Lettera a Meneceo
Lettera a Meneceo | |
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Altri titoli | Lettera sulla felicità |
Busto di Epicuro (Pergamonmuseum, Berlino) | |
Autore | Epicuro |
1ª ed. originale | III secolo a.C. |
Genere | epistola |
Sottogenere | filosofica |
Lingua originale | greco antico |
La Lettera a Meneceo, anche nota come Lettera sulla felicità, è il testo più famoso di Epicuro, di carattere morale.
Struttura e contenuto
[modifica | modifica wikitesto]Nelle poche pagine che compongono l'epistola[1], il filosofo affronta i temi centrali della sua filosofia per quanto riguarda l'etica e la metafisica: la ricerca della felicità, la paura della morte, la natura degli dèi, la classificazione dei piaceri.
Il tetrafarmaco
[modifica | modifica wikitesto]Dopo l'esordio con l'esortazione a praticare la filosofia, unica vera fonte della felicità,[2] Epicuro passa ad analizzare le cause dell'infelicità, e ribadisce le quattro massime che compongono il cosiddetto tetrafarmaco.
- Non bisogna temere gli dèi. Epicuro precisa di non negare l'esistenza delle divinità, bensì di rifiutare l'opinione che ne ha il volgo, in quanto «presunzione fallace». Gli dèi sono eterni e beati, e ciò è possibile perché abitano nell'intermundia, cioè lo spazio tra i mondi reali. Avendo sede in un luogo nettamente separato da quello occupato dagli uomini, essi non possono averne esperienza, e quindi non possono agire sulla nostra vita con punizioni o benefici.[3]
- La morte è nulla per noi. Non vi è ragione di temere la morte, poiché con la vita scompare anche la capacità di percepire piacere o dolore: «quando noi siamo, la morte non c'è, e quando la morte c'è, allora noi non siamo più».[4] La morte non riguarda né i vivi né i morti poiché essa rappresenta la fine di ogni esperienza. Il saggio è chi non desidera la vita né teme la morte; non disprezza, dunque, la vita, né considera un male la morte.
- Il bene è facile a procurarsi.
- È facile sopportare il male. Se questo affligge duramente dura per poco; se invece affligge per tanto tempo, allora è sopportabile perché di poca entità.
Per spiegare le ultime due massime, che riguardano piacere e dolore, Epicuro deve prima analizzare i diversi tipi di desideri e piaceri.
La classificazione dei desideri
[modifica | modifica wikitesto]La questione legata ai desideri viene posta da Epicuro come introduzione al tema dei piaceri. I desideri vengono così classificati:[5]
- desideri naturali, che a loro volta possono essere:
- necessari, cioè essenziali alla vita dell'uomo, che nascono da un dolore fisico, come bere, mangiare ecc.;
- non necessari, come per esempio mangiare cibi raffinati o bere quando non si ha sete;
- desideri vani, cioè quelli superflui, che anche se non saziati non comportano dolore fisico, come la brama di potere, il desiderio di ricchezze e via dicendo.
Il criterio per discriminare i diversi desideri è la natura, la quale pone dei limiti fisici ben stabiliti. Se dunque si devono assolutamente saziare i desideri naturali necessari, bisogna però avere moderazione con quelli non necessari ed evitare quelli vani, perché inutili e portatori di infelicità.[6]
La classificazione dei piaceri
[modifica | modifica wikitesto]Solo tenendo presente la precedente classificazione dei desideri è possibile decidere quali azioni compiere, al fine di sopprimere i turbamenti e perseguire una vita beata.
Epicuro parte dalla determinazione della natura dell'uomo, riconoscendo che suo fine e principio è il piacere: il bene consiste nel realizzare questa natura e quindi nel perseguire il piacere. Il piacere, a sua volta, è privazione di dolore: ciò significa che non è possibile aumentarne l'intensità all'infinito, e soprattutto che piacere e dolore sono nettamente opposti.[7] Non tutti i piaceri però devono essere ricercati, ma valutati in base a vantaggi e svantaggi che possono procurare. Il filosofo distingue due tipi:
- Piaceri mobili (cinetici), ovvero quei piaceri che sorgono nel momento in cui si risponde a un bisogno (bere quando si ha sete),
- Piaceri stabili (catastematici), ovvero quei piaceri che nascono dall'assenza del dolore (il piacere che segue la bevuta)
Bene sommo è l'autosufficienza (autarkeia), ovvero il sapersi accontentare di poco, così da essere liberi dal bisogno, e quindi dal dolore. Il piacere, in ultima analisi, è infatti «assenza di dolore nel corpo, assenza di perturbazione nell'anima».[8] A fondamento della virtù e della felicità è allora la saggezza (phronesis), la quale si orienta di norma verso i piaceri catastematici. La condizione del saggio epicureo, scevro da ogni dolore e turbamento, è pertanto paragonabile a quella di un dio:
«[...] vivrai come un dio fra gli uomini. Poiché in niente è simile a un mortale l'uomo che vive fra beni immortali.»
Lingua e stile
[modifica | modifica wikitesto]Epicuro rifinisce questa lettera con grande accuratezza, a differenza delle altre (per le quali vale la condanna sul suo stile espressa unanimemente dagli antichi): infatti articola i periodi in cola dal ritmo parallelo e regolare, usando anche la regola di Isocrate di evitare lo iato [9].
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ In Diogene Laerzio, X, 122-135.
- ^ Lettera a Meneceo 122.
- ^ Lettera a Meneceo 123-124.
- ^ Lettera a Meneceo 124-126.
- ^ Lettera a Meneceo 127.
- ^ Massime capitali X, XV, XX, XXIX, XXX; Sentenze vaticane XXXIII, XXXVII.
- ^ Lettera a Meneceo 128-129.
- ^ Lettera a Meneceo 130.
- ^ H. Usener, Prefazione, in Epicurea, a cura di I. Ramelli, Milano, Bompiani, 2012, pp. 25-26.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Carlo Diano, Scritti Epicurei, Firenze, Olschki, 1974.
- Carlo Diano, La poetica di Epicuro, in Saggezza e poetiche degli antichi, Firenze, Neri Pozza, 1967.
- Carlo Diano La filosofia del piacere e la società degli amici in Saggezza e poetiche degli antichi, Firenze, Neri Pozza, 1967.
- Epicuro, Scritti morali, Introduzione e traduzione di Carlo Diano, Milano, BUR, 1987, 2013, 2021.
- Epicuro, Opere, Frammenti, Testimonianze sulla sua vita, intr. di Gabriele Giannantoni, trad. di Ettore Bignone, Bari, Laterza, 2003.
- Diego Fusaro, La farmacia di Epicuro. La filosofia come terapia dell'anima, prefazione di Giovanni Reale, Padova, Il Prato, 2006.
- Domenico Pesce, Introduzione a Epicuro, Bari, Laterza, 1981.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Testo della Lettera a Meneceo, su percorsiinteriori.it.
- Traduzione di Ilaria Ramelli (PDF), su online.scuola.zanichelli.it.
Controllo di autorità | VIAF (EN) 215956123 · LCCN (EN) n94036922 · GND (DE) 4577492-4 · BNE (ES) XX1959685 (data) · BNF (FR) cb12366988c (data) · J9U (EN, HE) 987007334045505171 |
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