Statuetta di Cheope | |
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Autore | sconosciuto |
Data | incerta; IV dinastia egizia o XXVI dinastia egizia |
Materiale | avorio |
Dimensioni | 7,5×2,9×2,6 cm |
Ubicazione | Museo egizio del Cairo |
La Statuetta di Cheope è un'antica statua egizia. Manufatto artisticamente e archeologicamente rilevante, fu scoperta nel 1903 da Sir Flinders Petrie durante gli scavi di Kom el-Sultan, presso Abido. Rappresenta l'antico faraone Cheope, il più celebre sovrano (2589 - 2566 a.C.[1][2]) della IV dinastia egizia (Antico Regno), costruttore della Grande Piramide.
Ad oggi, questa piccola figura seduta è l'unica raffigurazione tridimensionale di Cheope a essersi conservata sostanzialmente integra dall'epoca antica, mentre di altre sue sculture esistono solamente frammenti. La maggior parte degli archeologi la ritiene coeva a Cheope o degli anni immediatamente successivi; ma, soprattutto a causa del luogo inusuale della scoperta, tale datazione è stata messa spesso in discussione. L'egittologo Zahi Hawass ha espresso riserve circa l'attribuzione agli anni della IV dinastia, preferendo ascriverla alla XXVI dinastia egizia (664 - 525 a.C.). Tale teoria non ha ricevuto molto credito, ma nemmeno è stata confutata e resta dibattuta. Lo scopo, forse rituale, del reperto è ugualmente dubbio. Se coeva a Cheope, forse servì al suo culto, in vita o postumo; se appartenente all'epoca tarda, potrebbe trattarsi di un'offerta votiva (come sostiene Hawass). L'artista che la realizzò è sconosciuto.
Descrizione
[modifica | modifica wikitesto]La figurina in avorio misura 7,5 cm in altezza, 2,9 in larghezza e 2,6 in profondità ed è parzialmente danneggiata e scheggiata. La superficie esterna era originariamente lucida e ben levigata. Cheope è rappresentato con la corona rossa (deshret) del Basso Egitto, la cui sommità e la spirale che decorava la fronte sono mancanti. Il re siede su un trono dal basso schienale, meno lavorato della figura umana. Nella mano destra posata sul petto, stringe lo scettro a forma di flagello (nekhekh), che ricade sul braccio destro. Il braccio sinistro è piegato e posato pacatamente sulla coscia; la mano è distesa sul ginocchio. I piedi, come il piedistallo, sono andati perduti. La testa, dalle grandi orecchie, è leggermente sproporzionata rispetto al corpo; il viso è tondo e gli zigomi pieni. Il mento è sprovvisto della consueta barba cerimoniale posticcia. Il re indossa un corto perizoma plissettato; la parte superiore del corpo è nuda. Sul lato destro, accanto al ginocchio del faraone, compare il nome Horo di Cheope, Mejedu; alla sinistra del ginocchio, in un cartiglio, permangono lievissime tracce parte terminale del suo nomen Khnum-Khufu (grecizzato in Cheope)[3][4][5].
Scoperta
[modifica | modifica wikitesto]Il manufatto fu rinvenuto nel 1903 da Flinders Petrie nella necropoli di Kom el-Sultan ad Abido, in una delle stanze del "Magazzino C" del grande e danneggiato tempio di Osiride-Chontamenti, nel settore meridionale del sito archeologico[3][4]. Il tempio di Kom el-Sultan fu dedicato al dio sciacallo Chontamenti già nel Periodo arcaico dell'Egitto (XXXII - XXVII secolo a.C.), forse durante la III dinastia. Ai tempi del Medio Regno vi fu eretto un santuario in onore del dio mummiforme Osiride, al quale molto presto la figura di Chontamenti fu assimilata: il complesso templare fu così considerato il santuario di Osiride-Chontamenti[6]. Nel medesimo locale del "Magazzino C" furono rinvenute parti in gesso di statue lignee, ascrivibili a quell'epoca[3][4][6].
Importanza storica e artistica
[modifica | modifica wikitesto]La statuetta è l'unico oggetto tridimensionale e sostanzialmente integro che raffiguri Cheope, anche se è erroneo affermare, come spesso succede, che questa sia l'unica immagine conservatasi del faraone. Esistono, infatti, svariati frammenti d'alabastro di statuette del re in trono, rinvenuti da George Reisner a Giza. Rainer Stadelmann valuta che, originariamente, nel tempio mortuario di Cheope dovessero esistere all'incirca cinquanta statue del monarca, di cui forse venti o venticinque riutilizzate dal suo successore, Djedefra[7]. Sulle basi delle sculture di Cheope fu inscritta la sua titolatura reale, che oggi sussiste solo in frammenti, sufficienti tuttavia per l'identificazione. Il nome completo Khnum-Khufu è sovente abbreviato in Khufu (grecizzato in Cheope). Esiste, per esempio, un frammento di una statua del faraone in trono di cui resta la sillaba -fu all'interno di un cartiglio, facilmente riconducibile al nome Khufu[4][8].
Il frammento C2 della Pietra di Palermo registra la creazione di due colossi di Cheope in piedi, una in rame e un'altra in oro puro[4][9].
Varie altre statue sono state ricondotte a Cheope per i loro tratti stilistici. Le più famose tra queste sono la "Testa reale di Brooklyn", in granito rosa[10], e la "Testa reale di Monaco" in pietra calcarea[11]. In entrambe, il faraone identificato con Cheope indossa la corona bianca dell'Alto Egitto.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Clayton, Peter A. Chronicle of the Pharaohs. Thames and Hudson, London, 2006. ISBN 978-0-500-28628-9 p. 42
- ^ Malek, Jaromir, "The Old Kingdom" in The Oxford History of Ancient Egypt, ed. Ian Shaw, Oxford University Press 2000, ISBN 978-0-19-280458-7 p.88
- ^ a b c W. M. Flinders Petrie, Abydos II. p. 30; Tavola XIII e tavola XIV.
- ^ a b c d e Zahi Hawass, The Khufu Statuette. pp. 379–394.
- ^ Abeer El-Shahawy, Farid S. Atiya, The Egyptian Museum in Cairo. p. 49ff.
- ^ a b Barry J. Kemp, "The Osiris Temple at Abydos" in Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Abteilung Kairo. (MDAIK) No. 23, 1968, pp. 138–155.
- ^ Rainer Stadelmann, Formale Kriterien zur Datierung der königlichen Plastik der 4. Dynastie in Nicolas Grimal, Les critères de datation stylistiques à l´Ancien Empire. Institut français d´archéologie orientale, Le Caire 1998, ISBN 2-7247-0206-9, p. 353.
- ^ Dagmar Stockfisch, Untersuchungen zum Totenkult des ägyptischen Königs im Alten Reich. Die Dekoration der königlichen Totenkultanlagen (= Antiquitates, Band 25.). Kovač, Hamburg 1994, ISBN 3-8300-0857-0, pp. 19 & 93.
- ^ Thomas Schneider: Lexikon der Pharaonen. Albatros, Düsseldorf 2002, ISBN 3-491-96053-3, S. 100–102.
- ^ Richard A. Fazzini, Robert S. Bianchi, James F. Romano, Donald B. Spanel, Ancient Egyptian Art in the Brooklyn Museum. Brooklyn Museum, Brooklyn (NY) 1989, ISBN 0-87273-118-9, p. 31.
- ^ Sylvia Schoske, Dietrich Wildung (edd.), Staatliche Sammlung Ägyptischer Kunst München (= Zaberns Bildbände zur Archäologie. Vol. 31). von Zabern, Mainz 1995, ISBN 3-8053-1837-5, p. 43.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Zahi Hawass, The Khufu Statuette: Is it an Old Kingdom Sculpture? in Paule Posener-Kriéger (ed.): Mélanges Gamal Eddin Mokhtar (= Bibliothèque d'étude, Vol. 97, 1), Cairo, Institut français d'archéologie orientale du Caire, 1985, ISBN 2-7247-0020-1.
- Flinders Petrie, Abydos Part II. The Egypt Exploration Fund, London 1903, (Versione online).
- Abeer El-Shahawy, Farid S. Atiya. The Egyptian Museum in Cairo. A Walk Through the Alleys of Ancient Egypt, New York/Cairo, American University in Cairo Press, 2005, ISBN 9771721836.
- William Stevenson Smith, William Kelly Simpsonm The Art and Architecture of Ancient Egypt (= Pelican history of art, Vol. 14). terza edizione, New Haven, Yale University Press, 1998, ISBN 0300077475.
- Die Hauptwerke im Ägyptischen Museum in Kairo, catalogo ufficiale, a cura del Supreme Council of Antiquities of the Arab Republic of Egypt, Mainz, von Zabern, 1986, ISBN 3-8053-0640-7; ISBN 3-8053-0904-X, No. 28.
Voci correlate
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