Pemfigoide gravidico | |
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Microscopia ottica di una biopsia cutanea che mostra le classiche vescicole subepidermiche e la presenza di eosinofili (colorazione EE) | |
Specialità | ostetricia |
Classificazione e risorse esterne (EN) | |
ICD-9-CM | 646.8 |
MeSH | D006559 |
eMedicine | 1063499 |
Sinonimi | |
Herpes gestationis | |
Il pemfigoide gravidico o herpes gestationis è una malattia autoimmune della cute che coinvolge le donne durante gravidanza o nel periodo del puerperio. Fa parte della gruppo dei pemfigoidi[1][2][3].
Epidemiologia
[modifica | modifica wikitesto]La prevalenza della malattia è stimata in un caso ogni 3.000-50.000 gravidanze[2], con un'incidenza annuale di 0,44 casi per milione di abitanti[3]. La malattia, per definizione, colpisce esclusivamente il sesso femminile[3].
Eziopatogenesi
[modifica | modifica wikitesto]La malattia ha una genesi autoimmune e si manifesta in individui geneticamente predisposti, specialmente quelli caratterizzati dalla presenza di un genotipo HLA-DR3 e DR4[1]. Gli autoanticorpi sono classicamente IgG dirette soprattutto verso un antigene del trofoblasto, BP180 o BPAG1, una glicoproteina presente nella placenta ed espressa dopo il I trimestre di gravidanza, e verso BPAG2[1][2].
Il pemfigoide gravidico può associarsi, seppur raramente, a mole idatiforme e a coriocarcinoma, altre che ad altre malattie quali rettocolite ulcerosa, alopecia areata, cirrosi biliare primitiva e ipertiroidismo[2].
Anatomia patologica
[modifica | modifica wikitesto]La biopsia della cute rivela la presenza di edema sottocutaneo e di un infiltrato infiammatorio caratterizzato da eosinofili e linfociti[1] ed è del tutto simile al reperto in corso di pemfigoide bolloso, pertanto non rappresenta una procedura diagnostica specifica[2].
Clinica
[modifica | modifica wikitesto]Segni e sintomi
[modifica | modifica wikitesto]Il pemfigoide gravidico si manifesta dopo il I trimestre di gravidanza, tipicamente tra il 4º e il 7º mese di gestazione, ma può presentarsi anche dopo il parto e alla ripresa del ciclo mestruale[3]. Clinicamente si presenta con prurito associato a papule orticarioidi eritematose e vescicole spesso confluenti, localizzate principalmente all'addome, in particolare attorno all'ombelico, ma presenti anche sul torace, sulla schiena, sugli arti e sul volto[3].
Esami di laboratorio e strumentali
[modifica | modifica wikitesto]Il test diagnostico di riferimento per la diagnosi di pemfigoide gravidico è l'immunofluorescenza, diretta e indiretta. La prima dimostra la presenza di depositi lineari di C3 a livello della membrana basale dell'epidermide, formatisi in seguito ad attivazione del complemento in risposta agli autoanticorpi[1]. La seconda dimostra la presenza degli autoanticorpi, appartenenti alla classe IgG1[2].
Altri esami, come il Western blot e l'ELISA, possono essere effettuati, tuttavia non riscontrano una reale rilevanza clinica[2]. In particolare il saggio ELISA è in grado di rilevare gli autoanticorpi con una sensibilità del 70%[3].
Diagnosi differenziale
[modifica | modifica wikitesto]La malattia deve essere distinta dal pemfigoide bolloso, dalla forma bolloide del lupus eritematoso sistemico e dall'epidermolisi bollosa acquisita[3].
Trattamento
[modifica | modifica wikitesto]La terapia è generalmente immunosoppressiva e si basa su corticosteroidi, soprattutto prednisone, assunti per via sistemica. Nelle forme lievi possono essere utilizzati i corticosteroidi topici e la piridossina, eventualmente associata a ritodrina, mentre nelle forme gravi la ciclofosfamidee l'azatioprina, che tuttavia possono avere effetti teratogeni[2][3].
L'anticorpo monoclonale Rituximab è stato suggerito, vista la sua efficacia, per sostituire i corticosteroidi sistemici[3].
Prognosi
[modifica | modifica wikitesto]Le manifestazioni cutanee tendono a regredire 1-2 mesi dopo il parto, tuttavia sono spesso soggette a recidiva, sia nel corso di ulteriori gravidanze, sia in donne non gravide ma trattate con estroprogestinici[2]. Le recidive in gravidanza sono generalmente più gravi e più precoci[1]. Raramente sono stati descritti casi di durata superiore ai sei mesi dopo il parto[3].
Il feto non viene se non raramente coinvolto dalla malattia, e in tal caso solo transitoriamente in conseguenza del passaggio degli anticorpi attraverso la placenta[3]. Possono essere presenti prematurità e basso peso, tuttavia non sono descritti rischi di aborto o di mortalità peripartum[2].
Note
[modifica | modifica wikitesto]Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Zanoio, Ginecologia e ostetricia, Elsevier, 2007, ISBN 88-214-2730-7.
- G. Girolomoni, A. Giannetti, Dermatologia e malattie sessualmente trasmesse, Elsevier, 2006.
- Lawrence Chan, Blistering Skin Diseases, Manson Publishing, 2009.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Altri progetti
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