Aristide di Mileto
Aristide di Mileto (in greco antico: Ἀριστείδης ὁ Μιλήσιος?, Aristéidēs ho Milésios; Mileto, I secolo a.C. – ...) è stato uno scrittore greco antico.
Biografia
[modifica | modifica wikitesto]Aristide fu autore, intorno al 100 a.C., dei Milesiaká, una raccolta di novelle erotiche, nessuna delle quali ci è però conservata, che acquistarono enorme popolarità tra Greci e Romani. Le novelle furono tradotte in latino da Lucio Cornelio Sisenna e divennero molto popolari a Roma[1], dove la Fabula Milesia passò ad indicare genericamente un racconto a sfondo erotico-licenzioso.
Testimone d'eccezione della fortuna di Aristide[2] fu Ovidio che, esiliato da Ottaviano Augusto sembra per la licenziosità della sua Ars amatoria, rilevò come Aristide non fosse stato cacciato dalla sua città, malgrado i suoi scritti[3] e che questo non fosse accaduto nemmeno a Roma, al suo traduttore Sisenna.[4]
Milesiakà
[modifica | modifica wikitesto]Caratteristica delle favole milesie è l'inserimento di altri racconti all'interno della vicenda principale, narrata in prima persona, come fanno anche Petronio nel Satyricon, per esempio narrando[5] del ragazzo di Pergamo[6] e della matrona di Efeso, oppure Apuleio, che esordisce nei Metamorphoseon libri XI[7] esprimendo la volontà di «intrecciare varie favole in stile milesio».
Si trattava, com'è possibile ricavare proprio da Petronio ed Apuleio, nonché da alcune riprese in Luciano di Samosata, di racconti erotici o macabri, che riprendevano motivi delle narrazioni popolari ed erano connotati da brevità e stile rapido, forse non dissimili dalle nostre barzellette e che proprio per questo riscossero grande successo. Tuttavia proprio la loro licenziosità e il carattere di letteratura popolaresca ne decretarono la scomparsa presso le scuole di retorica e il mondo cristiano.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Cfr. Plutarco, Crasso, 32, 2, che rileva come fossero un libro assai popolare tra i soldati al fronte.
- ^ L. Pepe, "Milesie" e "Sibaritiche" al tempo di Ovidio, in "GIF", XI (1958), pp. 317-326.
- ^ Ovidio, Tristia II, 413-414: «iunxit Aristides milesia crimina secum / pulsus Aristides nec tamen urbe sua est», "Aristide congiunse tra loro racconti relativi agli scandali di Mileto, eppure non fu cacciato dalla sua città".
- ^ Ovidio, Tristia II, 443-444: «vertit Aristiden Sisenna nec obfuit / illi historiae turpes inseruisse iocos», "Sisenna tradusse Aristide e non gli fu fatto nulla per aver inserito battute oscene accanto alle sue narrazioni storiche".
- ^ Ai capp. 85-87.
- ^ Ai capp. 111-112.
- ^ I 1, 1: «At ego tibi sermone isto Milesio varias fabulas conseram».
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- P. G. Walsh, The roman novel, Cambridge, University Press, 1970, pp. 11 ss.
- L. Pepe, "Milesie" e "Sibaritiche" al tempo di Ovidio, in "GIF", XI (1958), pp. 317–326.
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Arìstide di Mileto, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Giorgio Pasquali, ARISTIDE di Mileto, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1929.
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