sulla terraferma, ecc. Manca invece in Omero la descrizione del rostro di prora, testimoniatoci invece dalla ceramica geometrica dell'VIII secolo a.C., momento in cui dalle navi arcaiche, la triacóntera spinta da 20 o 30 rematori o la pentecontera da 50 rematori, s'affiancano alla nuova bireme (grc. dikrotoi) con un centinaio di vogatori disposti su due livelli, da cui originò nel VI secolo a.C. la trireme, descritta nei poemi di Ipponatte.
Gli equipaggi
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Il comando della flotta di una polis era affidato al navarco/navarca (in greco antico: ναύαρχος?, náuarchos, lett. "comandante di navi"). Ruolo e caratteristiche dell'incarico variavano a seconda delle leggi delle singole polis: per esempio a Sparta era una carica annuale e di ampi poteri, svincolato dall'autorità dei Re, con poteri sulla flotta, sui suoi uomini e sulle terre eventualmente occupate;[65] ad Atene il ruolo del comando navale faceva parte del mandato dello stratego;[66] ecc.
I fanti di marina, o epibatai, erano l'arma secondaria della marina greca dopo l'ariete. Durante le battaglie, erano responsabili sia dell'abbordaggio alla nave nemica,[67] sia della difesa contro l'abbordaggio da parte del nemico.[68] Il numero di epibatai sulla trireme variò di guerra in guerra, di battaglia in battaglia: durante il conflitto peloponnesiaco, c'erano 4 arcieri e 10 epibatai sul ponte d'ogni nave da guerra ateniese;[69] Cimone aveva 40 epibatai in ogni nave durante la Battaglia dell'Eurimedonte.[67] Ciò perché i navarchi impiegarono i fanti di marina per scopi diversi: in acque ristrette, con alti rischi di abbordaggio, gli epibatai sarebbero stati più numerosi.[67]
Anche gli arcieri erano importanti nelle battaglie navali. Le loro frecce potevano ridurre notevolmente la potenza di combattimento del nemico, eliminando ufficiali e uomini sulla nave nemica.[70] Le frecce avevano una gittata efficace di 160-170 metri. Quando venivano scagliate da una nave che eseguiva un diekplous o un colpo di speronamento, le frecce avevano una velocità maggiore.
Tattica navale
[modifica | modifica wikitesto]In mare aperto, una flotta greca navigava in formazione con in testa il vessillo del navarco. All'avvistamento delle navi nemiche, la flotta si girava a dritta o a sinistra per formare una linea di battaglia. La linea di battaglia era composta da navi allineate una accanto all'altra, rivolte verso il nemico. Questa formazione affiancata fungeva da tattica sia offensiva sia difensiva. Dal punto di vista offensivo, consentiva di accedere facilmente all'arma principale delle navi antiche, lo sperone. Con l'intera flotta schierata una accanto all'altra, c'erano più arieti disponibili per attaccare l'avversario. Questa formazione forniva inoltre protezione alla flotta greca, schermando le parti più vulnerabili delle navi, che erano i lati e la poppa.[71][72] La formazione affiancata venne utilizzata in quasi tutte le battaglie navali, fatta eccezione per la battaglia di Naupatto, quando la marina ateniese fu attaccata prima che potesse passare alla sua formazione di battaglia.[73] Questa formazione di battaglia ebbe così tanto successo anche per la marina greca che anche i suoi avversari iniziarono a utilizzarla. Per continuare ad avere successo, la marina greca dovette elaborare nuove tattiche e tecnologie per riuscire a sconfiggere i suoi avversari.
Il diekplous era una tattica navale utilizzata per infiltrarsi nella linea di battaglia nemica.[74] Navi in linea affiancata remavano attraverso gli spazi tra le navi nemiche, dopodiché si giravano e attaccavano il lato vulnerabile della nave avversaria.[75] Sebbene il diekplous sia considerato una delle manovre più efficaci nella guerra navale,[76] fu utilizzato con successo solo in tre battaglie: Lade, Chio e Side.[75] Ciò in ragione del fatto che furono sviluppate rapidamente tattiche difensive efficaci: es. ritirare la propria flotta in uno stretto cerchio, con le prue rivolte verso l'esterno, nella contro-formazione a riccio che impediva il diekplous sotto minaccia di accerchiamento e speronamento,[77] come fatto da Temistocle nella Battaglia di Capo Artemisio.
Il periplo consisteva nel navigare attorno alla linea nemica,[78] con lo scopo di esporre la poppa del nemico per un facile bersaglio da speronare.[79] Un esempio di questa tattica è descritto da Tucidide durante la seconda battaglia tra Ateniesi e Peloponnesiaci nel Golfo di Corinto. Durante questo scontro, una singola galea ateniese venne inseguita da una nave del Peloponneso finché la nave ateniese girò attorno a una nave mercantile e speronò la nave del Peloponneso e la affondò.[80] La nave ateniese ebbe successo in questa manovra perché era la più veloce delle due navi, il che è un elemento chiave nel periplo.[81]
Il rostro, più impropriamente ariete, della trireme era l'arma più efficace della marina greca: un grande pezzo di legno rivestito da un involucro di bronzo, situato nella parte anteriore della nave.[82] Sebbene ogni nave fosse dotata di uno sperone, per poter usare con successo questa tattica era necessario che la nave fosse dotata di un equipaggio esperto. Il vogatore che remava sulla nave doveva colpire con precisione il bersaglio e poi essere in grado di disincagliare rapidamente l'arma prima che la nave nemica affondasse.[83] Il bersaglio abituale durante questo attacco era la poppa, dove si trovavano i remi di governo, antesignani del timone, o una delle fiancate, dove si trovavano i remi di propulsione. Mentre lo speronamento in sé può aver causato solo poche vittime al nemico, la maggior parte delle vittime si verificò in seguito, quando la nave cominciò ad affondare, costringendo l'equipaggio a gettarsi in acqua.[83]
Durante un attacco con il rostro, l'equipaggio trafisse anche il nemico. Il taglio si verificava quando i remi di una nave entravano in collisione con una qualsiasi parte della nave avversaria. Durante la collisione, le pagaie di legno si frantumarono e spesso trafissero il vogatore e gli uomini che lo circondavano. Oltre a mutilare, se non addirittura uccidere immediatamente, il nemico, all'attaccante veniva concesso un altro vantaggio: poteva speronare l'avversario. Questa opportunità si è presentata mentre la nave attaccata smetteva di remare per valutare la forza di ciascun lato dei rematori, lasciandola così ferma. La nave temporaneamente inoperativa poteva essere vittima di ulteriori attacchi di speronamento e/o di abbordaggio.[67]
Mercenari
[modifica | modifica wikitesto]Mercenari stranieri in Grecia
[modifica | modifica wikitesto]Sebbene gli storici dell'antica Grecia facessero scarso riferimento ai mercenari, le prove archeologiche suggeriscono che le truppe che difendevano Imera non fossero propriamente di origine greca. Sebbene la vittoria di Himera sia ampiamente considerata un evento determinante per l'identità greca, l'analisi del DNA di 54 cadaveri trovati nelle tombe dissotterrate nella necropoli occidentale di Himera ha ricondotto i soldati professionisti a regioni vicine alle moderne Ucraina, Lettonia e Bulgaria.[84]
Sebbene dal punto di vista tattico la guerra del Peloponneso abbia apportato poche innovazioni, sembra che vi sia stato un incremento nell'impiego della fanteria leggera, come peltasti (lanciatori di giavellotto) e arcieri. Molti di questi erano truppe mercenarie, assoldate nelle regioni periferiche della Grecia. Ad esempio, gli Agriani della Tracia erano peltasti molto rinomati, mentre Creta era famosa per i suoi arcieri. Poiché nella guerra del Peloponneso non si verificarono battaglie terrestri decisive, è improbabile che la presenza o l'assenza di queste truppe abbia influenzato l'andamento della guerra. Tuttavia, si trattò di un'innovazione importante, che venne ulteriormente sviluppata nei conflitti successivi. I Sileraioi erano anche un gruppo di mercenari antichi molto probabilmente impiegati dal tiranno Dioniso I di Siracusa.
I greci come mercenari
[modifica | modifica wikitesto]Gli opliti greci stessi non disdegnarono combattere come mercenari in eserciti stranieri, come quello di Cartagine e dell'Impero achemenide (fu questo il caso dei celebri Diecimila di Senofonte),[85] dove alcuni ritengono che abbiano ispirato la formazione dei Cardaces. Alcuni opliti prestarono servizio sotto il re illirico Bardylis nel IV secolo, cosa non inusuale dato che era nota la tendenza degli Illiri ad importare numerose armi e tattiche dai Greci.[86][87]
Strategia
[modifica | modifica wikitesto]Quelle tra poleis erano battaglie volutamente programmate per essere risolutive nel generale contesto di guerre rapide. Il campo di battaglia era appositamente pianeggiante ed aperto per facilitare le falangi di ambo le parti. Erano scontri solitamente brevi, tra armate della stessa consistenza,[88] e richiedevano un alto grado di disciplina. Almeno nel primo periodo classico, quando la cavalleria era presente, il suo ruolo era limitato alla protezione dei fianchi della falange, all'inseguimento del nemico sconfitto e alla copertura della ritirata, se necessario. Alle battaglie prendevano parte anche forze di fanteria leggera, principalmente per il lancio di proiettili (arcieri-toxotai, psiloi e peltasti) ma il loro ruolo funzionale era relativo: scontro diretto con le truppe leggere avversarie, fuoco di copertura, specialmente su fianchi e retroguardia della falange.[89] I cittadini più illustri tra i ranghi degli opliti ed il generale stesso, lo stratego (in greco antico: στρατηγός?, stratēgós), guidavano la schiera dal fronte, rischiando la propria incolumità (come anticipato, nei cruciali scontri di Leuttra e Mantinea, erano rispettivamente periti nella mischia il condottiero spartano Cleombroto e quello tebano Epaminonda),[90][91][92] altro fattore che rendeva gli scontri così risolutivi.[93]
Queste battaglie brutali e risolutive erano indotte da una precisa strategia di devastazione, in realtà più teorica ed ideologica che pratica, almeno fino alla Guerra del Peloponneso, che tutti gli strategoi conoscevano e praticavano. L'obiettivo della campagna offensiva (quanto più breve possibile per permettere agli opliti di tornare ai loro campi ed alle loro botteghe come già esposto) era costringere il nemico difensore ad accettar battaglia il più in fretta possibile ed a non rifugiarsi dietro le proprie mura. La leva per smuoverlo era minacciare e, se del caso, distruggere i suoi campi, i suoi frutteti ed i suoi uliveti. Il difensore, a questo punto, o accettava lo scontro tra falangi che descriveremo nel seguito (anche e pare soprattutto per una questione di ethos guerriero del non accettare piedi stranieri sul suolo agricolo), o si arrendeva: nel 424 a.C., ad esempio, lo spartano Brasida convinse Acanto a tradire Atene minacciandone la vendemmia. In un simile contesto, le genti del Peloponneso, le cui messi maturavano prima di quelle dell'Attica, erano avvantaggiate qualora avessero dichiarato guerra ad una polis settentrionale.
Nella pratica, le campagne venivano dunque condotte in concomitanza con la stagione agricola, in modo da avere un impatto negativo sui raccolti e sulle colture del nemico. La tempistica doveva essere attentamente pianificata in modo che il raccolto del nemico venisse interrotto ma il raccolto degli invasori non ne venisse influenzato. Erano possibili anche invasioni tardive nella speranza di compromettere la stagione della semina ma ciò avrebbe avuto effetti minimi sul raccolto. Un'alternativa all'interruzione del raccolto era quella di devastare la campagna sradicando alberi, bruciando case e raccolti e uccidendo tutti coloro che non erano al sicuro dietro le mura della città. Lo sradicamento degli alberi si rivelò particolarmente efficace data la dipendenza dei Greci dalla coltivazione dell'olivo e il lungo periodo di tempo necessario affinché i nuovi alberi raggiungessero la maturità. Devastare la campagna richiedeva molto sforzo e dipendeva dalla stagione, perché le colture verdi non bruciavano bene come quelle più prossime al raccolto.[94]
Quanto appena descritto può essere certamente stato valido al termine del Medioevo ellenico, quando, come anticipato, la Grecia era interessata dagli scontri tra miriadi di piccole poleis all'ombra dei quelle grandi città-stato che andavano gonfiandosi d'uomini e terre grazie al sinecismo.[95][96] Il mondo cioè che fu stravolto dai summenzionati sviluppi del lungo conflitto peloponnesiaco che introdusse in Grecia ben più significativi esempi di devastazione e logoramento.[97][98]
La vocazione agricola della guerra nella Grecia Classica perdurò comunque e il primo frutto per la polis vincitrice del conflitto restò, anzitutto, nuova terra da coltivare e schiavi/sconfitti a cui affidarla per garantirsi manodopera agricola che svincolasse i cittadini-soldati dai loro doveri agricoli. Sparta, come anticipato, si garantiva una fanteria professionale perché le vaste terre della polis erano coltivate da un intero popolo di schiavi, gli Iloti.[37][38] Epaminonda, il distruttore dell'Egemonia spartana, applicò una precisa «strategia dell'approccio indiretto» che recise «le radici economiche della sua [di Sparta] supremazia militare»:[99] liberò la patria degli Iloti, la Messenia, dal giogo spartano, privando così il nemico, ad un tempo, di un terzo del suo territorio e di metà della sua manodopera agricola.[100][101]
Anche il saccheggio, ovviamente, costituiva una parte importante della guerra poiché consentiva di allentare la pressione sulle finanze governative e di effettuare investimenti che avrebbero rafforzato la città-stato. La guerra stimolò anche la produzione con la sua domanda di armi e armature, nonché, nel caso delle polis con spiccata vocazione marinara, di navi.
Genio militare
[modifica | modifica wikitesto]Greco fu appunto il primo scrittore a lasciarci un manuale tattico inerente l'arte ossidionale: Enea Tattico, autore della Poliorketikà, da cui derivò il termine "Poliorcetica", in realtà il capitolo specifico di un commentario tattico molto più ampio,[102] ritenuto dagli studiosi nient'altri che lo stratego arcade Enea di Stinfalo, citato da Senofonte fra i comandanti della battaglia di Mantinea del 362 a.C.[103]
Omosessualità militare nell'antica Grecia
[modifica | modifica wikitesto]Nell'Antica Grecia, all'interno delle forze armate e primariamente della falange oplitica l'omosessualità era considerata generalmente positiva, poiché ritenuta fattore contributivo all'ethos del valore.[104] Anche se l'esempio principale e più famoso di ciò fu il summenzionato Battaglione sacro tebano, un gruppo di soldati formato esplicitamente da amanti, vi sono conferme significative tratte anche dalla tradizione spartana dell'eroismo militare, in cui vigevano forti legami affettivi derivanti da rapporti omosessuali.[104] Vari autori antichi interpretavano il loro valore e coraggio dimostrato in guerra, su tutti l'esempio cardine dei 300 Spartani alle Termopili, come dovuto e motivato da un legame omoerotico. I lacedemoni eseguivano riti preparatori rivolti al daímon (grc. δαίμων, lett. dèmone/spirito divino) dell'amore prima che le truppe fossero pronte a entrare in assetto da combattimento, per incoraggiarli a evocare l'un con l'altro il meglio di sé; gli spartani erano in tal modo così ben addestrati che combatterono coraggiosamente indipendentemente da dove fossero stati schierati, sempre al meglio delle loro potenzialità.[105] Secoli dopo, in un contesto ormai romano e non più greco, Ateneo di Naucrati († post-192) avrebbe sostenuto che si compissero sacrifici al dio Eros prima di ogni battaglia.[106]
Il dibattito culturale sul tema era comunque acceso: nel Simposio di Platone, uno degli interlocutori commenta il fatto che le relazioni sessuali tra maschi migliorino il coraggio in campo militare;[107] Senofonte, nel suo Simposio, pur non criticando i rapporti sentimentali tra commilitoni, ridicolizza quei soldati, come gli Spartani ed i Tebani, che ne fecero l'unica base fondativa della loro formazione militare;[105] ecc.
Stante queste considerazioni ed il dibattito ancora oggi vivido,[108] è acclarato che, nel generale contesto della pederastia (grc. παιδεραστία) praticata nell'Antica Grecia, il cui obiettivo era essenzialmente pedagogico, un canale in cui tramite Eros si operava per la creazione di cittadini nobili e buoni, l'addestramento militare fu un ambito applicativo. Come anticipato, un buon addestramento dei cittadini alla guerra era essenziale nella formazione della società greca, materia inseparabile dalle altre che più contraddistinguevano la cultura classica, in ragione del frequente numero di guerre, anzitutto interne, che avevano interessato la Penisola delle poleis e per circoscrivere e risolvere le quali era appunto nata la figura dell'oplita. In quanto cittadino-soldato, il fante greco classico, nei suoi anni formativi, si trovava così al centro di un sistema nel quale toccava alla pederastia il compito di coltivarne il coraggio e l'abilità nel combattimento, con il risultato che l'addestramento militare si convertì presto ad essa divenendone inseparabile. L'erastes era il principale responsabile per la formazione militare del proprio erómenos anche perché la tradizione greca di contrarre matrimoni in età relativamente tarda (questo per gli uomini) faceva sì che quando un ragazzo raggiungeva l'età di leva suo padre era di solito troppo vecchio per poter svolgere questo compito di educazione all'amor di patria.[109][110]
Campagne militari e battaglie degne di nota
[modifica | modifica wikitesto]Le guerre persiane
[modifica | modifica wikitesto]La portata della guerra nell'antica Grecia cambiarono radicalmente in seguito alle guerre greco-persiane. Combattere gli enormi eserciti dell'Impero achemenide andava ben oltre le capacità di una singola città-stato. Il trionfo finale dei Greci fu ottenuto grazie ad alleanze tra molte città-stato (la cui composizione esatta cambiò nel corso del tempo), che consentirono la messa in comune delle risorse e la divisione del lavoro. Sebbene alleanze tra città-stato fossero già avvenute prima di allora, non si era mai assistito a nulla di questa portata.
Le guerre greco-persiane (499-448 a.C.) furono il risultato dei tentativi dell'imperatore persiano Dario il Grande e poi del suo successore Serse I di sottomettere l'antica Grecia. Dario era già il governatore delle città della Ionia e si ritiene che le guerre abbiano avuto inizio quando queste si ribellarono nel 499 a.C. La rivolta fu sedata nel 494 a.C. ma Dario decise di annettere la Grecia continentale al suo dominio. Molte città-stato gli fecero la loro sottomissione, ma altre no, tra cui in particolare Atene e Sparta.[111] Dario inviò quindi i suoi comandanti Dati e Artaferne ad attaccare l'Attica, per punire Atene per la sua intransigenza. Dopo aver incendiato Eretria, i Persiani sbarcarono a Maratona.
Un esercito ateniese di circa 10.000 opliti marciò per incontrare l'esercito persiano di circa 25.000 soldati </link> . Gli Ateniesi erano notevolmente svantaggiati sia dal punto di vista strategico che tattico. Radunare un esercito così numeroso aveva privato Atene di ogni difensore e quindi qualsiasi attacco alle retrovie ateniesi avrebbe isolato l'esercito dalla città. Tatticamente, gli opliti erano molto vulnerabili agli attacchi della cavalleria e gli Ateniesi non avevano cavalleria per difendere i fianchi. Dopo diversi giorni di stallo a Maratona, i comandanti persiani tentarono di trarre vantaggio strategico inviando la loro cavalleria (via nave) a razziare Atene stessa.[112] Ciò diede all'esercito ateniese una piccola finestra di opportunità per attaccare il resto dell'esercito persiano.
Questo fu il primo vero scontro tra un esercito di opliti e un esercito non greco. I persiani si erano guadagnati la reputazione di essere invincibili, ma gli opliti ateniesi si dimostrarono nettamente superiori nella successiva battaglia di fanteria. Per contrastare l'enorme numero di persiani, il generale greco Milziade ordinò di distribuire le truppe su un fronte insolitamente ampio, lasciando il centro della linea greca sottodimensionato. Tuttavia, la fanteria persiana leggermente corazzata non si dimostrò all'altezza degli opliti pesantemente corazzati e le ali persiane furono rapidamente messe in rotta. Le ali greche si rivoltarono quindi contro le truppe d'élite al centro persiano, che fino a quel momento avevano mantenuto il controllo del centro greco. Maratona dimostrò ai Greci il potenziale letale degli opliti e dimostrò con fermezza che i Persiani non erano, dopotutto, invincibili.
La vendetta dei Persiani fu rinviata di 10 anni a causa dei conflitti interni all'Impero persiano, finché il figlio di Dario, Serse, non tornò in Grecia nel 480 a.C. con un esercito incredibilmente numeroso (stime moderne indicano tra 150.000 e 250.000 uomini). Alcune poleis risolsero di mantenersi neutrali nei confronti degli invasori e talune persino di allearsi con loro ma molte, ampiamente preavvisate dell'imminente invasione, formarono una lega anti-persiana di portata mai vista: per la prima volta, molti Greci s'unirono per affrontare insieme una minaccia esterna.
Ciò consentì la diversificazione delle forze armate alleate, anziché limitarsi a radunare un esercito di opliti molto numeroso. Il visionario politico ateniese Temistocle era riuscito a convincere i suoi concittadini a costruire un'enorme flotta da guerra (altra novità) nel 483/482 a.C. per combattere gli achemenidi sul mare e non sulla terra con gli opliti. Nella coalizione, quindi, Atene costituì il nucleo della marina, mentre altre città, tra cui Sparta, fornirono l'esercito.
La seconda invasione persiana è famosa per le battaglie delle Termopili () e Salamina (). Mentre l'imponente esercito persiano avanzava verso sud attraverso la Grecia, gli alleati inviarono una piccola forza di difesa (circa 10.000 uomini) al comando del re spartano Leonida per bloccare il passo delle Termopili mentre si radunava l'esercito principale alleato. La marina alleata estese questo blocco in mare, bloccando lo stretto dell'Artemisio, per impedire all'enorme flotta persiana di sbarcare truppe alle spalle di Leonida. Gli opliti greci tennero testa al nemico, molto più numeroso, al passo per tre giorni, e gli opliti dimostrarono ancora una volta la loro superiorità.
Solo quando una forza persiana riuscì ad aggirarli tramite un sentiero di montagna Leonida fu sconfitto ma non prima di aver congedato la maggior parte delle truppe, rimanendo con una retroguardia di 300 spartani (e forse altri 2000 soldati) dando così vita a una delle ultime grandi resistenze della storia. Anche la marina greca, nonostante la sua mancanza di esperienza, dimostrò la propria validità nel trattenere la flotta persiana mentre l'esercito manteneva il passo.
Le Termopili diedero ai Greci il tempo di organizzare le loro difese: si trincerarono infatti all'istmo di Corinto, una posizione inespugnabile, al prezzo dell'evacuazione di Atene, sacrificata ai persiani in avanzata. Per aggirare l'istmo, Serse aveva bisogno di utilizzare questa flotta e, a sua volta, aveva bisogno di sconfiggere la flotta greca; allo stesso modo, i Greci avevano bisogno di neutralizzare la flotta persiana per garantire la propria sicurezza. A tal fine, i Greci riuscirono ad attirare la flotta persiana nello stretto di Salamina e, in un campo di battaglia in cui ancora una volta il numero dei persiani non contava nulla, ottennero una vittoria decisiva, giustificando la decisione di Temistocle di costruire la flotta ateniese. Demoralizzato, Serse tornò in Asia Minore con gran parte del suo esercito, lasciando il suo generale Mardonio a condurre una campagna in Grecia l'anno successivo (479 a.C.).
Tuttavia, un esercito greco unito di circa 40.000 opliti sconfisse definitivamente Mardonio nella battaglia di Platea, ponendo di fatto fine all'invasione. Quasi contemporaneamente, la flotta alleata sconfisse i resti della marina persiana a Micale, distruggendo così il controllo persiano sulle isole dell'Egeo .
Nel resto delle guerre furono i Greci a combattere contro i Persiani. La Lega delio-attica, formata da città e isole, dominata dagli Ateniesi, estirpò le guarnigioni persiane dalla Macedonia e dalla Tracia, prima di liberare definitivamente le città ioniche dal dominio persiano. A un certo punto, i Greci tentarono addirittura un'invasione di Cipro e dell'Egitto (che si rivelò disastrosa), dimostrando un'importante eredità delle guerre persiane: la guerra in Grecia si era evoluta oltre le liti stagionali tra città-stato, per arrivare ad azioni internazionali coordinate che coinvolgevano enormi eserciti. Dopo la guerra, le ambizioni di molti stati greci aumentarono drasticamente. Le tensioni che ne derivarono e l'ascesa di Atene e Sparta come potenze preminenti durante la guerra portarono direttamente alla Guerra del Peloponneso, che vide un ulteriore sviluppo della natura della guerra, della strategia e delle tattiche.
La guerra del Peloponneso
[modifica | modifica wikitesto]La guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) fu combattuta tra la Lega delio-attica dominata dagli Ateniesi e la Lega peloponnesiaca dominata dagli Spartani. L'aumento della manodopera e delle risorse finanziarie accrebbe la portata e consentì la diversificazione delle operazioni belliche. Le battaglie campali svoltesi durante questa guerra si rivelarono indecise e si fece invece sempre più ricorso alla guerra navale e a strategie di logoramento come blocchi e assedi. Questi cambiamenti aumentarono notevolmente il numero delle vittime e la disgregazione della società greca.
Qualunque fossero le cause prossime della guerra, essa fu in sostanza un conflitto tra Atene e Sparta per la supremazia in Grecia. La guerra (o le guerre, poiché spesso viene suddivisa in tre periodi) fu per gran parte del tempo una situazione di stallo, intervallata da occasionali periodi di attività. Dal punto di vista tattico la guerra del Peloponneso rappresentò una sorta di stagnazione; gli elementi strategici erano più importanti poiché le due parti cercarono di uscire dalla situazione di stallo, il che rappresentava una novità nella guerra greca.
Sulla base dell'esperienza delle guerre persiane, continuò la diversificazione rispetto alla guerra oplitica di base, resa possibile dall'aumento delle risorse. Si diede sempre più importanza alle marine, agli assedi, ai mercenari e alla guerra economica. Lontano dalla precedente forma di conflitto limitata e formalizzata, la guerra del Peloponneso si trasformò in una lotta totale tra città-stato, con tanto di atrocità su larga scala; infrangendo tabù religiosi e culturali, devastando vaste fasce di campagna e distruggendo intere città. [113]
Fin dall'inizio, la discrepanza tra le forze contrapposte è stata evidente. La Lega di Delo (in seguito denominata "Ateniesi") era principalmente una potenza navale, mentre la Lega del Peloponneso (in seguito denominata "Spartani") era composta principalmente da potenze terrestri. Gli Ateniesi evitarono quindi la battaglia sulla terraferma, poiché non avevano alcuna possibilità di vincere, e dominarono invece il mare, bloccando il Peloponneso e mantenendo al contempo i loro commerci. Al contrario, gli Spartani invasero ripetutamente l'Attica, ma solo per poche settimane alla volta; rimasero fedeli all'idea dell'oplita come cittadino. Nonostante entrambe le parti abbiano subito battute d'arresto e vittorie, la prima fase si è sostanzialmente conclusa con una situazione di stallo, poiché nessuna delle due leghe aveva il potere di neutralizzare l'altra. La seconda fase, una spedizione ateniese per attaccare Siracusa in Sicilia, non ottenne alcun risultato tangibile, se non un'ingente perdita di navi e uomini ateniesi.
Nella terza fase della guerra, tuttavia, l'uso di stratagemmi più sofisticati permise infine agli Spartani di costringere Atene alla resa. In primo luogo, gli Spartani occuparono stabilmente una parte dell'Attica, sottraendo al controllo ateniese la miniera d'argento che finanziava lo sforzo bellico. Costretta a spremere ancora più denaro dai suoi alleati, la lega ateniese si ritrovò così in grave difficoltà. Dopo la perdita di navi e uomini ateniesi nella spedizione in Sicilia, Sparta riuscì a fomentare una ribellione all'interno della lega ateniese, il che ridusse notevolmente la capacità degli Ateniesi di continuare la guerra.
Atene in effetti si riprese parzialmente da questa battuta d'arresto tra il 410 e il 406 a.C., ma un ulteriore atto di guerra economica la costrinse infine alla sconfitta. Dopo aver sviluppato una marina in grado di affrontare quella ateniese, molto indebolita, il generale spartano Lisandro si impadronì dei Dardanelli, la fonte del grano di Atene. La flotta ateniese rimasta fu costretta a confrontarsi con gli Spartani e fu definitivamente sconfitta. Ad Atene non restò altra scelta che arrendersi e fu privata delle mura cittadine, dei possedimenti oltremare e della marina.
Egemonie spartane e tebane
[modifica | modifica wikitesto]Dopo la sconfitta degli Ateniesi nel 404 a.C. e lo scioglimento della Lega di Delo, dominata dagli Ateniesi, l'antica Grecia cadde sotto l' egemonia di Sparta. Il trattato di pace che pose fine alla guerra del Peloponneso lasciò Sparta come sovrano de facto della Grecia ( egemone ). Sebbene gli Spartani non tentassero di governare direttamente tutta la Grecia, impedirono alleanze con altre città greche e costrinsero le città-stato ad accettare governi ritenuti adatti da Sparta.
Tuttavia, fin dall'inizio, fu chiaro che l'egemonia spartana era traballante: gli Ateniesi, nonostante la schiacciante sconfitta, ripristinarono la democrazia solo un anno dopo, estromettendo l' oligarchia approvata da Sparta. Gli Spartani non si sentivano abbastanza forti da imporre la loro volontà su un'Atene in rovina. Senza dubbio una delle ragioni della debolezza dell'egemonia fu il declino della popolazione spartana .
Ciò non passò inosservato all'Impero persiano, che sponsorizzò una ribellione delle potenze unite di Atene, Tebe, Corinto e Argo, che sfociò nella guerra di Corinto (395-387 a.C.). Questa fu la prima grande sfida che Sparta dovette affrontare.
I primi scontri, a Nemea e Coronea, furono tipici scontri tra falangi oplitiche e si conclusero con vittorie spartane. Tuttavia, gli Spartani subirono una grave sconfitta quando la loro flotta fu annientata da quella persiana nella battaglia di Cnido, indebolendo la presenza spartana in Ionia. La guerra si concluse dopo il 394 a.C., con una situazione di stallo intervallata da scontri minori. Uno di questi è tuttavia particolarmente degno di nota: nella Battaglia del Lecheo, un esercito ateniese composto principalmente da truppe leggere (ad esempio peltasti) sconfisse un reggimento spartano...
Il generale ateniese Ificrate ordinò alle sue truppe di effettuare ripetuti attacchi a sorpresa contro gli Spartani, i quali, non avendo né peltasti né cavalleria, non riuscirono a rispondere in modo efficace. La sconfitta di un esercito di opliti in questo modo dimostra i cambiamenti avvenuti sia nelle truppe che nelle tattiche belliche greche.
La guerra terminò quando i Persiani, preoccupati per i successi degli alleati, passarono a sostenere gli Spartani, in cambio delle città della Ionia e della non ingerenza spartana in Asia Minore . Ciò condusse i ribelli a un accordo e ripristinò l'egemonia spartana su basi più stabili. Il trattato di pace che pose fine alla guerra ripristinò di fatto lo status quo ante bellum, sebbene ad Atene fosse consentito di conservare parte del territorio riconquistato durante la guerra. L'egemonia spartana sarebbe durata altri 16 anni...
La seconda grande sfida che Sparta dovette affrontare fu fatale per la sua egemonia e perfino per la sua posizione di potenza di prim'ordine in Grecia. Quando i Tebani tentarono di espandere la loro influenza sulla Beozia, inevitabilmente si attirarono l'ira di Sparta. Dopo che questi si rifiutarono di sciogliere il loro esercito, un esercito di circa 10.000 spartani e pelopennesi marciò verso nord per sfidare i Tebani. Nella decisiva battaglia di Leuttra (371 a.C.), i Tebani sconfissero l'esercito alleato. La battaglia è famosa per le innovazioni tattiche del generale tebano Epaminonda .
Sfidando le convenzioni, rafforzò il fianco sinistro della falange fino a una profondità inaudita di 50 ranghi, a scapito del centro e della destra. Il centro e la destra erano sfalsati all'indietro rispetto alla sinistra (una formazione a "scaglioni"), in modo che la falange avanzasse obliquamente. L'ala sinistra tebana fu così in grado di schiacciare le forze d'élite spartane sulla destra alleata, mentre il centro e la sinistra tebana evitarono lo scontro; dopo la sconfitta degli Spartani e la morte del re spartano, il resto dell'esercito alleato fu messo in rotta. Questo è uno dei primi esempi noti sia della tattica della concentrazione locale delle forze, sia della tattica del "rifiuto di un fianco".
Dopo questa vittoria, i Tebani consolidarono dapprima la loro base di potere in Beozia, prima di marciare su Sparta. Poiché ai Tebani si unirono molti ex alleati spartani, gli Spartani non riuscirono a resistere all'invasione. I Tebani marciarono in Messenia e la liberarono da Sparta; questo fu un colpo fatale per Sparta, poiché la Messenia aveva fornito la maggior parte degli iloti che sostenevano la società guerriera spartana. Questi eventi ridussero in modo permanente il potere e il prestigio di Sparta e sostituirono l'egemonia spartana con quella tebana . Tuttavia l'egemonia tebana avrebbe avuto vita breve.
L'opposizione ad essa durante il periodo compreso tra il 369 e il 362 a.C. causò numerosi scontri. Nel tentativo di rafforzare la posizione dei Tebani, Epaminonda marciò nuovamente sul Peloponneso nel 362 a.C. Nella battaglia di Mantinea si verificò la più grande battaglia mai combattuta tra le città-stato greche; la maggior parte degli stati era rappresentata da una parte o dall'altra. Epaminonda adottò una tattica simile a quella di Leuttra e ancora una volta i Tebani, posizionati sulla sinistra, misero in rotta gli Spartani e vinsero la battaglia. Tuttavia, le perdite di manodopera tebana, compreso lo stesso Epaminonda, furono tali che Tebe non fu più in grado di sostenere la propria egemonia. Al contrario, un'ulteriore sconfitta e la perdita di prestigio impedirono a Sparta di riconquistare la sua posizione primaria in Grecia. Alla fine, Mantinea e il decennio precedente indebolirono gravemente molti stati greci, lasciandoli divisi e senza la guida di una potenza dominante.
L'ascesa della Macedonia
[modifica | modifica wikitesto]Gli anni di conflitto determinati dai tentativi tebani di riorganizzazione della Grecia, avevano lasciato gran parte del paese esausto; venne pertanto conclusa una pace generale (esclusa solo Sparta che era recalcitrante) tra tutti gli Stati della Grecia all'indomani di Mantinea.[114][115] Con la morte di Epaminonda e di un significativo numero di uomini a Mantinea, i Tebani tornarono alla loro politica più tradizionale di difesa, e nel giro di pochi anni, Atene sostituì Tebe al vertice del sistema politico greco e l'influenza tebana sbiadì rapidamente nel resto della Grecia.[116] Furono così gli Ateniesi e i loro alleati della seconda lega delio-attica, che sarebbero stati i principali rivali dei Macedoni per il controllo delle terre del nord Egeo, e un tema importante nel corso del periodo della guerra tra Macedonia e Atene.[117]
L'ascesa del regno di Macedonia da piccola monarchia della periferia della Grecia a dominatore dell'intero mondo ellenico avvenne nel venticinquennio 359–336 a.C. per opera del sovrano macedone argeade Filippo II (r. 359 al 336 a.C.). Salito al trono nell'ennesimo momento di crisi per il regno, Filippo promosse una massiccia riorganizzazione dell'esercito e, tra il 356 e il 342 a.C., conquistò tutte le città-stato nei pressi della Macedonia, poi della Tessaglia ed infine della Tracia. Infine Filippo cercò di stabilire la propria egemonia sulle poleis della Grecia meridionale e, dopo aver sconfitto le forze congiunte di Atene e Tebe, i due stati più potenti, nella Battaglia di Cheronea (338 a.C.), riuscì nell'intento. Filippo costrinse allora la maggior parte delle poleis (Atene, Tebe, Corinto e Argo ma non Sparta) ad unirsi alla Lega di Corinto e, di conseguenza, a stringere con lui un'alleanza. Ciò stabilì una duratura egemonia macedone sulla Grecia e fornì a Filippo le risorse e la sicurezza per lanciare una guerra contro l'impero persiano. Dopo il suo assassinio, questa guerra fu portata avanti da suo figlio Alessandro Magno (r. 336–323 a.C.) e si concluse con la conquista dell'intero impero achemenide da parte dei Macedoni e la creazione dell'impero macedone che non sopravvisse però alla morte di Alessandro e si divise nei regni ellenistici dei Diadochi, i generali del defunto sovrano. Tali regni erano comunque territorialmente enormi per gli standard greci e perseguirono progetti, scopi e guerre affini a quelli di Filippo e Alessandro (v.si Guerre dei diadochi, 322–281 a.C.). L'ascesa della Macedonia e degli stati successori veicolò il peculiare modus bellandi dell'antica Grecia nella guerra delle "superpotenze" che avrebbe dominato il mondo antico tra il 350 e il 150 a.C.
Le innovazioni di Filippo II
[modifica | modifica wikitesto]L'esercito macedone riformato da Filippo può essere inteso come summa di tutte le evoluzioni occorse nella fanteria oplitica greca sino a quel tempo. Filippo aveva speso la sua giovinezza come ostaggio presso i tebani di Epaminonda ed ivi aveva attinto a piene mani dalle innovazioni da loro apportate all'arte della guerra ellenica.[118] Fondendo la falange obliqua con gli opliti ificratei,[119] il re creò la falange macedone, il cui nerbo era composto dai Pezeteri (in greco antico: πεζέταιροι?, Pezhetaìroi, lett. "Compagni a piedi"), una nuova tipologia di fanteria pesante i cui opliti imbracciavano a due mani la lunghissima sarissa (in greco antico: σάρισα?, sárissa), una picca di 6 metri (20 ft), e s'affidavano ad uno scudo di modeste dimensioni che calzavano sul braccio,[120][121] supportati da valide truppe di fanteria leggera sempre d'ispirazione ificratea (fond. i peltasti), ed i cui fianchi, specialmente il destro, erano protetti dagli Ipaspisti (in greco antico: ὑπασπισταὶ τῶν ἑταίρων?, hypaspistài tṑn hetàirōn, lett. "Portatori degli scudi dei compagni"), una forza d'opliti d'élite ispirata dal Battaglione sacro tebano.[122][123][124] Oltre a ciò, Filippo arruolò anche contingenti di opliti greci mercenari, sia fornitigli dalla Lega di Corinto, l'alleanza panellenica tramite la quale esercitava il suo controllo su di una Grecia sempre divisa tra poleis litigiose, sia direttamente prezzolati da lui.[125]
L'anomalia distintiva dei Macedoni rispetto al modello bellico greco classico non era quindi l'assenza di fanteria pesante ellenica, ampiamente utilizzata nell'esercito riformato argeide, bensì il loro massiccio ricorso a forze di cavalleria: gli Eteri (in greco antico: Ἑταῖροι?, Hetâiroi, lett. "Compagni") tradizionali macedoni,[126] la cavalleria tessala[127] e la cavalleria leggera dei prodromoi.[128] La cavalleria, reclutata ed organizzata dalla nobiltà con modalità assimilabili a quelle del medioevo feudale europeo, era infatti stata per secoli la forza predominante negli eserciti macedoni.
Scomparso Filippo, suo figlio Alessandro Magno ereditò la formidabile macchina bellica creata dal genitore e, con la sua genialità strategica e la sua incredibile fortuna, le garantì il passo sostanziale che meritò all'esercito macedone una fama d'invincibilità durata due secoli. L'unica innovazione relativa alla fanteria apportata da Alessandro al modello paterno fu, poco prima dell'invasione dell'India, la creazione del corpo degli argiraspidi (in greco antico: Ἀργυράσπιδες?, lett. "Scudi d'argento"), una truppa scelta di ipaspisti i cui scudi furono ricoperti con lamine d'argento, frutto del bottino conquistato in Persia.[129]
Dal punto di vista tattico, Filippo imparò le lezioni di secoli di guerre in Grecia. Egli ripeté la tattica di Epaminonda a Cheronea, non impegnando la sua ala destra contro i Tebani finché la sua ala sinistra non ebbe sconfitto gli Ateniesi; in questo modo superò numericamente e accerchiando i Tebani e assicurandosi la vittoria. La fama di Alessandro è dovuta in gran parte al suo successo come stratega sul campo di battaglia: gli stratagemmi poco ortodossi da lui utilizzati nelle battaglie di Isso e Gaugamela erano diversi da qualsiasi cosa si fosse mai vista prima nell'antica Grecia.
Note
[modifica | modifica wikitesto]Esplicative
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Tucidide, I 13.4 data al 665/664 a.C. la prima battaglia navale nella storia della Grecia, combattuta tra le flotte di Corinto e della sua colonia ribelle di Corcira.
- ^ Gli pteruges potevano in realtà essere agganciati alla thórax non solo nella parte inguinale ma anche in altre scoperte, come le spalle, come riportato in Senofonte, Anabasi, IV, 7, 15.
- ^ Il tema dell'effettivo dispiegamento degli opliti in battaglia è ancora oggetto di forte dibattito. Per un sunto delle attuali posizioni sul tema, si consulti Matthew 2012 in bibliografia.
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Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto][[Categoria:Storia militare dell'antica Grecia]]