Claudia Jones

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Claudia Jones

Claudia Jones, nata Claudia Vera Cumberbatch (Belmont, 21 febbraio 1915Londra, 24 dicembre 1964), è stata una giornalista e attivista trinidadiana che da bambina emigrò con la sua famiglia negli Stati Uniti, dove divenne un'attivista politica comunista, femminista e nazionalista nera, adottando il nome Jones come "disinformazione autoprotettiva".[1] A causa della persecuzione dei comunisti negli Stati Uniti, nel 1955 fu espulsa dal Paese e successivamente visse nel Regno Unito, dove si unì al Partito Comunista di Gran Bretagna e ne rimase membro per il resto della sua vita. Fondò poi il primo grande giornale dei neri della Gran Bretagna, la West Indian Gazette, nel 1958, e svolse un ruolo centrale nella fondazione del Carnevale di Notting Hill, il secondo carnevale annuale più grande del mondo.

Infanzia e adolescenza

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Claudia Vera Cumberbatch nacque a Belmont, sobborgo di Port of Spain a Trinidad,[2] all'epoca una colonia dell'Impero britannico, il 21 febbraio 1915.[3] Quando aveva otto anni, la sua famiglia emigrò a New York in seguito al crollo del prezzo del cacao a Trinidad nel dopoguerra.[3] Sua madre morì cinque anni dopo e suo padre trovò lavoro per sostenere la famiglia. Jones vinse il Theodore Roosevelt Award for Good Citizenship nella sua scuola media. Nel 1932, a causa delle cattive condizioni di vita ad Harlem, fu colpita dalla tubercolosi all'età di 17 anni. La malattia causò danni irreparabili ai suoi polmoni, portando a lunghe degenze in ospedale per tutta la vita.[3] Si diplomò al liceo, ma la sua famiglia non potè permettersi le spese per partecipare alla cerimonia.[4] Jones si unì alla Lega della Gioventù Comunista (YCL) nel 1936 dopo aver ascoltato la difesa del Partito Comunista degli Scottsboro Boys. Continuò a lavorare al giornale della YCL, diventando in seguito direttrice dell'istruzione statale e presidente della YCL.[5][6]

Militanza negli Stati Uniti

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Bandshell a Eastlake Park a Phoenix, in Arizona, dove nel 1948 Jones parlò a una folla di 1.000 persone sulla parità di diritti per gli afroamericani. [7]

Nonostante fosse accademicamente brillante, essere classificata come donna immigrata limitò fortemente le scelte di carriera di Jones. Invece di andare al college, iniziò a lavorare in una lavanderia e successivamente trovò altri lavori al dettaglio ad Harlem. Durante questo periodo si unì a un gruppo teatrale e iniziò a scrivere una rubrica chiamata "Claudia Comments" per un giornale di Harlem.[8]

Nel 1936, cercando di trovare organizzazioni che sostenevano gli Scottsboro Boys,[9][10] si unì alla Lega dei Giovani Comunisti degli Stati Uniti.[11][12] L'opposizione del movimento comunista statunitense all'invasione italiana dell'Etiopia fu un altro fattore che spinse Jones ad unirsi ai comunisti.[3] Nel 1937 entrò a far parte della redazione del Daily Worker, fino a diventare redattrice del Weekly Review.[13] Dopo che la Lega dei Giovani Comunisti divenne l'American Youth for Democracy durante la seconda guerra mondiale, Jones divenne direttrice del giornale mensile dell'organizzazione, Spotlight. Dopo la guerra, Jones divenne segretaria esecutiva della Commissione Nazionale delle Donne, segretaria della Commissione delle Donne del Partito Comunista degli Stati Uniti (CPUSA), e nel 1952 ebbe lo stesso ruolo al Consiglio Nazionale per la Pace. Nel 1953 assunse la direzione di Negro Affairs.

Leader femminista nera nel Partito Comunista

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Come membro del Partito Comunista degli Stati Uniti e nazionalista e femminista nera, Jones si concentrò principalmente sulla creazione di "una coalizione antimperialista, gestita dalla leadership della classe operaia, alimentata dal coinvolgimento delle donne".[14] Obiettivo: la crescita del sostegno del partito per le donne bianche e nere.

Non solo lavorò per ottenere il rispetto delle donne nere all'interno del partito, Jones si batté anche perché le donne nere, in particolare, ricevessero rispetto nell'essere madri, lavoratrici e donne.[15] Fece una campagna per programmi di formazione professionale, parità di retribuzione per lo stesso lavoro, controlli governativi sui prezzi dei prodotti alimentari e finanziamenti per programmi di assistenza all'infanzia in tempo di guerra. Jones sostenne una sottocommissione per affrontare la "questione delle donne". Insistette sullo sviluppo nel partito della formazione teorica delle compagne, sull'organizzazione delle donne in organizzazioni di massa, su corsi diurni per le donne e su fondi per le "babysitter" per consentire l'attivismo delle donne.[14]

Il più noto scritto di Jones, "An End to the Neglect of the Problems of the Negro Woman!", apparve nel 1949 sulla rivista Political Affairs. Espone lo sviluppo di quella che in seguito venne definita analisi "intersezionale" all'interno di un quadro marxista.[16] Scrisse:[17]

«La borghesia teme la militanza della donna, e per una buona ragione. I capitalisti sanno, molto meglio di quanto sembrino sapere molti progressisti, che una volta che le donne cominciano ad agire, la militanza di tutto il popolo nero, e quindi della coalizione antimperialista, è notevolmente aumentata.

Storicamente, la donna nera è stata la guardiana, la protettrice della famiglia nera... Come madre, come nera e come lavoratrice, la donna nera combatte contro la cancellazione della famiglia nera, contro l'esistenza del ghetto di Jim Crow che distrugge la salute, il morale e la vita stessa di milioni di sue sorelle, fratelli e figli.

Visto in questa luce, non è un caso che la borghesia americana abbia intensificato la sua oppressione, non solo del popolo nero in generale, ma delle donne nere in particolare. Nulla espone la spinta alla fascinazione come l'atteggiamento insensibile che la borghesia mostra e coltiva nei confronti delle donne nere.»

Deportazione dagli Stati Uniti

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Come risultato della sua appartenenza al Partito Comunista degli Stati Uniti e di varie attività associate, nel 1948 fu arrestata e condannata al primo di quattro periodi di carcere. Incarcerata a Ellis Island, fu minacciata di deportazione a Trinidad.[18]

A seguito di un'udienza da parte del Servizio Immigrazione e Naturalizzazione, venne trovata in violazione del McCarran Act per essere uno straniero (non cittadino statunitense) che si era iscritto al Partito Comunista. Diverse persone testimoniarono il suo ruolo nelle attività del partito, e lei si identificò come membro del partito dal 1936 quando completò la sua registrazione degli stranieri il 24 dicembre 1940, in conformità con l'Alien Registration Act. Il 21 dicembre 1950 ne fu ordinata l'espulsione.[19]

Nel 1951, all'età di 36 anni e in prigione, subì il suo primo infarto.[18] Nello stesso anno, fu processata e condannata con altre 11 persone, tra cui la sua amica Elizabeth Gurley Flynn, per "attività antiamericane" ai sensi dello Smith Act,[20] in particolare attività contro il governo degli Stati Uniti.[4] Le accuse contro Jones si riferivano a un articolo che aveva scritto per la rivista Political Affairs con il titolo "Donne nella lotta per la pace e la sicurezza".[12] La Corte suprema rifiutò di ascoltare il loro appello. Nel 1955, Jones iniziò la sua condanna a un anno e un giorno al Federal Reformatory for Women ad Alderson, in Virginia Occidentale.[18] Fu rilasciata il 23 ottobre 1955.[21]

Le venne rifiutato l'ingresso a Trinidad e Tobago, in parte perché il governatore coloniale, il maggiore generale Sir Hubert Elvin Rance, era dell'opinione che "potrebbe rivelarsi problematica".[20] Alla fine le fu offerta la residenza nel Regno Unito per motivi umanitari.[22] Il 7 dicembre 1955, all'Hotel Theresa di Harlem, 350 persone si riunirono per salutarla.[18]

Nel Regno Unito

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Jones arrivò a Londra due settimane dopo, in un momento in cui la comunità afro-caraibica britannica si stava espandendo. Al suo arrivo, il Partito Comunista di Gran Bretagna (CPGB) inviò diversi comunisti caraibici ad accoglierla. Questi attivisti includevano Billy Strachan, Winston Pinder e il cugino di Jones, Trevor Carter. Tuttavia, coinvolgendo la comunità politica nel Regno Unito, fu delusa nello scoprire che molti comunisti britannici erano ostili a una donna nera.[23] Si unì comunque al CPGB al suo arrivo in Gran Bretagna e ne rimase membro fino alla sua morte.[3]

Jones trovò una comunità che aveva bisogno di un'organizzazione attiva.[20] Entrò a far parte della comunità afro-caraibica britannica per organizzare sia l'accesso alle strutture di base, sia il primo movimento per la parità dei diritti.[24] Sostenuta da suo cugino Trevor Carter e dai suoi amici Nadia Cattouse, Amy Ashwood Garvey, Beryl McBurnie, Pearl Prescod e il suo mentore Paul Robeson, Jones condusse una campagna contro il razzismo negli alloggi, nell'istruzione e nel lavoro. Partecipò a raduni per la pace e al Trades Union Congress, visitò Giappone, Russia e Cina, dove incontrò Mao Zedong.[25]

All'inizio degli anni '60, con la sua salute cagionevole, Jones contribuì a organizzare campagne contro il Commonwealth Immigrants Bill (approvato nell'aprile 1962), che avrebbe reso più difficile per i non bianchi emigrare in Regno Unito. Fece anche una campagna per il rilascio di Nelson Mandela e parlò contro il razzismo sul posto di lavoro.[24]

Tomba di Jones nel cimitero di Highgate

Jones morì a Londra la vigilia di Natale del 1964, all'età di 49 anni, e fu trovata il giorno di Natale nel suo appartamento. L'autopsia dichiarò che aveva subito un grave attacco di cuore.[20]

Il suo funerale, il 9 gennaio 1965, fu una grande cerimonia politica, con il luogo di sepoltura scelto per essere quello situato a sinistra della tomba di Karl Marx, nel cimitero di Highgate, a nord di Londra.[26] Fu letto un messaggio di Paul Robeson[20]:

«È stato un grande privilegio aver conosciuto Claudia Jones. Era una leader vigorosa e coraggiosa del Partito Comunista degli Stati Uniti, ed era molto attiva nel lavoro per l'unità dei popoli bianchi e di colore e per la dignità e l'uguaglianza, specialmente per il popolo nero e per le donne.»

  1. ^ (EN) Jeremy Taylor, Excavating Claudia, in Caribbean Review of Books, maggio 2008.
  2. ^ (EN) Ashley Roach-McFarlane, The Forgotten Legacy of Claudia Jones: a Black Communist Radical Feminist, in Verso, 21 marzo 2021. URL consultato l'8 giugno 2023.
  3. ^ a b c d e (EN) Simon Meddick, Liz Payne e Phil Katz, Red Lives: Communists and the Struggle for Socialism, Manifesto Press Cooperative Limited, 2020, p. 105, ISBN 978-1-907464-45-4.
  4. ^ a b (EN) Carole Boyce Davies, Left of Karl Marx: The Political Life of Black Communist Claudia Jones, Duke University Press, 2007, ISBN 978-0-8223-4116-1.
  5. ^ (EN) Hakim Adi e Marika Sherwood, Pan-African History: Political Figures from Africa and the Diaspora since 1787, 2003, pp. 100–104, ISBN 9780203417805.
  6. ^ (EN) Sarah Dunstan e Patricia Owens, 2, in Claudia Jones, International Thinker, Modern Intellectual History, vol. 19, 2021, pp. 551–574, ISSN 1479-2443 (WC · ACNP).
  7. ^ (EN) African American Historic Property Survey (PDF), in City of Phoenix (archiviato dall'url originale il 10 ottobre 2014).
  8. ^ (EN) Abayomi Azikiwe, Claudia Jones defied racism, sexism and class oppression, in Workers World, 6 febbraio 2013.
  9. ^ (EN) Claudia Jones, in The Rebel Researchers Collective, 23 dicembre 2012 (archiviato dall'url originale il 6 marzo 2014).
  10. ^ (EN) Claudia Jones, Communist, su The Marxist-Leninist, 1° novembre 2010.
  11. ^ (EN) Mary Davis, Claudia Jones: Communist, anti-racist and feminist, in Morning Star, 9 marzo 2015. URL consultato il 10 marzo 2015 (archiviato dall'url originale l'11 ottobre 2016).
  12. ^ a b (EN) Lydia Lindsey, 1, in Red Monday: The Silencing of Claudia Jones in 20th Century Feminist Revolutionary Thought, The Journal of Intersectionality, vol. 3, 2019, pp. 10–20.
  13. ^ (EN) Alexander Vesuna, 2, in Silencing the Radical Black Feminist: A Book Review of Left of Karl Marx by Carol Boyce Davies, Caribbean Quilt, University of Toronto, vol. 6, 4 febbraio 2022, p. 84.
  14. ^ a b (EN) Denise Lynn, Socialist Feminism and Triple Oppression, in Journal for the Study of Radicalism, vol. 8, autunno 2014, pp. 1–20.
  15. ^ (EN) Erik S. McDuffie, Sojourning for freedom: Black women, American communism, and the making of Black left feminism, Durham [NC], Duke University Press, 2011, pp. 91–125, ISBN 978-0-8223-5033-0.
  16. ^ (EN) Sagal Mohammed, Marxist, Feminist, Revolutionary: Remembering Notting Hill Carnival Founder Claudia Jones, in Vogue, 25 luglio 2020.
  17. ^ (EN) Margaret Busby, Daughters of Africa: An International Anthology of Words and Writings by Women of African Descent, Vintage paperback edition, 1992, p. 262.
  18. ^ a b c d (EN) Donald Hinds, Claudia Jones and the 'West Indian Gazette', in =Race & Class, 3 luglio 2008. URL consultato il 29 ottobre 2011 (archiviato dall'url originale il 9 aprile 2010).
  19. ^ (EN) Ouster Ordered of Claudia Jones; Hearing Officer Finds Her an Alien Who Became Member of Communist Party Alien Registration Affidavit Additional Charge Sustained (PDF), in The New York Times, 22 dicembre 1950. URL consultato il 27 giugno 2012.
  20. ^ a b c d e (EN) Hassan Mahamdallie, Claudia Jones, in Socialist Worker, 13 ottobre 2004. URL consultato il 29 ottobre 2011 (archiviato dall'url originale il 24 settembre 2015).
  21. ^ (EN) Claudia Jones Loses; Communist Facing Ouster Is Denied Stay to Aid Charney (PDF), in The New York Times, 10 novembre 1955. URL consultato il 27 giugno 2012.
  22. ^ (EN) Red Agrees to Leave Country (PDF), in The New York Times, 18 novembre 1955. URL consultato il 27 giugno 2012.
  23. ^ (EN) Claudia Jones, in BBC Radio 4 in Woman's Hour. URL consultato il 29 ottobre 2011.
  24. ^ a b (EN) Claudia Jones, in Black History Month. URL consultato il 29 ottobre 2011 (archiviato dall'url originale il 19 ottobre 2016).
  25. ^ (EN) Shango Baku, Claudia Jones Remembered, in ITZ Caribbean. URL consultato il 29 ottobre 2011 (archiviato dall'url originale il 7 aprile 2012).
  26. ^ (EN) Rhiannon Edwards, Claudia Jones celebrated at Highgate Cemetery, in Ham & High, 5 ottobre 2012 (archiviato dall'url originale il 23 marzo 2014).

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