Ruggero Settimo | |
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Presidente del Senato del Regno in absentia | |
Durata mandato | 18 febbraio 1861 – 2 maggio 1863 |
Predecessore | Cesare Alfieri di Sostegno |
Successore | Federico Sclopis |
Legislatura | VIII |
Presidente del Governo del Regno di Sicilia | |
Durata mandato | marzo 1848 – maggio 1849 |
Dati generali | |
Partito politico | indipendente |
Ruggero Settimo | |
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Nascita | Palermo, 19 maggio 1778 |
Morte | La Valletta, 2 maggio 1863 |
Dati militari | |
Paese servito | Regno di Sicilia |
Forza armata | Esercito delle Due Sicilie Marina delle Due Sicilie |
Arma | Marina |
Anni di servizio | 1793 - 1811 |
Guerre | Guerre napoleoniche |
Campagne | Campagna d'Italia (1813-1814) |
Comandante di | Flotta siciliana |
Altre cariche | Presidente del Senato del Regno d'Italia Segretario di guerra e marina del Regno di Napoli |
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Ruggero Settimo (Palermo, 19 maggio 1778 – La Valletta, 2 maggio 1863) è stato un ammiraglio e politico italiano, cittadino del Regno di Sicilia.
Seguì con entusiasmo il movimento liberale. Caldeggiò la promulgazione della costituzione del 1812 e fu ministro della marina del Regno di Sicilia. Si dimise subito dopo l'abrogazione della Costituzione siciliana. Durante la rivoluzione siciliana del 1848 fu capo del governo.
Biografia
[modifica | modifica wikitesto]Formazione giovanile
[modifica | modifica wikitesto]Ruggero Settimo nacque a Palermo da una famiglia di origine nobiliare, appartenente alla famiglia dei principi di Fitalia e dei marchesi di Giarratana, da Traiano, principe di Fitalia e marchese di Giarratana, e da Maria Teresa Naselli, principessa di Aragona.
Si formò presso l'Accademia Borbonica della Real Marina delle Due Sicilie di Napoli e diventò nel 1793 ufficiale della flotta borbonica; combatté i corsari barbareschi.
Combatté a fianco della flotta inglese nel mar Mediterraneo contro i francesi di Napoleone Bonaparte. Riconquistò l'isola di Malta e difese la città di Gaeta.
La carriera politica
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1811 per problemi di salute si ritirò dalla carriera di marina per darsi alla politica, dove in poco tempo diventò il maggiore esponente del partito liberale siciliano e fu Ministro della Marina (1812-13) e della Guerra (1813-14) del Regno di Sicilia (1734-1816).[1]
Dopo il ritorno di Ferdinando I di Borbone, andò all'opposizione e fu tra coloro che chiesero il ripristino della Costituzione siciliana del 1812, soppressa nel 1816.
La rivolta del 1820
[modifica | modifica wikitesto]Durante i Moti del 1820-1821, Settimo fece parte del governo provvisorio di Palermo insieme al principe di Villafranca, Gaetano Bonanno, Padre Palermo dell'Ordine dei Teatini, il colonnello Resquens, il marchese Raddusa e Giuseppe Tortorici. Lo stesso governo provvisorio aveva, seppur momentaneamente, dichiarato l'indipendenza da Napoli. Lo stesso Settimo fu indicato come luogotenente della giunta provvisoria, ma rifiutò e la offrì al principe della Scaletta e fu tra i membri della giunta provvisoria di governo. Si mise ai voti la scelta indipendentista, e i due terzi dell'isola si espressero favorevolmente. Il 7 novembre 1820 il Borbone inviò un esercito agli ordini di Florestano Pepe (poi sostituito dal generale Pietro Colletta) che riconquistò la Sicilia attraverso lotte sanguinose e ristabilì la monarchia assoluta risottomettendo la Sicilia a Napoli. Settimo accettò di far parte del decurionato di Palermo che il 14 aprile 1821 firmò "l'atto di soggezione", che valse ad alienargli allora l'animo dei liberali siciliani.[2]
Lasciò la vita politica e si dedicò alla salute pubblica: dopo la morte del principe di Castelnuovo, "il valoroso comandante non si estranea completamente dalla vita pubblica tanto che nel 1837, ad esempio, in occasione dello scoppio del colera in Sicilia accetterà la carica di deputato straordinario del supremo magistrato di salute pubblica. Tuttavia, si incrinano proprio in questa occasione le speranze di una parte del ceto politico siciliano di arrivare ad una qualsiasi forma di collaborazione con la monarchia borbonica, nel clima generale di fiducia che la salita al trono di Ferdinando II nel 1830 aveva determinato. Proprio la terribile esperienza del colera e dei moti violenti che lo accompagnano mostrano, infatti, il progressivo sgretolamento di queste illusioni, sino a rivelare di li a poco l'estraneità di buona parte del mondo politico siciliano verso il governo borbonico".[3]
Il 14 novembre 1847, adempiendo alle volontà testamentarie di Carlo Cottone, Ruggero Settimo inaugurò l'apertura dell'Istituto Agrario di Palermo presso Villa Castelnuovo.
Capo del governo siciliano nel 1848
[modifica | modifica wikitesto]Ruggero Settimo è stato uno dei protagonisti della Rivoluzione siciliana del 1848, e il 2 febbraio fu presidente del comitato insurrezionale, con Mariano Stabile segretario generale.[4]
Appoggiò sia le idee repubblicane di Pasquale Calvi, sia quelle filo-monarchiche di Vincenzo Fardella di Torrearsa. Nel marzo di quell'anno per le sue idee liberali venne scelto dal parlamento siciliano come presidente del consiglio del governo siciliano. Il 10 maggio dello stesso anno era stato dichiarato "padre della patria siciliana", e il 10 luglio nominato tenente generale dell'Esercito Nazionale Siciliano. I liberali come Pasquale Calvi e lo stesso Settimo appoggiarono una Sicilia indipendente da Napoli e confederata secondo l'idea di Gioberti alla condizione, però, che fosse rispettata la Costituzione Siciliana. Fu famoso per il fervore con cui incitò il popolo siciliano durante l'insurrezione, al quale scrisse una lettera per esortarlo:
«Sono 33 anni, che il potere esecutivo non ha convocato il nostro parlamento. È da tal epoca, che alle antiche leggi politiche si è sostituito l’assolutismo, ed a questa usurpazione di legittimi diritti è seguita la miseria dei proprietari e l’annichilamento di ogni industria per lo sovraccarico di dazi e di vincoli, che son l’unico mezzo ed il solo intento di coloro, che lasciando l’autorità di re han prediletto quella di tiranni. E pertanto, che il patrimonio attivo dello stato da onze 1,847687 è asceso al triplo, non ostante che ciò non si fosse potuto senza il voto dei rappresentanti della nazione, come in un suo decreto l’istesso despota sanzionava. Noi protestammo nel 1º febbraio 1816 contro la gran Brettagna, su la di cui fede nel 1812 fu riformato lo statuto politico del secondo Federico aragonese, che forma il diritto pubblico della Sicilia. Noi al 1820 tentammo ripigliare con la forza il potere che la forza ci avea tolto, e le sole bajonette austriache poteron sopraffare i nostri voti. Noi al 1831 al 1837 ed al 1847 ci sforzammo in vari comuni esprimere con le armi un fermo volere per tornare al godimento di diritti così santi. Noi l’abbiamo implorato ai Borboni in diverse rimostranze pacifiche, ed in molti reclami che gli si sono presentati. Ma i guai sono pervenuti al colmo, e la nostra voce non è stata esaudita. Siciliani! Fu già dato il segno con l’alba del 12 gennaio 1848, che può dirsi l’alba della nostra salute. I palermitani da quel giorno hanno scosso il giogo della tirannia, han vinto, e cacciato le milizie reali al di là delle loro mura; vinceranno, ed insieme a voi ricostruiranno l’edificio politico avvalendosi delle leggi del regno sin oggi messe in disuso. Mentre Pio IX in Roma, Leopoldo II in Toscana, o Carlo Alberto nel Piemonte volenterosi han dato ai loro popoli una più civile forma di governo, noi non ultimi in Italia per cuore e mente ma primi nati alla libertà, dobbiam riprenderla a prezzo di sangue. Ma questa circostanza ce ne fa più degni e gloriosi: e noi abbiam già mostrato di non temere le bombe e le mitraglie, che nissun grave danno han prodotto, e con cui ci vuol metter paura il cadente governo dei Borboni. Messina, Trapani e tutti i comuni circostanti si son mossi con noi, né mancherà il resto dei comuni. Siciliani seguiteci! La presente guerra è una guerra santa, e mira al bene delle nostre proprietà e delle nostre persone, alla vendetta di tanti martiri, che si sono sacrificati per la patria. Fin oggi abbiamo nella nostra città una invitta armata di 20 000 uomini, che sempre cresce pel buon volere delle vicine popolazioni, abbiamo armi e munizioni di ogni sorta; abbiamo donne combattenti che ricordano il valore delle Amazoni, ed il nostro cannone ha fatto sentire ai nemici quanto valgano le nostre braccia. Siciliani! Seguiteci. La nostra guerra è legittima, e poiché poseremo le armi, e riapriremo il nostro parlamento vedrete che significhi per un popolo esser libero, e come diminuiti i dazi, che sono il vero cancro del nostro paese, e tolti i vincoli nelle industrie, questa terra divenga fiorente. Siciliani! Non cacciarono i nostri padri l’infame Carlo d’Angiò e non difesero Federico aragonese contro tutta Europa? Che saran quindi le armi di Ferdinando II contro tutto un popolo che vuole? Siciliani? È gettato il dado: compiamo la santa causa! Viva Pio IX! Viva la Sicilia! Viva i nostri fratelli italiani!.
Palermo, 17 gennaio 1848»
Alla fine il Parlamento scelse di offrire la corona dell'isola al duca di Genova Ferdinando di Savoia che sarebbe diventato re dell'isola con il nome di Alberto Amedeo I di Sicilia, ma questi non accettò.
Si continuò, ma invano, la ricerca di un nuovo regnante.
La Sicilia, dopo il rifiuto del duca di Genova, ebbe un governo senza carica centrale e diventò instabile. Nel febbraio 1849 a Ruggero Settimo successe alla guida del governo il principe di Butera, Pietro Lanza.
Ferdinando II delle Due Sicilie inviò 16 000 uomini contro l'isola per riconquistarla. Il 15 maggio 1849 cadde Palermo e con essa l'intera isola: le speranze di tenere in vita uno stato indipendente svanirono a questo punto infatti definitivamente. I vertici della rivoluzione andarono in esilio e Ruggero Settimo, escluso dall'amnistia, fuggì a Malta (allora territorio britannico), con la nave HMS Bulldog, dove venne accolto con gli onori di un capo di Stato.[6]
Presidente del Senato d'Italia
[modifica | modifica wikitesto]Lo statista siciliano trascorse con malinconia in quell'isola gli anni dell'esilio, dal quale tornò non appena la sua Sicilia venne annessa al neonato Regno d'Italia nell'ottobre 1860. Nel maggio 1860, poche ore dopo aver assunto la dittatura di Sicilia, a Salemi, Garibaldi invia delle accorate parole a Malta, all'indirizzo di Ruggero Settimo, invitandolo a tornare nell'isola, ma in quei giorni non poté farlo per ragioni di salute.
Approvò l'annessione al Regno d'Italia con il plebiscito e fu nominato senatore il 20 gennaio 1861.[7][8] A Settimo venne offerta la carica di presidente del nuovo Senato del Regno, che egli guidò dal febbraio 1861 fino alla morte,[9] avvenuta a Malta nel 1863.
È sepolto nel Pantheon di Palermo, la chiesa di San Domenico, in un monumento progettato dall'ingegnere Ernesto Perez, con sculture realizzate da Domenico Costantino, in particolare l'angelo, e Salvatore Valenti.
Riconoscimenti
[modifica | modifica wikitesto]Visse e operò alcuni anni a Caltanissetta, dove viene ricordato con il nome del Liceo Classico della città. A Palermo gli sono state dedicate una piazza, con annesso monumento, e una delle vie principali della città. La Regia Marina gli ha intitolato il sommergibile Ruggiero Settimo in servizio dal 1932 al 1946.
Onorificenze
[modifica | modifica wikitesto]Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Ruggiero Settimo, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- ^ Settimo in “Enciclopedia Italiana” – Treccani
- ^ Giovanna Canciullo, La nobiltà siciliana tra rivolte e restaurazione: Il "Partito costituzionale" (1812-1860), Studi Storici, Anno 37, No. 2, Il tempo di Federico II (Apr. - Jun., 1996), pp. 629-654: vi si ricorda anche che "il Castelnuovo consegna simbolicamente a Ruggero Settimo, nel momento in cui lo nomina esecutore testamentario. L'amicizia e l'intesa strettissime tra i due traevano origine da lontano: dopo essersi guadagnato la fama di comandante audace e sprezzante del pericolo durante il suo servizio al comando della corvetta Aurora, di scorta ai reali lungo il tragitto tra Napoli e Palermo, il Settimo si avvicina progressivamente alle posizioni del Castelnuovo durante l'esperimento costituzionale".
- ^ Harold Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli (1825-1861)
- ^ Elpidio Micciarelli (a cura di), Ruggiero Settimo e la Sicilia: Documenti sulla insurrezione Siciliana del 1848, Palermo, 1848, pp. 8-9. URL consultato l'11 giugno 2018.
- ^ Adriano Monti Buzzetti Colella, 1800-1897 Da Marengo a Kabul, Le più grandi battaglie della storia, Vol. IV (Aprile 2017), Focus Storia, Mondadori, pp. 43.
- ^ 20 gennaio 1861 Il Re nomina 67 senatori tra i quali Enrico della Rocca
- ^ Ruggero Settimo / Deputati / Camera dei deputati - Portale storico
- ^ http://www.senato.it/legislature/297885/318069/318089/318269/318270/genpagina.htm Discorso di Settimo al Senato del Regno d'Italia.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- C. Avarna di Gualtieri, Ruggero Settimo nel Risorgimento, Bari, 1928.
- Correnti, Santi (2002), A Short History of Sicily, Les Editions Musae, Montréal (in Inglese).
- Scianò, Giuseppe (2004), Sicilia, Sicilia, Sicilia!, Edizione Anteprima, Palermo.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikiquote contiene citazioni di o su Ruggero Settimo
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ruggero Settimo
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Sèttimo, Ruggiero, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Mario Menghini, SETTIMO, Ruggiero, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1936.
- Settimo, Ruggiero, in L'Unificazione, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2011.
- Sebastiano Angelo Granata, SETTIMO, Ruggero, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 92, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2018.
- Ruggero Settimo, su storia.camera.it, Camera dei deputati.
Controllo di autorità | VIAF (EN) 88351310 · SBN IEIV056411 · BAV 495/180937 · BNE (ES) XX1695609 (data) · BNF (FR) cb14932786v (data) |
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