Luigi Antonio di Borbone-Condé

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Luigi Antonio di Borbone-Condé
Duca di Enghien
Stemma
Stemma
Nome completoLouis Antoine Henri de Bourbon
NascitaCastello di Chantilly, 2 agosto 1772
MorteCastello di Vincennes, 21 marzo 1804 (31 anni)
Luogo di sepolturaSainte-Chapelle de Vincennes
PadreLuigi Enrico di Borbone, principe di Condé
MadreBatilde d'Orléans
ConsorteCharlotte de Rohan
ReligioneCattolicesimo

Luigi Antonio di Borbone, duca di Enghien (Louis Antoine Henri, duc d'Enghien) (Chantilly, 2 agosto 1772Vincennes, 21 marzo 1804), è stato un nobile francese. Parente dei sovrani borbonici di Francia, deve la sua notorietà più alla sua morte che alla sua vita, essendo giustiziato per accuse inventate durante il consolato francese dal ministro di Napoleone, Talleyrand.

Il duca era l'unico figlio di Luigi Enrico di Borbone "Duca di Borbone", e di Batilde d'Orléans, "Duchessa di Borbone". Come membro del regnante Casato di Borbone, egli era un prince du sang. Nacque nel castello di Chantilly, la residenza di campagna dei principi di Condé, un titolo che per nascita avrebbe ereditato. Gli fu dato il titolo di Duca di Enghien dalla nascita, in quanto erede del titolo di Duca di Borbone, suo padre, a sua volta, erede del titolo di Principe di Condé.

Il nome completo di sua madre era Louise Marie Thérèse Bathilde d'Orléans; era l'unica figlia femmina di Luigi Filippo d'Orléans (nipote del Reggente Philippe d'Orléans) e di Luisa Enrichetta di Borbone-Conti. Suo zio era il futuro Philippe Égalité ed era quindi un cugino di primo grado del futuro Luigi Filippo I, Re dei francesi. Era anche un discendente di Luigi XIV e della sua amante Madame de Montespan, essendo sua madre una bisnipote di Mademoiselle de Blois e suo padre un bisnipote di Mademoiselle de Nantes, le due figlie sopravvissute di Madame de Montespan.

Era figlio unico, poiché i suoi genitori si separarono nel 1778 dopo che il coinvolgimento di suo padre con Marguerite Catherine Michelot, una cantante d'opera, fu scoperto; fu sua madre che fu biasimata per l'infedeltà del marito. Suo padre ebbe due figlie illegittime da Marguerite.

Fu educato privatamente dall'Abbé Millot e, nelle questioni militari, dal Commodoro de Vinieux. Mostrò precocemente lo spirito bellicoso del Casato di Condé, e cominciò la sua carriera militare nel 1788. Allo scoppio della rivoluzione francese, emigrò con il padre e il nonno pochi giorni dopo la caduta della Bastiglia e rimase in esilio, cercando di aumentare le forze per l'invasione della Francia e la restaurazione della monarchia. Lui, suo padre e suo nonno erano ovviamente realisti, fedeli all'ancien régime, invece sua madre era democratica e quindi favorevole alla rivoluzione. Nel 1792, allo scoppio delle guerre rivoluzionarie francesi, ricoprì un comando nel corpo degli émigré organizzato e comandato da suo nonno, il Principe di Condé. Questo esercito di Condé condivise la fallimentare invasione della Francia del Duca di Brunswick.

Carlotta di Rohan, la moglie segreta di Luigi Antonio; miniatura di François-Joseph Desvernois

Dopo di ciò, fedele al suo re Luigi XVIII, il giovane duca continuò a prestare servizio sotto suo padre e suo nonno nell'esercito Condé per vendicare suo cugino Luigi XVI e abbattere il governo della Repubblica francese e, in diverse occasioni, si distinse per il suo coraggio cavalleresco e ardore in prima linea. Scioltasi l'armata dopo la pace di Lunéville del febbraio 1801, sposò segretamente Carlotta di Rohan-Rochefort, nipote ed erede del cardinale di Rohan (la segretezza era dovuta al fatto che ad esso era contrario il nonno paterno del duca di Enghien), e prese residenza a Ettenheim nel principato vescovile di Strasburgo, allora dello zio di sua moglie (territorio passato poi nel 1803 all'Elettorato di Baden).

Nel 1803, sottoscrisse la protesta di Luigi XVIII contro Napoleone, che offriva il trono di Polonia al Borbone in cambio della sua rinuncia al trono di Francia.

Lo stesso argomento in dettaglio: Affare del duca d'Enghien.

Avendo avuto sentore di un complotto realista per ucciderlo, fomentato dallo chouan Georges Cadoudal e dall'ex generale Pichegru[1] e convinto che il giovane Enghien ne fosse l'animatore, quando invece si trattava del duca di Berry, figlio del conte d'Artois, Napoleone Bonaparte ne dispose la cattura con un'incursione della cavalleria della Guardia imperiale agli ordini del generale Ordener. Arrestato nella notte fra il 15 e il 16 marzo 1804, insieme ad altre tre persone, il duca venne portato prima a Strasburgo e poi tradotto nella fortezza di Vincennes. Posto innanzi ad un consiglio di guerra composto da sette colonnelli e dal generale Hulin che lo presiedeva[2], l'Enghien, pur dichiarando di odiare il Primo Console e di volerlo combattere fino in fondo, respinse le accuse di aver fatto parte di un complotto per preparare un attentato e chiese di avere con lui un colloquio chiarificatore. Nel frattempo la cattura di Cadoudal e di Pichegru, ad opera della polizia di Fouché, consentì di appurare la veridicità delle parole dell'Enghien. L'accusa fu tramutata in alto tradimento per aver combattuto contro l'esercito francese, a fianco dei nemici della Francia, e l'Enghien fu condannato a morte dopo un processo-burla. Fucilato il 21 marzo, il suo corpo fu gettato in una fossa ai piedi del Padiglione della Regina[3]. Nel 1816, Luigi XVIII ne fece esumare il corpo e lo fece deporre nella Sainte-Chapelle di Vincennes, all'interno della cinta del castello di Vincennes.

L'eco europea e le conseguenze del fatto

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L'esecuzione del duca d'Enghien

L'evento destò l'indignazione delle corti europee per l'arrogante violazione della sovranità di uno stato estero da parte della Francia, e per la sorte riservata al duca, e diede uno scossone negativo all'immagine europea del Bonaparte, alla quale invece l'allora ancor Primo Console teneva moltissimo.[4]

Le prove del coinvolgimento del duca nella cospirazione non furono mai trovate,[5] e in effetti l'accusa nei confronti del giovane duca fu mutata da cospirazione ad alto tradimento per aver preso le armi contro il proprio paese. L'interpretazione che viene data riguardo alla decisione di procedere al rapimento ed a quanto ad esso seguì è che il Primo Console, in un contesto di accuse da parte degli irriducibili della Rivoluzione, già levatisi a difendere il generale Moreau, che era stato da poco imprigionato per cospirazione, di voler piano piano riportare la monarchia in auge, e di cospirazioni da parte dei realisti in patria e soprattutto all'estero, avesse voluto dare una lezione a entrambi: ai repubblicani, per dimostrare loro che non stava facendo ciò di cui lo accusavano e agli altri perché non provassero a farlo fuori. Motore dell'azione non fu certo la scarsa pericolosità del giovane e generoso duca d'Enghien.[6]

La giovane età, il matrimonio d'amore e il sacrificio della vita fecero del duca di Enghien, appartenente a una casata delle più illustri della nobiltà francese, l'emblema dell'eroe romantico. Dopo la restaurazione Luigi XVIII dispose nel 1816 la traslazione della salma del duca nella Sainte-Chapelle di Vincennes, sotto un monumento del Lenoir.

Nella cultura di massa

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L'episodio dell'esecuzione fu menzionato in opere teatrali e letterarie.

Lev Tolstoj nel suo romanzo Guerra e pace ne fa oggetto di discussione nel salotto di uno dei personaggi, Anna Pavlovna Sherer, ove è presente un emigré, il visconte di Mortemart, che avrebbe conosciuto personalmente lo sfortunato duca:

«Il gruppo intorno a Mortemart si mise a discutere immediatamente sull'assassinio del duca d'Enghien. «Dopo l'assassinio del duca, anche i più fanatici ammiratori smisero di ammirare Bonaparte come un eroe. Se per qualcuno egli [Napoleone] era un eroe, dopo l'assassinio del duca c'era un martire in più in cielo ed un eroe in meno sulla terra.» Il visconte di Mortemart disse che il duca perì a causa della sua stessa magnanimità, e che vi erano particolari motivi per il Bonaparte di odiarlo …»

e ancora:

«C'era un aneddoto, allora popolare, nel quale si raccontava che il duca di Enghien si era recato in segreto a Parigi per visitare Mademoiselle George, nella cui dimora gli capitò di incontrare Napoleone Bonaparte, che godeva anch'egli dei favori della nota attrice, e che in presenza del duca egli [Napoleone] era caduto in una delle sue crisi di svenimento, rimanendo così alla mercé del duca. Quest'ultimo lo risparmiò, e questa magnanimità fu successivamente ricambiata dal Bonaparte con la morte. La storia era carina ed interessante, specialmente laddove i due rivali si riconoscono reciprocamente, e le signore parvero agitate.»

[7]

Alessandro Dumas

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L'assassinio del duca d'Enghien è anche trattato nel libro di Alessandro Dumas padre nel suo romanzo Il cavaliere di Sainte-Hermine:

«Il sentimento dominante nella mente di Bonaparte a quel momento non fu né di paura né di vendetta, ma piuttosto il desiderio per tutta la Francia di comprendere che il sangue dei Borboni, così sacro ai realisti, non lo era più per lui di quanto lo fosse quello di qualunque altro cittadino della Repubblica»

ed anche:

«Bene, dunque - chiese Cambacérès[8]- avete deciso?
È semplice - disse Bonaparte - Noi faremo rapire il Duca di Enghien e sarà fatta.»

Anche nel romanzo I Buddenbrook: decadenza di una famiglia, pubblicato da Thomas Mann a soli 26 anni, viene citato il duca d'Enghien. Nel capitolo V della Parte prima, nella discussione durante il pranzo inaugurale della nuova residenza della famiglia Buddenbrook, parlando di Napoleone, scrive Mann, «...il vecchio Buddenbrook disse:

(DE)

«Na, ungescherzt, allen Respekt übrigens vor seiner persönlichen Großheit ... Was für eine Natur!»

(IT)

«Bando agli scherzi, dobbiamo fare tanto di cappello davanti alla sua grande personalità... Che uomo [Napoleone Bonaparte]!»

Il console scosse il capo con serietà:

(DE)

«Nein, nein, wir Jüngeren verstehen nicht mehr die Verherungswürdigkeit des Mannes, der den Herzog von Enghien ermordete, der in Ägypten die achthundert Gefengenen niedermetzelte...»

(IT)

«Ecco, noi giovani non sentiamo più il rispetto per l'uomo che assassinò il duca d'Enghien, che in Egitto massacrò ottocento prigionieri...»

(DE)

«Das alles ist möglicherweise übertrieben und gefälscht»

(IT)

«Può darsi che tutto ciò sia esagerato o inventato»

osservò il pastore Wunderlich.

(DE)

«Der Herzog mag ein leichtsinniger und aufrüherischer Herr gewesen sein, und was die Gefangenen betrifft, so war ihre Exekution wahrscheinlich der vohlerwogene und notwendige Beschluß eines korrekten Kriegsrates...»

(IT)

«Il duca sarà stato una persona leggera e ribelle, e per quanto riguarda i prigionieri il loro supplizio sarà stato probabilmente la conclusione ben ponderata e necessaria di un regolare consiglio di guerra...»

e disse di un libro che era uscito alcuni anni prima e che egli aveva letto, opera di un segretario dell'imperatore, che meritava di essere presa in considerazione.»

Nel romanzo I Miserabili, nell'ampia sezione dedicata a Waterloo e alla sconfitta di Napoleone Bonaparte (parte seconda, libro primo), Victor Hugo cita il duca d'Enghien (cap. XVIII), in questi termini:

«Nel fossato di Vincennes, un cippo sepolcrale sorse dalla terra, ricordando che il duca d'Enghien era morto nel mese stesso in cui Napoleone era stato incoronato. Papa Pio VII, che aveva compiuto quella consacrazione vicinissima a quella morte, benedisse tranquillamente la caduta come aveva benedetto l'elevazione.»

Genitori Nonni Bisnonni Trisnonni
Luigi-Enrico di Borbone-Condé Luigi III di Borbone  
 
Luisa Francesca di Borbone-Francia  
Luigi-Giuseppe di Borbone-Condé  
Carolina di Hessen-Rheinfels-Rotenburg Ernesto Leopoldo d'Assia-Rotenburg  
 
Eleonora Maria di Löwenstein-Wertheim-Rochefort  
Luigi-Enrico-Giuseppe di Borbone-Condé  
Carlo di Rohan-Soubise Jules de Rohan  
 
Anne Julie de Melun  
Carlotta di Rohan-Soubise  
Anne Marie Louise de La Tour d'Auvergne Emanuele Teodosio di Bouillon  
 
Anne Marie Christine de Simiane  
Luigi Antonio di Borbone-Condé  
Luigi di Borbone-Orléans Filippo II di Borbone-Orléans  
 
Francesca Maria di Borbone-Francia  
Luigi Filippo I di Borbone-Orléans  
Augusta Maria Giovanna di Baden-Baden Luigi Guglielmo di Baden-Baden  
 
Sibilla Augusta di Sassonia-Lauenburg  
Batilde di Borbone-Orléans  
Luigi Armando II di Borbone-Conti Francesco-Luigi di Borbone-Conti  
 
Maria Teresa di Borbone-Condé  
Luisa Enrichetta di Borbone-Conti  
Luisa Elisabetta di Borbone-Condé Luigi III di Borbone-Condé  
 
Luisa Francesca di Borbone-Francia  
 
  1. ^ Le informazioni raccolte, rivelatesi poi false, riguardavano un presunto viaggio segreto del duca in Francia in compagnia dell'ex generale francese e poi fuoriuscito Dumouriez.
  2. ^ Max Gallo, op. cit., p. 378 (Cap. 22)
  3. ^ ampl. Alessandro Gentili, L'intelligence nell'epopea napoleonica, in Gnosis-rivista italiana di intelligence, n. 4 del 2017, pagg. 105 ss., AISI, Roma
  4. ^ Dopo le reazioni indignate provenienti da tutta Europa al comportamento dei francesi, i principali attori si chiamarono fuori dalle responsabilità. Talleyrand, allora ministro degli esteri e indicato come il suggeritore dell'operazione, l'avrebbe definita, con il suo solito tono epigrammatico:

    «È stato peggio di un crimine, è stato un errore.»

    questa frase viene tuttavia attribuita a sé stesso dal capo della polizia Fouché nelle sue Mémoires, edite da L. Madelin, Parigi, 1945, vol I. pp. 215-217 (citate così da David G. Chandler pag. 400 del volume in Bibliografia), mentre Gerosa ne legittima l'attribuzione a Talleyrand, cfr. Guido Gerosa, Napoleone, un rivoluzionario alla conquista di un impero, Milano, Mondadori, 1995, p. 297. Il generale Savary, capo della polizia segreta promotrice e organizzatrice della spedizione e, fra l'altro, incolpato di aver impedito qualsiasi tentativo da parte del condannato di rivolgersi al Bonaparte, dichiarò nelle sue memorie di non essere stato assolutamente responsabile del fatto. Fouché, il sinistro capo della polizia che aveva fornito a Napoleone le informazioni determinanti per la decisione di agire, rivelatesi poi in gran parte sbagliate, sostenne di aver cercato all'ultimo momento di convincere il Primo Console a soprassedere alla decisione di far rapire il duca. L'unico ad assumersi le sue responsabilità fu proprio Napoleone Bonaparte che nelle sue memorie dichiarò:

    «Ho fatto arrestare il duca di Enghien perché era necessario per la sicurezza, l'interesse e l'onore del popolo francese, nel momento in cui il conte d'Artois manteneva, per sua confessione, sessanta assassini a Parigi. In circostanze analoghe agirei allo stesso modo»

    (Max Gallo, op. cit. in Bibliografia, pag. 956)
  5. ^ Lo stesso Cadoudal, arrestato poco prima in Francia e giustiziato poco dopo, ammise senza mezzi termini di essere rientrato dall'Inghilterra per organizzare un attentato contro il Primo Console, ma negò ogni rapporto con il povero Enghien. Il generale Pichegru fu trovato il 5 aprile strangolato nel carcere del Tempio e la versione ufficiale fu: suicidio
  6. ^ La Marchesa di Nadaillac interpretò l'indignazione generale componendo e pubblicando questi versi (riportati dalle Mémoires della marchesa e citati e tradotti a pag. 401 dell'opera di David G. Chandler di cui alla Bibliografia):

    (FR)

    «Je vécu très longtemps de l'emprunte e de l'aumône,
    de Barras, vil flatteur, j'épousai la catin;
    j'étranglais Pichegru, j'assassinai Enghien,
    et pour tant de forfaits, j'obtins une couronne.»

    (IT)

    «Vissi a lungo di prestiti ed elemosine
    di Barras, vile adulatore, sposai la sgualdrina;
    strangolai Pichegru, assassinai Enghien
    e per tanti misfatti ottenni una corona.»

  7. ^ L'attrice Marguerite-Joséphine Weimer, detta Mademoiselle George, fu effettivamente una delle amanti di Napoleone ma non vi è alcuna evidenza storica che il duca di Enghien abbia mai avuto qualcosa a che fare con lei.
  8. ^ Jean-Jacques Régis de Cambacérès fu diplomatico, Secondo Console dopo il colpo di stato del 18 brumaio, e collaboratore di Napoleone Bonaparte, sia nel periodo consolare che in quello imperiale
  • Jean-Paul Bertaud, Le Duc d'Enghien, Paris, Fayard, 2001.
  • David G. Chandler, Le Campagne di Napoleone, Milano, R.C.S. Libri S.p.A., 1998, ISBN 88-17-11577-0.
  • Max Gallo, Napoléon, Paris, Edition Robert Laffont, 1997, ISBN 2-221-09796-3 (nella traduzione èdita da Arnoldo Mondadori per la Biblioteca Storica del quotidiano: Il Giornale).
  • Pier Damiano Ori, Giovanni Perich, Talleyrand, Milano, Rusconi Libri S.p.A., 1978.

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