Utente:Claudio Gioseffi/Sandbox 27
Titolo sezione
[modifica | modifica wikitesto]Età contemporanea
[modifica | modifica wikitesto]Il complesso sistema ecclesiastico vicentino, nella sua composizione di diocesi, parrocchie, monasteri e conventi, ordini religiosi e confraternite laiche, patrimoni, privilegi e benefici del clero, fu modificato dapprima dalla Repubblica di Venezia nella seconda metà del Settecento, poi - molto più profondamente - nel primo decennio dell'Ottocento dalla legislazione napoleonica, che fu conservata anche sotto l'Impero asburgico.
La soppressione di conventi e monasteri da parte della Repubblica di Venezia
[modifica | modifica wikitesto]Una parte di essi - quelli in cui abitavano meno di sei religiosi - fu soppressa con decreto della Repubblica Veneta del 1769:
- il più importante, gestito dalla Congregazione dei Canonici Lateranensi, secondo in città per proprietà di terreni e di immobili, era il monastero di San Bartolomeo, la cui struttura fu utilizzata per trasferirvi gli ospedali cittadini[1]
- il convento dei Frati Minimi presso la chiesa di San Giuliano
- il convento e il collegio di San Giacomo, gestito dai Padri Somaschi. Mentre il convento passò al Comune, la chiesa ritornò a funzionare con un parroco secolare fino al 1810, dopo di che la sede parrocchiale fu trasferita per decreto nella chiesa di Santo Stefano
- il monastero di Santa Lucia, gestito dai Camaldolesi. La chiesa restò sede parrocchiale, aperta al culto e i monaci - che erano stati trasferiti a Murano - ne continuarono a nominare il parroco per la cura d'anime[2].
- il convento degli Eremitani di San Michele in Borgo Berga; anch'essa restò ancora sede parrocchiale[3][4].
La riforma napoleonica
[modifica | modifica wikitesto]Dopo la terza occupazione della città da parte delle truppe francesi, sotto il napoleonico Regno d'Italia, tra il 1806 e il 1810 furono soppressi tutti i restanti conventi, monasteri e istituti religiosi.
La soppressione degli ordini maschili
[modifica | modifica wikitesto]Dei tredici ordini maschili, con il decreto vicereale del 28 luglio 1806 furono evacuati dalle loro sedi:
- i Benedettini, dal monastero e dalla Basilica dei Santi Felice e Fortunato. Il complesso degli edifici passò al demanio cittadino - ma nel frattempo era iniziata la dispersione e l'alienazione dei beni, compresa una parte degli immobili
- i Cappuccini, dal convento di San Pietro in Vivarolo, peraltro già distrutto da un violento incendio nella notte del 3 novembre 1805, mentre le truppe francesi entravano in Vicenza; esso finì di essere demolito nel 1817 e i suoi materiali vennero utilizzati per la costruzione del Cimitero Maggiore
- i Carmelitani, dal monastero annesso alla chiesa di Santa Croce in San Giacomo Maggiore detta dei Carmini
- i Francescani, dal convento di San Lorenzo. Chiesa e convento furono saccheggiati e utilizzati dapprima come ospedale militare, poi per l'acquartieramento delle truppe[5]
- i Frati Minimi, dal convento di San Biagio nuovo
- i Teatini, dalla chiesa di San Gaetano, che rischiò di essere demolita, ma per l'interessamento del vescovo Pietro Marco Zaguri e della stessa municipalità fu salvata e riaperta al culto come succursale della vicina chiesa di Santo Stefano
Poterono rimanere, almeno parzialmente, nel loro convento o istituto:
- i Cappuccini, che da pochi anni avevano sostituito i Minimi nel convento e nella chiesa di San Giuliano
- i Carmelitani Scalzi, nella chiesa di San Girolamo (ora Sam Marco)
- i Domenicani, nel convento annesso alla chiesa di Santa Corona
- i Filippini, nella chiesa di San Filippo Neri[6]
- i Riformati, che gestivano l'oratorio di San Giuseppe[7]
- i Padri Somaschi, che prestavano servizio in varie strutture educative e assistenziali della città, come l'orfanotrofio della Misericordia, l'ospedale di San Valentino e lo stesso seminario vescovile
- i Servi di Maria, presso il santuario della Madonna di Monte Berico[8].
Anche tutti questi furono poi soppressi dal decreto napoleonico di Compiègne del 25 aprile 1810, che dispose lo scioglimento degli ordini religiosi e delle confraternite[9].
La soppressione degli ordini femminili
[modifica | modifica wikitesto]Dei quattordici conventi o monasteri femminili esistenti in città, con l'esecuzione del decreto del 1806 ne furono evacuati alcuni, estromettendo:
- le Agostiniane, dal convento di San Tommaso, in Borgo Berga. Gli edifici furono adibiti a scopi militari. Le funzioni parrocchiali, affidate in un primo tempo alla chiesa di San Silvestro, nel 1810 passarono a quella di Santa Caterina.* le Benedettine del monastero di Santa Caterina, che insieme ad altre furono concentrate nel convento del Corpus Domini
- le Agostiniane, dal convento di Santa Maria Nova[10]
- le Benedettine, dalla chiesa e monastero di San Silvestro. La chiesa, che conservava ancora funzioni di parrocchia, dove un sacerdote veniva mantenuto con le rendite del monastero, rimase aperta fino al 1810, anno in cui la cura d'anime fu trasferita a Santa Caterina.
- le Carmelitane "calzate" (o Teresiane), spostate dal monastero di San Rocco al convento di San Domenico[11]
- le Domenicane, spostate dal convento di San Domenico nel monastero di San Rocco e sostituite dalle Teresiane
Vennero invece lasciati in vita i monasteri:
- delle Benedettine di San Pietro. Al monastero apparteneva anche la Chiesa di Sant'Andrea, che in precedenza era stata sede parrocchiale e in questo periodo venne abbattuta e ridotta a casa di abitazione
- delle Canonichesse Lateranensi del monastero di contrà Corpus Domini[12]
- delle Cappuccine, in contrà San Domenico[13]
- delle Clarisse del monastero di Santa Chiara
- delle Clarisse di Santa Maria in Araceli[14]
- delle Clarisse di San Francesco Nuovo in Borgo Pusterla.
- delle Convertite di Santa Maria Maddalena, in contrà della Misericordia presso ponte Novo
- delle Dimesse di Santa Croce[15]
Tutti questi monasteri e conventi furono poi soppressi con il decreto del 1810[16]. Gli edifici - a parte alcune chiese che rimasero luoghi di culto, talora sedi parrocchiali - divennero proprietà del demanio comunale e ridotti a caserma o magazzino.
Le parrocchie cittadine
[modifica | modifica wikitesto]Con decreto napoleonico 18 dicembre 1807, che ordinava la riorganizzazione ecclesiastica, la rete parrocchiale della città di Vicenza fu completamente ridimensionata, con l'obiettivo di eliminare i centri di culto superflui. Il numero delle parrocchie fu ridotto di unterzo; furono soppresse quelle:
- dei Santi Faustino e Giovita; in parte incorporata nella parrocchia di Santo Stefano e in parte in quella dei Servi. La chiesa fu sconsacrata e quasi completamente spogliata di tutte le opere d'arte che possedeva, gli altari vennero spostati in altre sedi. Passato al demanio comunale, l'edificio venne utilizzato come magazzino
- di Sant'Eleuterio (poi Santa Barbara), inglobata dapprima nella parrocchia dei Servi e poi, dopo un ricorso dei parrocchiani di Santo Stefano, in quest'ultima
- dei Santi Filippo e Giacomo (o San Giacomo Minore), la cui sede fu trasferita nella chiesa di Santo Stefano
- di San Paolo, trasferita, insieme a quella di San Michele, alla chiesa dei Servi[17]
Nel centro storico - in senso stretto - rimasero soltanto le tre parrocchie:
- della Cattedrale di Santa Maria Annunciata
- di Santo Stefano
- di San Marcello, trasportata più tardi dalla chiesa omonima al vicino Oratorio di San Filippo Neri)
Altre parrocchie della città furono istituite in chiese che erano appartenute a monasteri o conventi soppressi in questo periodo: quelle
- di Santa Maria in Foro presso la chiesa dei Servi, che sostituì la precedente parrocchia di San Michele, la cui chiesa fu poi demolita nel 1812
- di Santa Caterina, parrocchia del Borgo Berga
- di Santa Maria in Araceli, parrocchia del Borgo Santa Lucia
- di San Pietro, parrocchia del Borgo San Pietro
- dei Santi Felice e Fortunato, parrocchia del Borgo San Felice
- di Santa Croce in San Giacomo, parrocchia del Borgo Porta Nova
- di San Marco in San Girolamo[18]. Qui si spostò la sede parrocchiale del Borgo Pusterla, dapprima situata nella antica cappella cittadina, che fu subito demolita.
I parroci divennero funzionari dello Stato, oltre che della Chiesa, responsabili dei loro fedeli anche dal punto di vista civile: ad essi fu affidato il compito di tenere l'anagrafe, di rilasciare certificati di malattia o di povertà, di tenere gli elenchi dei coscritti della leva militare. Fu modificata anche l'amministrazione economica della parrocchia: divisi i beni tra il beneficium, che serviva al mantenimento del parroco (al quale veniva assegnata una congrua, nel caso il beneficium non fosse sufficiente) e la quarta fabricae cioè il patrimonio che serviva al mantenimento degli edifici parrocchiali, la gestione di quest'ultima fu affidata ai fabbricieri, un comitato di laici nominati dallo Stato.
Anche molti religiosi - privati delle loro fonti di reddito, perché la legislazione napoleonica aveva incamerato nel demanio i legati di culto, cioè i lasciti per la celebrazione di funzioni religiose - andarono ad ingrossare le file del clero parrocchiale: a quel tempo la città ebbe in media un sacerdote ogni 150 abitanti[19].
Le Confraternite
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1806 Eugenio Beauharnais emise un editto per l'incameramento dei beni non solo delle abbazie e delle commende, ma anche delle confraternite, che quindi vennero sciolte. I loro beni, e così quelli del Gonfalone, vennero incamerati nel patrimonio della Congregazione di carità, di nuova istituzione.
Furono soppresse quasi tutte le confraternite di Vicenza con i loro oratori o cappelle. Com'era avvenuto per molte chiese e conventi, dopo la soppressione la maggior parte degli ambienti fu chiusa, spogliata di tutte le opere e demolita. Il vescovo di Vicenza Marco Zaguri riuscì a evitare la soppressione della sola Confraternita del Santissimo Sacramento, nella quale confluirono molti confratelli del Gonfalone, che così poterono continuare a tenere aperto l'oratorio e officiarvi le Quarant'ore[20].
Gli effetti della riforma ecclesiastica napoleonica
[modifica | modifica wikitesto]La riforma napoleonica realizzò, mediante imposizioni esterne e in brevissimo tempo, una parte di quanto non era stato attuato all'interno della Chiesa neppure dalla gerarchia, come, ad esempio, avevano invano tentato di fare i due vescovi Priuli nella seconda metà del Cinquecento.
Con i decreti la Chiesa perse un'enorme quantità di proprietà immobiliari (a fine Settecento rappresentavano circa un terzo dell'area cittadina) di benefici e di rendite. Cessò anche la stretta correlazione con l'aristocrazia, che durante tutta l'età moderna aveva arricchito la Chiesa con lasciti, costruzione di edifici, cappelle, arredi e opere d'arte anche di grande valore. Migliorò invece la relazione tra le funzioni della Chiesa e l'attenzione alla popolazione più umile e povera.
Ne beneficiò anche la vita parrocchiale, come risulta dalla relazione del vescovo Giuseppe Maria Peruzzi durante il suo episcopato tra il 1818 e il 1825. Le chiese erano ben tenute, il clero disciplinato, l'istruzione catechistica diffusa in ogni parrocchia; diversa la valutazione della vita di fede: sia la coscienza che la pratica religiosa si erano raffreddate e anche i costumi morali lasciavano a desiderare[21].
La chiesa vicentina sotto il Regno Lombardo-Veneto
[modifica | modifica wikitesto]Il vescovo filo asburgico Giuseppe Maria Peruzzi
[modifica | modifica wikitesto]Dopo un lungo periodo di sede episcopale vacante (1810-1818), il 1° gennaio 1819 entrò a Vicenza il nuovo vescovo Giuseppe Maria Peruzzi già vescovo di Caorle e poi di Chioggia. Due anni prima egli era stato nominato direttamente dall'imperatore d'Austria vescovo di Vicenza, designazione che però non era stata convalidata da papa Pio VII, il quale solo con l'indulto del 13 novembre 1817 concesse a Francesco I la facoltà di nominare i vescovi veneti[22].
Il Peruzzi era apertamente filo asburgico: ancora nel 1797, dopo il Trattato di Campoformio, si era schierato apertamente con gli austriaci, che intendevano portare il risorgimento della santa morale e il libero esercizio della religione cattolica[23]. Appena giunto a Vicenza, subito preparò la visita pastorale diocesana - di cui redasse un'accurata relazione nella quale comunque espresse una valutazione positiva della riforma napoleonica.
Giovanni Giuseppe Cappellari, verso l'italianità
[modifica | modifica wikitesto]Il 5 gennaio 1832, poco più di un anno dopo la morte del Peruzzi, l'imperatore nominò vescovo di Vicenza l'anziano rettore dell'università di Padova Giovanni Giuseppe Cappellari, nomina confermata sei mesi più tardi da papa Gregorio XVI, suo parente. Con lui iniziò uno degli episcopati più importanti dell'età contemporanea, che stimolò la rinascita della Chiesa vicentina[24].
Dotato di notevole cultura umanistica e teologica, era aperto ai principi che si stavano affermando in età contemporanea e alla spiritualità rosminiana, che si era diffusa anche a Vicenza specialmente tra i docenti del seminario come Giacomo Zanella e Giuseppe Fogazzaro, sacerdoti che egli protesse durante i moti risorgimentali del 1848.
Fortemente convinto dell'importanza di formare culturalmente e spiritualmente il clero diocesano, ne riformò il corso degli studi e fece costruire, poco al di fuori di Porta Santa Lucia, l'imponente Seminario maggiore.
Con la sua azione pastorale promosse istituzioni e iniziative diocesane che trascendevano il ristretto ambito parrocchiale. Favorì il lento rientro in città di alcuni ordini e congregazioni religiose, dopo lo scioglimento avvenuto a motivo dei decreti napoleonici; approvò la costituzione dell'Istituto delle Suore Maestre di Santa Dorotea, figlie dei Sacri Cuori creato da Giovanni Antonio Farina nel 1836, del Collegio femminile delle Dame inglesi e della Congregazione degli esercizi al popolo; sostenne i Figli della carità istituiti nel 1836 da don Luigi Fabris per l'educazione dei giovani poveri e abbandonati e nello stesso anno promosse la prima Conferenza di San Vincenzo de Paoli in Vicenza[25].
Per quanto riguarda l'aspetto politico, pur simpatizzando per le idee liberali e favorevoli all'unità d'Italia[26] e dimostrando avversità verso l'ingerenza delle autorità asburgiche, mantenne sempre un grande equilibrio, anche per proteggere la popolazione[27]. Durante l'insurrezione del Quarantotto diede l'appoggio, anche tramite lettere pastorali, al governo provvisorio della città ma poi, dopo la sconfitta, intercedette con gli austriaci per una pacificazione[28].
Nel 1854 riuscì ad inaugurare il nuovo seminario, da lui tenacemente voluto. Le sue dimissioni, più volte richieste a causa delle condizioni di salute sempre più precarie. furono sempre rifiutate dal papa; morì il 7 febbraio 1860, vivamente compianto da tutta la città[29].
Giovanni Antonio Farina, la transizione tra l'impero asburgico e il regno d'Italia
[modifica | modifica wikitesto]Nel giugno 1860 il vescovo di Treviso Giovanni Antonio Farina venne trasferito alla diocesi di Vicenza, in cui fece l'ingresso in dicembre[30]. Questo incarico gli veniva dato in un momento politicamente molto difficile; nei dieci anni trascorsi dopo i moti insurrezionali del 1848, in città erano nate forti tensioni tra i cattolici conservatori filo-austriaci e quelli che manifestavano idee liberali e favorevoli al prossimo regno d'Italia.
Lo stesso giorno del suo ingresso in diocesi il nuovo vescovo scrisse al clero e al popolo di Vicenza la sua prima lettera pastorale, con la quale richiamava l'unità di spirito e di sentimenti con il Papa, lettera che fu interpretata in chiave politica come fedeltà all'imperatore d'Austria (al quale in effetti Antonio Farina era legato da riconoscenza per la nomina) ed egli fu tacciato di essere "austriacante"[31].
Secondo il Franzina, il nuovo vescovo creò un clima di rigore e oscurantismo verso clero e laici, molti dei quali - giudicati colpevoli ora di immoralità, ora di simpatie filo-italiane, liberali o unitarie - furono allontanati dai loro incarichi, come il rettore del seminario Antonio Graziani; il Farina anzi sollecitò regolarmente l'intervento delle autorità di polizia austriache per rendere più efficace questa repressione[32].
Nel 1863 indisse il sinodo diocesano - che non veniva costituito da più di 170 anni - e l'anno seguente iniziò la visita pastorale in tutta la diocesi; nel 1866 la visita fu interrotta dalle vicende politiche, tra cui l'annessione del Veneto all'Italia, che diedero luogo a dimostrazioni di ostilità contro il vescovo[33].
Durante il decennio del suo episcopato vicentino, il Farina svolse un'attività pastorale orientata alla formazione culturale e spirituale del clero e dei fedeli, all'insegnamento catechistico dei bambini, alla riforma degli studi e della disciplina nel seminario[34]. Istituì confraternite per il soccorso ai poveri, ai sacerdoti anziani e per la predicazione al popolo.
Partecipò alle sessioni del Concilio Vaticano I fino al 14 giugno 1870, dovendo poi abbandonarlo per motivi di salute; per questa sua assenza fu fortemente attaccato dalla stampa liberale vicentina[35]. Dopo una prima grave malattia nel 1886, il suo fisico si indebolì gradatamente, tanto che la fine del 1887 la Santa sede gli accordò un coadiutore nella persona di Antonio Maria De Pol, che gli sarebbe successo nella cattedra vescovile, morì nel marzo 1888.
Era un periodo di forti tensioni tra la nuova classe politica liberale, salita al potere dopo l'annessione del Veneto al regno d'Italia, e le forze cattoliche, in buona parte nostalgiche del passato e che rivendicavano ancora il potere temporale del Papa; lo scontro si concentrava soprattutto sull'insegnamento della religione nelle scuole, che le classi liberali volevano abolire.
Il vescovo De Pol, forte della sua esperienza di formatore dei giovani, si adoperò per difendere questo principio, attraverso lettere pastorali e la condanna della propaganda antireligiosa. Lo fece favorendo l'azione e il movimento cattolico che, durante il suo episcopato, ebbe uno sviluppo considerevole[36]. Uomo attento e sensibile ai problemi del mondo operaio, sostenne le Società cattoliche operaie del vicentino - fu nominato presidente onorario della Federazione costituita nel 1888 - e con una propria lettera pastorale diede notevole risalto all'enciclica di Leone XIII Rerum Novarum, quando fu pubblicata nel 1891[37].
Nonostante questo, visse i suoi ultimi anni amareggiato per la diminuzione dello spirito religioso non solo in città, ma anche nelle campagne. Continuò le visite pastorali alla città e alla diocesi fino al giugno 1891, quando dovette interromperle a causa di una seria malattia. Morì a Vicenza il 4 luglio 1892 all'età di 56 anni.
Nonostante le polemiche che contrassegnarono il suo episcopato, fu ricordato come un uomo di grande moderazione. Il giornale dei liberali moderati "La provincia di Vicenza" scrisse: "Noi piangiamo la perdita di lui retto e operoso …lodato per dottrina e bontà, le quali si palesavano pure nei suoi discorsi, dove il dire elegante, la chiarezza, l'ordine rendevano genialmente il pensiero non di rado profondo, sempre giusto ed efficace. Venne pieno di zelo e si pose all'opera con l'ardore di chi si fa gloria della sua altissima missione non soltanto religiosa, ma anche civile"[38].
Vescovi della diocesi di Vicenza in età contemporanea
[modifica | modifica wikitesto]- Antonio Feruglio † (16 gennaio 1893 - 4 gennaio 1911 dimesso)
- Ferdinando Rodolfi † (14 febbraio 1911 - 12 gennaio 1943 deceduto)
- Carlo Zinato † (8 giugno 1943 - 11 settembre 1971 ritirato)
- Arnoldo Onisto † (11 settembre 1971 - 20 febbraio 1988 ritirato)
- Pietro Giacomo Nonis † (20 febbraio 1988 - 6 ottobre 2003 ritirato)
- Cesare Nosiglia (6 ottobre 2003 - 11 ottobre 2010 nominato arcivescovo di Torino)
- Beniamino Pizziol, dal 16 aprile 2011.
Beniamino Pizziol (Ca' Vio di Cavallino-Treporti, 15 giugno 1947), già vescovo ausiliare del patriarcato di Venezia dal 2008, è stato nominato vescovo della diocesi berica da papa Benedetto XVI il 16 aprile 2011, dopo sei mesi di sede vacante. Ha preso possesso canonico della diocesi il 19 giugno 2011.
Rinascita degli ordini religiosi
[modifica | modifica wikitesto]- Dorotee
- Orsoline
- Servi di Maria
- Francescani
- Giuseppini
- Saveriani
Rapporti della chiesa con lo Stato
[modifica | modifica wikitesto]- Opera dei Congressi
- Attività economica e sociale dei cattolici
- La prima guerra mondiale
- Rapporti con il fascismo. Il Concordato
- La costruzione delle nuove chiese
- La seconda guerra mondiale
- La Sacrestia d'Italia. Zinato e Rumor
- Il Concilio. L'espansione della città e le nuove parrocchie.
- I seminari diocesani, ascesa e decadenza, il Centro Onisto
- Il sessantotto e i movimenti di base
- Il ritorno della conservazione
° La Caritas diocesana
- Parrocchie e unità pastorali
Storia della chiesa vicentina
[modifica | modifica wikitesto]Al periodo della Restaurazione (1º maggio 1818) risale la bolla De salute Dominici gregis di papa Pio VII con la quale le diocesi del Triveneto subirono una profonda riorganizzazione. Vicenza perse così il vicariato di Cittadella (escluse le parrocchie di Paviola, San Giorgio in Bosco, San Giorgio in Brenta, Lobia, Santa Croce Bigolina) e la parrocchia di Selvazzano che passarono a Padova; viceversa, acquisì da quest'ultima i vicariati di Marostica e Breganze. Al contempo, Udine fu retrocessa a semplice diocesi e Vicenza divenne suffraganea del patriarcato di Venezia[39].
Tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo la diocesi ebbe la presenza di esempi di santità: un vescovo, san Giovanni Antonio Farina, e varie religiose: santa Giuseppina Bakhita, santa Maria Bertilla Boscardin, la beata Eurosia Fabris Barban e la serva di Dio Giovanna Meneghini.
Nel 1945 il vescovo Carlo Zinato fonda il settimanale diocesano, La Voce dei Berici.[40]
L'11 gennaio 1978, con la lettera apostolica Quoniam beatissima, papa Paolo VI ha confermato la Beata Maria Vergine del Monte Berico patrona principale della città e della diocesi.[41]
Il 7 e 8 settembre 1991, in occasione della festa della santa patrona, Vicenza ha accolto papa Giovanni Paolo II in visita pastorale: è stata la prima volta di un papa in terra berica.
L'8 novembre 2005 per la prima volta è stata celebrata una beatificazione nel territorio diocesano: si tratta di Eurosia Fabris Barban, proclamata beata nella cattedrale di Vicenza.
L'8 agosto 2014, in forza del decreto Quo aptius della Congregazione per i vescovi, ha ricevuto la parrocchia di Caselle di Pressana dalla diocesi di Verona.
Siti di riferimento
[modifica | modifica wikitesto]- Diocesi di Vicenza
http://www.vicenza.chiesacattolica.it
- Diocesi di Vicenza - Famiglie religiose
http://www.vicenza.chiesacattolica.it/pls/vicenza/v3_s2ew_consultazione.mostra_pagina?id_pagina=1867
- Istituti religiosi a Vicenza
https://www.paginegialle.it/veneto/vicenza/istituti_religiosi.html
- Istituti religiosi in provincia di Vicenza
https://www.paginegialle.it/veneto/vi/istituti_religiosi.html
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Nel novembre del 1772 il senato veneziano approvò il progetto di fusione e di concentrazione di tutti gli ospedali della città in un Ospedale Grande degli Infermi e dei Poveri e gli ospedali - oltre a quello di Sant'Antonio anche quelli di San Lazzaro, dei santi Pietro e Paolo, dei santi Ambrogio e Bellino, di San Bovo e quelli della Pia Opera di Carità - furono trasferiti negli edifici dell'ex monastero di San Bartolomeo
- ^ Brogliato, 1982, pp. 326-27.
- ^ Con i decreti napoleonici la parrocchia fu unita a quella di Santa Maria dei Servi; chiesa e convento furono demanializzati e infine la chiesa demolita
- ^ Mantese, 1954, pp. 486-87.
- ^ restauro [collegamento interrotto], su sanlorenzosperi.altervista.org.
- ^ Soppressi nel 1810 - a quel tempo erano in tre sacerdoti - dovettero attendere il 1821, sotto il Regno lombardo-veneto, per poter ricostituire la congregazione e riavere la chiesa che fu consacrata quattro anni più tardi
- ^ Subito al di fuori di Porta Castello, edificio ora distrutto
- ^ Mantese, 1982/1, pp. 407-10.
- ^ Mantese, 1982/1, p. 53
- ^ Giarolli, 1955, p. 457
- ^ Giarolli, 1955, p. 410
- ^ Giarolli, 1955, pp. 124-26
- ^ Giarolli, 1955, pp. 83-84
- ^ Giarolli, 1955, p. 287
- ^ Giarolli, 1955, pp. 369-70
- ^ Mantese, 1982/1, p. 53
- ^ Giarolli, 1955, p. 431.
- ^ Mantese, 1982/1, pp. 241-303
- ^ La descrizione dei cambiamenti in Zanolo, 1991, p. 198
- ^ Pacini, 1994, pp. 157-62.
- ^ Zanolo, 1991, pp. 200-202.
- ^ Mantese, 1982, pp. 222-24
- ^ Mantese, 1982, p. 220
- ^ Mantese, 1982/1, pp. 227-29
- ^ Zanolo, 1991, p. 203, Mantese, 1982/1, p. 231
- ^ Franzina, 1980, pp. 667, 675
- ^ Zanolo, 1991, pp. 202-03
- ^ Mantese, 1982/1, pp. 232-29
- ^ Mantese, 1982/1, pp. 236-40
- ^ Secondo il Mantese il suo trasferimento fu imposto dagli austriaci, che volevano a Vicenza un vescovo di loro piena fiducia, ben diverso dal predecessore, Mantese, 1954/2, pp. 24-25
- ^ Così il Franzina, 1980, p. 693, il quale contesta la posizione di altri - come G.A. Cisotto, La visita pastorale di Giovanni Antonio Farina nella diocesi di Vicenza (1864-1871), Roma 1977, p. XX - secondo i quali le posizioni reazionarie del vescovo derivavano soltanto dal suo culto dell'autorità costituita, di ascendenza paolina
- ^ Franzina, 1980, pp. 693-95
- ^ Mantese, 1954/2, pp. 130-31, 143
- ^ Canonizzazione del Vescovo Giovanni Antonio Farina, amico dei poveri, su clerus.va. URL consultato il 20 ottobre 2018.
- ^ Mantese, 1954/2, pp. 131, 159
- ^ Mantese, 1954/2, pp. 361-63
- ^ Reato, 1991, pp. 18, 22
- ^ Mantese, 1954/2, pp. 364-65
- ^ Diocesi di Vicenza, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. URL consultato il 29 giugno 2011.
- ^ La Voce dei Berici compie 70 anni, su vicenza.chiesacattolica.it, Diocesi di Vicenza, ottobre 2015. URL consultato il 24 gennaio 2016.
- ^ (LA) Lettera apostolica Quoniam beatissima, AAS 70 (1978), pp. 150-151.