Feudalesimo

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Goffredo II di Cerdanya riceve l'homagium di Isern e Dalmau, signori di Castellfollit (Liber feudorum Ceritaniae, XII secolo)

Il feudalesimo è un sistema socio-economico tipico del Medioevo europeo. Tale denominazione riflette soprattutto il tentativo, fatto in epoche successive, di designare in termini unitari e coerenti il contesto economico e sociopolitico dell'Europa sorta dal crollo dell'Impero romano e dall'avvento delle popolazioni barbariche (i Germani). In tal senso, il feudalesimo è più un costrutto storiografico che un sistema intrinsecamente unitario.[1][2]

La stessa parola feudalesimo (derivata dal latino feudum, 'feudo', come anche feodalitas, 'complesso delle incombenze legate al feudo') fu inventata nel Seicento, quindi molto tempo dopo rispetto all'epoca che intende riassumere, così come il suo sinonimo, sistema feudale, e riflette una compattezza semantica in gran parte estranea alla realtà storica e che sarebbe risultata incomprensibile per gli uomini del Medioevo.[2][3]

Inquadramento storico

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Tra IX e X secolo, l'Europa aveva conosciuto un momento di affermazione dell'autorità centrale con la nascita dell'Impero carolingio. In particolare, l'Impero disponeva di corti distrettuali a cui ci si poteva appellare e che, in linea teorica, potevano deliberare contro i signori.[3] Gli appelli dei contadini a queste corti rimanevano per lo più ignorati: esse tendevano a rapportarsi (in armonia o in contrasto) con le giurisdizioni signorili e i signori avevano spesso ruoli apicali nel regime capetingio, potendo spesso influenzare le loro decisioni. Pure, il sistema generale comprendeva norme comuni la cui legittimità non era messa in discussione, in un contesto in cui le unità produttive fondamentali erano ospitate da caseggiati rurali.[3] Già intorno all'anno 1000, i signori avevano però iniziato a sviluppare un'autorità informale sui villaggi; circa 100 anni dopo, queste signorie, che incombevano su tre o quattro villaggi, avevano fondato sul castello un'estesa autonomia rispetto a qualsiasi potere centrale.[3] L'Europa era presto ripiombata nell'insicurezza e nella difficoltà indotta dalla mancanza di un potere centrale, causata da una vera e propria destrutturazione dell'organizzazione regia carolingia, senza garanzia della salvaguardia dei cittadini, il tutto aggravato dalle nuove incursioni di Normanni, Saraceni e Ungari.

In questo contesto nacque "dal basso" la richiesta di nuove strutture di potere che andassero a colmare spontaneamente quei vuoti di potere deferiti dalla lontana monarchia imperiale. Nacque così il fenomeno dell'incastellamento, con la costruzione di insediamenti fortificati da cinte murarie, dove era presente la dimora del signore locale (mastio, cassero o torre), i magazzini delle derrate alimentari, degli strumenti di lavoro e delle armi, le abitazioni del personale e, attorno ad esso, le varie unità insediative e produttive. Le persone che gravitavano attorno al castello erano tutte legate da precisi rapporti di dipendenza al signore. La castellania era la circoscrizione attorno al castello, che si inquadrava a sua volta in unità giuridiche più vaste. Almeno in via teorica esisteva un sistema gerarchico piramidale che si ricollegava ai pubblici ufficiali che possedevano una signoria (duchi, marchesi e conti), che a loro volta dipendevano dal sovrano. Nella pratica sopravviveva anche la libertà personale e la proprietà privata diretta (l'allodio), anche se i liberi proprietari erano spesso portati a rinunciare al loro stato di rischiosa libertà in cambio di protezione.

Il feudalesimo fu il sistema giuridico-politico dominante tra i secoli X e XII. In seguito, la rinascita delle città e dell'economia monetaria ridimensionò molto questa istituzione, che comunque non scomparve. Tra XIV e XVI secolo, in Europa si registrò anzi un diffuso processo di "rifeudalizzazione". Con l'avvento degli Stati moderni il feudalesimo perse le caratteristiche giurisdizionali, ma mantenne quelle sociali e politiche fino a quasi tutto il XVIII secolo. In Francia venne abolito solo con la Rivoluzione francese del 1789, mentre altrove rimase vivo, almeno sul piano teorico, anche più a lungo, dopo la Restaurazione.

Elementi fondamentali del rapporto vassallatico-beneficiario

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Al livello teorico erano tre gli elementi fondamentali e caratterizzanti del sistema vassallatico-beneficiario:

  1. l'elemento reale era rappresentato dal feudo (l'honor o il beneficium), dato in concessione dal dominus o senior al vassus (parola di origine celtica che significava "giovane"); si trattava di un bene materiale (terre o beni mobili o uffici remunerati a vario titolo);
  2. l'elemento personale consisteva nella fedeltà personale del vassus ed era garantita da un rito, l'homagium ("omaggio"); l'etimologia ne testimonia la natura: la parola deriva infatti da homo ed era una sorta di cerimonia durante la quale il vassus ("giovane") si dichiarava homo, quindi adulto, e fedele del suo signore;
  3. l'elemento giuridico consisteva nel fatto che il vasso acquistava immunità giudiziaria, cioè la giurisdizione (intesa come concessione di esercitare il potere giudiziario) nella zona interessata, con i conseguenti proventi.
Lo stesso argomento in dettaglio: Feudo.

Il termine feudo deriva dal latino feudum, ricalcato sul proto-germanico fehu, che riprendeva la radice feh ('bestiame'), essendo infatti presso le popolazioni nomadi proprio il bestiame la maggior forma di ricchezza, con la quale si remuneravano i servigi. Gli storici sono infatti sostanzialmente concordi nell'indicare l'origine del feudo in quei beni materiali (bestiame, armi e oggetti preziosi) che i principi barbarici offrivano al proprio seguito, il comitatus. Quando i Germani divennero sedentari il termine iniziò a significare un "bene" generico, ovvero il suo "possesso" e, più in generale, la "ricchezza".

È importante sottolineare come all'inizio il terreno delle cui rendite beneficiavano i sottoposti fosse concesso solo a titolo di comodato: essi ne erano possessori, ma non godevano della piena proprietà. Per questo alla loro morte il possesso ritornava al signore e non si tramandava agli eredi. Analogamente non poteva essere fatto oggetto di transazione, né venduto né alienato in alcun modo. Ciò lo rendeva precario e presto il ceto feudale, già dalla seconda metà del IX secolo, si mosse per appropriarsi dei feudi in maniera completa e definitiva. Carlo il Calvo concedette nell'877 con il capitolare di Quierzy la possibilità di trasmettere i feudi in eredità, seppur provvisoriamente e in casi eccezionali, come la partenza del re per una spedizione militare.[4] Soltanto dal 1037 ci fu la vera e propria ereditarietà, quando i feudatari ottennero l'irrevocabilità e trasmissibilità ereditaria dei beneficia, con la Constitutio de feudis dell'imperatore Corrado II il Salico.[5] Nacque così la signoria feudale, che in seguito si sarebbe trasformata ulteriormente.

Bisogna anche sottolineare che il feudo, inteso come oggetto del beneficio, era dato da un terreno solo nell'impostazione più tipica del sistema: a volte poteva anche trattarsi di beni mobili, o di somme di denaro corrisposte come salario. Ma l'organizzazione "classica" del feudalesimo prevedeva la suddivisione in territori che andavano a formare le grandi o piccole signorie feudali locali, che almeno all'origine dovevano coincidere con marche e contee dell'Impero carolingio.

L'omaggio e l'investitura

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Lo stesso argomento in dettaglio: Omaggio feudale.
Carlo Magno investe Rolando e gli consegna Durlindana

Il vassallaggio è un rapporto di tipo personale che si instaurava nel sistema vassallatico-beneficiario. Si trattava di una sorta di "contratto" privato tra due persone, il vassallo e il signore: il primo si dichiarava homo dell'altro, durante la cerimonia dell'"omaggio", ricevendo, in cambio della propria fedeltà e del servizio, protezione dal signore.

La cerimonia di omaggio formalizzava questo rapporto: il vassus si rimetteva nelle mani del senior ponendo le sue mani giunte in quelle del suo superiore (da qui il gesto di preghiera a mani giunte) e gli giurava fedeltà. La cerimonia di investitura era un caso particolare dell'omaggio, durante la quale veniva concesso un terreno (un feudo) simboleggiato dalla consegna di un oggetto come una zolla di terra o una manciata di paglia o anche una bandiera (quest'ultima sottintendeva la cessione anche di un diritto giurisdizionale).

Immunità e diritto di giurisdizione

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L'elemento giuridico del sistema feudale consisteva innanzitutto nell'immunità, accompagnata, nel caso di feudi più grandi, dalla concessione del diritto di giurisdizione. L'immunità era il privilegio di non subire, entro i confini della signoria feudale, alcun controllo da parte dell'autorità pubblica. Il diritto di giurisdizione era invece la delega ad amministrare la giustizia pubblica ed a goderne i proventi nel caso di pene pecuniarie.[6]

Struttura gerarchica

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Molto spesso la storiografia tradizionale ha tramandato il mondo feudale come gerarchico, dominato da una rigida piramide sociale in cui i vertici godono della sudditanza assoluta dei sottoposti. Questa rigida separazione in gradini sociali sarebbe stata indicata dai giuramenti vassallatici che ogni vassallo doveva prestare al proprio signore e, di conseguenza, avrebbe comportato che sulla vetta ci fosse un concessore di benefici e che a lui facessero capo tutte le altre figure. La tradizionale piramide modello del sistema è la seguente:

  1. il sovrano, quasi sempre un re o un nobile di alto rango, ma anche un'alta carica religiosa;
  2. i vassalli, grandi feudatari nobili di alto rango;
  3. i valvassori, vassalli dei vassalli, feudatari nobili di medio rango;
  4. i valvassini, vassalli dei valvassori, feudatari di basso rango;
  5. i contadini liberi (artigiani, basso clero ecc.);
  6. i contadini, servi della gleba.

Alla base della gerarchia feudale, al di sopra dei contadini liberi e di quei servi, c'erano i milites e i caballari dotati di scarse risorse ma aventi il diritto e le capacità economiche di possedere un cavallo e un'armatura e di partecipare alla vita delle corti.[7]

Nei fatti, il sistema era più elastico e ogni livello era regolato dal medesimo rapporto di vassallaggio: poteva teoricamente avere un vassallo chiunque potesse permetterselo, dai sovrani, ai grandi signori, ai membri della piccola nobiltà fino anche ai modesti proprietari terrieri. Si poteva inoltre essere alternativamente dominus o vassus per benefici diversi.

Una piramide vera e propria si ebbe formalizzata solo dopo il XIII secolo, come si legge nei Libri feudorum, redatti per regolare l'assetto giuridico del Regno di Gerusalemme, conquistato dopo la Prima crociata.

Il dibattito storiografico

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Il governo feudale acquisì le caratteristiche difettive con cui si è abituati a fare ad esso riferimento a partire dalla metà del XVIII secolo, cioè in piena età illuministica. Alfonso Longo, ad esempio, che nel 1773 succedette a Cesare Beccaria nella cattedra di Istituzioni civili ed economiche a Milano (il cui corso, mai pubblicato, fu poi recuperato in volume),[8] lo definisce una forma di governo "tutta imperfetta nelle sue parti, erronea nei principii e disordinata nei mezzi". Ed, in effetti, fu sempre considerata cardinale dagli Illuministi l'interezza della sovranità, mentre, soprattutto a partire dal Capitolare di Quierzy (877), la sicurezza del possesso del feudo rese più lassi i vassalli e più disposti a seguire il proprio arbitrio, assecondando l'inosservanza delle leggi in favore della forza, svuotando di potere i tribunali, opprimendo il popolo.

Istituzioni economiche e sociali come il pascolo comune o le corporazioni contraddicevano in modo troppo forte lo spirito borghese che largamente informava lo spirito illuminista. Questa sorta di avversione prese corpo nella riforma, avviata da Giuseppe Bonaparte e proseguita da Gioacchino Murat, tramite una serie di leggi eversive della feudalità, emanate tra il 1806 e il 1808, della soppressione della feudalità nel Regno di Napoli, lo stato italiano in cui più radicata era la forma feudale di governo, istituendo anche una Commissione feudale incaricata di risolvere le liti.[9]

Il XIX secolo sembrò cercare un punto di vista più neutro nei confronti del feudalesimo: a quei tempi, avversario della borghesia non è più l'ordinamento feudale ma il sovrano assoluto. François Guizot distingueva tra un influsso "sullo sviluppo interiore dell'individuo" e quello sulla società, ravvisando nel primo il motore di "sentimenti energici" e "bisogni morali". Il XX secolo, soprattutto con Les Annales, approfondì lo studio della produzione dei beni, dei rapporti di proprietà e delle condizioni di lavoro più di quanto non fosse stato fatto fino ad allora. In ogni caso, almeno nella percezione comune, neppure questi studi fecero uscire il feudalesimo da una considerazione generale fortemente polemica.

Fu Alfons Dopsch il primo a tentare di scardinare lo schema tradizionale, basato sul principio per cui il feudalesimo fosse sempre strettamente legato alla pratica dell'economia naturale. Dopsch fa invece notare che il feudalesimo è sopravvissuto in certi stati anche fino al XVII secolo, mentre in essi lo scambio monetario era ormai del tutto "moderno". Lo studioso, insomma, propone cause politiche e costituzionali per la definizione di questo ordinamento. Va però considerato il fatto che il feudalesimo menzionato da Dopsch (quello dell'Austria e del Meclemburgo) non era ormai più il feudalesimo dei baroni riottosi. Bloch finisce per rinunciare al riferimento all'economia naturale, preferendo parlare di una "carestia monetaria". Henri Pirenne trovò nella disgregazione dello Stato la cifra del feudalesimo, sottolineando come fu impossibile ai conquistatori germanici di continuare la solidità statale che fu dell'Impero romano. Pur riconoscendo la necessità dei principi di delegare la difesa del territorio ai vassalli, resta, secondo Pirenne, che il giuramento feudale riconosce comunque il re come detentore del potere, tanto che furono paesi altamente feudalizzati come l'Inghilterra e la Francia - come nota Lopez - a dare all'Europa i primi Stati unitari. Sempre il Lopez nota come il principio di feudalità rimarcava l'elemento di reciprocità giuridica dell'obbligazione, per quanto questo genere di transazioni di diritti non fosse certo disponibile per l'universalità delle genti ma solo dei potenti.

Maurice Dobb fa corrispondere il feudalesimo all'istituto del servaggio, cioè l'obbligo imposto al produttore di adempiere alle pretese economiche del dominus (spesso genericamente intese come "doni alla dispensa del signore"). Dobb torna quindi, in qualche modo, al giudizio settecentesco, accentuando, però, una nota classista che prima non aveva questo rilievo.

  1. ^ Feudalesimo, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  2. ^ a b (EN) Feudalism, in Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
  3. ^ a b c d Miller, p. 1.
  4. ^ Bordone e Sergi, pp. 107-108.
  5. ^ Bordone e Sergi, pp. 108-109.
  6. ^ Scrivono Cardini e Montesano (p. 167): "L'immunità consisteva nel diritto dei detentori di signoria feudale di andare esenti, all'interno dei confini di essa, dai controlli di qualunque autorità pubblica. Oltre a ciò, i feudatari maggiori ricevevano in delega anche la giurisdizione, cioè il diritto di amministrare la giustizia pubblica e di goderne parte dei proventi economici (poiché le pene del tempo erano o fisiche o pecuniarie)".
  7. ^ Camera e Fabietti, p. 101.
  8. ^ Carlo Antonio Vianello, Istituzioni economico-politiche, in Economisti minori del settecento lombardo, Milano, A. Giuffrè, 1942.
  9. ^ Oltre ai classici contributi di Pasquale Villani, Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione, Laterza, Bari 1962 e La feudalità dalla riforme all'eversione, in «Clio», 1965, pp. 600-622, cfr. A. M. Rao, Mezzogiorno e rivoluzione: trent'anni di storiografia, in «Studi storici», 1996, nº 37, pp. 981-1041; A. Mele, La legge sulla feudalità del 1806 nelle carte Marulli, in S. Russo (a cura di), All'ombra di Murat. Studi e ricerche sul Decennio francese, Edipuglia, Bari 2007, pp. 87-109.

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