Ulrike Meinhof

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«Spegnete la luce pensava Ulrike / che la foresta più nera è vicina,
ma oggi la luna ha una faccia da strega / e il sole ha lasciato i suoi raggi in cantina.»

Ulrike Meinhof nel 1964, quand'era una giovane giornalista

Ulrike Marie Meinhof (Oldenburg, 7 ottobre 1934Stoccarda, 9 maggio 1976) è stata una giornalista, terrorista e rivoluzionaria tedesca, cofondatrice del gruppo armato tedesco-occidentale di estrema sinistra Rote Armee Fraktion, meglio noto come "R.A.F." e conosciuto dalla stampa anche come Banda Baader-Meinhof.

I suoi genitori si sposarono nel 1928, anno nel quale, il padre, Werner Meinhof (1901–1940), storico dell'arte (che partecipò nel 1937 alla crociata nazista sull'arte degenerata consegnando opere per essere distrutte), divenne assistente di ricerca presso il museo statale di Storia di Oldenburgo. Nel 1933 entrò a far parte del NSDAP e dal 1936 diresse il Museo della città di Jena . La madre era Ingeborg Guthardt (1909-1949). Dopo la morte del marito, Ingeborg divenne amica della pedagogista Renate Riemeck (1920-2003), attivista dei diritti umani, pacifista. Dopo la morte nel 1949 di Ingeborg, la Riemeck ricevette la tutela delle sue figlie Ulrike e Wienke Meinhof (1931-2017).[1]

In seguito la Riemeck implorerà la figlia adottiva di allontanarsi dal terrorismo. Nella rivista "Konkret" del 1971 scrive ("Gib auf, Ulrike": "Arrenditi, Ulrike!") chiedendo espressamente di porre fine alla lotta armata nella RAF, pur senza condannare le motivazioni originarie della sua amata figlia adottiva e il testo si può interpretare ambiguamente: ""Si dovrebbe cercare di misurare le possibilità della guerriglia urbana della Germania occidentale con la realtà sociale di questo Paese"."[2]

A Oldenburg Ulrike Meinhof frequentò dal 1946 al 1952 l'istituto cattolico femminile Liebfrauenschule e per un certo periodo la scuola Rudolf Steiner di Wuppertal. Nel 1955 si diplomò al liceo "Philippinum Weilburg", e fondò il giornaletto scolastico Spektrum.

All'inizio fu giornalista militante della sinistra radicale tedesco-occidentale, ed ebbe numerosi e fervidi contatti con membri dell'intellighenzia letteraria tedesca, tra cui Heinrich Böll, che scrisse un articolo su di lei[3], Hans Mayer e Marcel Reich-Ranicki. Fu coinvolta anche nel movimento anti-nucleare e fu redattrice del giornale radicale Konkret.

Nel 1961 sposò Klaus Reiner Röhl (1928-2021), giornalista ed editore del giornale comunista konkret, in cui lavorava la Meinhof, con il quale ebbe (1962) due figlie, le gemelle Bettina, futura scrittrice e Regine che diventerà un medico a Berlino. Nel 1968 divorziò dal marito e aumentò il proprio impegno politico, venendo coinvolta in gruppi estremisti con base a Berlino Ovest, e maturando un senso sempre maggiore di frustrazione per l'inerzia e la poca forza ribelle dei gruppi radicali e della sinistra. Il 14 maggio 1970 aiutò il terrorista e rapinatore Andreas Baader a evadere dalla prigione, in quella che venne considerata la sua prima azione e l'inizio della Rote Armee Fraktion (RAF).

Dopo la evasione di Baader, Ulrike Meinhof si diede alla clandestinità insieme ad altri estremisti, dando vita al gruppo che venne ribattezzato dalla stampa tedesca "Banda Baader-Meinhof". Le figlie[4] della Meinhof vennero condotte in Sicilia, dove vissero per quattro mesi in una baracca nella Valle del Belice con alcuni hippy tedeschi, fino a quando Stefan Aust, amico del padre, riuscì a raggiungerle e a riconsegnarle al padre in Germania, poche ore prima che le bimbe venissero trasferite in un campo di terroristi mediorientale.[5]

Unita al gruppo di fuoco della RAF, Ulrike trascorse un periodo in Giordania per essere addestrata all'uso delle armi. Dopo il rientro in patria, il gruppo effettuò furti e attentati a impianti industriali e basi militari statunitensi, nei quali rimasero uccise varie persone. Durante la clandestinità Ulrike Meinhof elaborò ciò che divenne il documento programmatico della RAF: ella infatti scrisse molti dei trattati e dei manifesti che il gruppo produsse, incluso quello sul concetto di guerriglia urbana, descrivendo quello che chiamava sfruttamento dell'uomo comune da parte dell'imperialismo dei sistemi capitalisti.

(DE)

«Wirft man einen Stein, so ist das eine strafbare Handlung. Werden tausend Steine geworfen, ist das eine politische Aktion. Zündet man ein Auto an, ist das eine strafbare Handlung, werden hundert Autos angezündet, ist das eine politische Aktion. Protest ist, wenn ich sage, das und das paßt mir nicht. Widerstand ist, wenn ich dafür sorge, daß das, was mir nicht paßt, nicht länger geschieht.»

(IT)

«Se uno lancia un sasso, il fatto costituisce reato. Se vengono lanciati mille sassi, diventa un'azione politica. Se si dà fuoco a una macchina, il fatto costituisce reato. Se invece si bruciano centinaia di macchine, diventa un'azione politica. Protesta è quando dico che una cosa non mi sta bene. Resistenza è quando faccio in modo che quello che adesso non mi piace non succeda più.»

Detenzione e morte

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Il 15 giugno 1972, attorno alle 19:00[6] venne catturata a Langenhagen, località distante 12 km. da Hannover, mentre cercava di nascondersi in un appartamento in Walsroder Straße 11, vicino a Berliner Platz. La polizia ne era venuta a conoscenza tramite l'inquilino dell'appartamento Fritz Rodewald di professione insegnante. La sera prima, una giovane donna si era presentata nella sua casa chiedendo il favore di ospitare due persone per due o tre giorni. Rodewald aveva acconsentito e aveva dichiarato quando sarebbe stato raggiungibile per i due visitatori. Tuttavia, parlando con il suo compagno quella sera e nel corso del giorno successivo, creato anche dal clima emotivo dell'epoca, dagli appelli fatti in televisione, giornali, radio, dai poster identificativi messi quasi ovunque, iniziò a sospettare che queste persone potessero essere membri della RAF. Rodewald non esitò a contattare la polizia, che immediatamente iniziò la sorveglianza dell'appartamento e le vie limitrofe. Tutto iniziò verso le 16:30. Intorno alle 17:50 una donna (non ancora al momento identificata, la Meinhof) e Gerhard Müller (1948-2007) entrarono nell'appartamento di Rodewald perché non si trovava all'interno, come la polizia gli aveva ovviamente ordinato. Quando Müller lasciò l'appartamento verso le ore 19 per contattare i suoi gruppi di sostegno recandosi verso una vicina cabina telefonica (unico sistema all'epoca per comunicare) la polizia intervenne in forze massicce. Müller fu arrestato prima che potesse prendere la sua arma. Gli altri agenti di polizia, che, come detto, ignoravano l'identità della donna, iniziarono la perquisizione dell'appartamento. La Meinhof riuscì ad essere arrestata ma oppose una fortissima resistenza. Questo importantissimo giorno pose fine alla terrificante "offensiva di maggio" costituita da rapine, assalti e omicidi (da loro sempre giustificati politicamente) in quanto la prima linea della leadership della RAF fu fermata.

Nell'appartamento furono confiscati numerosi oggetti, tra cui armi, munizioni e bombe fatte in casa, come quelle trovate in altri appartamenti cospiratori della RAF e utilizzate negli attacchi dell'"offensiva di maggio". Questo avvenimento rimase impresso nella memoria collettiva della città di Langenshagen molti anni dopo. Nel febbraio 1997, un gruppo di artisti "p.t.t.red" (paint the town red, colora la città di rosso) ha ricordato "Ulrike Meinhof parla del suo arresto a Langenhagen" in una manifestazione artistica di 4 giorni durante la kermesse "Außerparlamentarische Situation".

Armi da fuoco furono sequestrate anche durante l'arresto di Gudrun Ensslin il 7 giugno 1972 ad Amburgo. Bernhard Braun[7] e Brigitte Mohnhaupt[8] trasportavano ordigni esplosivi e armi simili quando furono arrestati il 9 giugno 1972 a Berlino Ovest. Gli investigatori hanno trovato ad Hannover le chiavi di Gerhard Müller che davano loro accesso alle officine degli ordigni cospirativi a Francoforte sul Meno e in altre città. Il 15 e 16 giugno 1972 gran parte della restante logistica della RAF fu distrutta, furono sequestrate armi e bombe operative e furono confiscati i materiali necessari per molti altri ordigni esplosivi. Solo il 15 giugno 1972 terminò l'offensiva di maggio della RAF, che senza l'enorme pressione di ricerca e l'arresto dei membri più importanti della RAF avrebbe sicuramente portato ad altri sanguinosi attacchi.

La Meinhof in data 29 novembre 1974 fu condannata a 8 anni di prigione per l'attentato con esplosivo alla casa madre della casa editrice Axel Springer Verlag, fatto avvenuto ad Amburgo nel 1972 e che causò il ferimento di 17 persone.

Morte per suicidio nel carcere di Stammheim

Il 9 maggio 1976, domenica, alle ore 7:34 del mattino, nella cella 719 al settimo piano, della prigione di massima sicurezza  di Stammheim, gli agenti della polizia penitenziaria (Justizvollzugsbeamte) trovano Ulrike Meinhof appesa senza vita all'inferriata della finestra. Sei minuti dopo, uno dei medici della prigione nel referto scrive che è deceduta per strangolamento.

Traugott Bender (1927-1979) in quel periodo ministro della Giustizia del Baden-Württemberg, spiegherà dopo alcune ore che Ulrike Meinhof è stata vista viva per l'ultima volta la sera precedente intorno alle 22:00, si erano sentiti dei rumori nella sua cella fino alle 22:30 circa. Sulla salma viene effettuata l'autopsia.[9]

I simpatizzanti della RAF usarono il termine "esecuzione voluta dallo Stato". La notizia del decesso in simili condizioni scatenò un'ondata di violenza in patria e all'estero: ci furono manifestazioni di militanti a Berlino Ovest e a Francoforte sul Meno. In questa città fu effettuato un attentato esplosivo contro la "Rhein-Main Air Base" (chiuderà nel 2005) allora quartier generale delle forze armate statunitensi.

L'avvocato della Meinhof, Otto Schily, (nato 1932)[10] che difese anche uno dei fondatori della RAF, Horst Mahler[11] e Gudrun Ensslin, liquidò il fatto come "omicidio anonimo". Dal carcere il terrorista Jan-Carl Raspe disse che Ulrike fu giustiziata.

Ulrike Meinhof è stata la più famosa fondatrice considerata la "voce della RAF". Prima di intraprendere la lotta armata, la giornalista era una gradita ospite nella società liberale di sinistra di Amburgo.

Anche la dura detenzione potrebbe averla distrutta psicologicamente: oltre ad essere sempre più disprezzata dal resto dei membri della banda era tra tutti i prigionieri della organizzazione armata quella tenuta nell'isolamento più lungo e più duro.[12] Aveva in corso un altro processo in cui rischiava l'ergastolo.

Le autorità carcerarie affermarono che si fosse suicidata, ma all'autopsia ufficiale non furono ammessi testimoni e la commissione indipendente che eseguì la seconda autopsia poté solo appurare che la morte sopraggiunse effettivamente per impiccamento.[13]

I membri della RAF sostennero tuttavia che fosse stata uccisa, senza portare però alcuna prova.[14] L'anno successivo, il 18 ottobre 1977, (periodo noto come Autunno tedesco) ebbero lo stesso destino alcuni suoi compagni detenuti nella medesima prigione, tra cui Baader e la Ensslin.

La Commissione d'inchiesta internazionale, composta di vari esperti, sostenne inizialmente la tesi dell'omicidio, portando anche alcuni dati medici che facevano pensare ad atti di violenza subiti. Rilevò inoltre che i segni clinici post-mortem rivelavano piuttosto un decesso per compressione del nervo vago, ossia per pressione sulla carotide che può provocare un arresto cardiaco riflesso, che porta direttamente alla morte senza anossia. L'analisi dei vestiti e del corpo della Meinhof rivelò anche possibili segni di violenza sessuale come ecchimosi ed escoriazioni, anche se non fu possibile affermarlo con certezza.[15] Alla fine, però, tutti i rapporti archiviarono il caso come suicidio:

«La posizione del corpo appeso alla cella, la disposizione e la lunghezza del mezzo servito all'impiccagione, nonché l'analisi degli elementi rilevati sul luogo e dei risultati medici dell'autopsia, corrispondono inequivocabilmente ad una impiccagione che si è svolta nel seguente modo: la signora Meinhof è salita sulla sedia che aveva disposto sotto la finestra su un materasso; ha fatto passare la striscia ritagliata dall'asciugamano attraverso le maglie del reticolato della finestra, poi, dopo essersi addossata al muro sotto la finestra, ha annodato due volte la striscia sotto al mento e ha lasciato la sedia, facendo un passo nel vuoto. Pendendo liberamente al reticolato della finestra, ha presto perso conoscenza ed è morta per asfissia.[15]»

Funerale della Meinhof

Anche il funerale della Meinhof a Berlino il 15 maggio 1976 si trasformò in una grande manifestazione. Al cimitero della Trinità di Mariendorf 4.000 radicali di sinistra fecero l'ultima scorta ai defunti ed erano in servizio circa 1.000 agenti di polizia. La sinistra radicale presentò il personaggio Ulrike Meinhof come una martire, altri paragonandola a Rosa Luxemburg, altri addirittura come una Santa Giovanna d'Arco. Il premio Nobel Elfriede Jelinek le dedicò l'opera teatrale "Ulrike Maria Stuart", interpretato dalla critica come l'"allegro canto del cigno per la sinistra radicale". Altri ancora si sentivano dispiaciuti per "l'angelo caduto".

Il londinese The Times commentò: "La fine di una vita sprecata è sempre triste".

Mariendorf, la tomba di Ulrike Meinhof

La figlia Bettina

Il cervello di Ulrike fu trafugato dal neuropatologo Jürgen Pfeiffer e inviato all'Istituto di psichiatria e medicina psicosomatica dell'Università di Magdeburgo, dove fu analizzato dallo scienziato Bernhard Bogerts, il quale ipotizzò un evidente stato di pazzia[16], dovuto a un fallito intervento chirurgico al cervello per l'asportazione di un tumore benigno, subito dalla Meinhof nel 1962.[17] Fu diagnosticato un danno esteso ai tessuti del lobo temporale destro che il neuropatologo segnò nel suo rapporto del 1976, non solo all'esterno (nella corteccia cerebrale) ma in profondità nel midollo spinale e (quel che è peggio) molto vicino a quella zona detta amigdala. È l'area alla base del cranio dove ha sede il dipartimento delle emozioni, nel cervello umano e dove quindi si trovano gli istinti primordiali.

Il referto del professore Bogerts, venne tenuto segreto perché implicitamente contestava la legittimità della condanna subita dalla Meinhof, a causa della sua presumibile incapacità di intendere e volere.[18] Dopo lunghe indagini, la figlia Bettina ha scoperto che da 25 anni il cervello sezionato della madre era conservato in un armadio metallico nel magazzino dell'università di Magdeburgo e ne ha preteso la ricongiunzione con i resti sepolti nel cimitero evangelico di Mariendorf. Il gesto è avvenuto il 19 dicembre 2002.[19]

La figlia Bettina Röhl ha scritto nel 2018 un libro critico intitolando "sulla frenesia che coinvolse la Germania Ovest nel 1968" con la copertina "Die RAF hat Euch lieb", ("La RAF vi ama") - "Die Bundesrepublik im Rausch von '68".

Rapporti con Baader e la Ensslin

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Soprattutto verso la fine, i rapporti con la Ensslin si erano fatti molto tesi. Uno dei motivi fu, nel marzo 1976, quello riguardante i fascicoli del membro RAF Karl-Heinz Ruhland, divenuto un testimone-chiave[20] che la Meinhof avrebbe dovuto richiedere all'avvocato difensore Ströbele. Ruhland aveva appena rilasciato un'intervista al settimanale Spiegel. Andreas Baader, sorvegliato dai secondini, fu visto scrivere su alcuni testi di Ulrike Meinhof la parola "scheisse" (merda). Fra marzo e aprile 1976 il conflitto soprattutto con la Ensslin si intensificò. Il litigio tra le due donne è ricostruito grazie ai frammenti confiscati dagli agenti BKA del penitenziario di massima sicurezza.

La Ensslin ricevendo una lettera da parte della Meinhof prima di spedirla alle guardie per il controllo: "Poiché la cosa di Ulrike fa un'impressione visivamente lacunosa", si corregge, "la riscriverò a macchina prima di spedirla e tralascerò una frase finale perché non potrebbe più esprimere il nostro rapporto con Ströbele" (1939-2022, l'avvocato difensore).[21] "E inoltre eliminerò due o tre di quelle parole riempitive di lusso, che fanno perdere tempo, come "eben" (semplicemente)..."[22][23]

Cultura di massa

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  • Nel 1974 gli Area le dedicano il brano Lobotomia dell'album Caution Radiation Area.
  • La carcerazione di Ulrike Meinhof fu cantata da Claudio Lolli nel brano Incubo numero zero (in particolare nelle prime due strofe e nell'ultima), pubblicato nel concept album Disoccupate le strade dai sogni del 1977.
  • Il 4 novembre 1977 gli alpinisti feltrini Diego Dalla Rosa e Aldo Bortolot aprono la via di arrampicata "Ulrike Meinhof" (250m, V+, A1) sulla Cima del Diàol, nel gruppo dei Monti del Sole (Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi).
  • Nel 1978 Giovanna Marini dedicò alla Meinhof una canzone dal titolo Ulrike Meinhof, inclusa nel suo album Correvano coi carri. Il testo descrive la morte della donna come un assassinio di Stato (assassinata nella Germania che salva il dollaro e salva la lira e semina ancora l'acciaio, la morte e la tortura).
  • Nel 1978 Dario Fo e Franca Rame scrissero il monologo Io, Ulrike, grido...
  • I Chumbawamba le dedicano il brano Ulrike nell'album Slap! del 1990.
  • Nel 1998 il gruppo electronic/downtempo svedese Doris Days le dedica il brano To Ulrike M., nel quale è contenuto un passaggio in lingua tedesca, probabilmente risalente ad una registrazione vocale della stessa Meinhof.
  • Nel film La banda Baader Meinhof, del 2008, il personaggio di Ulrike Meinhof è stato interpretato da Martina Gedeck.
  • Nel 2017 il cantautore basco Fermin Muguruza insieme al gruppo electro/indie catalano The Suicide of Western Culture le dedicano il brano Berlin-Ulrike Meinhof.
  1. ^ La sorella Wienke di seguito coniugata Zitzlaff.
  2. ^ "Du solltest versuchen, die Chancen von bundesrepublikanischen Stadtguerillas einmal an der sozialen Realität dieses Landes zu messen".
  3. ^ Heinrich Böll, Will Ulrike Gnade oder freies Geleit?, Der Spiegel, 10 gennaio 1972
  4. ^ (DE) Sven-Felix Kellerhoff, Sie wollte ihre Kinder mit in den Abgrund reißen, su welt.de, 28 giugno 2018.
  5. ^ Paolo Valentino, Bettina, un incubo per il ministro, Corriere della Sera, 10 gennaio 2001, pag.12
  6. ^ (DE) Oliver Tolmein, RAF-Terroristin Ulrike Meinhof verhaftet, su deutschlandfunk.de, 15 giugno 2012.
  7. ^ Fra i fondatori del Movimento 2 giugno.
  8. ^ Fra le terroriste più irriducibili, nata nel 1949, partecipò alle esecuzioni di Siegfried Buback, del Presidente della Dresdner Bank Jürgen Ponto (1923-1977) e di Hanns-Martin Schleyer. Nel 1981 cercò di assassinare con un RPG-7 il generale statunitense della NATO e capo della 7ª Armata Frederick Kroesen (1923-2020). Arrestata nel 1972, rilasciata nel 1977 (a Stammheim fu formata da Baader e dalla Ensslin come terrorista della 2ª generazione), passò poi alla clandestinità. Riarrestata nel 1982, benché condannata all'ergastolo fu rilasciata dal carcere di Aichach nel 2007. Non ha mai chiesto clemenza.
  9. ^ 09.05.1976: Tod von Ulrike Meinhof. Wie starb U.M.?, su zeitklicks.de.
  10. ^ Avvocato, fu ministro dell'interno dal 1998 al 2005
  11. ^ Avvocato radiato dall'albo, nato nel 1936, dal 2000 si avvicinò alla destra tedesca abbracciando pure il negazionismo dell'Olocausto.
  12. ^ 9 maggio 1976: Ulrike Meinhof muore in carcere. Un suicidio molto sospetto - L'alter-Ugo, su ugomariatassinari.it, 9 maggio 2020. URL consultato il 12 dicembre 2023.
  13. ^ (DE) Marie Louise Sulzer, 9.-05.-1976: Wird Ulrike Meinhof erhängt aufgefundet, su swr.de, 10 maggio 2023.
  14. ^ Morte di Ulrike Meinhof, su Infoaut, 9 maggio 1976. URL consultato il 12 dicembre 2023.
  15. ^ a b 9 maggio. Ulrike Meinhof. Rapporto della commissione internazionale d'inchiesta sulla sua morte, su lintellettualedissidente.it. URL consultato il 28 giugno 2015 (archiviato dall'url originale il 30 giugno 2015).
  16. ^ (DE) Anja Deuble, Sebastian Seidel, Ulrike Meinhof und die RAF: Wie sich eine Frau radikalisierte, su ndr.de, 4 ottobre 2024.
  17. ^ Paolo Valentino, Il giallo del cervello rubato di Ulrike Meinhof, Corriere della Sera, 10 novembre 2002, pag. 15
  18. ^ Jürgen Dahlkamp, Das Gehirn des Terrors, Spiegel Online, 8 novembre 2002 [1]
  19. ^ Jürgen Dahlkamp, Gehirn von Ulrike Meinhof in aller Stille beigesetzt, Spiegel Online, 20 dicembre 2002 [2]
  20. ^ Collaboratore di giustizia, nato nel 1938, ex meccanico, membro RAF, incarcerato dal 1970 al 1974, fu graziato perché collaborò con le autorità. Per questo visse scortato, con nuovi documenti e regolare paga mensile.
  21. ^ Hans-Christian Ströbele, avvocato difensore, fu un simpatizzante RAF negli anni giovanili. Anni dopo diverrà membro del Bundestag nel periodo 2002-2017. Fu esponente dei Verdi.
  22. ^ "Weil das Ding von Ulrike optisch einen verlotterten", sie korrigierte sich, "kaputten Eindruck macht, tippe ich es, bevor ich es rausgebe, noch mal ab und lasse dabei eine Schlußfloskel weg, weil sie nicht mehr unser Verhältnis zu Ströbele ausdrücken konnte. Und streiche auch zwei oder drei dieser knieweichen, ihrer Funktion nach zeitraubenden, ihrem Charakter nach luxuriösen Füllwörter wie eben weg ..."
  23. ^ (DE) Stefan Aust, "Das Messer im Rücken der RAF", su spiegel.de, 8 dicembre 1985.
  • Alois Prinz, Disoccupate le strade dai sogni. La vita di Ulrike Meinhof, Marotta, 2007
  • Agnese Grieco, Anatomia di una rivolta. Andreas Baader, Ulrike Meinhof, Gudrun Ensslin. Un racconto a più voci, Il Saggiatore, 2010

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