La storia della pittura a Verona va dai primi esempi superstiti risalenti all'alto medioevo alla contemporaneità.
Le origini altomedievali
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A Verona sono sopravvissuti fino a noi ben pochi esempi di pittura dell'alto medioevo. E' certo che almeno dagli inizi del VI secolo, ma probabilmente già dal secolo precedente, in città fosse attivo un importante scriptorium in cui lavoravano amanuensi affiancati probabilmente da miniatori. E proprio qui che negli ultimi anni del VIII secolo viene prodotto quello che è considerato uno dei più significativi e antichi esempi di arte alto medievale veronese: quattro miniature incluse nel cosiddetto codice di Egino, originariamente dono del vescovo Egino di Verona alla cattedrale di Santa Maria Matricolare, prima del suo ritiro nell'Isola di Reichenau nel 799, ma oggi conservato Biblioteca di Stato di Berlino. In esse sono rappresentati a tutta pagina i padri della Chiesa Agostino d'Ippona nell'atto di insegnare, Leone Magno benedicente, Ambrogio da Milano e Gregorio Magno entrambi impegnati nello scrivere; i quattro, inoltre, sono raffigurati tutti con l'aureola, seduti sui rispettivi troni e accompagnati dal proprio seguito di chierici. I colori maggiormente utilizzati sono l'oro e l'argento, ma sono presenti anche tonalità di marrone, rosso, verde e blu.[1][2][3] E' stato osservato di come il loro stile richiami i modelli tardoantichi della miniatura carolingia dimostrando così la presenza di influssi d'oltralpe nel panorama artistico veronese dell'epoca. Il resto del codice è scritto da più di un amanuense in minuscola carolina.[1][4]
Particolare nel contesto artistico del tempo è un tessuto liturgico, di cui sono sopravvissuti tre porzioni, noto come velo di classe in cui sono ricamati i busti dei primi tredici vescovi veronesi associati al proprio nome. Fu realizzato per volere del vescovo Annone di Verona nel VIII secolo per adornare la tomba dei santi Fermo e Rustico.[4][5]
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Nei decenni successivi Verona, come molte città dell'Italia settentrionale, fu vittima di incursioni degli ungari e questo ne compromise lo sviluppo artistico fino a quando queste terminarono nel 955 a seguito della battaglia di Lechfeld. Un probabile esempio della ripresa successiva si trova a Bardolino, a pochi chilometri dalla città di Verona, dove la chiesa di San Zeno vanta pareti interne con pregevoli affreschi.[4]
Della metà del X secolo è anche la più antica rappresentazione grafica di Verona, la cosiddetta iconografia rateriana, originariamente parte di un codice appartenuto al vescovo Raterio. Esempio di tarda arte carolingia, probabilmente venne realizzata per celebrare la rinascita città dopo gli anni oscuri delle devastazioni degli Ungari. Di questo disegno oggi possediamo solamente una copia fedele fatta eseguire nel 1739 dall'erudito veronese Scipione Maffei.[1][6]
Nel 1889, a seguito di uno stacco di affreschi del XII secolo, venne alla luce una serie di pitture più antiche che decoravano le pareti del sacello rupestre dei santi Nazaro e Celso nelle immediate vicinanze dell'omonima chiesa a Veronetta. La scoperta venne da subito documentata da Carlo Cipolla che gli datò al 996 grazie ad una iscrizione[7] oggi praticamente non più esistete. In questi affreschi, anch'essi staccati e conservati al museo degli affreschi Giovanni Battista Cavalcaselle, gli storici dell'arte hanno riscontrato il lavoro di più autori il cui stile ricorda la miniatura ottoniana del X secolo. In particolare, gli occhi dei santi, spalancati e con la pupilla isolata, sembrano simili a quelli raffigurati all'interno del coevo Evangeliario di Ottone III e del Codex Egberti ad ulteriore testimonianza della stretta connessione tra Verona e la scuola dell'Abbazia di Reichenau.[8][9][10][11]
Il romanico dal XI a XII secolo
[modifica | modifica wikitesto]A partire dall'XI secolo sembra che l'arte veronese, pur rimanendo legata ai modelli d'oltralpe, sia arricchita da ulteriori e variegate influenze muovendosi verso la fase nota come "romanica". E' il caso ad esempio degli affreschi più antichi superstiti, seppur in forma frammentaria, nella Pieve di Sant'Andrea a Sommacampagna in cui tuttavia i caratteri principali rimandano ancora all'area nordica con lo storico dell'arte Wart Arslan che ha riscontrato alcune similitudini con le miniature prodotte nella celebre Abbazia di San Gallo. Di poco più tardo dovrebbe essere la decorazione dell'arco trionfale dell'abside occidentale della pieve di San Giorgio di Valpolicella che può essere considerata come il ponte tra l'arte germanica e l'emersione di una corrente veronese sempre più definita e autonoma.[12][13] Sempre fuori Verona sono assai degni di nota anche gli affreschi che decorano la chiesa di San Severo a Bardolino.[14]
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Tornando in città, della seconda metà dell'XI secolo sono i pochi frammenti del più antico ciclo di affreschi della fabbrica benedettina della chiesa di San Fermo Maggiore iniziata nel 1065 e poi fortemente manomessa dall'avvento dei francescani circa due secoli dopo. I più interessanti appartengono alla calotta dell'absidiola settentrionale in cui al centro vi è raffigurato un Cristo giudice con ai fianchi l'arcangelo Gabriele e (probabilmente) l'arcangelo Michele. E' stato osservato che «la tipologia dei visi e l'eleganza delle forme» siano debitrici dell'arte ottoniana e che la «qualità pittorica doveva essere di alto livello e l'esecuzione molto raffinata».[15]
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Molto interesse nella critica ha suscita una Crocifissione collocata su un pilastro nella cripta della chiesa di San Pietro Incarnario poco fuori dal centro di Verona. Sebbene la maggioranza degli storici abbia proposto una collocazione nel XI secolo, non vi è unanimità in quanto altri la pongono nel secolo precedente o in quello successivo. Nemmeno l'analisi del suo stile non ha riscontrato problematiche con parte della critica che ha visto influssi provenienti dell'arte bizantina e parte che invece la considera di stile pienamente occidentale. In ogni caso, questo affresco è considerato, per la sua originale poetica, come uno dei primi esempi di «arte romanica veronese» e quindi testimone di una scuola locale probabilmente già sufficientemente consolidata. Tuttavia Arslan questo affresco rappresenta anche un esempio della «tenace sopravvivenza dei mezzi figurativi e iconografici dell'epoca carolingia».[16][17] A supporto di questa tesi, lo storico padovano ne analizza la sua fattura, non certo eccelsa e considerata addirittura «grossolana», che però colpisce per il «Cristo crocifisso, ancora vico, con gli occhi sbarrati, i piedi inchiodati separatamente e con la croce piantata sul calvario con ancora visibile il cranio di Adamo. Accanto la Vergine e san Giovanni, al di sopra i due busti dei santi arcangeli Michele e Gabriele».[18][19]
Della fine del secolo successivo, il XII secolo, è il secondo strato di affreschi del sacello dei santi Nazaro e Celso considerato un «testo cruciale e fondamentale della più tarda pittura romanica veronese» per la sua maturità testimoniata dai colori vivaci e dalle sicure pennellate che conferiscono alle figure spessori e finiture non banali.[20] Altri esempi di pittura romanica nel veronese sono il ciclo Apocalisse e Leggenda della croce a san Severo di Bardolino e Storie di sant'Andrea nella pieve di Sommacampagna con quest'ultima particolarmente raffinata nella sua fattura. Una santa Margherita sopravvissuta nella Chiesa dei Santi Apostoli nel centro storico di Verona, di qualità non eccelsa, e le decorazioni poste tra le tre arcate del pontile della basilica di San Zeno, sono ulteriori «antiche espressioni del romanico veronese».[21]
Il Duecento: verso il gotico
[modifica | modifica wikitesto]Sebbene non sempre di grande qualità, Verona conserva numerose testimonianze pittoriche risalenti al Duecento. Queste testimonianze consistono quasi esclusivamente in lacerti di pitture murali, sia interne che esterne, che dimostrano una intensa volontà decorativa nei complessi chiesastici e negli edifici residenziali. Gli stili sono vari, frutto di diverse influenze pittoriche, il che rende difficile ricostruire personalità e correnti artistiche specifiche. Il legame di Verona con la Germania, dovuto alla presenza di Ezzelino III da Romano, signore della Marca Trevigiana e fedele dell'imperatore Federico II, è evidente anche nella pittura. Caratteristiche di questo periodo sono la vivacità narrativa, l'attenzione ai dettagli delle vesti, una certa plasticità e, al contempo, una rigidezza nelle figure tendenzialmente allungate. A metà del secolo, il passaggio da libero comune alla signoria degli Scaligeri rappresentò un periodo di trasformazione politica e sociale, che coincise con il passaggio dal romanico al gotico.[22]
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Nel catino absidale della cappella del transetto di destra della chiesa superiore di san Fermo Maggiore vi erano degli affreschi, oggi staccati, di buona fattura collocabili agli inizi del XIII secolo quando la chiesa era officiata dai benedettini raffiguranti una Verigine con il bambino tra due santi; in un lungo cartiglio vi è scritto "BEATI QUI AUDIUNT VERBUM DET ET CUSTODIUNT ILLUD". Questo è forse il più esplicito esempio di bizantinismo occidentalizzato visibile a Verona.[23][24] Circa degli stessi anni dovrebbe essere un graffito originariamente dipinto su una serie di otto lastre raffigurante un Giudizio universale sul timpano della facciata della basilica di San Zeno. Opera giudicata assai originale per il panorama veronese, a metà via tra scultura e pittura, Simeoni e Da Lisca lo attribuirono al Brioloto anche per la sua iconografia sicuramente occidentale.[25][26] Sempre a San Zeno, lacerti presenti sul pontile-tramezzo potrebbero collocarsi negli stessi anni, come alcune immagini votive che decorano i pilastri della cripta. In particolare una maestosa Maddonna col Bambino dal sapore bizantino e un analogo soggetto dipinto all'esterno in una nicchia sul fianco meridionale che versa però in cattive condizioni.[27][28][29]
Alcuni esempi coevi sono presenti anche in edifici abitativi. Restauri effettuati nel 1997 hanno messo in luce alcune decorazioni presenti nelle antiche abitazioni dei canonici della cattedrale di Verona che fanno pensare che originariamente gli spazi affrescati fossero ben maggiori di quelli superstiti. Nel più interessante dei brani ancora oggi visibili è raffigurata l'allegoria di due vizi capitali, acidia e lussuria, in cui vengono trafitte e calpestate da due figure femminili prive di testa. Si può supporre che fosse parte di un ciclo ben più complesso in cui erano raffigurati Vizi e Virtù, un tema non nuovo al medioevo.[30] Nella vicina biblioteca capitolare sono statai rivenuti ulteriori affreschi, ma di mano diversa, origiarimanete di un ciclo episodi dell'antico Testamento.196FF-Arcais] Sulle pareti delle scale di sinistra che scendono nella cripta della chiesa di Santo Stefano si trovano diversi affreschi ascrivibile alla metà del duecento oramai difficilmente leggibili.[31][32][33]
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Nella seconda metà del duecento riprese l'attività decorativa delle pareti della Basilica di San Zeno; di questi anni è il grande San Cristoforo che indossa una ricca veste con mantello sulla parete destra e alcuni affreschi presenti nella sagrestia.[34][35] Ma l'affresco giudicato il più interessante nel panorama veronese del tempo si trova invece in una delle sale interne della Torre abbaziale di San Zeno attigua alla basilica. Qui, davanti ad una rappresentazione di una Ruota della fortuna oramai in gran parte persa, vi è una grande scena raffigurante al centro un corteo di vari popoli che si avviano a rendere omaggio a un sovrano in trono, con una città turrita sullo sfondo, coronato in alto da un piccolo fregio caratterizzato da un ornato floreale ravvivato da mascheroni mostruosi e da figure fantastiche di animali e combattenti, infine in basso sono raffigurate delle scene di caccia.[36] Si tratta di un dipinto piuttosto insolito a causa degli appariscenti copricapi che rendono distinguibili i diversi popoli, per le difficoltà di interpretazione iconografiche e per la singolare tecnica pittorica utilizzata. Questo dipinto potrebbe essere un'opera romanica delle maestranze altoatesine della Val Venosta, tanto che sono presenti alcune somiglianze con un dipinto situato nell'abside della chiesa di San Giovanni a Müstair, e potrebbe essere databile agli ultimi due decenni del XII secolo.[37][38] Arslan vide nell'affresco delle similitudini con due codici miniati oggi conservati presso la Biblioteca apostolica vaticana: la Bibbia A. IV 74 e il Vaticano latino 39 contenente il testo del Nuovo Testamento.[39]
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Al museo di Castelvecchio sono custoditi numerosi affreschi della fine del duecento staccati nel 1892 dall'ex Convento di san Giovanni Evangelista della Beverara (oggi Istituto Don Bosco) tra cui una Madonna allattante, una Crocifissione e una Pietà; sia per la vicinanza geografica che per lo stile, è stato proposto come autore lo stesso frescante che lavorò ad una nuova fase di decorazione a San Zeno dove vennero dipinti un Battesimo di Cristo e una Ressurezione di Lazzaro. Entrambi i dipinti appaiano inseriti in una cornice, la cui parte superiore è composta da un fregio a foglie; la composizione è semplice, senza profondità.[40]
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Il secolo si chiude con numerose pitture votive, se ne trovano ad esempio nella cripta di chiesa di san Procolo o nella parete destra della chiesa di San Giovanni in Valle, in cui sono rappresentante soprattutto Madonne con bambino spesso accompagnate dalla figura dell'offerente, un tema che diverrà ricorrente della pittura veronese.[41] Da menzionare, infine, un frescante di grande qualità autore a San Zeno di una Madonna col Bambino e un'Ultima cena (una delle più antiche raffigurazioni di questo genere) entrambe collocate sulla parete di sinistra.[42] Oramai il panorama veronese è pronto per accogliere a pieno titolo il gotico e al formarsi di un proprio stile plasmato dalle molteplici correnti che giungevani nella dinamica città scaligera.[43]
Il Trecento, l'arrivo del giottismo
[modifica | modifica wikitesto]![](http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/a/ac/Maestro_Cicogna_-_chiesa_san_Martino_Corrubbio.jpg/220px-Maestro_Cicogna_-_chiesa_san_Martino_Corrubbio.jpg)
Gli inizi del XIV secolo furono anni felici per Verona che con Alboino e Cangrande I della Scala, signori illuminati e rispettati, raggiunse una notevole ricchezza. Il fortunato periodo politico ebbe riflessi anche sulla scena pittorica cittadina che divenne una tra le più importanti dell'Italia settentrionale, almeno per quanto riguarda la quantità di affreschi realizzati. Numerosi furono i pittori impegnati a Verona e provincia nella decorazione di chiese e edifici civile. Iniziano anche a conoscersi i nomi di questi frescanti, come è il caso di tale maestro Cicogna che firma e data (ANNO DOMINI MCCC) un suo dipinto sulla parete di sinistra della chiesa di San Martino a Corrubbio in Valpolicella e a cui sono state attribuite numerose altre opere sparse per il territorio veronese.[44][45] Un certo Giovanni, invece, firmò e datò al 1305[46] una Sant'Anna dipinta su di un pilastro della Chiesa di San Zeno a Cerea. Oltre a questi maestri si ritiene che complessivamente a quel tempo fossero attivi non meno di una trentina di pittori a Verona.[47] E' stato osservato di come questi primi frescanti siano ancora "legati alla tradizione del Duecento, con influenze stilistiche nordiche e bizantine ormai obsolete di seconda e terza mano. Tuttavia, dimostrano spesso di possedere capacità e tecniche di altissimo livello".[48]
Lo stile "obsoleto" del panorama veronese ebbe una profonda scossa quando anche qui, come nel resto d'Italia, giunse la rivoluzione di Giotto. Non è certo se Giotto stesso lavorò in città, nel cinquecento Giorgio Vasari raccontò che intorno al 1316 il pittore toscano "andò a Verona, dove a messer Cane fece nel suo palazzo alcune pitture e particolarmente il ritratto di quel Signore; e ne’ frati di S. Francesco una tavola".[49] Tuttavia, nessuna sua opera veronese è giunta fino a noi e non vi sono altri prove che possano testimoniare un suo soggiorno alla corte scaligera, quindi la sua effettiva presenza è un tema ancora dibattuto. Il primo autore veronese il cui stile appare evidentemente influenzato dal giottismo fu il cosiddetto "Maestro del Redentore", molto probabilmente un aiuto di Giotto a Padova, che lavorò alla fabbrica della chiesa di San Fermo Maggiore. Nel 1907 Gerola lesse la data del 1314.[50] Nella stessa chiesa, da poco passata ai francescani, un'ordine molto vicino a Giotto tramite numerose e celebri commesse, sono presenti numerosi altri esempi ascrivibili al primo giottismo veronese.[51]
Da qui in avanti la lezione di Giotto diverrà la corrente le prevalente a Verona, senza tuttavia giungere a elevati risultati qualitativi. I pittori veronesi giotteschi non riusciranno, infatti, mai a raggiungere il maestro per quanto riguarda la spazialità e l'organizzazione di grandi cicli narrativi; anzi, la loro produzione è stata criticata per essere monotona, caratterizzata prevalentemente da riquadri votivi a sé stanti, "sequenze stucchevoli di santi presenti frontalmente evadendo quasi sistematicamente l'irruzione di storie e di azione che Giotto aveva imposto. Nasce un linguaggio sterile, stereotipato che coinvolgerà il panorama veronese fino a metà del trecento".[52]
Tutto ciò è ben visibile sulle pareti laterali della basilica di San Zeno dove sono ancora visibili numerose testimonianze del trecento pittorico veronese ad opera di quelli che la critica attribuisce ai cosiddetti primo e secondo maestro di San Zeno secondo la proposta della storica Evelyn Sandberg Vavalà. È necessario precisare che tutti gli storici dell'arte concordano che non si tratti di due unici frescanti, ma che con questi nomi si voglia intendere due diversi gruppi di pittori affini per stile, epoca e tecnica che lavorarono in questa basilica e in altri luoghi cittadini. Per la precisione, con "primo maestro" si attribuiscono convenzionalmente gli affreschi realizzanti intorno al secondo quarto del XIV secolo e accreditati per essere stati i primi ad aver diffuso la scuola giottesca a Verona ma anche ad aver contribuito all'"inaugurazione della vera scuola locale". Invece, con "secondo maestro", quasi sicuramente un suo allievo, si intendono i frescanti che realizzarono nella seconda metà del XIV secolo numerosi dipinti in molte chiese di Verona, tra cui una serie di 24 a carattere votivo nella sola San Zeno, e che si caratterizzano per una pittura più evoluta rispetto al primo maestro e con forti richiami alla cultura pittorica lombarda.[53][54]
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Il panorama artistico veronese della seconda metà del trecento è dominato da due importati figure: quella di Turone di Maxio e, soprattutto, quella di Altichiero. La presenza di Turone a Verona è documentata dal 1356 e la sua unica opera certa è il celebre polittico della Trinità, realizzato nel 1360 per la Chiesa della Santissima Trinità in Monte Oliveto e oggi esposto nelle collezioni del museo di Castelvecchio. E' il primo caso a Verona di un'opera dalla datazione certa firmata da un personaggio storico.[55][56] Numerose altre opere sono state attribuite a Turone, tra cui una Vergine con Bambino e un San Giovanni Battista con due donatori nella chiesa di Santa Maria della Scala, un Crocifisso (datato 1363) inserito nella lunetta del portale laterale della chiesa di San Fermo, una Crocifissione sempre a san Fermo nella lunetta del portale principale.[57][58], un Giudizio Universale sulla parete destra del presbiterio della basilica di Santa Anastasia sebbene per quest'ultimo i dubbi sono molti e spesso si parla invece in un più generico "maestro del Giudizio Universale".[59][60] Vavalà ha proposto che Turone possa essere stato anche l'autore delle circa 300 miniature che compongono diciassette corali conservati presso la biblioteca capitolare di Verona, tre di quali datati al 1368.[61]
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Allievo di Turone, Altichiero da Zevio è unanimemente considerato il massimo pittore veronese del trecento. Scarse sono le notizie biografiche su di lui; Vasari lo presentò già maturo e tenuto in alta considerazione nel mondo dell'arte, e lo definì «famigliarissimo con i signori della Scala». E proprio per gli scaligeri, stando al racconto di Vasari, dipinse nel 1362 per il palazzo del Podestà una Guerra di Gerusalemme secondo Giuseppe Flavio, due Trionfi e una serie di affreschi con effigi di imperatori romani, l'esempio più antico attestato nel Medioevo, che trovavano spazio negli ampi sottarchi ed erano probabilmente volti a celebrare la signoria. Questi sono gli unici sopravvissuti dell'intero complesso pittorico e sono stati strappati, restaurati e collocati al museo degli affreschi Giovanni Battista Cavalcaselle.[62][63] L'unica opera certa di Altichiero sopravvissuta per intero a Verona è però un'Adorazione per la cappella Cavalli della basilica di Santa Anastasia che forse Altichiero eseguì dopo il ritorno da Padova, poco prima del 1390, anche se alcuni studiosi la datano al 1369 in base a un documento ritrovato negli archivi veronesi. Nel dipinto, un antico omaggio feudale, i nobili cavalieri s'inginocchiano davanti al trono della Vergine posto in un tempio gotico. Le arcate dipinte presentano sulla chiave di volta lo stemma nobiliare della famiglia Cavalli.[64][65][66]
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Per numerose altri dipinti collocabili negli anni 1380 e sparse per il territorio veronese è stata proposta l'attribuzione ad Altichiero, benché non vi siano prove certe che non siano invece opera di allievi particolarmente dotati della sua bottega. Ad esempio, una Crocifissione all'interno della basilica di San Zeno e posta sul muro di sinistra sopra l'entrata della sagrestia non permette una sicura attribuzione al maestro di Zevio per via del suo cattivo stato di conservazione ma non vi sono dubbi che lo stile sia a lui riconducibile.[67] L'attribuzione del cosiddetto polittico di Boi (proveniente da Caprino Veronese e oggi al museo di Castelvecchio) ad Altichiero appare più sicura soprattutto dopo i recenti restauri mentre l'affresco raffigurante l'Arcangelo Michele della Chiesa di San Michele a Pescantina è più probabilmente opera di un suo seguace.[68][69] Uno dei suoi allievi, Giacomo da Riva, è autore di una Madonna in trono con Bambino allattante, che data al 1388, dipinta su di un pilastro della chiesa di Santo Stefano.[70][N 1][71][72]
Il Quattrocento: dal gotico al Rinascimento
[modifica | modifica wikitesto]Rinascimento, la scuola veronese di pittura
[modifica | modifica wikitesto]Il manierismo a Verona
[modifica | modifica wikitesto]Il barocco del XVII secolo
[modifica | modifica wikitesto]Il Settecento e l'Ottocento
[modifica | modifica wikitesto]La pittura del XX secolo
[modifica | modifica wikitesto]Note
[modifica | modifica wikitesto]Annotazioni
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Vi è scritto: «Mille.trecento.otanta.oto.impeta.per.messer.Giacomo da Riva». In Cozzi, 1992, p. 349.
Fonti
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c Veneto, in Enciclopedia dell'arte medievale, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1991-2000.
- ^ Arslan, 1943, p. 28.
- ^ Pietropoli, 2004, pp. 153-154.
- ^ a b c Pietropoli, 2004, p. 153.
- ^ Arslan, 1943, p. 32.
- ^ Arslan, 1943, pp. 38-39, 42-43.
- ^ Cipolla lesse la seguente iscrizione: «ANN. AB INCARNC dNi NRI DCCCCXCVI. INDIC X». In Dal Forno, 1982, p. 20.
- ^ Arslan, 1943, pp. 36-38.
- ^ Pietropoli, 2004, pp. 155-156.
- ^ Dal Forno, 1982, p. 20.
- ^ Varanini, 2004, pp. 13-14, 55-57.
- ^ Arslan, 1943, p. 59-60.
- ^ Pietropoli, 2004, pp. 159-160.
- ^ Arslan, 1943, p. 59.
- ^ Pietropoli, 2004, pp. 167-169.
- ^ Pietropoli, 2004, p. 171.
- ^ Arslan, 1943, pp. 51-52.
- ^ Arslan, 1943, p. 51.
- ^ Pietropoli, 2004, p. 170.
- ^ Pietropoli, 2004, pp. 175-177.
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- ^ Flores d'Arcais, 1990, p. 190.
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Bibliografia
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