Gastone Monaldi (Passignano sul Trasimeno, 9 giugno 1882 – Sarteano, 1º gennaio 1932) è stato un attore e drammaturgo italiano. È considerato uno dei maggiori nomi del teatro romanesco primonovecentesco.
Biografia
[modifica | modifica wikitesto]Discendente da una nobile famiglia perugina, Gastone fu figlio del marchese Gino, impresario lirico e commentatore delle opere di Verdi, e della ballerina Cesira Presiotti. Appassionato di teatro fin da bambino, nonostante si fosse iscritto alla facoltà di medicina e stesse per conseguire la laurea, sentì il desiderio di abbandonare tutto per potersi dedicare alle scene.
Allievo di Ferruccio Garavaglia, fu nella compagnia di Giacinta Pezzana al tempo in cui si proponeva (1908) di rilanciare il teatro romanesco. Carattere impetuoso e passionale, Gastone seppe portare sulle scene le passioni più violente del popolo romano e incarnarne i sentimenti più profondi: l'onore, l'amore, la gelosia, la vendetta. Riuscì a calarsi perfettamente nella difficile realtà sociale della Roma primonovecentesca, con i suoi bassifondi e la sua malavita, facendo propria la figura del bullo (un bullo non da macchietta, ma di quelli che popolavano la cronaca nera dei giornali dell'epoca), che portò con grande efficacia alla ribalta guadagnandosi un notevole successo popolare.
Si rammentano alcuni dei titoli più importanti: Giggi er bullo (satireggiato dalla nota macchietta petroliniana), I vaschi della buiosa, Nino er boja![1], Er più de Trestevere (che ripercorreva le vicende di vita del Tinèa, noto bullo romano), L'Ombra paurosa, 'Na serenata a Ponte, La Trappola, Er pupo da Trastevere, Istruttoria, A lo sbarajo (in collaborazione con Nino Ilari), e ancora Cielo senza stelle, Anime perze, Certificato Penale, La festa del bacio, scritte in collaborazione con Ciprelli, Giustiniani, Ojetti, Smith.
Nel 1908 partecipò alla prima rappresentazione de La nave di D'Annunzio e nel 1909 mise su una sua compagnia detta del "Teatro del Popolo", che giunse in breve "ad alta considerazione da parte della critica del tempo"[2], e di cui, a partire dal 1912, fece parte anche Fernanda Battiferri[3], che sarebbe diventata sua moglie nell'aprile del 1918. La compagnia si produsse in tutta Italia e anche in America, durante una tournée che riscosse enorme successo, grazie anche alle numerose colonie italiane e al fascino che, nell'epoca dei gangster, i bulli romani (che si facevano un punto d'onore il non utilizzare il cacafòco, la pistola, ma sempre il coltello) e le storie della malavita italiana potevano esercitare nel Nuovo Mondo. Nel frattempo Gastone aveva cominciato la sua collaborazione nel mondo del cinema muto, che lo avrebbe portato nel giro di una decina d'anni a partecipare a circa una trentina di film, alcuni dei quali diretti da lui stesso.
Nel 1918 allestì la garbata Commedia de Rugantino e quindi il Meo Patacca di Augusto Jandolo. Il 15 dicembre 1923[4], al Teatro Morgana di Roma la Compagnia di Monaldi diede la prima rappresentazione in italiano del Berretto a sonagli di Luigi Pirandello. La sua popolarità era tale che il 22 luglio 1927 Mussolini gli inviò una lettera per ammonirlo ad adoperare nel modo opportuno quel grande strumento comunicativo e di propaganda che individuava nel teatro[5]. Molti testi delle sue opere si trovano conservati presso la Biblioteca e museo teatrale del Burcardo. È il padre dell'attrice Gisella Monaldi.
A Monaldi è intitolata una via di Roma presso l'EUR.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ .Ladri, assassini, prostitute, ruffiani, scatti di coltelli a molla, lividi lampeggiamenti di acciari, urla, sfide, streghe, fatture, donne sfregiate da una parte, tenerezze, senso morboso dell'onore, spirito cavalleresco dall'altra. In questo quadro si rileva un personaggio che sintetizza tutto il bene e tutto il male dell'ambiente: il capo della onorata società che entrando in scena fa scattare il ferro a zic, sfregia l'amante traditora. L'azione si complica: nell'ordine delle bassezze c'è una vecchia che se la intende col marito della figliuola, il quale marito è il Giuda pallido e repugnante di questa caverna da mille e una notte: nell'ordine degli eroismi c'è la magnanimità del capo che non uccide il Giuda per le supplicazioni di una sua amante (la quale è la moglie del Giuda, ma ha avuto un figliuolo dal capo, anzi il Giuda l'ha sposata per coprire il fallo e il figliuolo). L'azione culmina nella esecuzione che il capo fa del traditore. E qui è capitato un fatto che rende interessante questo pasticcetto romantico e trucolento (Nino er boja) e le recite del Monaldi. Quando Nino, il capo della paranza, afferra per i capelli, con gesto ampio e magnifico di grandezza, Pietro il traditore e gli taglia la gola, dal pubblico dei teatri si sprigiona un sospiro di soddisfazione e da una cinquantina di bocche strette sibila l'approvazione: ben fatto. Sì, il pubblico (un teatrone e scelto come dicono i cronisti) è rimasto incatenato allo svolgersi dei momenti drammatici della rappresentazione, ha palpitato, ha rabbrividito, si è commosso, e non solo per la virtù degli attori, ma per i fatti in sé, che lo interessavano come lo interessano tuttora i librucciacci sui banditi celebri, sugli sventratori di donne, su Guerin Meschino e i reali di Francia. Con questa differenza: che i lettori di questi libri sono lettori clandestini e in pubblico fanno il chi la sa lunga in letteratura e in buon gusto; in teatro, collettivamente, non nascondono la loro predilezione. È un problema di costume di non trascurabile importanza: a Torino, dove c'è la possibilità che un teatro zeppo langua e rabbrividisca vedendo e udendo sulla scena ladri, assassini, ruffiani, prostitute, coltelli, sangue, e tutto l'armamento romantico e truculento dei cliché della mala vita" Antonio Gramsci, "Nino er boja" di Monaldi allo Scribe, in A. Gramsci, Quaderni del carcere, Torino, G. Einaudi, 1964, vol. 5 (Letteratura e vita nazionale), p. 361.
- ^ Nino Aquila, Lino Piscopo, Il teatro di prosa a Palermo, con una nota di Bruno Caruso, Palermo, Guida, 2001, p. 124.
- ^ Così Monaldi conquistò la sua donna: a mezzanotte del martedì grasso (20 febbraio) 1912, durante il veglione organizzato per celebrare la più bella romana, Gastone fece irruzione nel teatro Costanzi seguito da altre persone, alcune attori della sua compagnia, altre veri bulli suoi amici, come Caio de Ponte e altri. Questi bloccarono i festeggiamenti mentre lui balzò in pieno palcoscenico per offrire alla bellissima tra le romane, la Battiferri appunto, un mazzo di rose. L'episodio, finito sui giornali, è riportato in: Bartolomeo Rossetti, I bulli di Roma, Roma, Newton & Compton, 1996, p. 61. Fernanda Battiferri era nata nel rione Monti a Roma il 4 settembre 1896.
- ^ Nel 1922 la compagnia di Monaldi era formata da Fernanda Battiferri, René di Saltamerenda, Aristide Garbini, Giulio Battiferri, il De Angelis, Pina Piovani e il Di Gianicola.
- ^ Pietro Cavallo, Theatre Politics of the Mussolini Regime and their Influence on Fascist Drama, in: Michael Balfour, Theatre and war, 1933-1945, p. 21-31, p. 21 e nota 1.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Francesco Possenti, I teatri del primo Novecento, Roma, Orsa maggiore editrice, pp. 43, 56, 68, 192.
- Francesca Bonanni, La «mala» romana d'inizio secolo nelle commedie di Gastone Monaldi, in "Strenna dei Romanisti", anno LI, 1990, pp. 63–67.
- Piero Gobetti, «Meo Patacca» di G. Monaldi, in Piero Gobetti, Opere complete di Piero Gobetti, Torino, Einaudi, 1969, voll. 3, vol. III (Scritti di critica teatrale), pp. 118 sgg.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Gastone Monaldi
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Monaldi, Gastone, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Silvio D'Amico, MONALDI, Gastone, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1934.
- Elena Lenzi, MONALDI, Gastone, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 75, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2011.
- (EN) Gastone Monaldi, su IMDb, IMDb.com.
- Foto di Gastone Monaldi[collegamento interrotto] e di Fernanda Battiferri[collegamento interrotto] nel 1910 (tratte dal sito dell'Archivio dei Beni Culturali di Napoli).
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