Bellum Iugurthinum
La guerra giugurtina | |
---|---|
Titolo originale | Bellum Iugurthinum |
L'incipit dell'opera in un manoscritto del XII secolo | |
Autore | Gaio Sallustio Crispo |
1ª ed. originale | 40 a.C. circa |
Editio princeps | Venezia, Vindelino da Spira, 1470 |
Genere | saggio |
Sottogenere | monografia storica |
Lingua originale | latino |
Il Bellum Iugurthinum[1] (in italiano La guerra giugurtina)[2] è la seconda delle due monografie storiche scritte dallo storico latino Gaio Sallustio Crispo (86 - 34 a.C.), dopo il De Catilinae coniuratione.
L'opera, suddivisa in 114 capitoli e dunque più lunga della precedente monografia, narra le alterne vicende della guerra condotta dai Romani contro il re di Numidia, Giugurta, tra il 111 e il 105 a.C., e conclusasi con la vittoria del console romano Gaio Mario.
Attraverso la narrazione di vicende che rivestono comunque grande interesse storico, Sallustio si preoccupa di affrontare la decadenza morale e sociale che portò al crollo della res publica romana e alla nascita dell'Impero.
Caratteristiche
[modifica | modifica wikitesto]Titolo e scansione narrativa
[modifica | modifica wikitesto]Il Bellum Iugurthinum fu composto e pubblicato attorno al 40 a.C.,[3] ed è giunto a noi tramandato per tradizione diretta attraverso i codici medievali.[4] Soprattutto nei paesi anglosassoni, è noto anche con il titolo di De bello Iugurthino.
Rispetto alla prima monografia sallustiana, il Bellum Iugurthinum appare nettamente più variegato: il motivo principale è il cambiamento delle coordinate spaziotemporali. A differenza del De Catilinae coniuratione - in cui la congiura dura circa un anno e mezzo, con gli eventi principali localizzati tra il novembre del 63 ed il gennaio del 62 a.C., che si svolgono a Roma e nell'Etruria, quindi in un'area abbastanza limitata - nel Bellum Iugurthinum il teatro delle vicende cambia spesso, con repentini passaggi tra Roma e l'Africa, e la logorante guerra che si scatena, di cui vengono narrati anche gli antefatti, dura per ben sette anni, dal 111 al 105 a.C. Anche il sistema dei personaggi è più complesso: ai romani Scipione, Metello, Scauro, Bestia, Mario e Silla si contrappongono i numidi Micipsa, Aderbale, Giugurta e Bocco, e ad ogni modo la narrazione risulta più movimentata e ricca poiché i personaggi principali presentano un'indole ambigua, sfaccettata e perfino mutevole.
Anche se diluita in un testo più lungo (114 capitoli), la tecnica narrativa si mantiene la stessa del Bellum Catilinae, ovvero quella tipica della storiografia ellenistica. Infatti, dopo il proemio, il ritratto del protagonista e gli antefatti («archeologia») che collegano la vicenda con la storia di Roma, lo storico comincia a narrare gli eventi intervallandoli con digressioni e discorsi che segnano pause di riflessione ed offrono l'occasione per sfoggi di retorica e giudizi storici particolarmente pregnanti.
Capitolo/i | Contenuti | Argomenti trattati |
1–4 | Proemio | Incipit: il corpo, l'anima, la virtus. |
5 | Introduzione | Motivazione della scelta dell'argomento. |
6–16 | Antefatti della vicenda | Avvenimenti tra il 120 e il 117 a.C. e ritratto del protagonista. |
17–19 | 1° excursus | Descrizione geografica e storica della Numidia. |
20–40 | Inizio della guerra | Avvenimenti tra il 116 e il 110 a.C. |
41–42 | 2° excursus | Età dei Gracchi. |
43–77 | Svolgimento della guerra | Avvenimenti tra il 109 e il 108 a.C. |
78–79 | 3° excursus | Ulteriore trattazione geografica. |
80–114 | Conclusione della guerra | Avvenimenti tra il 107 e il 104 a.C. |
Vicenda storica
[modifica | modifica wikitesto]Nel 146 a.C. Roma diveniva padrona incontrastata del Mediterraneo e di gran parte dei territori che vi si affacciavano. Publio Cornelio Scipione Emiliano portava a termine l'assedio di Cartagine e annientava la storica rivale, mentre ad est gli eserciti dell'Urbe radevano al suolo Corinto e sancivano il predominio romano sulla Grecia e su tutta la penisola balcanica.
Per Roma si apriva una nuova fase storica che, attraverso un secolo di crisi, avrebbe portato alla caduta della Repubblica e alla nascita dell'Impero. A livello politico, c'era da pacificare la situazione della Spagna, dove i Celtiberi e i Lusitani erano da tempo in rivolta. A livello sociale, invece, una forte crisi stava investendo l'economia italica: l'artigianato locale veniva soppiantato dai prodotti provenienti dall'Oriente, e i piccoli proprietari terrieri, che costituivano la base di reclutamento per gli eserciti, avevano trovato i loro campi distrutti, dopo anni di incurie. Solo lo sfruttamento delle province garantiva la sussistenza dello Stato, e assicurava, allo stesso tempo, notevolissime possibilità di arricchimento alla classe degli equites.In questo contesto prese forma la politica di Tiberio e Gaio Gracco: a loro e alla factio dei populares si oppose quella degli optimates, desiderosa di mantenere i propri privilegi disinteressandosi sempre più delle reali condizioni della res publica.
L'argomento della seconda monografia sallustiana è la logorante guerra, che Roma combatté tra il 111 ed il 105 a.C., (settant'anni prima della pubblicazione dell'opera) in Africa contro il re di Numidia Giugurta, e che si concluse con la vittoria romana. Non si trattò in questo caso di una guerra voluta dalla rapacità (o dall'avaritia per usare il termine sallustiano) della nobilitas:[5] infatti il senato non aveva realmente alcun interesse in essa e non avrebbe tratto grandi giovamenti a combattere sul fronte africano, dove sperava di perseguire una politica di non intervento.[6] Rischiava, invece, di lasciare scoperto il fronte settentrionale, dove, pochi anni più tardi, si sarebbe verificata la pericolosa invasione dell'Italia da parte di Cimbri e Teutoni, che avrebbero superato le Alpi per essere poi sconfitti, in territorio italico, da Gaio Mario.[7] I ceti più interessati alla campagna africana erano, piuttosto, gli equites (i cavalieri), sostenitori di una politica di sfruttamento delle risorse commerciali disponibili nel bacino del Mediterraneo, i ricchi mercatores (mercanti) italici (dalle cui file provenivano i negotiatores massacrati nel 112 a.C. da Giugurta):[8] essi traevano gran parte della propria ricchezza dai commerci nelle province, e il rafforzamento del dominio romano in Africa poteva apparire loro una prospettiva tanto allettante quanto appariva, invece, indesiderabile quella di perdere il controllo su quelle zone. La plebe romana e italica, dal canto suo, sperava che, dopo la conquista, le terre africane venissero distribuite secondo l'usus istituito dieci anni prima da Gaio Gracco, quando sulle rovine di Cartagine era stata fondata la prima colonia romana d'oltremare.[9]
In un simile quadro è comprensibile come, dopo anni di inutile ed inconcludente guerriglia, il "problema Giugurta" fosse destinato ad essere liquidato da un rappresentante delle forze interessate alla conquista, lontano dalla nobilitas senatoriale, l'homo novus Gaio Mario, e non da generali aristocratici, che Sallustio non può che accusare di corruzione, incapacità e superbia.
Riassunto
[modifica | modifica wikitesto]Capitoli 1 - 4 (proemio)
[modifica | modifica wikitesto]«Falso queritur de natura sua genus humanum, quod imbecilla atque aevi brevis forte potius quam virtute regatur. Nam contra reputando neque maius aliud neque praestabilius invenias magisque naturae industriam hominum quam vim aut tempus deesse. Sed dux atque imperator vitae mortalium animus est. Qui ubi ad gloriam virtutis via grassatur, abunde pollens potensque et clarus est neque fortuna eget, quippe quae probitatem, industriam aliasque artis bonas neque dare neque eripere cuiquam potest.»
«A torto il genere umano si lamenta perché la sua natura, debole e di breve durata, è retta dal caso più che dalla virtù. A ben vedere infatti, si scoprirà al contrario che non c'è nulla di più grande e nobile, e che alla natura umana manca la volontà di agire più che la forza o il tempo. Ma è lo spirito a guidare e dominare la vita degli uomini. Quando esso tende alla gloria attraverso la via della virtù, possiede vigore, forza e fama in abbondanza e non ha bisogno della fortuna, poiché non può ella infondere onestà, tenacia e altre qualità morali ad alcuno, né strapparle a chi le possiede.»
Come anche il De Catilinae coniuratione,[10] il Bellum Iugurthinum si apre con un proemio che esula dalla vicenda storica narrata nell'opera, ma che mette in luce l'ideologia dell'autore riguardo alla natura umana: l'essere umano, infatti, è costituito da corpo e anima,[11] ma soltanto il solido possesso della virtù è garanzia di gloria eterna. L'uomo deve dunque esercitare l'anima più del corpo, poiché i beni del corpo sono effimeri e destinati a scomparire, mentre quelli dell'anima permettono di avere il reale controllo della propria vita, e portano alla grandezza immortale.[12]
Il messaggio sallustiano, universalmente valido, assume particolare rilevanza nell'ambito della crisi della res publica, quando proprio l'attaccamento alla virtus sembra essere l'unica via in grado di riportare alla pace e alla stabilità.
«Verum ex iis magistratus et imperia, postremo omnis cura rerum publicarum minime mihi hac tempestate cupienda videntur, quoniam neque virtuti honor datur neque illi, quibus per fraudem iis fuit uti, tuti aut eo magis honesti sunt.»
«Tra queste, tuttavia, le magistrature e i comandi militari, insomma ogni carica pubblica, non sembrano affatto desiderabili in questo periodo, perché l'onore non viene dato al merito e anche quelli che l'hanno ottenuto con gli intrighi non sono per questo più sicuri o onorati.»
Sallustio critica dunque apertamente il sistema politico, che permette di raggiungere il potere a chi non lo merita;[13] in una tale situazione, fondamentale è l'importanza rivestita dall'attività dello storico, che rischia invece di essere considerata come otium. Attraverso il proemio, dunque, Sallustio può anche nobilitare la sua attività, come fa, analogamente, nel De coniuratione Catilinae.[14][15]
Capitoli 5 - 16
[modifica | modifica wikitesto]«Bellum scripturus sum, quod populus Romanus[16] cum Iugurtha rege Numidarum gessit, primum quia magnum et atrox variaque victoria fuit, dein quia tunc primum superbiae nobilitatis obviam itum est.»
«Mi accingo a raccontare la guerra che il popolo romano combatté con Giugurta, re dei Numidi, in primo luogo perché essa fu lunga, aspra e con alterne vicende, poi perché allora per la prima volta fu contrastata l'arroganza dei nobili.[17]»
Dopo aver introdotto la narrazione storica vera e propria, Sallustio racconta, affinché l'insieme degli avvenimenti risulti più chiaro e comprensibile,[18] la storia del regno di Numidia: durante la seconda guerra punica, il re numida Massinissa aiutò Publio Cornelio Scipione contro il cartaginese Annibale, e, dopo la battaglia di Zama e i successivi trattati, Roma decise di ricompensarlo concedendogli la sovranità su molte delle terre strappate ai Cartaginesi, dando così vita ad un forte rapporto di amicizia con la Numidia.[6][19] Alla morte di Massinissa, ereditarono il regno i suoi tre figli, Gulussa, Mastanabale e Micipsa, ma quest'ultimo rimase come unico sovrano a causa della prematura morte dei fratelli. A sua volta, Micipsa lasciò il regno ai figli, Aderbale e Iempsale, ed al nipote Giugurta, figlio di Mastanabale e di una concubina.[20]
Dopo la breve digressione storica, la narrazione si sposta sul personaggio di Giugurta, di cui Sallustio fornisce un'accurata descrizione psicologica, e poi su quello di Micipsa: questi, vecchio e ormai prossimo alla morte, è portato tanto ad esaltare Giugurta quanto a sospettare della sua buona fede:[21] per questo, nel 133 a.C. lo invia da Publio Cornelio Scipione Emiliano, impegnato nell'assedio di Numanzia, nella speranza che il giovane muoia in guerra. Giugurta, invece, sopravvive e si distingue per il suo coraggio, tanto da meritarsi numerosi elogi personali.[22][23] Pochi anni dopo[24] allora, Micipsa, sul letto di morte, convoca i suoi figli assieme a Giugurta, e designa tutti e tre come suoi eredi, raccomandando loro di governare in armonia.[25]
I tre eredi disattendono subito le raccomandazioni ricevute: dividono tra loro il tesoro dello Stato e si spartiscono le zone d'influenza; in particolare, però, nascono dei forti contrasti tra Giugurta e Iempsale. Quest'ultimo, di natura molto orgogliosa,[26] tenta di mettere il cugino in secondo piano, ma Giugurta, in risposta, lo fa uccidere.[27]
Le ripercussioni dell'atto sono gravissime:[28] i più tra i Numidi, terrorizzati, si stringono attorno ad Aderbale, che è costretto ad inviare ambasciatori a Roma e a scontrarsi con Giugurta sul campo. Dalla battaglia, però, Aderbale esce sconfitto, ed è costretto a fuggire verso Roma, dove spera di ricevere l'appoggio del senato; intanto, anche Giugurta invia oro e argento a Roma, per farne dono ai senatori e attirarli così dalla sua parte.[29] Giunto nell'Urbe, Aderbale può tenere un lungo discorso in Senato: per sensibilizzare l'uditorio cerca di far leva sul rapporto di amicizia e di fides che lega Roma alla dinastia numida,[30] sottolinea la scelleratezza delle azioni di Giugurta e si rappresenta come infelice e sventurato.[31][32] Ascoltati anche gli ambasciatori di Giugurta, allora, i senatori, corrotti dalle somme di denaro ricevute, decidono di favorire l'usurpatore: si limitano, dunque, ad inviare in Numidia una commissione, guidata da Lucio Opimio, che assegna la zona confinante con la provincia romana d'Africa ad Aderbale, e quella, più fertile, al confine con la Mauretania a Giugurta.[33]
Capitoli 17 - 19
[modifica | modifica wikitesto]«Res postulare videtur Africae situm paucis exponere et eas gentis, quibuscum nobis bellum aut amicitia fuit, attingere.»
«L'argomento sembra richiedere una breve descrizione della posizione dell'Africa e qualche parola su quelle popolazioni con cui abbiamo avuto rapporti di guerra o di pace.»
Sallustio decide di interrompere la narrazione per inserire nell'opera una breve digressione etnografica sull'Africa settentrionale, che egli considera un continente separato da Europa ed Asia.[34] Dopo aver accennato brevemente alle caratteristiche del territorio e degli uomini che lo abitano, avvia la vera e propria storia del popolamento umano in Africa, basandosi sulle notizie tramandate dai libri Punici di Iempsale:[35] narra, quindi, delle tribù nomadi e primitive dei Libi e dei Getuli, primi abitanti dell'Africa, successivamente soppiantati da Medi, Persiani e Armeni. La digressione prosegue con un breve accenno alla penetrazione fenicia e al dominio cartaginese, di cui Sallustio dichiara di non voler parlare per evitare di parlarne troppo poco,[36] e si chiude con la descrizione della situazione all'epoca delle vicende narrate: i Romani hanno il controllo sulle città cartaginesi, Giugurta su gran parte dei Numidi e dei Getuli, e Bocco I, suocero dello stesso Giugurta, sui Mauri.
«De Africa et eius incolis ad necessitudinem rei satis dictum.»
«Dell'Africa e dei suoi abitanti si è detto abbastanza per le esigenze della narrazione.»
Capitoli 20 - 40
[modifica | modifica wikitesto]Incoraggiato dall'intervento favorevole di Roma, Giugurta, nel 113 a.C., riprende le ostilità contro l'imbelle Aderbale, deciso ad impossessarsi del suo regno per unificare la Numidia. Gli eserciti dei due si scontrano presso Cirta,[37] e la vittoria arride nuovamente alle forze di Giugurta: Aderbale è costretto a ritirarsi dentro le mura di Cirta, dove i negotiatores[38] italici organizzano la resistenza all'assedio. Venuto al corrente della battaglia, il senato invia ambasciatori in Numidia, ma Giugurta, appellandosi allo ius gentium, riesce a vanificare la loro presenza, e ad impedire che parlino con Aderbale; si dedica, poi, all'attenta organizzazione dell'assedio, facendo uso di tutte le sue doti strategiche.[39] Aderbale, intanto, invia una richiesta di aiuto al senato, che manda in Numidia una nuova ambasceria, guidata da Marco Emilio Scauro.[40] L'anziano senatore tenta di imporre a Giugurta la cessazione delle ostilità, ma il numida si rifiuta di obbedire. Aderbale, allora, spinto dagli stessi negotiatores italici, decide di consegnare la città purché lui e tutti gli altri abitanti abbiano salva la vita; Giugurta accetta il patto,[41] ma, impadronitosi di Cirta, tortura e uccide lo stesso Aderbale[42] e fa strage di tutti i cittadini adulti, numidi e italici.[43]
Personaggi
[modifica | modifica wikitesto]I Numidi
[modifica | modifica wikitesto]Aderbale
[modifica | modifica wikitesto]Aderbale è il maggiore[26] dei figli di Micipsa, ed è dunque fratello di Iempsale e cugino di Giugurta. A differenza di quello del fratello, il suo ruolo nella vicenda è decisamente importante: dopo la prematura scomparsa di Iempsale, infatti, Aderbale rimane da solo a contrastare le mire espansionistiche di Giugurta. Viene più volte sconfitto sul campo dal cugino, senza dare prova di particolari doti tattiche; analogamente, Sallustio attribuisce il merito della resistenza di Cirta agli italici, sminuendo dunque il ruolo di Aderbale anche in quella circostanza. Egli appare dunque ingenuo ed inesperto se paragonato al rivale Giugurta, che ha già avuto modo di fare esperienze. Risultano importanti le parole che Aderbale pronuncia rivolto ai senatori: il numida cerca infatti di ricevere l'aiuto di Roma facendo leva su alcuni degli ideali - in primo luogo quello della fides[44] - riconducibili al mos maiorum: esse rimangono inascoltate proprio a causa della corruzione e dell'avidità della nobilitas e della crisi morale di Roma. Allo stesso modo, Aderbale segnala anche come gli atti di Giugurta costituiscano un'offesa alla maiestas romana,[45] ma il senato rifiuta comunque di intervenire in suo favore, convinto dai doni dello stesso Giugurta. Piuttosto che incline alle trame e agli intrighi, dunque, Aderbale appare come un sovrano dedito ad una politica di pacifica convivenza, che non può sussistere di fronte alla doppiezza di Giugurta e alla corruzione del senato.[46]
Giugurta
[modifica | modifica wikitesto]«Qui ubi primum adolevit, pollens viribus, decora facie, sed multo maxime ingenio validus, non se luxu neque inertiae corrumpendum dedit, sed, uti mos gentis illius est, equitare, iaculari; cursu cum aequalibus certare et, cum omnis gloria anteiret, omnibus tamen carus esse; ad hoc pleraque tempora in venando agere, leonem atque alias feras primus aut in primis ferire: plurimum facere, [et] minimum ipse de se loqui.»
«Quando egli divenne adolescente, forte e bello d'aspetto, ma soprattutto di vivace intelligenza, non si lasciò corrompere dal lusso e dall'ozio, ma, secondo il costume del suo popolo, cavalcava, lanciava il giavellotto, gareggiava con i coetanei nella corsa; e, pur superando tutti nella gloria, tuttavia era caro a tutti; inoltre trascorreva la maggior parte del suo tempo nella caccia, era sempre il primo o fra i primi a colpire il leone e le altre fiere;[47] era estremamente attivo, parlava pochissimo di sé.»
Differenze tra Catilina e Giugurta e le cause della corruzione della nobiltà romana
[modifica | modifica wikitesto]Il personaggio di Catilina può essere visto come un monstrum, poiché assomma in sé diverse caratteristiche, anche tra loro completamente opposte, che lo rendono uno dei personaggi più enigmatici della letteratura di sempre, assieme al numida Giugurta. Ma, mentre il personaggio di Catilina nel corso del De Catilinae coniuratione tutto sommato non subisce sostanziali mutamenti nel suo carattere psichico, e infatti nasce come personaggio dall'indole corrotta e malvagia e così resta sino alla fine, il personaggio di Giugurta subisce dei notevoli mutamenti di carattere; infatti nasce come un giovane ragazzo, erede al trono numida, dall'animo sano e pieno di buoni principi, ma nel corso del Bellum Iugurthinum muta radicalmente, "inquinato" dall'influsso negativo che su di lui ebbe la nobilitas romana, allora profondamente corrotta, che portò il suo carattere a divenire pravus. Entrambi i personaggi sono il frutto della malvagità della classe senatoria, da cui provengono (Catilina) o sono stati fortemente condizionati (Giugurta); questo «marciumen interno» dal punto di vista sociale e morale ha le sue radici nel 146 a.C., anno della distruzione, da parte degli eserciti romani, di Cartagine. Infatti la sconfitta della città punica pose fine al cosiddetto metus hostilis (timore del nemico), ovvero il timore che i romani avevano per i nemici cartaginesi e che li spingeva a rimanere compatti ed appianava le controversie interne; venuto a mancare questo potente "collante", si acuiscono i sentimenti di ambitio ed avaritia dell'oligarchia senatoria e soprattutto le ostilità presenti tra le varie factiones, sfociate nelle sanguinarie guerre civili del primo secolo a.C. Si ha infatti un passaggio da lotte tra hostes (nemici stranieri, barbari) a lotte tra adversarii (rivali politici, lotta tra fazioni), che scatenano ondate di violenza interna senza precedenti, e decretano la fine inevitabile di tutto quell'insieme di istituzioni che costituiva la res publica romana.
Iempsale
[modifica | modifica wikitesto]Iempsale è il minore[26] dei figli di Micipsa, fratello di Aderbale e cugino di Giugurta. Il suo ruolo nel Bellum Iugurthinum è del tutto secondario, sebbene sia proprio il suo comportamento a fornire la causa occasionale per l'inizio delle ostilità tra Giugurta e Aderbale. Egli infatti, particolarmente orgoglioso per natura,[26] disprezza Giugurta, poiché egli è il figlio di una concubina, e tenta in ogni modo di umiliarlo, schierandosi anche a favore dell'abolizione dei provvedimenti presi da Micipsa dopo l'associazione del nipote al trono. Dimostra così di essere privo di quell'intelligenza politica, propria, invece, di suo padre, e compie atti avventati senza prevederne le conseguenze. Giugurta, infatti, mosso dall'ira e dalla paura,[48] decide di farlo uccidere, e manda alcuni dei suoi uomini nell'abitazione in cui si trova: Iempsale, piuttosto che tentare onorevolmente di difendersi, muore rifugiatosi vilmente nella capanna di una schiava, e la sua testa, mozzata, viene portata a Giugurta.
Micipsa
[modifica | modifica wikitesto]Micipsa è il figlio primogenito del re di Numidia Massinissa, e sale al potere, assieme ai fratelli, Gulussa e Mastanabale, alla morte del padre, nel 148 a.C. Dopo la prematura scomparsa dei fratelli, si ritrova a regnare da solo, e fornisce un valido aiuto ai Romani durante la terza guerra punica. Ha due figli, Aderbale e Iempsale I, ed è lo zio di Giugurta. Nel ruolo di "politico" che svolge, è naturalmente esempio di quella continua mutevolezza che caratterizza molti personaggi dell'opera.
Nel Bellum Iugurthinum appare già in tarda età, impegnato a pensare a chi sia il più adatto a succedergli nel ruolo di sovrano. Si rallegra del prestigio di Giugurta, sicuro che quest'ultimo possa essere adatto a guidare la Numidia e a procurarle grande gloria, ma si accorge ben presto che il nipote si troverebbe in una condizione di netta superiorità rispetto ai figli, a causa della sua età e della popolarità di cui gode. Si ritrova allora ad essere spaventato dalla natura di Giugurta, avida e incline a soddisfare i propri desideri.[49] Il re di Numidia dimostra allora, nel tentativo di eliminare il nipote, di essere un politico saggio e quanto mai attento alle conseguenze che i suoi atti possono avere: per questo evita di farlo assassinare o di far sì che rimanga vittima di qualche intrigo. Preferisce piuttosto tentare la sorte[50] ed inviarlo in guerra presso Numanzia.[51] Fallito il suo piano, Micipsa si ritrova costretto ad accettare l'ormai inevitabile ascesa del nipote, che diviene erede assieme ad Aderbale e Iempsale.[52] Anche in questo frangente, comunque, dimostra grande intelligenza politica nel sapersi adattare alle diverse situazioni in cui si trova, evitando sempre di creare situazioni di aperta conflittualità.
Sul letto di morte, infine, convoca presso di sé i figli ed il nipote, e, fingendo di rallegrarsi per i successi di Giugurta, istruisce i propri successori sul comportamento che devono seguire nella guida del regno. Li invita alla concordia ed alla collaborazione reciproca, dando loro dei consigli che risultano tuttora validi:
«Non exercitus neque thesauri praesidia regni sunt, verum amici, quos neque armis cogere neque auro parare queas: officio et fide pariuntur. Quis autem amicior quam frater fratri? Aut quem alienum fidum invenies, si tuis hostis fueris? Equidem ego vobis regnum trado firmum, si boni eritis, sin mali, imbecillum. Nam concordia paruae res crescunt, discordia maximae dilabuntur.»
«Non l'esercito né i tesori sono la difesa del regno, ma gli amici, che non puoi costringere con le armi né comprare con l'oro: si conquistano con il rispetto e la lealtà.[53] Chi mai può essere più amico di un fratello con il fratello? O quale estraneo troverai fidato, se sarai nemico dei tuoi? Vi consegno un regno saldo, se sarete giusti, debole, se malvagi. Infatti nella concordia i piccoli stati prosperano, nella discordia crollano anche i più potenti.[54]»
Poco tempo dopo, muore, ricevendo tutte le onoranze funebri degne di un re.[55]
I Romani
[modifica | modifica wikitesto]Analisi
[modifica | modifica wikitesto]Attendibilità e storicità dell'opera
[modifica | modifica wikitesto]Nel Bellum Iugurthinum sono assenti gli elementi di descrizione etnografica che dovrebbero essere essenziali per un'opera storiografica. La digressione geografica e storica dei capitoli 17-19 risulta assai deludente ed approssimativa, soprattutto per uno storico che ha ricoperto per alcuni anni la carica di governatore della provincia d'Africa: Sallustio dichiara infatti di attingere a fonti scritte piuttosto che all'osservazione personale,[35] e questo fa sì che la sua descrizione risulti asettica e imprecisa.[56] Allo stesso modo, anche il ritratto di Giugurta[21] appare piuttosto stereotipato, e non frutto di un'attenta osservazione delle abitudini delle popolazioni locali: alcuni tratti del comportamento giovanile e dell'educazione sono quelli tipici dei barbari, e Sallustio sembra rifarsi alla tradizione storiografica greca, in particolare alla Ciropedia di Senofonte. La descrizione, dunque, risulta nel complessa reticente, vaga e nebulosa.[57]
A livello storico, Sallustio si dimostra poco attento all'esatta collocazione temporale degli eventi narrati: frequenti sono infatti le inesattezze riguardo a particolari cronologici,[58] ed altrettanto frequente è il ricorso ad ellissi ed espressioni - tipo di "bianco temporale", che colmano lunghi spazi narrativi altrimenti privi di azione.[57]
In sostanza manca nell'opera qualsiasi interesse che non sia necessariamente legato all'ossessiva ricerca delle cause del declino (e della fine di lì a poco) della res publica romana, ed il trasferimento di questa indagine nella politica estera non cambia nulla nella prospettiva dello storico. La conseguenza è che quando lo storico cerca di individuare le cause dell'espansionismo di Roma si comporta allo stesso modo e non fa altro che ritornare ancora una volta, in un'analisi piuttosto deludente, alle cause morali che muovono la politica interna: l'avarita (avidità di denaro), la lubido imperitandi (brama di potere), come si ricava dal discorso di Giugurta a Bocco, Bellum Iugurthinum, cap. 81, e l'ambitio (sconsiderata e immutabile brama di potere).
Si genera in questo modo una curiosa distorsione, per cui la rapacità e la sete di potere che spingono ad ingrandire lo Stato ne segnano anche la dissoluzione nelle ambizioni personali e nelle lotte civili: è un paradosso che rivela quanto sia, nella sostanza, inefficace l'ottica moralista di Sallustio per comprendere le vere ragioni dell'espansione romana nel Mediterraneo, ovviamente non di natura morale.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Per gli altri titoli in lingua originale, vedi la sezione Titolo e scansione narrativa.
- ^ Oltre alla traduzione letterale La guerra giugurtina, il titolo dell'opera è noto in italiano anche come La guerra contro Giugurta
- ^ Sallustio cominciò a scrivere sicuramente dopo il 44 a.C., anno della morte di Cesare, in un periodo in cui si andavano delineando anche i primi contrasti tra Ottaviano e Antonio, destinati a sfociare nel 33, due anni dopo la morte dello storico, in una grande guerra civile che avrebbe impegnato forze etniche e imponenti correnti ideologiche. (Gaio Sallustio Crispo, Lidia Storoni Mazzolani (a cura di). La congiura di Catilina. Biblioteca Universale Rizzoli (BUR), Milano 1997, p. 212, ISBN 88-17-12072-3).
- ^ I manoscritti delle due monografie sallustiane si dividono in integri e mutili. I mutili sono caratterizzati dalla presenza di una lunga lacuna nella parte finale del Bellum Iugurthinum, da 103, 2 (quinque delegit) a 112, 3 (ratam), successivamente colmata da un revisore che aveva a disposizione un manoscritto della classe degli integri; entrambi derivano, comunque, da un archetipo comune. Le discordanze sono dovute nella maggior parte dei casi a inserimenti di lezioni e correzioni provenienti da fonti diverse: numerose sono le glosse aggiunte al testo originale. Si ricordano tra i mutili il Codex Parisinus 16024 e discendenti (Biblioteca nazionale di Francia, IX secolo) e il Basileensis dell'XI secolo. Gli integri sono in numero maggiore, ma sono anche più recenti; tra essi si ricordano il Leidensis, il Vossianus Latinus, il Lipsiensis, il Monacensis (XI secolo), il Palatinus (XIII secolo). La più importante edizione a stampa è l'Editio princeps pubblicata a Venezia nel 1470; tra le edizioni moderne quella A. W. Ahlberg, Göteborg, 1911-15 e di A. Ernout, Parigi 1946.
- ^ Al contrario, il protrarsi della guerra, come la situazione di crisi dello stato che si andò delineando nel I secolo a.C. sarebbero entrambe state causate dall'avidità della classe senatoria.
- ^ a b L'alleanza con la Numidia divenne, in realtà, la vera chiave della politica africana di Roma: la presenza di un re amico permetteva infatti a Roma di evitare interventi militari diretti, ma, allo stesso tempo, anche di contenere un eventuale nuovo espansionismo cartaginese.
- ^ Dopo aver ripetutamente sconfitto gli eserciti consolari romani, i Cimbri e i Teutoni decisero di invadere l'Italia nel 102 a.C. Fu inviato a contrastarli il console Gaio Mario, che sconfisse i Teutoni ad Aquae Sextiae, e l'anno successivo sbaragliò le forze, numericamente superiori, dei Cimbri ai Campi Raudii, presso Vercelli.
- ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 26, 3
- ^ I territori delle colonie venivano abitati da cittadini romani, spesso esponenti della plebe urbana, o dai soldati in congedo.
- ^ Sallustio, De Catilinae coniuratione, 1-4
- ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 2, 1
- ^ Sallustio Bellum Iugurthinum, 1, 5
Sallustio, De Catilinae coniuratione, 1, 2-4 - ^ Esemplare è il caso di Marco Porcio Catone Uticense, che invece, pur meritando l'elezione al consolato, non poté mai ottenerla, nonostante fosse già allora simbolo di moralità e onestà totale (De Catilinae coniuratione, 54): il sistema politico respinge dunque coloro che esercitano pienamente la virtus.
- ^ Sallustio, De Catilinae coniuratione, 4
- ^ L'elogio dell'attività storiografica costituisce un vero e proprio topos nei proemi storici: Polibio (1, 1-2) sostiene che gli storici si siano sempre serviti dell'elogio, dicendo che l'insegnamento della storia è l'educazione e l'esercizio migliore per le attività politiche.
- ^ La frase iniziale del quinto capitolo è un esametro: secondo E. Skard (Ennius und Sallustius: eine sprachliche Untersuchung, Oslo, 1933, p. 63), si tratterebbe di una citazione del VI libro degli Annales di Quinto Ennio. Benché l'uso di versi nella scrittura in prosa fosse considerata cosa da evitarsi, era tuttavia diffuso l'uso di esametri (che ricordavano la poesia epica) negli incipit di opere di argomento storico. Ne sono un esempio gli incipit con andamento esametrico degli Annales di Tacito:(LA)
«Urbem Romam a principio reges habuere; [...]»
(IT)«I re tennero per primi il governo di Roma.»
(LA)«Facturusne operae pretium sim [...]»
(IT)«Non so se valga davvero la pena [...]»
- ^ Dopo il fallimento politico di Tiberio e Gaio Gracco, la nobilitas senatoriale aveva detenuto il potere ininterrottamente fino al periodo della guerra giugurtina e dell'ascesa di Gaio Mario.
- ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 5, 3
- ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 5, 4-5
- ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 5, 6-7
- ^ a b Sallustio, Bellum Iugurthinum, 6
- ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 7-9
- ^ Lo stesso Scipione, in una lettera a Micipsa, si esprime così:
«Nella guerra di Numanzia il tuo Giugurta ha dimostrato un valore davvero straordinario, e sono certo che la cosa ti farà piacere. Egli mi è caro per i suoi meriti: farò di tutto perché lo sia anche al senato e al popolo romano. Mi congratulo con te per la nostra amicizia. Hai un uomo degno di te e del tuo avo Massinissa.»
- ^ In realtà tra il ritorno di Giugurta da Numanzia e la morte di Micipsa trascorrono quindici anni, ma Sallustio non sembra essere interessato all'esattezza del dato storico.
- ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 10
- ^ a b c d Sallustio, Bellum Iugurthinum, 11, 3
- ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 12
- ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 12 - 16
- ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 13
- ^ In realtà l'appellativo di amicus, che era stato concesso a Massinissa, non era un titolo ereditario, e doveva considerarsi, anzi, legato alla persona che lo riceveva (G. M. Paul, A Historical Commentary on Sallust's Bellum Iugurthinum, Liverpool 1985, p. 56). Il Senato comunque, nell'ottica di una politica di non intervento in Africa, traeva grandi benefici dall'amicizia con la Numidia.
- ^ Rifacendosi così ad un tòpos letterario nato nella Medea di Euripide (vv. 502 e sgg.).
- ^ Nell'orazione di Aderbale, Sallustio sottolinea quelle caratteristiche fondamentali che la nobilitas, a causa della propria avidità, ha perduto, causando l'inarrestabile crisi della repubblica.
- ^ Sallustio insinua che l'assegnazione della zona più fertile e ricca della Numidia a Giugurta sia frutto della corruzione di Lucio Opimio; più probabilmente, invece, i senatori vollero assicurarsi la presenza di Aderbale, più fedele e meno potente, al confine con la provincia d'Africa.
- ^ L'Africa era in generale poco conosciuta: anche Sallustio, infatti, dichiara di non voler parlare di quei popoli che abitano in regioni dal clima torrido, e che di conseguenza sono poco conosciuti. Convivevano, poi, numerose tesi sulla natura geografica dell'Africa stessa: Erodoto (Storie, 2, 16, 1; 4, 42, 1) e Timeo (in Polibio, 12, 15, 7) la consideravano un continente a sé stante. Secondo Varrone (De lingua latina libri XXV, 5, 5, 31), Orazio (Carmina, 3, 27, 75) e Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, 3, 5), invece, esistevano solo l'Europa e l'Asia. Infine, Lucano (Pharsalia, 9, 411-413) la collocava in Europa, Silio Italico (1, 195) in Asia.
- ^ a b Sallustio potrebbe aver letto questi libri Punici durante la sua permanenza in Africa, oppure, più verosimilmente, averli trovati come riferimento per l'etnografia africana in qualche altra opera. Non è chiaro se i libri fossero stati scritti da Iempsale (il punico era la lingua colta adoperata in Numidia) o se, più semplicemente gli appartenessero. Secondo alcuni, infatti, si tratterebbe di un'opera greca sui popoli africani che Sallustio, per conferire una maggiore autorevolezza alla narrazione, descrive come un'opera locale. (R. Oniga, Sallustio e l'etnografia, Pisa 1995 pp. 51 e sgg.)
- ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 19, 2
- ^ L'indicazione geografica è approssimativa: Sallustio parla di un luogo poco lontano dal mare (21, 2), mentre Cirta si trova a circa 70 km dalla costa.
- ^ Si trattava di mercanti, finanzieri, proprietari terrieri ed armatori. Sallustio sottolinea il ruolo da essi svolto nella vicenda.
- ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 23, 1
- ^ Scauro era princeps senatus, e godeva, dunque, di una grandissima autorità.
- ^ Diodoro Siculo (Bibliotheca historica, 34-35, 31) afferma che la città si arrese a Giugurta per fame, e non accenna al ruolo che gli italici svolsero nel convincere Aderbale alla resa.
- ^ Nel passo suddetto, Diodoro Siculo racconta che Aderbale uscì da Cirta portando in mano un ramoscello d'ulivo in segno di pace. Giunto da Giugurta, chiese di aver salva la vita, ma il cugino lo fece sgozzare all'istante.
- ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 26
- ^ A livello politico, si trattava del rapporto di fedeltà che doveva legare Roma ed i suoi alleati.
- ^ Roma, in quanto potenza superiore, poteva ritenersi reale possessore del regno di Numidia: ogni attacco ad esso, dunque, doveva considerarsi un attacco a Roma e alla sua maestà.
- ^ Aderbale si dimostra ingenuamente fiducioso fino al momento della sua morte, quando Giugurta lo fa uccidere dopo aver promesso di lasciarlo in vita.
- ^ La caccia al leone costituiva una specie di rito di iniziazione del giovane di rango reale. (G. Cipriani, Giugurta e la caccia al leone. Una questione di etichetta, "Invigilata Lucernis" 10, 1988, pp. 75-90)
- ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 11, 8
- ^ L'onniscienza di Sallustio, in questo caso, può essere assimilata a quella - per ripetere Todorov - di chi "vede attraverso i muri delle case allo stesso modo in cui legge nel pensiero del suo eroe". Non si sa come faccia, ma egli è in grado di arrivare a cogliere le intenzioni più riposte, i progetti più segreti, le reazioni più impreviste dei personaggi. (G. Cipriani, Sallustio e l'immaginario. Per una biografia eroica di Giugurta, Bari 1988, p. 17)
- ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 7, 1
- ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 6-7
- ^ Anche in questo caso Sallustio si mostra poco attento all'esattezza del dato storico: l'adozione, da parte di Micipsa, di Giugurta, e la sua conseguente nomina ad erede al trono assieme ai cugini non avviene al ritorno dello stesso Giugurta da Numanzia, ma tra il 121 e il 118 a.C.
- ^ Senofonte nella Ciropedia (8, 7, 13) aveva fatto dire a Ciro morente: La conservazione di un regno non dipende da questo scettro d'oro: gli amici fidati sono lo scettro più autentico.
- ^ Seneca, nelle Lettere a Lucilio (94, 46) afferma che Marco Agrippa [...] doveva gran parte del successo alla seguente massima: "I piccoli stati crescono con la concordia; ma anche quelli più grandi vanno in rovina con la discordia".
- ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 11, 2
- ^ R. Oniga, Sallustio e l'etnografia, Pisa 1995.
- ^ a b G. Cipriani, Sallustio e l'immaginario. Per una biografia eroica di Giugurta, Bari 1988, pp. 94-95.
- ^ Sallustio, La guerra contro Giugurta, Lisa Piazzi (a cura di), p. 197.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Testi
- Gaio Sallustio Crispo, N. Flocchini, G. Ottaviani (a cura di), Antologia dalle opere, Torino, Paravia, 1993, ISBN 88-395-1641-7.
- Gaio Sallustio Crispo, L. Canali (a cura di), La guerra giugurtina. Testo originale a fronte, Milano, Garzanti Libri, 1994, ISBN 88-11-58537-6.
- Gaio Sallustio Crispo, P. Frassinetti; L. Di Salvo (a cura di), Opere, Torino, UTET, 2002, ISBN 88-02-04286-1.
- Gaio Sallustio Crispo, A. Crugnola (a cura di), Antologia sallustiana, Principato, ISBN 88-416-2367-5.
- Critica
- L. Olivieri Sangiacomo, Sallustio, Firenze, Le Monnier, 1954.
- K. Buechner, Sallust, Heidelberg, 1960.
- R. Syme, Sallustio, Paideia, 1968, ISBN 88-394-0023-0.
- (EN) T. F. Scanlon, The influence of Thucydides on Sallust, Heidelberg, 1980.
- D. Mevoli, La vocazione di Sallustio, Congedo, 1994, ISBN 88-8086-032-1.
- Gaio Sallustio Crispo, Tito Livio; L. Coco, L'uomo e la natura, Loffredo, 2003, ISBN 88-8096-934-X.
- Strumenti di lavoro
- Augusto Camera, Renato Fabietti, Elementi di storia antica, vol II - ROMA, Bologna, Zanichelli, 1969.
- Luciano Perelli, Antologia della letteratura latina, Torino, Paravia, 1973, ISBN 88-395-0059-6.
- Lao Paletti, Corso di lingua latina. I. Fonetica, Morfologia, Sintassi, Torino, Paravia, 1974, ISBN 88-395-0387-0.
- Luca Serianni, Alfredo Castelvecchi, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, UTET libreria, Linguistica, 1989, ISBN 88-7750-033-6.
- Luigi Castiglioni, Scevola Mariotti (con la collaborazione di Arturo Brambilla e Gaspare Campagna), IL – Vocabolario della lingua latina, Torino, Loescher, 1990.
- Lodovico Griffa, Latino – Teoria, Firenze, La Nuova Italia, 1990, ISBN 88-221-0670-9.
- Alfonso Traina, Giorgio Bernardi Perini, Propedeutica al latino universitario, Bologna, PATRON editore, 1995, ISBN 88-555-2307-4.
- Gian Biagio Conte, Letteratura latina, Firenze, Le Monnier, 2001, ISBN 88-00-42156-3.
- Campanini, Carboni, NOMEN - Il nuovissimo Campanini Carboni. Latino Italiano - Italiano Latino, Torino, Paravia, 2003, ISBN 88-395-5150-6.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]- Romani
- Gaio Mario
- Gaio Sempronio Gracco
- Lucio Cornelio Silla
- Lucio Opimio
- Marco Emilio Scauro (console 115 a.C.)
- Publio Cornelio Scipione Emiliano
- Tiberio Sempronio Gracco (tribuno della plebe 133 a.C.)
- Numidi
- Letteratura
- Altro
Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikisource contiene il testo in latino del Bellum Iugurthinum
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Bellum Iugurthinum
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Opere sallustiane originali Latino: Bellum Catilinae, Bellum Iugurthinum, Fragmenta Historiarum, Epistulae ad Caesarem ed Invectiva in Ciceronem (quest'ultima di attribuzione incerta, anche se spesso a lui attribuita).
- Latinae - Bibliotheca Maximiliana, su latinae.altervista.org. URL consultato il 6 novembre 2017 (archiviato dall'url originale il 3 marzo 2016).
- Bellum Iugurthinum - testo originale con traduzione italiana.
Controllo di autorità | VIAF (EN) 7508152140002911100008 · BAV 492/10426 · LCCN (EN) n84239821 · GND (DE) 4194816-6 · BNE (ES) XX3383635 (data) · BNF (FR) cb12254123q (data) · J9U (EN, HE) 987007355408405171 · NDL (EN, JA) 031657174 |
---|