Indice
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Inizio
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1 Etimologia
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2 Cerimonia
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3 Critica
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4 Pratiche simili
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5 Note
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6 Bibliografia
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7 Etimologia
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8 Storia
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9 Modalità di svolgimento del rito
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10 Significato dei riti
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11 Uso e simbolismo degli aghi
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12 Pratiche contemporanee
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13 Templi e santuari
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14 Note
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15 Bibliografia
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16 Voci correlate
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17 Biografia
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18 Note
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19 Bibliografia
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20 Voci correlate
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21 Biografia
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22 Note
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23 Bibliografia
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24 Voci correlate
Utente:LorManLor/Sandbox5
sto traducendo https://de.wikipedia.org/wiki/Mizuko_kuy%C5%8D
Mizuko kuyō 水子供養?, mizuko kuyō, trad.: Cerimonia commemorativa del bambino acquatico) è una cerimonia praticata in Giappone dopo aborti spontanei o indotti, bambini nati morti.
Sebbene i riti per i nascituri siano noti da tempo nel buddismo, l'usanza odierna è diventata popolare solo negli anni '70 con la creazione di santuari dedicati esclusivamente a questo rituale e non ha radici dirette nelle idee tradizionali. Le ragioni del rito includono il dolore dei genitori, il desiderio di confortare l'anima del feto, il senso di colpa dopo un aborto o la paura della punizione da parte di uno spirito vendicativo .
Etimologia
[modifica | modifica wikitesto]Il termine mizuko 水子 è formato dall'ideogramma 水, mizu, che significa "acqua" e da 子 ko, che significa "bambino". Letteralmente "bambino d'acqua", è usato in riferimento ai feti abortiti e ai neonati nati morti.[1] Kuyō (供養) si riferisce a una cerimonia di sepoltura. I caratteri di Mizuko possono in alternativa essere letti suiko e originariamente significano il nome di Dharma (kaimyō) che veniva conferito dopo la morte.[2]
Il mizuko kuyō, tipicamente eseguito dai sacerdoti buddisti, era usato per fare offerte a Jizō, un bodhisattva protettore dei bambini.[3]
È storicamente legato agli aborti spontanei, ma anche agli aborti e al cosiddetto “controllo delle nascite postnatale”, in cui la comunità accettava tacitamente l’infanticidio non solo per necessità e povertà, ma anche per assicurarsi la prosperità. Nel Giappone di oggi, il mizuko kuyō è di nuovo presente, anche se non è chiaro fino a che punto le cerimonie praticate oggi si basino su forme storiche. Fino al XXI secolo la cerimonia era principalmente legata al controllo delle nascite a causa, ad esempio, della mancanza di educazione sessuale e della mancanza di contraccettivi; la pillola contraccettiva è stata completamente legalizzata in Giappone nel 1999, mentre l’industria dell’aborto era fiorente.
Cerimonia
[modifica | modifica wikitesto]Elementi specifici della cerimonia variano da tempio a tempio, da scuola a scuola e da individuo a individuo; può variare da un singolo evento a uno che si ripete mensilmente o annualmente.
Elemento comune è la messa a disposizione, dietro donazione, di una statua di Jizō nel giardino di un tempio, che può fungere da luogo di ricordo, in assenza di una tomba. La statua viene poi vestita con bavaglini e un berretto rosso e gli officianti - anche solo uno dei due genitori - possono decorarla anche con oggetti riservati al soggetto commemorato.
Sebbene il servizio vari, gli aspetti comuni ricordano la cerimonia per i defunti recenti, il senzo kuyō (先祖供養). Il sacerdote si rivolge all'altare ed evoca i nomi di vari Buddha e bodhisattva. Vengono eseguiti mantra , spesso il Sutra del Cuore e il 25° capitolo del Sutra del Loto, noto come "Avalokiteśvara Sutra", così come inviti di lode a Jizō. Vengono offerti doni al Buddha per conto del lutto, in genere cibo, bevande, incenso o fiori. Un kaimyō viene dato al defunto e una statua di Jizō viene spesso posta sul terreno del tempio al termine della cerimonia.
Critica
[modifica | modifica wikitesto]Sebbene questa usanza sia nota in pubblico già dagli anni ’70, ci sono preoccupazioni e voci critiche che accusano i templi di voler trarre profitto dalla sventura delle donne e delle famiglie. Gli studiosi di religione americani criticarono il fatto che fosse espressamente invocata e sfruttata la convinzione giapponese che gli spiriti dei morti potessero vendicarsi dei maltrattamenti subiti. Altri ricercatori sostengono che i templi soddisfano solo i bisogni delle persone.
Pratiche simili
[modifica | modifica wikitesto]Una pratica simile si trova nella Taiwan contemporanea, dove è conosciuta come yingling gongyang. La pratica taiwanese moderna è emersa a metà degli anni '70 e ha acquisito una popolarità significativa negli anni '80; trae spunto sia da antecedenti tradizionali risalenti alla dinastia Han, sia dalla pratica giapponese, ed è popolarmente percepita come una pratica importata dal Giappone.
Queste pratiche moderne sono emerse nel contesto del cambiamento demografico associato alla modernizzazione – aumento della popolazione, urbanizzazione e riduzione delle dimensioni della famiglia – insieme al cambiamento di atteggiamento nei confronti della sessualità, che si è verificato prima in Giappone e poi a Taiwan, da qui la risposta simile e l'ispirazione di Taiwan al Giappone.
Note
[modifica | modifica wikitesto]Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) Richard W. Anderson, Elaine Martin, Rethinking the Practice of Mizuko Kuyō in Contemporary Japan: Interviews with Practitioners at a Buddhist Temple in Tokyo, in Japanese journal of religious studies, vol. 24, n. 1/2, 1997, pp. 121-143.
- (EN) Anne P. Brooks, Mizuko Kuyō and Japanese Buddhism, in Verbum SVD, vol. 26, n. 4, 1985, pp. 351-363.
- (JA) Anzai Ikuro, 霊はあるか : 科学の視点から / Rei wa aruka : Kagaku no shiten kara, Tokyo, Kodansha, 2022, OCLC 675898292.
- (EN) José Ignacio Cabezón, Buddhism, sexuality, and gender, Albany, State University of New York Press, 1992, OCLC 42855022.
- (DE) Susanne Formanek, Mizuko kuyō: Moderne Ausprägungen und historische Hintergründe der buddhistischen Totenrituale für Ungeborene in Japan (PDF), in Buddhismus in Geschichte und Gegenwart 11: Erneuerungsbewegungen : Vorträge aus dem Wintersemester, 2006, pp. 51-98, OCLC 934352366.
- (EN) Ronald Michael Green, The "mizuko kuyō" debate: an ethical assessment, in Journal of the American Academy of Religion, vol. 67, n. 4, 1999, pp. 809-823, DOI:10.1093/jaarel/67.4.809.
- (EN) Elizabeth G. Harrison, Mizuko kuyō: the re-production of the dead in contemporary Japan, in Peter F. Kornicki, I. J. McMullen (a cura di), Religion in Japan : arrows to heaven and earth, Cambridge, Cambridge UP, 1996, pp. 250-266, OCLC 1063317642.
- (EN) Kayoko Komatsu, Mizuko Kuyō and New Age Concepts of Reincarnation, in Japanese journal of religious studies, vol. 30, n. 3/4, 2003, pp. 259-278.
- (EN) William R. LaFleur, Liquid Death. Buddhism and Abortion in Japan, Princeton, Princeton University Press, 2020, OCLC 1280944116.
- (EN) Bardwell Smith, Buddhism and Abortion in Contemporary Japan: "Mizuko Kuyō" and the Confrontation with Death, in Japanese Journal of Religious Studies, vol. 15, n. 1, 1988, pp. 3-24.
- Nicola Martellozzo, Mizuko kuyō, o il transito della presenza (PDF), in Dada Rivista di Antropologia post-globale, vol. 2, 2020, pp. 111-126.
- (EN) R. J. Zwi Werblowsky, Mizuko kuyō: Notulae on the Most Important "New Religion" of Japan, in Japanese journal of religious studies, vol. 18, n. 4, 1991, pp. 295-354.
Hari-Kuyō (針供養?, Hari kuyō, trad.: Funzione commemorativa in memoria degli aghi) è un rito buddista e shintoista giapponese che si svolge nei templi e nei santuari l'8 febbraio nella regione di Kantō e l'8 dicembre nella prefettura di Kyoto e nella regione di Kansai, due date che nei vecchi calendari lunari segnavano l'inizio e la fine delle attività agricole.[1][2][3]
È celebrato per commemorare gli aghi da cucito e gli spilli inutilizzabili, arrugginiti, piegati o rotti durante l'uso nell'anno precedente, per garantire il loro riposo con un rito funebre, esprimendo gratitudine per il servizio reso, e per chiedere di poter migliorare nel futuro, attraverso le preghiere, le proprie capacità di cucito e raggiungere un successo lavorativo.[4][5]
È anche definito "funerale degli aghi", "messa dell'ago" o festa dello spillo.[6][7] Particolarmente popolare nelle scuole femminili, si svolge come sede principale nel santuario di Awashima (淡嶋神社), nella piccola città costiera di Kada, nella città di Wakayama, e in tutti i templi che possiedono una sala dedicata a questa divinità (淡島神).[8][9]
Etimologia
[modifica | modifica wikitesto]Hari (針) significa "ago" e kuyō (供養, letteralmente "fare offerte per nutrire") è una traduzione del sanscrito pūjā पूजा che nel buddismo indiano si riferiva originariamente a rituali di adorazione e di preghiera rivolti ai cosiddetti tre Gioielli: il Buddha, il suo insegnamento (dharma, la via della verità) e la comunità monastica (sangha).[10][11][12]
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Le origini di questo rito sono controverse.[13] Generalmente si ritiene che l'hari-kuyō sia stato praticato fin dall'inizio del periodo Edo e che abbia raggiunto il suo apice a metà dell'era Meiji[14]. Una delle prove citate dagli studi è l'illustrazione di un cerimoniale per aghi dell'artista Makieshi Genzaburo, contenuta nell'Jinrin kinmō zui (人倫訓蒙図彙 Dizionario illustrato della moralità) pubblicato nel 1690.[15][16]
Alcuni autori ritengono che questo rito derivi da pratiche cinesi introdotte in Giappone durante il periodo Heian e diffuse attraverso il santuario di Awashima a Wakayama, e si riferiscono in particolare ad una festa in vigore durante la dinastia Tang, durante la quale si omaggiavano gli antenati e le divinità agricole e venivano sospese tutte le attività, compreso il cucito.[17][18][19]
Altri studi ne collocano le origini in leggende locali. In una di queste viene narrato che una donna, accusata falsamente dalla nuora di aver rubato degli aghi, si sarebbe gettata in mare, affranta da questa infamia. Dopo essersi trasformata nel pesce harisebon (金十千本, trad.: milleaghi), sarebbe saltata fuori dall'acqua e avrebbe morso la suocera sul viso. Da qui sarebbe nata la consuetudine, nelle famiglie con una figlia dedita al cucito, di astenersi dal praticarlo senza avere eseguito una forma di kuyō, nel caso il giorno precedente il mare si fosse presentato particolarmente agitato.[1]
La maggior parte degli autori si sofferma sul legame tra l'hari kuyō e il culto della divinità Awashima, venerata principalmente nel santuario di Awashima (淡島神社) sulla baia di Kada nella penisola di Kii, prefettura di Wakayama.
Il santuario di Awashima
[modifica | modifica wikitesto]Nei tempi antichi nella baia di Kada si veneravano due divinità: Sukunahikona-no Mikoto (少彦名命), dio della medicina e della conoscenza e Ōnamuchi-no Mikoto (大己貴命), dio dell'agricoltura. Sukunahikona, venerato come il protettore dei pescatori e dei marinai, era un kami nativo, "traccia" manifesta di una divinità buddhista indiana, il bodhisattva Kokuzo.[20][21]
Le diverse leggende che raccontano l'origine di Awashima hanno come nucleo centrale le vicissitudini dell'imperatrice Jingū (201-269), che di ritorno dalla Corea, dove aveva guidato l'esercito imperiale, a causa del mare agitato o, in un'altra versione, dei dolori della gravidanza, avrebbe trovato riparo nell'isola di Tomogashima, di fronte alla baia di Kada.[22] Per riconoscenza, avrebbe offerto una parte del tesoro che portava con sé alle divinità locali. [23]
Il luogo in cui esse venivano venerate sarebbe stato in seguito trasferito, per comodità, sulla baia di Kada, dove sorse un tempio.[23] Oltre alle due divinità già venerate, si sarebbe aggiunta la stessa imperatrice ( Okinagatarashihime no Mikoto 気長足姫尊), alla quale, in molti testi del XVIII e XIX secolo, sarebbe stato riconosciuto il potere di guarire le malattie femminili.[24][25]
In un'altra leggenda, Awashima sarebbe indicata come la moglie del dio Sumiyoshi 住吉, cacciata da questi a causa di malattie che l'avevano colpita nella parte inferiore del corpo, e poi divenuta la divinità a cui le donne si rivolgevano per disturbi ginecologici.[26] Il suo nome, 婆利塞女, leggibile come Harisaijo o Harisainyo, evocherebbe nella sua prima parte il termine Hari, "ago".[27]
Menzionato già all'inizio del X secolo nell'Engishiki con il nome di Kada Jinja, alla fine del XV secolo, con la costruzione di un tempio buddista, il santuario sulla baia di Kada sarebbe diventato il luogo di culto di Awashima Myojin, una forma combinata di divinità, risultato della fusione di più entità sacre, tra cui Sukunabikona e Ōnamuchi, e si sarebbe sviluppato come un centro di sincretismo shinto-buddhistico specificamente rivolto alle donne.[28][29]
Awashima venne venerata per i suoi poteri di guarigione di disturbi che riguardano le donne, come la leucorrea e l'infertilità, e per l'esaudimento di preghiere per un buon matrimonio, il concepimento e un parto sicuro.[30]
Il culto si sarebbe diffuso dal santuario di Wakayama a tutto il paese attraverso i monaci e le monache erranti devoti a questa divinità, chiamati Awashima gannin 淡島原頁人, ai quali le donne erano solite consegnare aghi rotti e indumenti contaminati.[18] Durante i loro viaggi, da Tōhoku a Kyūshū, gli Awashima gannin recitavano sutra e raccontavano storie sulle origine e le virtù della divinità, trasportando tempietti portatili ai quali le fedeli rivolgevano preghiere e offerte - tra cui bambole hina, pettini e forcine - per una gravidanza priva di problemi e per la protezione dalle malattie.[31]
Non è chiaro esattamente quando siano iniziati i riti hari-kuyō, di cui si ha sicura menzione alla fine del XVII secolo.[15] Il santuario di Awashima a Wakayama, dove dopo la purificazione rituale e le preghiere di ringraziamento gli aghi vengono sepolti in un tumulo ad essi dedicato (hari zuka), è anche il luogo di svolgimento di un altro importante rito kuyō, il più famoso del Giappone: il ningyō kuyō 人形供養, rito di commemorazione delle bambole.[32][33] Esso trarrebbe origine dalla cerimonia hina-nagashi 雛流し, celebrata il terzo giorno del terzo mese dell'anno, durante la quale i devoti offrivano alla divinità delle bambole, considerate strumenti rituali e talismani, fatte galleggiare in mare su barche di legno realizzate appositamente.[34][35]
Secondo lo studioso giapponese Washimi Sadanobu il rito commemorativo degli aghi potrebbe essere nato nel santuario di Awashima come variante di questa cerimonia, le cui origini sono collocate da alcuni autori nel periodo Heian, e a suo parere ne rafforzerebbero l'ipotesi le leggende secondo cui Sukunabikona avrebbe inventato l'arte del cucito.[36][37][38]
In un testo di Shijidō Kigen pubblicato nel 1713, Kokkei zōdan (滑稽雑談, Storie divertenti), nel raccontare la festa di Awashima (Awashima matsuri) viene indicato un racconto popolare in cui la divinità è chiamata "Ago celeste" (Harisai Tennyo, 婆利塞天女).[39][40]
Lo studioso Fabio Rambelli ritiene che l'hari-kuyō sia il risultato dell''incontro di diverse tradizioni e riti: la cerimonia delle bambole hina, i riti folklorici legati al calendario agricolo nel periodo Edo, fondati sulla religione popolare cinese, e la dottrina buddhista della salvezza. Secondo Rambelli, nel periodo Tokugawa (1603-1868) il culto degli aghi, simbolo del lavoro femminile, avrebbe subito un attacco da parte dei nativisti moderni (kokugaku) che si opposero al culto di Awashima sia per centralità assegnata alle donne, che per il suo legame con il buddhismo, aprendo la strada in età moderna alla diffusione di rituali commemorativi simili per altri oggetti.[41]
Modalità di svolgimento del rito
[modifica | modifica wikitesto]Nel passato gli aghi usati, conficcati in un blocco di tofu, in una torta di riso o in un'altra sostanza morbida come il konnyaku, un tipo di gelatina, in modo da rendere confortevole il loro viaggio finale dopo una vita di duro lavoro, venivano portati al tempio dove un monaco recitava un sutra e porgeva una benedizione, oppure, in alcune regioni, venivano lasciati galleggiare su un fiume o in mare.[42][43][44]
Alcune testimonianze riferiscono che il rito non si svolgesse in una data fissa, ma quando gli aghi diventavano inutilizzabili, e che venisse eseguito anche nelle abitazioni private e sul posto di lavoro.[45]
Tra quelli destinati al rito, un tempo erano compresi anche gli aghi usati per l'agopuntura, per i tatuaggi o per cucire i tatami, così come gli ami da pesca e gli aghi da iniezione, una consuetudine che, anche per motivi sanitari, è andata via via riducendosi nel corso del tempo.[2]
Tradizionalmente, non si faceva o non si fa nessun lavoro di cucito nel giorno dell'hari kuyō.[42]
Le diversità regionali e religiose (i riti eseguiti nei santuari shintoisti e nei templi buddisti seguono ognuno il proprio vocabolario dottrinale e la propria forma rituale) e i diversi officianti (possessori degli oggetti, organizzazioni commerciali, turisti, ecc.) determinano il contenuto e lo svolgimento del rito, variabile da tempio a tempio.[46]
Nella commemorazione che si svolge nel tempio Sensō-ji di Tokyo,[47] le persone presenti, per lo più donne, infilano i loro aghi in blocchi di tofu posti sui tavolini "con un sentimento di gratitudine" (kansha no kimochi), fanno la fila davanti ad una pietra commemorativa eretta nel 1982 di fronte alla sala Awashima da un'organizzazione professionale di cucito (Tokyo Wafuku Saiho Kyoshikai, 東京和服裁縫教師会) e dopo aver fatto un'offerta in denaro, bruciano l'incenso, uniscono le mani e chinano la testa in preghiera.[48]
Prendono poi posto sui tatami nella sala del tempio e a un'ora prestabilita ha avvio la cerimonia con la recita dei sutra da parte di una decina di monaci in vestiti colorati che fanno il loro ingresso recando piatti color oro da cui pendono tre corde: una arancione, una bianca e una verde. Terminato il rituale, i monaci seppelliscono gli aghi in un terreno del tempio, "restituendoli alla terra".[49]
Diversi autori evidenziano l' "umanizzazione" dei riti commemorativi degli oggetti, che si svolgono seguendo lo schema: nascita (produzione), vita (uso, funzione), morte (esaurimento, dismissione), seppellimento o cremazione (smaltimento).[50]
Nell'hari kuyō che si svolge ogni anno al santuario Hataeda-bari 巾番枝金十 nel nord di Kyoto, i partecipanti accompagnano il rito con canzoni, come la seguente Canzone di gratitudine per gli aghi (針に感謝するうた), con cui ringraziano ripetutamente questi strumenti per il servizio reso:[51]
«針供養針供養お針のお陰で私等は楽しい生活出来るのよ
針さん針さん有難う
皆で針さん拝みましょう何時何時までも
針々々上»
«Grazie a voi aghi possiamo condurre una vita felice
Grazie aghi
Preghiamo tutti gli aghi sempre e per sempre
aghi aghi aghi»
Significato dei riti
[modifica | modifica wikitesto]Molti studi sottolineano come alla base delle funzioni commemorative dedicate a oggetti inanimati, come gli aghi, vi sia un sistema di credenze "ancestrali" secondo cui i confini tra esseri umani, piante, animali e cose sono fluidi, "tutti inesorabilmente coinvolti in un ciclo infinito di nascita, morte e rinascita".[52][53]
Il concetto religioso del somoku jobutsu 草木成仏 (letteralmente “l'illuminazione di erbe e alberi”), ossia la convinzione che anche esseri non senzienti possano raggiungere la buddhità, è un'idea rintracciabile in alcuni pensatori buddisti giapponesi come Kūkai (774-835), fondatore della scuola Shingon e Dogen (1200-1253), fondatore della scuola Zen Sōtō.[54][55]
Tale concezione attribuisce agli oggetti, come agli esseri viventi, la possibilità di rinascere in altre forme, e sostiene che la loro "morte" necessiti di essere trattata con particolare attenzione e rispetto, riconoscendo e onorando il ruolo sociale che essi hanno svolto.[5]
Secondo la studiosa Angelika Kretschmer l'argomentazione del somoku jobutsu non sarebbe sostenuta da sufficienti prove, non esistendo riscontri dell'esistenza di tali riti prima del periodo Edo; risulterebbe inoltre estranea alle motivazioni dei praticanti dei riti kuyō per oggetti inanimati che si svolgono in età contemporanea e che risultano dedicati non alle piante, ma ad oggetti di fattura umana, con i quali gli officianti intrattengono un rapporto affettivo e che, soprattutto nel caso degli strumenti di lavoro, vengono percepiti come un'estensione del corpo del loro possessore.[56]
Lo studioso Fabio Rambelli, riferendosi a precedenti ricerche sociologiche e interviste effettuate ai partecipanti di questi rituali per conoscere le loro convinzioni in merito alla "vita" degli oggetti, sottolinea la mancanza di uniformità di vedute, evidenziando l'ampia varietà di risposte, che va dall'agnosticismo al totale riconoscimento della presenza di un'anima negli oggetti commemorati.[57]
Alcuni etnologi giapponesi preferiscono ricondurre l'origine dei kuyō per oggetti inanimati alle antiche credenze animiste legate al timore di una maledizione (tatari), che indurrebbero a placare con opportuni riti lo spirito latente presente in ogni oggetto scartato, per evitare che esso possa rivoltarsi con intenti malvagi su chi lo ha usato.[58][59][60]
L'identificazione degli oggetti con spiriti maligni o con "spettri" (tsukumogami), diffusasi soprattutto durante il periodo Muromachi, è stata messa in correlazione da alcuni studiosi ai processi di crescente mercificazione, all' "impatto sulla società urbana giapponese di forme di proto-capitalismo", che avrebbero indotto le istituzioni religiose a intervenire, per consolidare il proprio ruolo, riassegnando importanza a concetti preesistenti sulla natura intrinsecamente animata degli oggetti, de-mercificandoli e sacralizzando il rapporto con i loro possessori.[61]
William LaFleur, autore di studi interdisciplinari su buddhismo e cultura giapponese, ha messo in evidenza il lato consumistico e affettivo che caratterizza, nella ritualità, la relazione oggetti/possessori: l' "umanizzazione" degli oggetti deriverebbe dall'intimità del rapporto stabilito con essi, al quale non sarebbero estranee considerazioni di tipo economico, ma anche culturale, improntate al rifiuto di comportamenti di spreco, all'uso sconsiderato delle "cose".[62]
Un altro concetto messo in relazione all'hari kuyō è infatti quello di mottainai (ない, trad.: spreco), secondo il quale i praticanti si recherebbero nei santuari shintoisti e nei templi buddisti per onorare il duro lavoro degli aghi e per ringraziarli del servizio reso, in linea con la filosofia del "non sprecare" o "rendere onore alle piccole cose".[1][63][64]
Uso e simbolismo degli aghi
[modifica | modifica wikitesto]Nel suo studio sulla rete di credenze e di pratiche associate agli aghi, tra i primi oggetti ad essere onorati dal kuyō nella cultura giapponese, la studiosa statunitense Christine Guth ha sottolineato come, pur essendo variegata la loro funzione di utilizzo - esistevano aghi per l'agopuntura, aghi per orologi e aghi da cucito - si sia affermata, nonostante la pluralità di soggetti per i quali essi rappresentavano un'occupazione e una fonte di sostentamento, una "rappresentazione prescrittiva del genere".[65]
L'ago avrebbe finito con l'essere identificato con le donne e l'ambiente domestico, caratterizzando l'identità femminile, individuale e collettiva. In particolare, l'abilità di utilizzo di questo strumento nella realizzazione e cura degli indumenti per il nucleo familiare sarebbe stata ritenuta parte essenziale dei doveri richiesti ad una donna, specie se sposata, determinandone il valore "come donna".[66][67]
Nello stesso tempo il ricamo avrebbe rappresentato per le donne, secondo Guth, un'occasione per esprimere il proprio talento creativo e per guadagnare un ruolo sociale positivo, rendere evidente il loro lavoro. In questa attività aghi e ricamatrici "si configuravano a vicenda": i primi routinizzavano la quotidianità delle donne, mentre queste ultime ne detenevano la proprietà e li rendevano strumenti delle loro creazioni.[68] Anche la rottura di un ago assumeva una doppia valenza: simbolo di interruzione di un lavoro ripetitivo, di una fatica associata ad un ruolo sociale, ma anche cessazione di un rapporto empatico con uno strumento "investito di significato biografico".[68]
Interrogandosi sulle ragioni dell'istituzionalizzazione del santuario di Kada Awashima come sito principale dell'hari kuyō, Guth ne attribuisce l'origine al legame esistente tra la divinità della salute femminile, lì venerata, e le caratteristiche fisiche (forma fallica) e i poteri riproduttivi attribuiti all'ago (il simbolismo dell'accoppiamento sessuale rappresentato dall'atto di cucire), posti fin dall'età medievale in relazione alle donne e alla gravidanza: "la capacità dell'ago di passare sia dentro che fuori da spazi ristretti si prestava all'identificazione sia con la penetrazione fallica che con il passaggio del neonato attraverso il canale del parto."[69]
Attraverso il cucito, caratterizzato dall'alternanza di "pressione e rilascio, afferrare e manipolare, persino accarezzare", analoga ai movimenti e alle esperienze del corpo femminile durante la gravidanza, aghi e donne "si costituivano l'un l'altro fisicamente".[69]
Pratiche contemporanee
[modifica | modifica wikitesto]Nel corso del tempo l'importanza dell'hari-kuyō è diminuita. Nel XX secolo l'usanza è ancora regolarmente osservata nelle scuole di cucito e nelle scuole femminili, da parte di persone che svolgono regolarmente questo tipo di lavoro, sia come professione che come hobby, o da parte di organizzazioni professionali del settore della sartoria.[42][4]
Si ritiene che siano proprio queste ultime ad avere rivitalizzato questa pratica, contribuendo a tenerla in vita anche nel XXI secolo.[46] La celebrazione dell'hari-kuyō in aziende e scuole di cucito con la presenza di un sacerdote buddista, anziché nei santuari, è una variante sempre più praticata.[70]
Nuovi tipi di kuyō
[modifica | modifica wikitesto]In concomitanza con la crescita economica e il protagonismo delle associazioni commerciali, si è progressimente allargato il campo degli oggetti commemorati, fino a comprendere bacchette, bastoni per ciechi, ventagli per ballerini, coltelli da intaglio, fruste da tè (chasen), bambole, biciclette, pennelli, amuleti, kimono e obi, vecchi orologi, cartoline e persino vecchi computer e software.[71][72]
Numerosi gruppi professionali hanno istituito riti kuyō per omaggiare gli strumenti del mestiere, pregare per il successo aziendale, rafforzare il legame tra i membri. A partire dalla fine degli anni quaranta del Novecento, alcune categorie professionali hanno eretto pietre naturali commemorative, come quelle visibili nel parco di Ueno a Tokyo: quella posta da un gruppo di attori kabuki porta incisa l'immagine di ventagli pieghevoli, quella di un gruppo di musicisti ha impressa un'immagine di corde di strumenti musicali, mentre alcune associazioni di ottici e produttori di lenti hanno eretto il monumento agli occhiali, no hi めがねの石卑.[73]
Nel 1977 la parrucchiera Yamano Aiko (1909-1995), pioniera nell'industria giapponese di prodotti di bellezza, ha istituito un nuovo rito kuyō per le forbici che si tiene annualmente il 3 agosto al tempio Zojoji a Shiba, Tokyo.[74]
La maggior parte degli oggetti al termine della cerimonia viene sepolta o bruciata, ponendo in alcuni casi seri problemi di smaltimento. Il santuario di Awashima Kada a Wakayama, in cui si svolge il più famoso ningyō kuyō 人形供養 (memoriale per le bambole) del Giappone, ha dovuto rivedere la scelta di invio all'inceneritore delle circa 300.000 bambole ricevute ogni anno, perché l'aumentato numero di bambole in stile occidentale contenenti cloruro di vinile, generatore di diossina nella combustione, ha sollevato un forte allarme tra la popolazione; i rischi per la salute hanno spinto verso la pratica del riciclo anziché verso l'eliminazione degli oggetti scartati.[75][76][77]
Un posto rilevante all'interno dei kuyō occupano le cerimonie funebri per i feti abortiti o per i bambini nati morti (水子供養?, Mizuko kuyō, trad. lett.: Cerimonia commemorativa del bambino dell'acqua) e quelle per gli animali domestici (pet kuyō ペット供養).[78]
Templi e santuari
[modifica | modifica wikitesto]Lo studioso Fabio Rambelli riporta come alla fine del periodo Edo, le fonti indicassero l'esistenza di circa 3.000 sale Awashima, "pesantemente prese di mira" nei primi anni Meiji durante le persecuzioni anti-buddiste. Nel corso del XX secolo ne sarebbero state ricostruite alcune, come quella di Sensoji, situate all'interno di templi buddisti.[79]
I principali templi e saltuari in cui all'inizio del XXI secolo si svolge l'hari-kuyō sono:
- Santuario di Awashima (Kada, città di Wakayama)[38]
- Tempio Sensō-ji (quartiere Taito, Tokyo)[80]
- Shojuin (Shinjuku-ku, Tokyo)[81]
- Tempio Moriganji, Awashimado (quartiere Setagaya, Tokyo) [82]
- Santuario Tomioka Hachimangu/Santuario Awashima (Tomioka, quartiere Koto, Tokyo)[43]
- Tempio Hōrin-ji ad Arashiyama, prefettura di Kyoto[18][64]
- Santuario Hataeda Hachimangu (Kyoto)[43]
- Santuario Takenobu Inari (Kyoto)[18]
- Santuario Tenmangū (Kibisha) di Osaka[18]
- Tempio Taiheiji di Osaka[83]
- Santuario Egara Tenjin (Nikaido, città di Kamakura)[84]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c (EN) David Boyd, Hari-Kuyo, su jpf.org.au. URL consultato il 23 dicembre 2024 (archiviato dall'url originale il 7 febbraio 2016).
- ^ a b Kretschmer, p. 388
- ^ Rambelli, p. 233
- ^ a b Dictionnaire historique du Japon, p. 68
- ^ a b Guth, p. 181
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- ^ (EN) Mary Evans Richie, Hari kuyo, in A Hundred Things Japanese, Tokyo, Japan Culture Institute, 1978, pp. 6-7, ISBN 978-0870403644.
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Bibliografia
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Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]- Bambole giapponesi
- Buddismo
- Hinamatsuri
- Jingū
- Kūkai
- Kokugaku
- Pūjā
- Shinbutsu shūgō
- Shintoismo
- Sukuna-hikona
- Tsukumogami
Chigusa Kitani, nata Eiko Yoshioka (吉岡 英, Yoshioka Eiko ) (木谷 千種?, Kitani Chigusa; Osaka, 17 febbraio 1895 – Osaka, 24 gennaio 1947), è stata una pittrice e insegnante giapponese, una delle quattro artiste nihonga di Osaka attive nell' era Taishō e nel primo periodo Shōwa, conosciute come "Setsu-Getsu-Ka-Sei" (trad.ː neve, luna, fiori e stelle)[1].[2] [3]
Dalla sua prima selezione nel 1919 alla 6ª mostra nazionale d'arte del Ministero dell'istruzione e delle belle arti, la mostra più prestigiosa del Giappone, venne selezionata dodici volte, acquistando notevole fama anche fuori dei confini del paese.
Specializzata in ritratti di belle donne (bijinga), sperimentò anche la pittura di genere, temi riconducibili al teatro kabuki e bunraku e agli usi e costumi di Osaka.[4]
Biografia
[modifica | modifica wikitesto]Eiko Yoshioka (吉岡 英, Yoshioka Eiko) nacque il 17 febbraio 1895 nel quartiere Kita-ku di Osaka Dōjima (堂島). Il padre, Seijiro Yoshioka, era un commerciante di beni e articoli cinesi; la madre morì di malattia quando Eiko aveva appena due anni.[5][6]
Particolarmente dotata di talento artistico, nel 1907 la dodicenne Eiko venne mandata a Seattle, negli Stati Uniti, per apprendere le tecniche della pittura occidentale (yōga).[7] Due anni dopo, al suo ritorno ad Osaka, studiò nella prestigiosa scuola femminile Shimizudani ed ebbe come insegɳante Fukada Chokujō, pittore della scuola Shijō (四条派, Shijō-ha), noto per i suoi dipinti di uccelli e fiori (kachō-ga 花鳥画).[8][9]
Nel 1913 si trasferì a Tokyo per studiare con la pittrice Ikeda Shōen, specializzata in bijin-ga (immagini di belle donne); rientrata a Osaka, divenne allieva dei pittori nihonga Kitano Tsunetomi e Noda Kyuho.[8]
Debutto e affermazione artistica
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1915, all'età di 20 anni, il dipinto di Eiko Yoshioka Shin-kyo (新居, "Nuova casa" ) venne selezionato per la prima Mostra di Belle Arti di Osaka (大阪美術展覧会, Osaka Bijutu Tenrankai).[7] Lo stesso anno partecipò alla 9ª mostra promossa dal Ministero dell'Istruzione e delle Belle Arti (Monbushō Bijtsu Tenrankai 文部省 美術展 覧会, abbreviata in "Bunten" e successivamente denominata "Teiten"), con l'opera Hari-Kuyō (針供養, Cerimonia commemorativa per i vecchi aghi) raffigurante Koyachiyo (o Yachiyo II), una famosa geisha di Kyoto.[5]
Nel 1916 con altre tre pittrici - Seien Shima, Okamoto Kōen e Matsumoto Kayō - fondò Onna yonin no kai (女四人の会 Associazione delle quattro donne) con il fine di sostenere e promuovere opere di pittrici; nel maggio dello stesso anno l'associazione organizzò una mostra ad Osaka presentando dipinti ispirati al libro Kōshoku gonin onna (好色五人女 Cinque donne amorose, 1686) dello scrittore Ihara Saikaku. [5][10][11]
Nel 1918 la pittrice partecipò all'Osaka Bijutsu Tenrankai e realizzò il dipinto Nongoku をんごく, in memoria del fratellino scomparso quell'anno, che venne esposto alla 12ª mostra Bunten. Raffigura una giovane ragazza che, ripresa di schiena davanti ad un grande divisorio di legno a forma di grata, osserva dei bambini che stanno al di là di questo spazio. Nongoku è una canzone con cui un tempo le giovani, disposte in fila, accoglievano gli spiriti dei loro antenati durante le festività dell'Obon; la stessa artista dichiarò di essersi ispirata ad Osome (油屋お染), il personaggio femminile dell'opera teatrale bunraku Shinpan Utazaimon (新版歌祭文), un dramma jōruri del tardo periodo Tokugawa.[5][12][13]
Nel 1919, Introdotta dal famoso pittore di Kyoto Takeuchi Seiho, divenne allieva di Kikuchi Keigetsu.[5]
Nel 1920 sposò Hōgin Kitani, uno studioso della città di Osaka e soprattutto di Chikamatsu Monzaemon, un grande drammaturgo jōruri, di cui avrebbe in seguito pubblicato la monumentale opera completa in sedici volumi, acquistando notevole fama.[4]
La coppia ebbe un figlio un anno dopo il matrimonio e Chigusa, che coltivava un interesse per il teatro jōruri già da prima di conoscere il marito, ne condivise gli studi e collaborò nella produzione di xilografie, come Daikyoji Mukashi Goyomi Osan, inserita in appendice all'opera completa di Chikamatsu, e nell'illustrazione di altre pubblicazioni di Hōgin Kitani, comprese quelle riguardanti gli usi e i costumi di Osaka.[4]
In quello stesso periodo Chigusa fondò nella sua casa di Osaka la scuola di pittura Yachigusa-kai (八千草会), con il fine di istruire e promuovere la formazione di giovani donne pittrici; in precedenza aveva insegnato estetica e storia, che erano le basi per lo studio della pittura rivolto alle donne.[14][15]
Il dipinto posto all'ingresso della scuola raffigurava una composizione floreale formata dalle otto piante classiche dell'autunno, chiamate Chigusa, il nome d'arte che la pittrice aveva assunto e che utilizzò come parte del nome della scuola.[7]
L'artista introdusse metodi innovativi di insegnamento ispirandosi alle esperienze artistiche più avanzate; invitò insegnanti esterni, realizzò viaggi d'istruzione e organizzò mostre - la prima delle quali svoltasi nel 1925, con la partecipazione di altre pittrici di Osaka - nelle quali le sue allieve potevano esporre le loro opere.[5][7][11]
Nel 1925 il dipinto Mayu no nagori (眉の名残, Resti di sopracciglia) presentato alla 6ª mostra Teiten, raffigurante una donna con un kimono che lasciava eccessivamente intravedere le sue nudità, secondo alcune versioni avrebbe indotto la polizia a redarguire l'autrice perché nel futuro evitasse immagini così provocatorie.[5][16]
Nel 1926 venne selezionato per la 7ª mostra Teiten il suo dipinto Jōruri-sen (浄瑠璃船 Barca Jōruri), una rappresentazione di barche sul fiume Okawa, con giovani donne, suonatori e venditori ambulanti, in stile ukiyo-e.[17]
Alla 10ª Teiten presentò Gionchō no yuki (祇園町の雪, Neve a Gion), che raffigura due maiko intente a guardare dalla finestra.[18][19]
Tra la fine degli anni venti e l'inizio degli anni quaranta espose alle mostre Mostra dell'Accademia Imperiale di Belle Arti (帝国美術院展覧会 (帝展, Teiten, poi Shinbunten), a quelle degli allievi di Kikuchi Keigetsu Kikuchijuku-ten (菊池塾展, "Mostra per la scuola privata di Keigetsu Kikuchi " ) e a quelle dell'associazione di pittrici (Yachigusakai-ten).[7]
Nel 1945 i bombardamenti su Okaka distrussero l'azienda di famiglia e la pittrice, con i suoi familiari, fu costretta a traslocare.
Morì il 24 gennaio 1947 a Minamikawachi, Osaka all'età di 51 anni.[4]
Galleria
[modifica | modifica wikitesto]-
Nongoku (をんごく? 1918)
-
Pubblicità per la società Osaka Shosen Kaisha (1921)
-
Shinjū yoigōshin (心中宵庚申? 1922 (incisione su legno)
-
Barca Jōruri (浄瑠璃船?, Jōruri-sen, 1926)
-
Hokorobi, 1928
-
Bellezza e fiori di ciliegio Kuchi-e (frontespizio litografia)
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ (EN) Kitani Chigusa (1895-1947), su moreofmyjapanesehanga.com. URL consultato il 9 dicembre 2024.
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Voci correlate
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Seien Shima, nata Narei Suwa (島成園?, Shima Seien; Sakai, 18 febbraio 1892 – Takarazuka, 5 marzo 1970), è stata una pittrice giapponese, la più giovane delle tre famose artiste nihonga dell'era Taishō e del primo periodo Shōwa.[1][2][3]
Nel 1912, a soli vent'anni, venne selezionata per esporre alla 6ª mostra Bunten e ricevette particolare attenzione per il suo distacco dalle tradizionali rappresentazioni femminili del genere bijin-ga (美人画, trad.ː dipinti di belle donne), in accordo con la corrente della pittura giapponese dell'era Taisho ispirata ad uno stile espressivo realista.[4][5][6]
Nota anche per la sua abilità nell'incisione e come illustratrice di romanzi popolari e riviste femminili, per i successi ottenuti con le sue opere rappresentò un esempio per le giovani donne che volevano intraprendere una carriera nella pittura, ispirandole a dipingere come attività creativa o professionale.[7]
Biografia
[modifica | modifica wikitesto]Narei Suwa nacque nel 1892 a Sakai, nella prefettura di Osaka, figlia del pittore Eikichi Shima e di Senga Suwa. Nel registro anagrafico del tempo risulta figlia adottiva della famiglia Suwa.[8][9]
Il padre era un artista che dipingeva porte scorrevoli e il fratello maggiore, Mikaze Shima (vero nome: Shimaichi Jiro), era un pittore di ventagli. I nonni materni, presso i quali Narei trascorse parte della sua infanzia, abitavano in una grande casa da tè nel quartiere a luci rosse di Nyushu a Sakai.[9]
Frequentò le scuole elementari di Shukuin e la scuola superiore femminile di Sakai, dove studiò economia domestica e artigianato.[9] Intorno all'età di tredici anni si trasferì con la sua famiglia a Shimanouchi (島之内), un quartiere di intrattenimento di Osaka.[10]
Formazione e debutto artistico
[modifica | modifica wikitesto]Dall'età di circa quindici anni mostrò interesse per il lavoro del padre e del fratello maggiore e imparò a disegnare osservandoli e imitandoli.[11]
Il suo principale maestro fu Kitano Tsunetomi (北野恒富), un incisore e pittore della scuola shin-hanga, figura di spicco dei circoli artistici di Osaka, cofondatore con Noda Kyūho e altri artisti della Taisho Art Society, un'organizzazione volta alla promozione dell'arte tra i giovani e dell'Osaka Chawakai che sosteneva la libera creazione artistica, nella convinzione che i dipinti dovessero mostrare "ciò che è dentro lo spirito" dell'autore.[12][13] Sebbene fosse riconosciuto come uno dei principali pittori e illustratori di bijin-ga, nei primi decenni del Novecento Tsunetomi abbandonò i convenzionali modelli di donne idealizzate ed eteree, per rappresentare nei suoi dipinti e stampe bellezze femminili dai tratti realistici e naturali, permeate di sensualità.[14][15]
La giovane pittrice, seguendo le indicazioni del suo maestro e della sua scuola Hakuyosha, si orientò verso una rappresentazione femminile originale, non tipicizzata e solamente da ammirare, utilizzando gli autoritratti come parte di questo processo.[16] Le esigenze di realismo sorte durante il periodo Taisho favorirono questa reinterpretazione della bellezza muliebre, estendendo la rappresentazione dei soggetti femminili all'ambiente sociale, alla vita quotidiana, alla fisicità e all'esplorazione dell'interiorità.[16]
Nel 1911 patecipò alla Mostra di pittura giovanile di Osaka con un dipinto della poetessa del primo periodo Heian Ono no Komachi e qualche tempo dopo ricevette un encomio per l'opera esposta alla dodicesima mostra di Tatsumi Gakai. L'anno successivo, quando aveva soli vent'anni, Seien Shima fece il suo debutto ufficiale nel mondo dell'arte.[10] La sua opera Souemon-chō no yuū (宗右衛門町の夕, Serata a Souemoncho), raffigurante due maiko in piedi all'angolo di una strada, venne selezionata per essere esposta alla 6ª mostra d'arte statale Mombushō Bijtsu Tenrankai (文部省美術展覧会), conosciuta con il termine abbreviato di “Bunten” (文展).[17][11]
Tre pittrici, tre capitali
[modifica | modifica wikitesto]Nel mondo dell'arte giapponese dell'epoca, incentrato su Tokyo e Kyoto, la comparsa di una giovane pittrice di Osaka fu salutata come una svolta. Insieme a Uemura Shōen 上村松園 e Ikeda Shōen 池田蕉園 divenne nota come una delle Sān dōu sān yuan 三都三園, ossia delle tre artiste "en" (in riferimento all'ultima sillaba dei loro nomi) delle tre "capitali" giapponesiː Osaka (Shima), Kyoto (Uemura) e Tokyo (Ikeda).[4][18][19]
A differenza delle altre due artiste, Seien espresse nei suoi dipinti una notevole sensibilità per le questioni sociali. Alla 7ª mostra Bunten (1913) presentò il dipinto Matsuri no Yosōi (祭りのよそおい, Abbigliamento da festa), oggetto di un encomio, che ritraeva le differenze di classe tra ragazzeː le tre giovani a sinistra del quadro, di elevata condizione sociale, indossano un elegante kimono chiuso da cinture obi e calzini tabi sui tradizionali sandali okobo, hanno ornamenti tra i capelli e un ventaglio in mano; distante da loro, sulla destra, un'altra ragazza in piedi e scalza, con un abito modesto, ha lo sguardo abbassato e tiene un ventaglio dietro la schiena.[18][9]
Un articolo pubblicato su una rivista ridicolizzò il dipinto, criticandolo con argomenti frivoli e sostenendo che l'intento della sua autrice era quello di cercare un marito.[9] Tuttavia, molte giovani donne interessate ad intraprendere la carriera artistica ricevettero un forte stimolo dal successo ottenuto da Shima.[20]
Alla 12ª mostra di pittura di Mitsukoshi nel 1915 le sue opere furono esposte insieme a quelle di pittori famosi come Yokoyama Taikan, Takeuchi Seiho e Kitano Tsunetomi e alla 9ª mostra Bunten dello stesso anno, la sua opera Keiko no hima (稽古のひま, Tempo per la pratica) fu selezionata insieme a Mura no Warabe del fratello maggiore Mikaze, ricevendo notevoli apprezzamenti.[10]
Nello stesso anno realizzò il dipinto Keshō (化粧, Trucco, 1915), nel quale veniva ritratta una donna in piedi che si prepara davanti ad uno specchio, con il kimono che le cade dalle spalle, lasciandole le braccia scoperte e un paravento sullo sfondo .[21]
1916-1919
[modifica | modifica wikitesto]Nel maggio 1916 si tenne a Osaka la prima mostra dell' Associazione delle quattro donne (Jo shi-ri no Kai, 女四人の会), di cui Shima Seien faceva parte con le pittrici Chikusa Kitani, Saraen Okamoto e Kayo Matsumoto.[22] Il tema della mostra era l'opera letteraria Cinque donne amorose di Saikaku Ihara, scrittore del periodo Edo.[23][24]
L'anno successivo, in occasione della mostra Bunten venne selezionato il suo dipinto Uta no Nakaba.
In quello stesso periodo, oltre a stampe e dipinti, Seien iniziò a realizzare frontespizi e illustrazioni per riviste e romanzi a puntate, come La strada per domani di Aimasa Nomura, Shiranui di Mikihiko Nagata e Golden di Koryoku Sato, pubblicato sul quotidiano Asahi Shimbun.[25] Occasionalmente produsse xilografie, alcune comprese nella raccolta New Ukiyo-e Bijingo.[4][26]
Onna おんな, 1917
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1917 realizzò Onna (inizialmente intitolato Kurokami no hokori (黒髪の誇り Orgoglio per i capelli neri), nel quale veniva ritratta una donna con la parte superiore del corpo nuda, intenta a pettinarsi i lunghissimi capelli, con uno sguardo insolito per i dipinti del tempo. Sul suo kimono compariva il disegno della maschera nō del demone femminile Han'nya.[18]
In questo periodo i dipinti di nudo venivano duramente criticati ed è probabilmente per questo che la carica sensuale dell'opera risulta contenuta. Il dipinto venne presentato alla 4ª mostra Inten organizzata dal Nihon Bijutsuin, ma non fu selezionato.[27][10]
Senza titolo 無題, 1918
[modifica | modifica wikitesto]Come Onna, anche Mudai (無題, Senza titolo, ma nota anche come Gashitsu no on'na, 画室の女, trad.ː Donna nella studio di pittura, perché sullo sfondo si intravede uno schizzo di fiori e piante), si allontana dal tradizionale bijinga improntato a rappresentare la bellezza ideale.[28]
Riproponendo la posa femminile del dipinto di Tsunetomi in Atataka (暖か, Caldo), probabilmente ambientato nella stanza di un quartiere a luci rosse, Mudai ritrae una donna seduta sulle ginocchia, vestita con un kimono nero, lo sguardo triste ma diretto puntato sullo spettatore, la bocca semiaperta, i cappelli scomposti e un visibile livido che parte dall'occhio destro e arriva alla guancia, un'immagine che è stata letta come una dimostrazione di solidarietà nei confronti delle donne maltrattate dagli uomini. L'opera, ritenuta un autoritratto della pittrice, è stata così commentata dall'autriceː "Ho raffigurato i sentimenti di una donna con una ferita che maledice il suo destino e maledice il mondo".[29][30]
Senza titolo fu esposto alla Prima Mostra Prototipi dell'associazione Osaka Chawakai, fondata nel 1918, tenutasi nel giugno dello stesso anno.[11]
Kyara no Kaoru 伽羅の薫 , 1919
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1919 il dipinto Kyara no Kaoru (伽羅の薫 ) venne selezionato per la seconda mostra dell'Accademia d'arte imperiale (Teiten). Quest'opera, in cui la madre di Seien fece da modella, si discosta dai dipinti precedenti, improntati ad uno stile realista.[9] Ritrae a grandezza naturale, ma con uno stile grottesco simile ad un manga, una prostituta di Shimabara, con il corpo allungato e un kimono rosso evanescente, circoscritto da un contorno nero e sovrastato da grandi elementi bianchi.[18][31]
Matrimonio, trasferimento in Manciuria e ritorno a Osaka
[modifica | modifica wikitesto]Nel novembre 1919, su decisione del fratello e del padre che versava in gravi condizioni di salute e che sarebbe morto dopo pochi mesi, Seien si fidanzò con il banchiere Toyojiro Morimoto, laureato in giurisprudenza all'Università Imperiale di Kyoto e fratello maggiore di una suo allieva.[32] Dopo il matrimonio Morimoto si trasferì a vivere a casa dei suoceri e questo nuovo progetto di convivenza, al quale la giovane artista non aveva dato pienamente il suo consenso, produsse dei cambiamenti nelle sue abitudini di vita che ebbero un influsso sulle sue creazioni.[33] Così avrebbe commentato il suo nuovo statusː "Quando entra in famiglia una donna come me, la cui unica vita è la pittura, fa del suo meglio, ma si chiede se potrà continuare a vivere esattamente la stessa vita di suo marito".[34]
Nel 1920 Toyojiro venne trasferito nella filiale di Shanghai e Seien lo seguì, pur continuando a recarsi periodicamente a Osaka. In questo periodo produsse alcune opere che esploravano i costumi e le usanze cinesi, come Shanghǎi furen (上海婦人, La ragazza di Shangai).[35] Rispetto ai suoi lavori precedenti è stato rilevato dalla critica come questa produzione riveli minore originalità e interiorità, così come risulterebbero assenti i temi sociali.[32]
Nel 1924 produsse un dipinto intitolato Autoritratto (自画像), nel quale compariva a mezzobusto, con alle spalle l'immagine di un attore kabuki.[36] Lo studioso Chen Ching ha interpretato il ritratto - gli abiti, i capelli arruffati e il volto della donna, molto simile alle foto che ritraggono l'artista da giovane, ma con un'espressione stanca, quasi insoddisfatta della propria vita - come una rappresentazione dei suoi sentimenti dopo il matrimonio.[34]
Nel 1927 Hayashi fu selezionato per l'8ª mostra Teiten, e in quella successiva del 1928 fu l'ultima volta che un suo dipinto venne accettato in una mostra importante.[37][10]
Negli anni seguenti Seien seguì il marito nei suoi numerosi trasferimenti in Giappone e in Cina, allontanandosi da Osaka, la sua città natale artistica, da lei stessa definita "la mia eterna amante"; ridusse quasi del tutto la propria produzione e i suoi contatti con l'ambiente artistico.[38][9]
Attività nel dopoguerra
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1945, dopo la fine della guerra, il marito di Seien raggiunse l'età del pensionamento e l'anno seguente la coppia fece ritorno a Osaka.[32] La pittrice riprese gli studi, affiancata dalla sua allieva Narukun Okamoto, che le rimase vicina per oltre venti anni e che in seguito sarebbe stata adottata dalla famiglia del marito.[32] Nel 1951 realizzò all'Osaka Daimaru la sua prima mostra personale; nel 1960 partecipò alla Mostra delle donne di Osaka, e da allora, fino al 1969, tenne annualmente una mostra con la sua allieva.[9]
Morte
[modifica | modifica wikitesto]Nel marzo 1970, qualche mese dopo essersi trasferita a Takarazuka, morì a causa di un ictus all'età di 78 anni.[9][17]
Mostre postume
[modifica | modifica wikitesto]Nel 2006 si è svolta ad Osaka presso il Tashimaya la mostra "Shima Seien e le pittrici di Naniwa", visitata da oltre 23.000 persone nel corso di 13 giorni, seguita nel 2008 dalla mostra "Donne pittrici a Osaka: bijin-ga e avanguardia nel XX secolo" tenuta presso la sala espositiva Shinsaibashi del Museo di arte moderna.[31][39]
Nel 2021 tre opere dell'artista - Senza titolo 無題 (1918), Ohaguro おはぐろ(1920) e On'na (1917) sono state esposte al Museo Nazionale di arte moderna di Tokyo nella mostra "Ayashii: immagini decadenti e grottesche della bellezza nell’arte giapponese moderna".[40]
Tra dicembre 2023 e febbraio 2024 ha avuto luogo al Museo d'arte di Osaka Nakanoshima la mostra "Edizione definitiva delle pittrici di Osaka" nella quale sono state esposte 186 opere di 59 pittrici giapponesi legate a Osaka, attive nei periodi Meiji, Taisho e Showa. Il catalogo contiene un'autocritica all'espressione contenuta nel nome della mostra "edizione definitiva", in quanto il numero di artiste e opere scoperte nel corso del tempo si è rivelato via via in aumento. Due capitoli del catalogo della mostra sono stati riservati a Shima Sein, definita una "pioniera".[31][41]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ (EN) Shima Seien - "Young Rebel", su moreofmyjapanesehanga.com. URL consultato il 7 dicembre 2024.
- ^ Ito, p. 7
- ^ Altri testi indicano come nome proprio Narie, vedi Merritt, p. 134
- ^ a b c (EN) Shima Seien - "Young Rebel", su moreofmyjapanesehanga.com. URL consultato il 12 novembre 2024.
- ^ (JA) 没後50年 浪華の女性画家 島成園 [50 anni dalla morte della pittrice Naniwa Shima Seien], su osaka-art-museum.jp. URL consultato il 12 novembre 2024.
- ^ (JA) Valutazione artistica di Shima Seien , web.archive.org. URL consultato il 13 novembre 2024.
- ^ (JA) 河野沙也子の「漫画で紹介、先輩画家」 第2回 島成園 女性作家の先駆者として ["I pittori senior introdotti nei manga" di Sayako Kono 2° Shima Seien come pioniere delle artiste donne], su artexhibition.jp, 15 dicembre 2021. URL consultato il 12 novembre 2024.
- ^ Merritt, p. 134
- ^ a b c d e f g h i (JA) 女性日本画家の先駆者 島成園(1) [Seion Shima, la pioniera delle pittrici giapponesi (1)], su toursakai.jp. URL consultato il 13 novembre 2024 (archiviato dall'url originale il 1º giugno 2023).
- ^ a b c d e (JA) 島成園 [Seien Shima], su emosaka.com. URL consultato il 13 novembre 2024 (archiviato dall'url originale il 27 ottobre 2021).
- ^ a b c Ito, p. 7
- ^ (FR) Chris Uhlenbeck, Shin hanga : les estampes modernes du Japon, 1900-1960, Hazan, 2022, p. 220, OCLC 1346155176.
- ^ Ito, pp. 2, 10
- ^ (EN) Kitano Tsunetomi , 1880-1947, su scholten-japanese-art.com. URL consultato il 12 novembre 2024.
- ^ (EN) Kitano Tsunetomi, su britishmuseum.org. URL consultato il 12 novembre 2024.
- ^ a b Ito, p. 3
- ^ a b (JA) 島成園 [Shima Seien], su tobunken.go.jp. URL consultato il 12 novembre 2024.
- ^ a b c d (JA) Toshikazu Masaki, 島成園に見る高い社会感度と近代性 大阪中之島美術館「女性画家たちの大阪」 [Alta sensibilità sociale e modernità viste in Shima Seien al Museo d'arte Osaka Nakanoshima “L'Osaka delle pittrici”], su sankei.com, 9 febbraio 2024. URL consultato il 12 novembre 2024.
- ^ (JA) 秋季特別展 三都三園 上村松園・池田蕉園・島成園 開催 [Mostra speciale autunnale tenutasi in tre città e tre giardini: Kamimura Shoen, Ikeda Shoen e Shimanarien], su kobayashi-bijutsu.com. URL consultato il 13 novembre 2024.
- ^ (JA) 島成園 [Shima Seien], su emosaka.com. URL consultato il 13 novembre 2024 (archiviato dall'url originale il 27 ottobre 2021).
- ^ (JA) 島成園「化粧」 ["Trucco” di Shima Seien], su chugoku-np.co.jp. URL consultato il 13 novembre 2024.
- ^ (JA) 「女四人の会」の活動も紹介 「決定版! 女性画家たちの大阪」大阪中之島美術館 [Presentazione delle attività della "Associazione delle Quattro Donne" "Edizione definitiva! Osaka di pittrici" Museo d'Arte Nakanoshima, Osaka], su sankei.com, 30 novembre 2023. URL consultato il 13 novembre 2024.
- ^ Tomoko, p. 9
- ^ 決定版!女性画家たちの大阪 浪華で花開いた個性と才能 大阪中之島美術館で開催中 [Edizione definitiva! Pittrici di Osaka: individualità e talento sbocciati a Naniwa, ora al Museo d'Arte di Osaka Nakanoshima], su sankei.com, 5 gennaio 2024. URL consultato l'8 dicembre 2024.
- ^ (JA) 日本画家:島 成園(しま せいえん) [Pittrice giapponese: Shima Seien], su natsukiart.co.jp. URL consultato il 12 novembre 2024.
- ^ Merritt, p. 135
- ^ Ito, p. 16
- ^ Ito, p. 8
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- ^ a b Chen, p. 6
- ^ (JA) 上海娘」 島成園 横顔に映る、スター画家の心は [“La ragazza di Shangai” di Shima Seien. Il cuore di una pittrice famosa riflesso nel suo profilo], su asahi.com, 17 maggio 2022. URL consultato il 13 novembre 2024.
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- ^ Tomoko, pp. 140-142
- ^ (JA) 大阪市立近代美術館展覧会 女性画家の大阪 —美人画と前衛の20世紀— [Mostra del Museo d'arte moderna della città di Osaka: Pittrici a Osaka. Dipinti di bellezza e avanguardia del XX secolo], su museum.or.jp. URL consultato il 14 novembre 2024.
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- ^ (JA) 女性画家たちの大阪 = Osaka in the eyes of women painters : 決定版! / Josei gaka tachi no osaka = Osaka in the eyes of women painters : Ketteiban!, Osaka, Osaka nakanoshima bijutsukan, 2023, OCLC 1424534613.
Bibliografia
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