Porcelio Pandone

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Porcelio Pandone, detto il Porcellio (Napoli, ante 1409Roma, post 1485), è stato un umanista e scrittore italiano.

Porcelio Pandone nacque a Napoli qualche anno prima del 1407 perché, come osservano gli studiosi, nell'Antidotum IV in Facium Lorenzo Valla (nato nel 1405) lo dice più anziano di lui.[1] Della sua origine napoletana ci informa lui stesso in un epitaffio in distici elegiaci:[2]

Qui cecini egregias laudes vatumque ducumque

condor in hoc tumulo carmine perpetuo:

Porcelius nomine, Pandonius sanguine. Romam

incolui egregiam, patria Parthenope.

Hic sita sit coniux dignissima vate marito, 5

hic soboles quanta est, hic sua posteritas.

Della sua famiglia di origine non si sa nulla, ma si può ipotizzare che i Pandoni appartenessero al prestigioso Seggio di Capuana. Per quanto riguarda il suo nome di battesimo, Porcelio (o Porcellio), qualche biografo ha pensato che si trattasse di un soprannome indicante la sua omosessualità, dato che però non presenta alcun appoggio documentario. Georg Voigt gli attribuì senza fondamento il nome di Giannantonio, ignorando che il nome Porcelio / Porcellio non è infrequente nella società del Quattrocento.[1]

Inoltre l'umanista accenna spesso al suo legame con Roma, dove trascorre gli anni della sua formazione e una parte della sua vita come maestro. A Roma fu molto vicino ai membri della famiglia Colonna, ai quali rimase fedele anche durante la rivolta che costrinse alla fuga il Papa Eugenio IV nel 1434. In seguitò pagò con il carcere questa sua fedeltà. Sulla durata di questa carcerazione i biografi propongono ipotesi diverse: il Sabbadini parla addirittura di un decennio,[3] mentre il Marletta ne riduce la durata a un triennio.[4]

Alla sua liberazione prese a vagare di corte in corte: a Milano fu al servizio di Francesco Sforza; a Firenze, dove conobbe Maffeo Vegio, Biondo Flavio, Aurispa e altri curiali del papa, nonché Cosimo de' Medici; a Roma, grazie alla protezione del potente cardinale Ludovico Scarampi; a Ferrara, per porsi sotto la protezione di Leonello d'Este. Nella sua incessante ricerca di mecenati e di una collocazione stabile, intorno al 1440 si pose pure al servizio del condottiero Niccolò Piccinino sia quando questi era ostile al duca di Milano.[4] A partire dal 1443 lo troviamo attivo a Napoli presso la corte di Alfonso il Magnanimo: qui pronunciò il discorso di saluto per Federico III e ottenne nel 1452 la laurea di poeta, oratore e storico.[2]

Nel frattempo Milano e Venezia, quest'ultima difesa da Iacopo Piccinino, si affrontavano in una guerra difficile. Porcelio compose per l'occasione i Commentarii de gestis Scipionis (Jacobi) Piccinini, una raccolta di dispacci, letteri e altri materiali, e in cui i protagonisti sono esaltati in senso classico: Francesco Sforza è Annibale, Iacopo Piccinino è Scipione.

Dopo la guerra veneto-milanese Porcelio dovette lasicare Napoli, a causa della forte rivalità con Antonio Beccadelli Panormita, che Pandone definisce adulator influentissimo in un celebre distico del carme De abitu ab urbe et patria Parthenope:[5]

Unus adulator socium ducit agmina, et aures

principis hic solus datque adimitque sacri.

Le circostanze che determinarono l'allontanamento di Pandone da Napoli hanno a che fare con la famosa congiura, che Antonio Panormita e Bartolomeo Facio ordirono contro Lorenzo Valla. Pandone, infatti, fece sì che una copia delle Invective in Laurentium Vallam di Facio arrivasse nelle mani di Lorenzo Valla, che fino a quel momento era all'oscuro del contenuto dell'opera e addirittura della sua esistenza. Di questa situazione ci informa Valla stesso nel suo Antidotum I in Facium. Lo schierarsi di Pandone al fianco di Valla non fu senza conseguenze: entrambi, infatti, dovettero lasciare Napoli.

Porcelio andò dapprima a Roma, dove incontrò la protezione del papa Pio II e del cardinale Prospero Colonna, poi a Rimini presso la corte di Sigismondo Malatesta. Anche se la permanenza a Rimini durò poco, a causa della polemica con Basinio da Parma sull'utilità della conoscenza del greco, Pandone ebbe il tempo di comporre una delle sue opere più belle, il poema De amore Iovis in Isottam. In questa circostanza Pandone scrisse a che il De praestantia linguae Latinae. Dopo il soggiorno riminense Porcelio arrivò a Milano, dove incontrò l'ospitalità di Francesco Sforza e del suo potente segretario Cicco Simonetta, al quale dedicò il De sestertio et talento. Inizialmente fu amico a Milano di Francesco Filelfo, ma molto presto i rapposti tra i due si guastarono. Francesco Filelfo e suo fratello Gianmario furono infatti autori di epigrammi scommatici, a contenuto osceno e ingiurioso, tesi a suscitare il pubblico ludibrio nei confronti del Pandone, qui bollato come sodomita e pederasta.[6]. Nell'Eulogium in Porcellium Porcellum Grammaticum, che è un finto epitaffio di lode, Filelfo dice fra l'altro:

«Il Porcello Porcellio noto per ogni vizio è ora cenere in questo luogo. Infatti essendo un sodomita unico, il suo destino era essere arso in vita o, povero lui!, dopo la morte: così gli dèi hanno decretato»

E in un'altra composizione il Filelfo afferma che la fama di sodomita del Pandoni è tale che è diffusa in tutta la Lombardia, e questo a dispetto della sua tarda età. Questa nomea è confermata da uno studente, tale "Pierangelo siciliano", che scrisse fra il 1470 ed il 1480 lamentandosi della scelleratezza degli studenti romani (che fra le altre colpe avevano anche, a suo dire, la 'colpa' di praticare l'omosessualità). Costui lamenta che gli studenti disegnassero falli scrivendo oscenità sul retro della sedia del docente, fra le quali la frase in latino:

«Porcellio, tu altissimo vate,
questi membri lussuriosi sono qui per il tuo culo.»

Porcelio si allontanò da Milano intorno al 1459 e si recò a Roma al servizio di papa Pio II. Qui incontrò la stima e la protezione di Ludovico Foscarini, ambasciatore a Roma della Serenissima, ed esercitò la professione di maestro presso lo Studium romano. La sua permanenza terminò con la morte del pontefice, nel 1464.

Pandone tornò a Napoli nel 1465-66, nel regno di Ferrante: qui compose il De proelio apud Troiam e il De vita servanda a regum liberis. In seguito si trasferì a Urbino, presso Federico di Montefeltro, cui dedicò i Feltria, e poi nuovamente a Roma, dove poté godere di migliori condizioni di vita grazie alla protezione del cardinale Pietro Riario. Le ultime notizie sulla sua vita risalgono al 1485, anno in cui rivolse ai Romani l'invito a celebrare la memoria del papa Sisto IV.

Verso una rivalutazione del Pandoni

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Su Porcelio ha a lungo pesato l'accusa infamante di sodomia. La testimonianza più clamorosa di tale fama è postuma: essa si trova infatti contenuta all'interno della novella (I, 6) che Matteo Bandello pubblicò nel 1554, ma che è ambientata nel periodo in cui Porcellio viveva a Milano presso il duca Francesco Sforza. Si tratta, naturalmente, di un'accusa non dimostrabile, dal momento che all'epoca era abitudine tacciare di omosessualità gli avversari e i rivali politici.[9]

Nel racconto Porcellio si ammoglia in tarda età spinto dalle insistenze del duca, che vuole distoglierlo dai ragazzi. Un giorno s'ammala, e la moglie credendolo (a torto) in punto di morte, chiama un confessore. Quando il frate esce, ella verifica se il marito abbia confessato il peccato di sodomia, cosa che non ha fatto. Per due volte il frate, nonostante i dubbi, torna a chiedergli se abbia peccato contro natura, ottenendo un diniego. Alla fine, dato che la moglie insiste, il frate chiede direttamente:

Oimè, figliuolo, io non so quello che di te mi dica. Tu mi neghi d'aver peccato contro natura (...) e nondimeno sono io assicurato che tu sei più vago [appassionato] mille volte dei fanciulli che non è capra del sale". Allora il Porcellio con alta voce più che puotè e crollando il capo disse: "Oh, oh, padre reverendo, voi non mi sapeste interrogare. Il trastullarmi con i fanciulli a mel più naturale che non è il mangiare e il ber a l'uomo, e voi mi domandavate se io peccava contro natura. Andate, andate, messere, ché voi non sapete che cosa sia un buon boccone". Il santo frate, tutto a questa diabolica voce stordito, si strinse ne le spalle. (...) Il Porcellio prese miglioramento e sanò del male, e la cosa si divolgò in corte e per Milano, di maniera che da tutti essendo mostrato a dito, fu astretto non uscir più di casa, e creder si può che come era vissuto da bestia si morisse da bestione. E insomma si può dire che il lupo muta il pelo, ma non cangia vizio. Matteo Bandello, Le novelle,Torino, Utet, 1974, parte I, novella 6.

In epoca più recente la critica ha approfondito la figura di Porcelio Pandone, osservando come il poeta abbia rivestito un ruolo importante nella vita e nel dibattito culturale della sua epoca[10]. Il Pandoni fu certamente "un umanista controverso e polemico", ma anche un "testimone privilegiato della vita e della cultura del suo secolo"[11]. Egli, infatti, partecipò a dispute e polemiche e ricevette riconoscimenti e onori. Inoltre tenne incarichi di un certo rilievo nelle varie corti e città in cui visse.[12]. Le sue opere, pur essendo per la maggior parte di tipo storico-encomiastico, si presentano variegate sotto il profilo contenutistico (numismatica, storia dell'arte) e aperte alla sperimentazione di forme e di generi (elegie, epigrammi, odi e satire).[13].

[Questa voce nasce come sintesi da G. M. Cappelli, Pandone, Porcelio, in «Dizionario Biografico degli Italiani», 80, Roma 2014, 736-740, e A. Iacono, Porcelio de'Pandoni: l'umanista e i suoi mecenati. Momenti di storia e di poesia, Paolo Loffredo - Iniziative editoriali, Napoli 2017, pp. 43–57]

  • Bellum Thebanorum cum Telebois
  • Epigrammata
  • Carmina heroica
  • Bos prodigiosus
  • In laudem clarissimi ducis Nicolai Picinini et filiorum
  • Triumphus Alfonsi regis
  • Commentarii de gestis Scipionis (Jacobi) Piccinini
  • De abitu ab urbe et patria Parthenope
  • De praestantia linguae Latinae
  • De amore Iovis et Isottam
  • De talento et sestertio
  • De laudibus et rebus gestis Federici Montefeltrii sive Feltriae libri IX
  • Ad Pium II Pontificem Maximum congratulatio de reditu suo
  • De felicitate temporum divi Pii II Ponteficis Maximi
  • De proelio apud Troiam Apuliae urbem confecto a divo Ferdinando rege Siciliae
  • De vita servanda a regum liberis
  1. ^ a b G. M. Cappelli, Pandone, Porcelio, in «Dizionario Biografico degli Italiani», 80, Roma 2014, 736-740.
  2. ^ a b A. Iacono, La vita e le opere di Porcelio de' Pandoni, in Ead., Porcelio de' Pandoni: l'umanista e i suoi mecenati. Momenti di Storia e di poesia, Napoli, Loffredo, 2017, pp. 43-57.
  3. ^ R. Sabbadini, Epistolario di Guarino Veronese, Venezia, Tip. Emiliana, 1916, III, p. 392.
  4. ^ a b F. Marletta, Per la biografia di Porcelio dei Pandoni, «La Rinascita», 3, 1940, pp. 842-881.
  5. ^ G. Zannoni, Porcellio Pandoni e i Montefeltro, «Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, Cl. di scienze moral, storiche e filologiche». s. V, 4, 1895, pp. 104-122, 489-507.
  6. ^ Nel suo De jocis et seriis (1458-1465), Filelfo inserì una serie di velenosi epigrammi latini a "Porcellus Porcellius", in cui accusava Pandone di sodomia. Sulla questione vd. pure C. de' Rosmini, Vita di Francesco Filelfo da Tolentino, Milano, Mussi, 1808, vol. III, pp. 161-163, 204.
  7. ^ citato in C. de' Rosmini, op. cit., vol. III (appendice), pp. 161-163, documento n. XIII.
  8. ^ Edita nel "Giornale storico della letteratura italiana", II 1883, pp. 139-140.
  9. ^ L. Sasso, Invettive agonali nell'Umanesimo italiano, Loffredo, 2023.
  10. ^ A. Iacono, Porcelio de' Pandoni: l'umanista e i suoi mecenati. Momenti di storia e di poesia, Paolo Loffredo - Iniziative editoriali, Napoli 2017
  11. ^ G. M. Cappelli, L’umanesimo italiano da Petrarca a Valla, Roma 2010, 173-74, 290-291; Porcellio Pandone, Il De vita servanda a regum liberis, a cura di G. M. Cappelli, «Letteratura Italiana Antica», 5, 2004, 211-226; G. M. Cappelli, Pandone, Porcelio, in Dizionario Biografico degli Italiani, 80, Roma 2014, 736-740
  12. ^ A. Iacono, Classici latini e tecniche di autocitazione nella composizione poetica di Porcelio de' Pandoni, «Bollettino di Studi Latini» XLVII, 1, 2017, pp. 156-177
  13. ^ Convegno Internazionale Porcelio de' Pandoni: Itinerari e contesti culturali di un umanista poliedrico nell'Italia del Quattrocento, in cinque sessioni: Sessioni I-III; Sessioni IV-V
  • L. Correra, Un umanista dimenticato: Porcellio Romano, s.l. ma Torino, Bona, 1885.
  • F. Gabotto, Un episodio di storia letteraria nel Quattrocento. Il Porcellio a Milano in «La Biblioteca della scuola italiana» 3, 1890, pp. 1–15.
  • E. Cannavale, Lo Studio di Napoli nel Rinascimento, Napoli 1895.
  • U. Frittelli, Giannantonio de' Pandoni detto "il Porcellio", Firenze, Paravia, 1900.
  • L. von Bertalot, Über Latienische Gedichte des Porcelio, in «Zeitschrift für Romanische Philologie» 36, 1912, pp. 738–742
  • R. Cessi, Su la Vita Militaris di Iacobi Picinini di Porcelio Pandoni, in «Archivio Muratoriano» 15, 1915, pp. 254–258
  • C. Castiglioni, L'umanista Porcellio e il suo codice Ambrosiano, in Studi storici in memoria di Mons. Angelo Mercati, Giuffrè, Milano 1956, pp. 133–144
  • D. Coppini, La polemica Porcelio-Panormita, in appendice a Un'eclisse, una duchessa, due poeti, in Tradizione classica e letteratura umanistica. Per Alessandro Perosa, a cura di R. Cardini, E. Garin, L. Cesarini Martinelli, G. Pascucci, Bulzoni, vol. I, Roma 1985, pp. 355–373.
  • L. Carnevali, La Feltria di Porcelio Pandoni: preliminari per una edizione critica, in «Studi Umanistici Piceni» 15, 1995, pp. 31–35.
  • R. Cappelletto, Per l'edizione di un'elegia del Porcelio, in Filologia umanistica. Per Gianvito Resta, a cura di V. Fera, G. Ferraù, Padova, Antenore, 1997, vol. I, pp. 241–266
  • C. Bianca, I poeti del secondo Quattrocento Romano, in Poesia umanistica in distici elegiaci. Atti del Convegno Internazionale, Assisi 15-17 maggio 1998, a cura di G. Catanzaro, F. Santucci, Assisi 1999
  • A. Altamura, F. Sbordone, E. Servidio, Antologia poetica degli umanisti meridionali, Società editrice napoletana, Napoli 1975.
  • Porcellio Pandone, Il De vita servanda a regum liberis, a cura di G.M. Cappelli, in «Letteratura Italiana Antica» 5, 2004, pp. 211–226.
  • G. Cappelli, L'umanesimo italiano da Petrarca a Valla Carocci ed., Roma 2010.
  • A. Iacono, La dedica ad Antonello Petrucci del De proelio apud Troiam di Porcelio de' Pandoni, in «Vichiana» 2, 2010, pp. 185–209.
  • A. Iacono, Epica e strategie celebrative nel De proelio apud Troiam di Porcelio de' Pandoni, in La battaglia nel Rinascimento meridionale: moduli narrativi tra parole e immagini, a cura di G. Abbamonte, J. Barreto, T. D'Urso, A. Perriccioli Saggese, F. Senatore, Viella, Roma 2011, pp. 268–290
  • G. Cappelli, Pandone, Porcelio, in «Dizionario biografico degli Italiani» 80, 2014, pp. 736–740.
  • A. Di Meo, Un poco noto componimento di Porcelio de' Pandoni e la celebrazione del cardinale Pietro Riario nel contesto letterario della Roma Quattrocentesca, in «Studi Rinascimentali» 12, 2014, pp. 25–44
  • A. Di Meo, La silloge 'Poemata et epigrammata' di Porcelio de' Pandoni nei codici che la tramandano (Urb. lat. 707 e Vat. lat. 2856), in «Spolia» 2, 2016, pp. 176–206.
  • A. Iacono, Un'ignota preghiera alla Vergine di Porcelio de' Pandoni, in Amicorum munera. Studi in onore di Antonio V. Nazzaro, a cura di G. Luongo, Satura ed., Napoli 2016, pp. 459–477
  • A. Iacono, Classici latini e tecniche di autocitazione nella composizione poetica di Porcelio de' Pandoni, in «Bollettino di Studi Latini» 1, 2017, pp. 156–177
  • A. Iacono, Porcelio de' Pandoni: l'Umanista e i suoi mecenati. Momenti di storia e di poesia. Con un'appendice di testi, Paolo Loffredo - Iniziative editoriali, Napoli 2017.
  • Porcelio de’ Pandoni, De sestertio et talento, edizione critica e traduzione italiana a cura di N. Rozza; introduzione, traduzione inglese e commento a cura di A. Burnett, Napoli, Loffredo, 2022.
  • Porcelio de' Pandoni, Triumphus Alfonsi regis Aragonei devicta Neapoli, A cura di Antonietta Iacono, Firenze, SISMEL, 2023.

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