La grande illusione (film)

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La grande illusione
Pierre Fresnay e Erich von Stroheim in una scena del film
Titolo originaleLa grande Illusion
Lingua originalefrancese, tedesco, inglese, russo
Paese di produzioneFrancia
Anno1937
Durata114 min
Dati tecniciB/N
rapporto: 1,37:1
Genereguerra, drammatico
RegiaJean Renoir
SceneggiaturaCharles Spaak e Jean Renoir
ProduttoreAlbert Pinkovitch, Frank Rollmer
Casa di produzioneRéalisations d'Art Cinématographique
Distribuzione in italianoScalera (1937)
FotografiaChristian Matras
MontaggioMarguerite Renoir e Marthe Huguet
MusicheJoseph Kosma
ScenografiaEugène Lourié
CostumiRené Decrais
TruccoRaffels
Interpreti e personaggi
Doppiatori italiani

La grande illusione (La Grande Illusion) è un film del 1937 diretto da Jean Renoir, nominato all'Oscar al miglior film nel 1939. Il titolo si ispira all'omonimo saggio del 1909 di Norman Angell.

1914-1918, Prima guerra mondiale.

Prologo. Fronte francese. Il capitano Boëldieu e il tenente Maréchal sono abbattuti con il loro aereo dall'ufficiale tedesco von Rauffenstein, asso dell'aviazione tedesca, e fatti prigionieri.

Boëldieu e Maréchal sono trasportati al campo di detenzione di Hallbach, dove incontrano altri connazionali: un attore abile nei giochi di parole, un professore, un ingegnere del catasto e Rosenthal, sarto figlio di ricchi banchieri che divide con i compagni i pacchi di viveri che la famiglia gli invia. Durante il giorno il gruppo di francesi conduce la normale vita dei prigionieri di guerra; di notte, però, lavorano segretamente alla costruzione di un tunnel per poter evadere in gruppo. Hanno anche il tempo di organizzare una festa teatrale in cui alcuni si travestono da donne, quando improvvisamente arriva l'ordine di trasferimento degli ufficiali dal campo dove arriveranno dei prigionieri inglesi. Ciò impedisce l'evasione attraverso il tunnel ormai terminato.

Ripetuti saranno i tentativi di fuga dai tanti campi ai quali vengono destinati, per approdare, infine, alla fortezza di Wintesborn (il castello di Haut-Kœnigsbourg in Alsazia). A capo del castello c'è von Rauffenstein che, ferito gravemente in una missione aerea, è stato destinato a compiti meno rischiosi. Un'azione diversiva è ideata dal capitano Boëldieu per consentire la fuga a Maréchal e a Rosenthal, che hanno preparato una lunga corda per calarsi dalle mura del castello. Viene inscenato una specie di ammutinamento musicale per distrarre la guarnigione della fortezza. Boëldieu, in uniforme e guanti bianchi, sfida von Rauffenstein e suona un flauto dolce con insolenza sul cammino di ronda costringendolo a sparargli addosso.

Maréchal e il soldato Rosenthal fuggono verso il confine svizzero. Dopo alcuni chilometri Rosenthal, ferito a una caviglia, zoppica e avanza a fatica. Provvidenzialmente trovano rifugio in una fattoria tedesca, abitata da una vedova di guerra e dalla figlia. La donna ospita i fuggiaschi e non li denuncia. Un tenero legame si stabilisce fra lei e Maréchal, ma i due francesi devono ripartire. In seguito una pattuglia tedesca li avvista mentre attraversano un pendio completamente innevato; un soldato punta l'arma, ma il compagno gli impedisce di sparare: il confine tra Svizzera e Germania è superato. Rosenthal e Maréchal sono finalmente liberi.

Renoir racconta: «La storia dei traffici che ho dovuto affrontare per trovare i finanziamenti per La grande illusione potrebbe diventare il soggetto di un film. Mi sono portato dietro il manoscritto per tre anni, visitando gli uffici di tutti i produttori, francesi o stranieri, convenzionali o d'avanguardia.»[1]

Le risorse finanziarie per il film furono ottenute grazie alla negoziazione di un produttore amico di Renoir, Albert Pinkevitch, e all'interessamento di Jean Gabin che partecipò alle riunioni organizzative e che, con la sua presenza nel film come interprete di un ruolo di primo piano, dette fiducia ai finanziatori, Raymond Blondy e Frank Rollmer della casa di produzione Réalisation d'Art Cinématographique (RAC).

L'idea del film risaliva a qualche anno prima. Nel 1934, durante le riprese di Toni effettuate a Martigues, Renoir incontrò il maresciallo Pinsard, poi nominato generale. Questi, nel 1915 - quando il regista durante la prima guerra mondiale era in servizio nell'aviazione francese - gli aveva salvato la vita mentre Renoir, in missione, pilotava un vecchio Caudron ed era stato attaccato da un aereo nemico. Nel corso di vari incontri il generale narrò le sue avventure di guerra, le sette catture e le sette evasioni, che al regista parvero elementi interessanti per un film d'avventura. Prese vari appunti e li mise in una scatola con l'intenzione di ricavarci un film[2].

Sceneggiatura

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Charles Spaak si entusiasmò al progetto e, insieme a Renoir, elaborò gli appunti e predispose la prima stesura della sceneggiatura del film che sarebbe diventato La grande illusione. Molte variazioni verranno poi apportate su suggerimento di Erich von Stroheim.

Gli interni furono girati durante l'inverno 1935-1936 negli studi di Billancourt e Éclair a Épinay-sur-Seine; gli esterni nei dintorni di Neuf-Brisach (Alto Reno), nel castello di Haut Koenigsbourg (Basso Reno), nella caserma di Colmar, in una fattoria di Ribeauvillé e a Chamonix per l'ultima scena. Gli operatori alla ripresa furono il nipote del regista Claude Renoir - che lavorava con lui dal 1933 - e, quando questi dovette abbandonare il set per motivi di salute, Jean-Serge Bourgoin.

Colonna sonora

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La colonna sonora, curata da Joseph Kosma, contiene numerose canzoni popolari cantate dai personaggi:

  • Frou Frou (1897), parole di Hector Monréal (1839-1910) e di Henri Blondeau (1841-1925), musica di Henri Chatau (18..-1933), cantata da Lucile Panis
  • Frère Jacques
  • Si tu veux Marguerite (1913), parole di Vincent Telly, musica d'Albert Valsien
  • It's a Long Way to Tipperary
  • La Marseillaise
  • Die Wacht am Rhein
  • Il était un petit navire, suonato da Boëldieu per distrarre le guardie durante l'evasione di Rosenthal e Maréchal

Distribuzione

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La prima si ebbe il 4 giugno 1937 al cinema Marivaux di Parigi.

Il film ebbe successo in Francia e in America. John Ford dichiarò: "È una delle cose migliori che ho visto" e il presidente Franklin D. Roosevelt ne raccomandò la visione ai suoi concittadini "...tutti i democratici dovrebbero vederlo."[3] Il film fu proibito dalle autorità del governo nazista in Germania. Il divieto fu esteso ai paesi successivamente occupati e, dall'ottobre del 1940, anche alla Francia.

Racconta Renoir: «Per caso, il giorno in cui i nazisti entrarono a Vienna, nelle sale distribuivano il mio film. Senza perdere un istante, la polizia lo proibì e si interruppero immediatamente le proiezioni. È una storia che mi riempie d'orgoglio.» (1938, presentazione del film per il pubblico americano)[4]

Nel corso della distribuzione internazionale i diversi positivi in circolazione erano stati tutti più o meno mutilati. La versione completa fu proiettata soltanto nel 1958, ricostruita da Renoir e Charles Spaak da un negativo ritrovato a Monaco dagli americani alla fine della guerra[5].

Gianni Rondolino:

«Il film è stato giustamente considerato uno dei vertici dell'arte di Renoir, per la visione prospettica e complessa della realtà della guerra che ne scaturisce, sul versante di un'attenta e partecipe indagine della condizione dei prigionieri, con variazioni sui temi della differenza di classe, del coraggio individuale e collettivo, della solidarietà nazionale, dell'antimilitarismo.»

Daniele Dottorini:

«“Capitano, non le piacciono le illusioni?”, “No, io sono un realista” una delle battute chiave del film funge da entrata nel suo mondo poetico. Illusione e realismo, costruzione e svelamento, è anche in questa opposizione (già vista all’interno delle dinamiche renoiriane) che si muove La grande illusione

François Truffaut:

«Il meno contestato dei film di Renoir è costruito sull'idea che il mondo si divide orizzontalmente per affinità e non verticalmente per barriere.[...] Vi si pratica una guerra ancora improntata sul fair-play, una guerra senza bombe atomiche e senza torture. Un film di cavalleria, sulla guerra considerata, se non come una delle belle arti, per lo meno come uno sport, come un'avventura in cui si tratta di cimentarsi tanto quanto di distruggersi.[...] La grande illusione consiste quindi nel credere che questa guerra sia l’ultima. Renoir sembra considerare la guerra come un flagello naturale che ha i suoi aspetti positivi come la pioggia, il fuoco… Secondo Renoir è l’idea di frontiera che bisogna abolire per distruggere lo spirito di Babele e riconciliare gli uomini che continueranno tuttavia a essere divisi per nascita.»

Paolo Mereghetti:

«Toccante il tema dell'amicizia che vince le barriere di classe e di nazione, è impossibile non commuoversi alla scena in cui Von Stroheim (forse nella sua interpretazione più grande) coglie l'unico fiore del castello per onorare il nemico che ha fatto uccidere.»

Riconoscimenti

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La pace e la guerra

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«Ne La grande illusione mi sono sforzato di mostrare che in Francia non si odiano i Tedeschi. Il film ha avuto un grosso successo. No, non è migliore di un altro film, ma traduce semplicemente quello che un Francese medio, mio fratello, pensa della guerra in generale. Si è per lungo tempo rappresentato il pacifista come un uomo dai capelli lunghi, con i pantaloni strappati, che, seduto su una cassa di sapone, profetizzava senza tregua calamità e entrava in trance alla vista di un uniforme. I personaggi de La grande illusione non appartengono a questa categoria. Sono la replica esatta di come noi eravamo, noi la «classe 14». Ero ufficiale durante la grande guerra e ho conservato un vivo ricordo dei miei compagni. Nessun odio ci animava nei confronti dei nostri nemici. Erano dei buoni Tedeschi come noi eravamo dei buoni Francesi. Sono convinto che lavoro per un ideale di progresso umano presentando sullo schermo una verità non alterata. Attraverso la rappresentazione di uomini che compiono il loro dovere, secondo le leggi sociali, nel quadro delle istituzioni, credo di aver dato il mio umile contributo alla pace mondiale.»

  1. ^ Renoir, 1992, p. 121.
  2. ^ Renoir, 1992, pp. 126-130.
  3. ^ Garson, 2007, pp. 43-44.
  4. ^ Jean Renoir, Ecrits (1926-1971), p. 328.
  5. ^ Bazin, 2012, p. 103.
  6. ^ Rondolino, 2010, p. 234.
  7. ^ Dottorini, 2007, p. 78.
  8. ^ Truffaut, 1989, pp. 44-45.
  9. ^ Mereghetti, 1993, p. 516.
  • Gianni Rondolino, Manuale di storia del cinema, Novara, UTET, 2010, ISBN 978-88-6008-299-2.
  • François Truffaut, I film della mia vita, Venezia, Marsilio, 1989.
  • André Bazin, Jean Renoir, a cura di Michele Bertolini, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2012, ISBN 978-88-575-0736-1.
  • Giorgio De Vincenti, Jean Renoir, Venezia, Marsilio, 1996, ISBN 88-317-5912-4.
  • Daniele Dottorini, Jean Renoir. L'inquietudine del reale, Edizioni Fondazione Ente dello Spettacolo, novembre, ISBN 978-88-85095-39-7.
  • Jean Renoir, La mia vita, i miei film, Venezia, Marsilio, 1992, ISBN 88-317-5419-X.
  • Jean Renoir, Ecrits (1926-1971), Pierre Belfont, 1974, Ramsay Poche Cinéma, 1989-2006
edizione italiana Jean Renoir, La vita è cinema. Tutti gli scritti 1926-1971, Milano, Longanesi, 1978., traduzione di Giovanna Grignaffini e Leonardo Quaresima.
  • Carlo Felice Venegoni, Renoir, Firenze, La nuova Italia, 1975.
  • Paolo Mereghetti, Dizionario dei Film, Milano, Baldini-Castoldi, 1993.
  • Garson, 2007 Charlotte Garson, Jean Renoir, Paris, Cahiers du Cinéma, 2007, ISBN 978-2-86642-501-2.

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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