Utente:Facquis/Sandbox/Sinistra Proletaria
Facquis/Sandbox/Sinistra Proletaria | |
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Leader | Renato Curcio Margherita Cagol Alberto Franceschini Corrado Simioni |
Stato | Italia |
Sede | Via Curtatone 12, Milano |
Abbreviazione | SP |
Fondazione | 8 settembre 1969[1] |
Dissoluzione | 1 aprile 1971[2] |
Confluito in | Brigate Rosse |
Collocazione | estrema sinistra |
Testata | Sinistra Proletaria |
Sinistra Proletaria (SP) è stata un'organizzazione di estrema sinistra, nata dalla trasformazione - iniziata nel dicembre 1969 e conclusasi nel luglio del 1970 - del Collettivo Politico Metropolitano (CPM)[3], fondato a Milano l'8 settembre del 1969.[4] Fra i fondatori, Renato Curcio, Margherita Cagol, Corrado Simioni, Alberto Franceschini, che diedero poi vita nel settembre 1970 alle Brigate Rosse (BR).
Fra i promotori del CPM vi erano molti collettivi operai di Milano, tra i quali il CUB Pirelli, il GdS Sit-Siemens, il GdS IBM, oltre che individualità dell'Alfa Romeo e della Marelli.[5] Appare evidente la forte componente operaia del CPM, cui si affianca il contributo dei collettivi politici studenteschi in egual misura.
Il CPM si servì inizialmente come strumento di lotta di una pubblicazione, a periodicità discontinua, e della quale vennero stampati nel corso del 1970 soltanto due numeri, con il titolo "Sinistra Proletaria", mentre altri fogli videro la luce privi di titolo. I fogli erano di 2-4 facciate formato tabloid, e vennero diffusi nell'area metropolitana milanese. Nel luglio 1970 nasce la più compiuta e diffusa rivista "Sinistra Proletaria", che nel numero zero riporta ancora la dicitura "a cura del CPM", dicitura che scompare nei numeri successivi, siglando la sparizione de facto del CPM stesso, sostituito dalla sigla SP. La sede del movimento rimane la stessa, Via Curtatone 12 a Milano.[6]
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Gli albori: il Collettivo Politico Metropolitano
[modifica | modifica wikitesto]Agli albori della loro storia, le BR erano un ristretto gruppo rivoluzionario che aveva scelto l'azione diretta come pratica di lotta facendo riferimento ai gruppi armati appena sorti in Italia, i Gruppi di Azione Partigiana fondati da Giangiacomo Feltrinelli (che prendevano il nome ispirandosi alla formazione partigiana, i Gruppi di Azione Patriottica al tempo della Resistenza) e il gruppo genovese XXII Ottobre. Altra fonte d'ispirazione furono, secondo Alberto Franceschini, i Tupamaros, guerriglieri attivi negli anni sessanta in Uruguay, da cui trassero il simbolo, e l'esercito nordvietnamita, mentre tra le singole persone il guerrigliero preso come modello di riferimento era Ernesto Che Guevara.[7] Secondo altri,[8] il simbolo della stella pentapuntata asimmetrica derivò dal logo della Pensione Stella Maris di Chiavari, dove, nel novembre 1969 venne tenuto uno dei due convegni che tennero a battesimo l'organizzazione terroristica.
I personaggi che diedero vita a questo progetto provenivano dalla facoltà di sociologia dell'Università di Trento (Renato Curcio, Margherita Cagol, Giorgio Semeria)[9] (slogan riconosciuti all'epoca erano «Alzare il tono dello scontro», tipico degl'ambienti legati al movimento Lotta Continua, e «Vietato vietare!», mutuato dai moti del Maggio francese), dalla federazione giovanile del PCI di Reggio Emilia (Alberto Franceschini, Prospero Gallinari e Roberto Ognibene)[9] e dal movimento delle fabbriche (Mario Moretti, Corrado Alunni e Alfredo Bonavita).[9]
Il coordinamento di un certo numero di collettivi autonomi, nell'autunno del 1969 a Milano, prese il nome di Collettivo Politico Metropolitano (CPM), un movimento fondato da Curcio e Simioni l'8 settembre 1969[8] che raccoglieva tutte le idee in fermento della nuova sinistra di quel periodo. Il CPM raccolse decine di collettivi eterogenei composti da operai, cantanti, grafici, insegnanti, tecnici, attori e musicisti e lavorò sotto forma di centro politico-ricreativo-culturale fino al dicembre di quello stesso anno, quando per le mutate condizioni politiche (la tensione generale dovuta alla strage di piazza Fontana)[10] cessò l'attività e diede vita all'organizzazione extraparlamentare Sinistra Proletaria.
Tale organizzazione esprimeva alcune delle posizioni teoriche che saranno alla base della piattaforma ideologica brigatista: l'occupazione statunitense dell'Italia tramite le multinazionali si esprimeva con la collocazione al potere di una classe dirigente immutabile e non eliminabile per via pacifica tramite le elezioni. Sinistra Proletaria sarà l'organizzazione di riferimento per alcuni gruppi di operai e tecnici di due grossi stabilimenti produttivi milanesi, la Sit-Siemens e la Pirelli. Ad essi si affiancarono studenti di diversa estrazione e sotto-proletari dei quartieri popolari di Milano (in particolare il Lorenteggio, Quarto Oggiaro e il Giambellino).
Ad accomunare i militanti del CPM – tra i quali molti esponenti del nucleo storico delle Brigate Rosse – fu il marxismo-leninismo nella versione della Terza Internazionale, rinverdita dall'analisi maoista. Proprio la diversità tra la visione maoista (era allora in pieno svolgimento in Cina la cosiddetta «Rivoluzione Culturale», che fu interpretata da alcune frange della sinistra extraparlamentare quale «rivoluzione») sul coinvolgimento delle masse popolari, e quella del marxismo-leninismo ortodosso (ruolo indiscutibile del «Partito-Guida») creerà, in futuro, una frattura insanabile all'interno delle BR.
Alcuni militanti del CPM provenivano dall'esperienza cattolica. La facoltà di sociologia dell'Università di Trento fu istituita nel 1962, anno in cui s'iscrisse lo studente Renato Curcio. In tale ambiente nacque e si sviluppò quella che diventerà poi la sintesi tra cristianesimo e rivoluzione di quegli anni, ossia la consapevolezza che il Regno di Dio sia da ricondurre al regno dell'uguaglianza teorizzato dal marxismo rivoluzionario.[9] Non è casuale che alcune provenienze appartengano al mondo cattolico, laddove il Vangelo veniva sentito come «lettera tradita»: tra questi Renato Curcio e Marco Boato.[9] Da Trento Curcio e la sua compagna Margherita Cagol si trasferirono poi a Milano, dove nel 1969 contribuirono alla fondazione del CPM.[11]
Non esiste un atto ufficiale di fondazione delle Brigate Rosse. Molti ritengono che la nascita dell'organizzazione sia avvenuta nel corso del convegno organizzato dal CPM dall'1 al 5 novembre 1969[12] e nella successiva seduta conclusiva del 28 novembre 1969, nell'albergo Stella Maris di Chiavari (di proprietà ecclesiastica, la cui sala convegni fu all'uopo affittata da Curcio o da Semeria con positive referenze fornite dall'ignara Azione Cattolica, autorizzazione concessa attraverso l’approvazione del Monsignor Luigi Maverna, al tempo amministratore apostolico della diocesi di Chiavari[13]), dove si tenne un convegno cui parteciparono i militanti del CPM; il Convegno dell'hotel Stella Maris Albeto Franceschini lo considera l'antitesi del Convegno dell'hotel Parco dei Principi di Roma, il 3 - 5 maggio 1965 e la risposta "proletaria" alla campagna di terrore scatenata con gli attentati sui treni dell'agosto precedente.[14]
Secondo Alberto Franceschini in quell'occasione non si accennò alla lotta armata e alla clandestinità, che divennero in seguito tratti distintivi dei militanti delle BR. Di diversa opinione è Giorgio Galli il quale, nel suo libro Storia del partito armato (1986), ha sostenuto che – nel contesto della summenzionata riunione – fu trattato il tema "Il fiore violento della lotta armata" ed uno degl'interventi aveva titolo: "Ora o mai più!",[15] in questo confermato dalle confessioni di uno dei partecipanti, Corrado Simioni, al tempo molto amico di Curcio, ma che si dissociò dal progetto violento delle nascenti Brigate Rosse.
Dopo la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 (meno di un mese dopo il convegno di Chiavari), che diede avvio agli anni di piombo, gran parte dei movimenti del tempo considerarono quell'attentato come «strage di Stato» intesa a dissuadere il cammino delle lotte operaie e studentesche, e il dibattito già in corso sull'uso della violenza trovò in molte formazioni extraparlamentari sollecitazione e impulso per la creazione di un gruppo armato di autodifesa.
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Il Collettivo Politico Metropolitano (CPM) definiva sé stesso, nel bollettino preparato per i militanti all'atto della nascita[16], come strumento per mettere a punto "le strutture di lavoro indispensabili a impugnare in modo non individuale l'esigenza-problema dell'organizzazione rivoluzionaria della metropoli e dei suoi contenuti (ad esempio democrazia diretta, violenza rivoluzionaria ecc.)." Risultava quindi punto aperto il potenziale ricorso alla lotta armata, questione che occupò la discussione all'interno del CPM e di SP fino alla fondazione delle BR.
La matrice operaia si evidenzia esaminando alcune delle principali questioni che vennero dibattute durante la breve vita del CPM, quale ad esempio la "Socializzazione delle lotte". Il CPM la promuoveva al fine di trasferire la "tensione operaia dall'interno delle fabbriche al sociale," terreno sul quale riteneva invece impreparata la "sinistra rivoluzionaria", rappresentata dagli altri gruppi extraparlamentari. Si accentuava la funzione "rivoluzionaria" delle lotte contrattuali nelle fabbriche e il loro ruolo di primo motore nel processo rivoluzionario.[16]
Le componenti meno tendenti alla lotta armata dedicarono, all'interno del CPM, attenzione al concetto di Autonomia Proletaria. Si espressero in quei documenti per la prima volta parole e concetti che sarebbero poi state l'elemento fondante di altre esperienze della sinistra extraparlamentare, quale ad esempio Autonomia Operaia. Venne definita dal CPM l'Autonomia Proletaria come il contenuto unificante delle lotte degli studenti, degli operai e dei tecnici verificatesi nel 1968-69, intesa come "movimento di liberazione del proletariato dall'egemonia complessiva della borghesia",[16] movimento che coincide con il processo rivoluzionario. Rifacendosi ad una categoria politica del marxismo rivoluzionario, l'autonomia prendeva le distanze da istituzioni politiche borghesi (Stato, partiti, sindacati, istituti giuridici, ecc.), istituzioni economiche (l'intero apparato produttivo-distributivo capitalistico), istituzioni culturali (l'ideologia dominante in tutte le sue articolazioni), istituzioni normative (il costume, la "morale" borghese). Lo scopo finale era l'abbattimento del sistema globale di sfruttamento e la costruzione di un'organizzazione sociale alternativa, pur senza esplicitamente definire come necessario il ricorrere alla lotta armata quale strumento per ottenerla.
Il CPM continuò la sua azione per buona parte del 1970, divenendo una delle organizzazioni più attive a Milano. I punti di forza furono l'azione nelle fabbriche (appoggiandosi ai CUB e ai GdS fondanti) e nell'università.[senza fonte]
Sinistra Proletaria
[modifica | modifica wikitesto]La strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 e l'incrudimento del clima sociale che si ebbe all'inizio del 1970 contribuirono alla trasformazione del CPM in una organizzazione più centralizzata, Sinistra Proletaria (SP), dove la componente favorevole alla lotta armata quale strumento della lotta rivoluzionaria e di classe divenne man mano preponderante, dinanzi alla sensazione - percepita non solo nel CPM e SP ma in tutte le componenti della sinistra fino al PCI - di una pesante deriva a destra e involuzione autoritaria dello Stato, con pericoli di colpo di Stato.
Dalla metà del 1970 la discussione all'interno del CPM/SP si incentra sulla questione della lotta armata, dell'uso della violenza e del ricorso alla clandestinità [17].
La fondazione delle Brigate Rosse
[modifica | modifica wikitesto]Con il Convegno di Pecorile, nel settembre 1970, cessa l'esperienza di SP: molti suoi membri influenti, quali Curcio, Cagol e Franceschini scelgono la clandestinità e la lotta armata, fondando immediatamente e annunciando[18] la nascita delle Brigate Rosse, la cui prima azione[19] si data al 17 settembre 1970.
Il 17 agosto del 1970, presso l'albergo "Da Gianni" a Costaferrata (al tempo Casina) di Pecorile (frazione di Vezzano sul Crostolo), si riunirono i militanti di Sinistra Proletaria e fu decisa la fusione del troncone favorevole alla lotta armata con quello sindacalista.[20]
In realtà, appare difficile identificare un luogo e una data precisa per la nascita del futuro «Partito Armato». Panorama[21] e altri[22] ritengono che la vera genesi del movimento terrorista sia da ricercare nella riunione di Costaferrata (RE) dell'agosto 1970. Secondo queste fonti, si è creduto a lungo che le Brigate Rosse fossero nate dopo un congresso all'hotel Stella Maris di Chiavari, nell'autunno 1969. In Liguria vennero forse decise la clandestinità e la lotta armata, ma la scelta di dar vita ad un movimento guerrigliero era stata fatta altrove. Tonino Loris Paroli, militante della colonna torinese delle BR detenuto per 16 anni, ha raccontato che la vera nascita del gruppo avvenne Da Gianni, ristorante con alloggio a Costaferrata, frazione del comune di Casina, a 650 metri sui monti intorno a Reggio Emilia, in Val d'Enza, di fronte ai ruderi del castello di Matilde di Canossa. Fu un vero congresso, durò dal lunedì al sabato. Parteciparono una settantina di fuoriusciti dalle sezioni del PCI reggiano, milanese e trentino, che avevano preso alloggio nelle case del paese e chiesto aiuto anche al parroco, Don Emilio Manfredi, per la logistica. Il maresciallo dei carabinieri avvertito della riunione si informò se disturbassero e poi non si occupò più della faccenda. Fra i partecipanti molti sarebbero stati dei protagonisti negli anni successivi: i duri di Reggio, quelli del «movimento dell'appartamento» quasi al completo (un gruppo di giovani, in gran parte provenienti dal PCI e dalla FGCI, ma anche dal mondo cattolico e dall'area anarchica, che cominciarono a ritrovarsi dall'estate 1969 in una grande soffitta in via Emilia S. Pietro 25 a Reggio Emilia), Sinistra Proletaria, militanti di Milano, di Torino, di Genova, due di Trento.
Dai detrattori delle BR la denominazione «Brigate Rosse» venne facilmente affiancata ai corpi di repressione antipartigiana della Repubblica Sociale Italiana, le Brigate Nere.[7] Uno dei suoi fondatori (Renato Curcio) ha raccontato in realtà di un riferimento all'organizzazione armata legata alla Resistenza partigiana milanese, la Volante Rossa, da cui l'aggettivo «Rossa» legato a «Brigata», tipica denominazione militare oltre che partigiana (le Brigate Garibaldi). Le prime azioni dell'organizzazione infatti furono firmate «Brigata Rossa» al singolare.
Ideologia
[modifica | modifica wikitesto]Altro da BR da integrare
[modifica | modifica wikitesto]Le origini: la nascita del «partito armato»
[modifica | modifica wikitesto]Fin dai suoi albori, l'organizzazione terroristica comprendeva tre distinte anime, ognuna delle quali ebbe una propria peculiare genesi e una propria data di nascita.[23] La galassia brigatista si presentava tutt'altro che monolitica, in quanto le diverse correnti ivi confluite erano solo ideologicamente e politicamente affini, ma non sempre concordi e coerenti sui modi, sui mezzi e sui tempi indispensabili al raggiungimento del fine. Esisteva un'ala marxista pura e dura, cui apparteneva – ad esempio – Franceschini, secondo la quale i partigiani furono disarmati prima ancora che fosse terminata la guerra di liberazione, in accordo alla tesi della "resistenza tradita". Ad essa s'affiancò un'ala «sindacalista militante» (il cui rappresentante di spicco fu Moretti), meno tesa ad elaborazioni teoriche, anteponendovi la pratica di lotta con rapimenti, intimidazioni e attentati, da compiersi principalmente situazioni legate alla fabbrica. Da ultima, s'identifica un'ala inquadrabile come «catto-comunista», teorica ed egualitaria che aveva in Curcio e in Margherita Cagol gli esponenti più noti. A questa partizione accenna Giorgio Galli nel suo libro Storia del partito armato,[15] suggerendo – altresì – l'ipotesi che fosse proprio la mancanza di collante strategico, presente sin dalla fondazione del movimento, la causa prima della scissione delle Brigate Rosse in gruppi di minor calibro avvenute negli anni tra il 1979 e il 1984, lasciando intravedere un punto debole proprio in quest'anima plurima della galassia brigatista.
Le motivazioni che spinsero allora molti giovani prender parte all'organizzazione, convinti che «la politica dovesse essere intesa solo come azione, come attacco frontale e senza riserve», risiedevano nelle scelte di scardinare senza mediazioni diplomatiche il sistema di gestione del potere politico. Dal punto di vista di chi scelse la via rivoluzionaria, questo potere era completamente in mano ad esponenti della precedente generazione che non potevano esser rimossi per via democratica; gli uni erano intenti a recuperare i valori della libertà del Paese dagli stranieri, nazisti o americani che fossero, gli altri tesi a «forgiare» una società egualitaria in cui marxismo e cattolicesimo radicale fossero fusi insieme, tant'è vero che – secondo la testimonianza di Franceschini – lo stesso Curcio ebbe una volta ad affermare che «Gesù Cristo fu il primo comunista della storia».[15]
L'ideologia brigatista si riconduceva – a loro dire – a un'«incompiuta lotta di liberazione partigiana dell'Italia»: come i partigiani liberarono il popolo dalla dittatura nazifascista, il nuovo movimento rivoluzionario avrebbe dovuto liberare una volta per tutte il popolo dalla servitù alle multinazionali statunitensi. Alla logica partigiana si ispiravano i soprannomi che i brigatisti utilizzavano per celare la vera identità, nonché la struttura verticale dell'intera organizzazione: gruppi di fuoco inquadrati in cellule, a loro volta raggruppate in colonne sotto l'egida della direzione strategica.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Nato come Collettivo Politico Metropolitano
- ^ Il periodico Sinistra Proletaria viene sostituito da Nuova Resistenza
- ^ Biblioteca Multimediale Marxista: http://www.bibliotecamarxista.org/soccorso%20rosso/capitolo%204.htm
- ^ <Brigate Rosse Archiviato il 6 giugno 2012 in Internet Archive.
- ^ Soccorso Rosso, cap.3: Dall'autunno caldo al "Collettivo Politico Metropolitano"
- ^ Nuova sinistra italiana - Fondazione Giangiacomo Feltrinelli Archiviato il 7 dicembre 2011 in Internet Archive.
- ^ a b Sergio Zavoli, La notte della Repubblica, Roma, Nuova Eri, 1992.
- ^ a b Vito Molinari: “Io, brigatista Rosso”; 2021; Zona Ed.; ISBN 9788864389219
- ^ a b c d e Indro Montanelli e Mario Cervi, L'Italia degli anni di piombo, Milano, Rizzoli, 1991.
- ^ Renato Curcio e Mario Scialoja, A viso aperto, Milano, Mondadori, 1993.
- ^ Il Partito armato in Italia, su ladestranews.it, La Destra News, 10 settembre 2012. URL consultato il 10 settembre 2012 (archiviato dall'url originale il 10 settembre 2012).
- ^ Maria Vittoria Cascino; Lorenzo Podestà: “Dalla croce alla stella, Novembre 1969: i fondatori delle Brigate Rosse nei locali della Curia Vescovile”; Prefazione di don Enzo Mazzi; 2009; Bradipolibri Editore srl; ISBN 9788896184127
- ^ Gabriele Penati: "1, "Storia delle Brigate Rosse": "CAP. 1 LA GENESI DELLE BRIGATE ROSSE 1969-1970 / PROLOGO – IL MOVIMENTO STUDENTESCO E IL ‘68", ne "Il Ricercatore". Consultabile al website: http://www.ilricercatore.altervista.org/alterpages/files/BrigateRosse.cap1.pdf
- ^ Alberto Franceschini, Pier Vittorio Buffa e Franco Giustolisi, Mara, Renato ed io, Milano, Mondadori, 1988.
- ^ a b c Giorgio Galli, Storia del partito armato, Milano, Rizzoli, 1986.
- ^ a b c Biblioteca Multimediale Marxista http://www.bibliotecamarxista.org/soccorso%20rosso/capitolo%203.htm
- ^ Robertobartali.it - La Sinistra extraparlamentare
- ^ Sinistra proletaria annuncia la nascita delle Brigate rosse - Cronologia - Eventi storici e tesi di laurea
- ^ Tesi di Laurea - Brigate Rosse: dalla fondazione alla dissoluzione del gruppo storico
- ^ https://www.ilrestodelcarlino.it/reggio-emilia/cronaca/brigate-rosse-costaferrata-1.2484412 consultato il 17 gennaio 2023 alle ore 21.53
- ^ Panorama n. 42 del 14 ottobre 2010; pp. 205-208.
- ^ rifondazione-cinecitta.org Archiviato l'11 novembre 2010 in Internet Archive..
- ^ Sergio Zavoli: "LA Notte della Repubblica", episodio IV del 03 gennaio 1990: "La nascita delle Brigate Rosse", visibile su YouTube
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Stefania Argentini, Emilio Bellucci e Francesco Carlucci, Giuseppe De Lutiis, Carlo Shaerf, Alessandro Silj, Venti anni di violenza politica in Italia. 1969-1988. Cronologia e analisi statistica, a cura di ISODRACO, vol. 1.1, Roma, Università degli Studi di Roma "La Sapienza", 1992.
- G. Galli, Storia del Partito Armato, Edizioni CDE, Milano, 1986
- Renato Curcio, Mario Scialoja, A viso aperto, Mondadori, 1993
- Alberto Franceschini, Mara Renato ed io: storia dei fondatori delle B.R., Mondadori, 1998
- V. Tessandori, Imputazione: Banda Armata, Garzanti 1977