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La Platea Maior medievale attraverso il Codex Statutorum

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I contenuti del Codice

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Il Codex Statutorum Magnifice Communitatis Atque Diœcæsis Alexandrinæ[1] risulta essere una preziosa fonte di informazioni sulla storia di Alessandria dei primi secoli. L'insieme degli statuti medievali conservato nella discussa versione stampata del 1547[2], offre una visione dettagliata delle responsabilità associate al Palatium Vetus e ai vari centri di potere civico tra la fine del XIII e l'avvio del XIV secolo[3] insistevano sulla piazza. Il documento rivela le specificità di una definizione pubblica e urbanistica intricata, non solo circoscritta alle operazioni degli organi amministrativi comunali.

Il Palatium Vetus guadagnava il proprio valore nella collaborazione attiva con il contesto attiguo. Le evidenze dell'incrementale sovrapposizione del Palatium Novum (palazzo del Municipio) accentuano ancora di più la dinamica associata alla formazione di un insieme direzionale coeso: le rilevanze pubbliche del palazzo comunale e della cattedrale si combinavano a vicenda nella struttura legante, simbolizzata dai porticati e, in generale, dagli spazi del mercato.

Il codice si muove oltre una semplice descrizione topologica della vita pubblica, affrontando la relazione tra sedi istituzionali, come i palazzi del Comune, e luoghi di vita urbana, come il mercato. Il libro VII evidenzia l'interdipendenza di questi spazi nella vita quotidiana. Nonostante le limitate evidenze fisiche a disposizione, alcune scoperte archeologiche all'inizio del XXI secolo, e riguardanti la antica cattedrale di san Pietro e il Palatium Vetus hanno permesso comunque di arricchire la comprensione delle strutture che si affacciavano sulla Platea Maior.

Il documento più significativo e rivelatore in questo contesto si riferisce alla sezione intitolata "Qualiter sit puniendus qui super concivem gladium levaverit, vel qui bercuxerit in rixam vel extra". Si discute delle sanzioni previste per crimini di violenza fisica, evidenziando un'area particolare, più importante, dove le sanzioni economiche risultano raddoppiate. Quest'area è chiamata «platea maiore». Dal testo emergono due punti salienti: l'area non si limita al solo spazio poi conosciuto come "piazza Maggiore" o "piazza di Alessandria", ma include diversi edifici e strade elencati. Questa "lista" mirava a delineare la «platea maiore» come settore primario, sia amministrativo che istituzionale, all'interno del contesto cittadino. Di seguito un estratto del testo originale, che sarà successivamente analizzato nei dettagli: «[...] plateam intelligimus citra beale et ultra et circa ecclesiam maiorem et ipsam ecclesiam vel porticus qui sunt circa ipsam ecclesiam usque ad terminos ibidem positos pro communi, intra plateam et sedimina platee coherentia; et ectiam porticus domorum et vias que sunt circa plateam et maiorem ecclesiam usque in muros sive parietes ipsarum domorum, extra ipsos muros sive barietes et porticus palati veteris et ab inde usque in plateam et via que vadit platea ante domum potestatis usque ad domum pavalionum, et domum sive palatium communis et porticus sub quibus insticias redditur et borlietum quod est insta palatium et domos omnes potestatis et curiam ipsorum domorum et sedimina communis contiguis ipsis domibus [...]».

Il testo descrive l'organizzazione territoriale di Alessandria nel Medioevo, la cui piena interpretazione è resa difficoltosa a causa di punti oscuri nello sviluppo delle successioni storiche. Un elemento chiave menzionato è il "beale", probabilmente una caratteristica geografica preminente dell'epoca. Si suggerisce che il nucleo cittadino comprendesse non solo la piazza centrale ma anche le aree adiacenti, con un canale che ne definisse i confini. Gli statuti delineano questo spazio come un'area che comprende sia il "beale" sia la cattedrale e i portici circostanti. Il focus diventa quindi la chiesa, figura architettonica centrale, e i portici che la circondano. Questi ultimi erano una caratteristica distintiva degli edifici attorno al duomo e alla piazza, formando un continuum architettonico attraverso diversi punti focali amministrativi della città ([...] porticus domorum et vias que sunt circa plateam et maiorem ecclesiam usque in muros sive parietes ipsarum domorum.). La "platea maiore" includeva strade e portici fino ai confini degli edifici adiacenti. Questa zona si estendeva anche oltre, includendo l'area chiamata "porticus palati veteris" e una via collegata a due importanti strutture: la domum Potestatis e la domum Pavalionum. Riguardo alla seconda struttura, negli statuti si fa un riferimento ad un complesso temporaneo, legato alle fiere annuali; questo potrebbe essere stato una parte integrante delle manifestazioni commerciali provvisorie di quel periodo.

Il panorama era arricchito da un insieme di strutture che costituivano il centro delle attività amministrative urbane: il palazzo del Comune, il porticato dove si eseguivano "insticias redditur", il broletto. Inoltre, erano presenti "le case" del podestà, inclusa la corte annessa e gli spazi adiacenti, specificamente quelli di proprietà del Municipio.

Viene quindi fornita una dettagliata descrizione del cuore della città, evidenziando i principali edifici e centri istituzionali:

  • la Cattedrale (9), simbolo principale della comunità cittadina. Fu sede episcopale quasi unitamente alla fondazione di Alessandria. Oltre al suo significato religioso, ha avuto un ruolo centrale nella vita politica della città, ospitando eventi come le riunioni del consiglio comunale, soprattutto nella prima metà del XIII secolo[4];
  • il Palatium Vetus è menzionato nelle introduzioni degli Statuti (datati intorno agli anni '40 del XIII secolo) come luogo legato al potere del podestà e come luogo di riunioni per gli organi amministrativi;
  • il Broletto, situato sopra, o nelle immediate adiacenze, il palatium vetus, come si trova riscontro in altre città del nord Italia nello stesso periodo;
  • le abitazioni del podestà;
  • il Palatium Comunis, con il suo portico dove si svolgevano attività istituzionali[5];
  • l'area mercatale non era solo un luogo di scambio, ma aveva anche significative costruzioni architettoniche, come i porticati e la domum Pavalionum.

È possibile supporre l'esistenza di un singolo agglomerato architettonico comprendente il Broletto, il Palatium Vetus e il Palatium Comunis, nonostante rimanga ambigua, però, la posizione precisa degli stessi. Generalmente il broletto era parte integrante del complesso del palazzo comunale, rendendo la sua posizione piuttosto chiara. Rimane da chiarire, tuttavia, cosa sia esattamente il Palatium Comunis che, come esplicitamente indicato nel testo, viene differenziato dal Palatium Vetus. Se non si prende in considerazione la posizione della sede del Palazzo del Municipio - che dalla fine del XVIII secolo insiste sulla piazza, e che intorno al 1730 era occupata dal "Pretorio con le carceri" - molteplici segnali suggeriscono la possibilità che diverse strutture architettoniche del nucleo direttivo potessero coesistere all'interno dello stesso isolato. Si tratta, però, di congetture. Come si può osservare in una cartina del centro di Alessandria con la sua Platea Maior, la disposizione degli edifici non risulta essere all'interno di un solo isolato, ma bensì distribuita anche su altre direttrici del costruito della piazza.


Beale e levatæ

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Una serie di statuti tratta del rifacimento delle levatae[6] sulla piazza. Questa classe di interventi va sicuramente collocata nell'ambito delle frequenti riparazioni cui la rete di canali artificiali - esistente nell'Alessandrino - fu sottoposta a partire dal Medioevo e fino all'Età contemporanea. In primo luogo, occorre proporre un'argomentazione in merito al particolare tipo di manufatto, definito con il termine levata. Allo stato attuale di questa ricerca, non sono noti studi specificamente dedicati a questo genere di entità territoriali, salvo il breve compendio dattiloscritto lasciato da Guido Ieni all'Archivio di stato di Alessandria e ivi conservato. Con il termine levatae, venivano indicate le strade su terrapieno, costituito con il materiale di risulta derivante dallo scavo del fosso - o del canale - che costeggiava la strada stessa. Il processo di costruzione e la funzione di questa tipologia di infrastruttura sono meglio approfonditi in altre sezioni degli statuti, relativi ad opere agricole realizzate negli stessi anni nella regione sud-orientale del contado circostante alla città.

Cinque percorsi, concepiti per agevolare la circolazione sulla platea maior - e sulla cui effettiva realizzazione o conformazione fisica non si riscontrano ad oggi altre conferme documentarie - sono descritti nei tre provvedimenti statutari in cui si parla anche dei ponti sul beale. Una prima levata doveva collegare il ponte malicantoni alla domus pellipariorum (*casa dei conciatori'); una seconda levata correva dal ponte porticuum fino alla porta della Cattedrale, mentre una terza levata dal ponte brolieti al campanile. Per tutte le levatae si prevedeva una copertura di spese da parte del Comune, mentre la costruzione della prima era rimessa alla discrezione di Talpo Tressoldi e Rufinus de Burgo. La quarta levata si sarebbe dovuta realizzare, ancora a spese del Comune, «de lapidibus Urbe et de glarea grossa», larga una pertica (unità di misura corrispondente approssimativamente a tre metri), «a portica campanilis usque ad porticum que est super beale ante saleriam», con l'indicazione naturalmente di lasciare libero il passaggio per consentire la comunicazione tra il portico, davanti alla saleria sopra il beale, ed il Palazzo del comune'. Infine, la quinta levata, costituita «de glarea» e larga due pertiche (quindi circa sei metri), accollata ai commercianti, avrebbe permesso la comunicazione tra il ponte de fructibus (ancora di difficile collocazione) e il portico della Cattedrale, dove si teneva il quotidiano mercato del pesce. Nella rassegna delle levatae, si nota in particolare una notevole differenza di ampiezza tra il percorso compreso tra il portico del campanile (dove il commercio era proibito) e la saleria, largo una pertica, e il percorso tra il portico della Cattedrale e il ponte de fructibus, largo due pertiche; Il superamento del canale parrebbe consentito da strutture ugualmente identificate negli statuti, che a loro volta sottolineavano i percorsi preferenziali di attraversamento e utilizzo della piazza, materializzando idealmente i rispettivi tracciati.

Nelle rubriche della sezione relativa degli statuti sono chiaramente citati quattro ponti: - il ponte malicantoni, collocabile probabilmente in prossimità della rugata malicantoni, il cui tracciato è difficilmente rintracciabile sul tessuto urbano attuale; - il ponte porticuum, che potrebbe rappresentare lo scavalco della rugata porticuum (attuale via dei Martiri, di cui si dirà compiutamente infra) nei confronti di una diramazione del canale ipoteticamente collocabile sul lato ovest della piazza; - il ponte brolieti, con ogni probabilità localizzato di fronte o in prossimità del broletto; - il ponte de fructibus, d'incerta collocazione, ma posto in relazione al mercato del pesce, sotto il portico della chiesa Maggiore Si potrebbe ipotizzare una situazione idrogeologica e distributiva che rendeva impossibile l'utilizzo efficiente degli spazi della platea senza il supporto di queste infrastrutture? E ancora, queste strade correvano parallele al beale (e quindi ne rappresentavano l'argine), o intersecavano il tracciato dello stesso, eventualmente affiancate dal fosso di risulta, che magari contribuiva a convogliare l'acqua di origine meteorica verso l'invaso del canale? L'assenza di riscontri materiali impedisce di rispondere con certezza a queste domande: un paio di ipotesi ricostruttive sono comunque proposte alle tavole 1 e 2, come si argomenta meglio infra, al paragrafo 4. Colpiscono di certo la densità dei percorsi su terrapieno, individuabili nella platea, e l'insistenza con cui i legislatori prescrissero la realizzazione di queste levatae, attraverso misure finanziarie legate anche al coinvolgimento economico diretto dei cittadini e dei mercanti «qui vendunt pisces, fructus et merces in platea». Questa circostanza è verificabile, in particolar modo, per la strada su terrapieno che collegava il ponte «de fructibus» al portico della chiesa Maggiore"'. Dal punto di vista urbanistico, la descrizione del tracciamento delle strade rialzate materializza una vera e propria rete di connessioni tra i punti salienti del «loco pro platea maiore intellecto».

Nell'immaginario dell'uomo medievale, il termine platea - o piazza - evocava naturalmente l'idea di luogo di mercato?. Gli edifici di maggior rilievo istituzionale connotavano la piazza ed emergevano di conseguenza all'interno di un sostrato eterogeneo a prevalente destinazione commerciale. Nel tessuto apparentemente omogeneo del centro direttivo della città, si andavano a collocare i diversi episodi insediativi dell'area mercantile, la cui consistenza era spesso legata alla sovrapposizione di installazioni funzionali temporanee alle strutture architettoniche e urbane esistenti. L'assemblea generale si riuniva in certe circostanze all'interno dell'aula o sullo spazio di fronte ad essa?; il campanile con portico, sotto il quale era proibito il commercio?*, rivestiva il ruolo singolare di archivio municipale, e in corrispondenza dell'ingresso conservava le misure e i calmieri che i mercanti e gli artigiani erano obbligati a utilizzare nella vendita dei prodotti?5. I portici di cui la chiesa era dotata interpretavano uno straordinario ruolo accentratore per le attività commerciali, secondo dinamiche ricorrenti nel corso del Duecento e ben documentate ad Alba, Asti e Bergamo?; una situazione del genere è ancora evidente nella chiesa Maggiore di Ferrara (fig. 3), tuttora provvista di portici in corrispondenza del fianco libero. Il mercato del pesce27 occupava una precisa porzione dei portici della cattedrale alessandrina, e si estendeva sul sedime stesso della piazza su apposite bancarelle da disporsi a una distanza di un trabucco l'una dall'altra, in un regime concorrenziale che, almeno idealmente, scoraggiava l'associazione tra più rivenditori3° Il mercato delle erbe e «fructum» potrebbe essere localizzabile sul lato sud" della futura piazzetta san Giuseppe, in corrispondenza dell'isolato che la mappa pseudo-quattrocentesca denomina «domum magistri Gulielmi Phisici...33 ultra beale deversus ecclesiam maiorem»34. In base ai dati documentari a disposizione, sembra meno probabile immaginare la collocazione di quanto appena descritto sul lato ovest (presso la facciata) della chiesa Maggiore, per via della scarsa compatibilità tra la presenza dei mercanti del pesce e l'ingresso principale all'edificio religioso.

D'altro canto, il lato settentrionale di quest'ultimo sembrerebbe presentare come protagonista incontrastato il campanile: è improbabile quindi, che il compilatore dello statuto abbia rinunciato a sfruttare un simile riferimento topografico. Il canale «ubi venduntur fructus» era scavalcato dal ponte «de fructibus», e per facilitare il transito nel mercato quotidiano si era prevista la costruzione della levata, già ricordata supra, che collegava il suddetto ponte al portico «del pesce»5. Un'altra notizia, che risulta di grande importanza per la ricostruzione dell'intorno della chiesa e della stessa piazza, deriva da un altro capitolo degli statuti, nel quale viene stabilita la necessità di costruire un robusto ponte in legno di quercia o in pietre e calce «super bealem retro maiorem ecclesiam»36, il canale è sicuramente attestato anche sul lato orientale dell'edificio sacro, e se ne può ipotizzare la prosecuzione lungo il lato settentrionale dello stesso.

Se le pescherie e il mercato delle erbe erano quotidianamente ammessi nella piazza, gli altri mercanti? erano tenuti a portarvi le merci soltanto «in diebus veneris et nundinis»'8. Nel corso del mercato settimanale del venerdi, i mercanti di lino potevano vendere i loro prodotti su appositi banchi, o scampna, «in platea maiori», purché venisse lasciato un passaggio abbastanza largo tra il campanile ed il broletto*, i mercanti dei panni invece si spostavano dalla rugata porticuum nelle strutture più prestigiose del mercato nella platea, ovvero i portici della cattedrale. In occasione della fiera*?, che si teneva per otto giorni, quattro prima e quattro dopo la festa dell'Assunta, la piazza cambiava fisionomia (in maniera analoga a quanto riscontrabile anche in situazioni contemporanee, figg. 1 e 2). Sull'invaso dovevano erigersi le tende dei mercanti (e dei mercanti dei panni) forestieri e, per mano del podestà, il «pavalionum sive tendam», una grande tenda, forse 'consolidatasi' nel tempo e in qualche modo nella struttura a nord della cattedrale, già visibile sulla pianta di Alessandria del 1620*, che avrebbe ospitato la fiera dopo la concessione sforzesca del 152514 e fino al 166145. I mercanti di panni permanevano presso le rispettive botteghe nella rugata porticuum, il che accentuava la continuità spaziale tra via e piazza. I mercanti di lino convergevano verso i posti riservati a loro durante il mercato settimanale, mentre i «calligari», «pellizzari» 46 e «confectores» si piazzavano sotto le proprie case, che davano sulla platea.

Al di là della presenza puntuale di attività commerciali nella piazza e in concomitanza degli edifici del potere civile e religioso, la fonte suggerisce la preminenza di una direttrice viaria, a destinazione prettamente commerciale, che proiettava in qualche modo il centro direttivo verso il tessuto urbano circostante, fungendo da elemento connettivo e da arteria principale della città, in prossimità del cuore dell'insediamento. La più nota e importante tra le vie abbracciate dall'indicazione generica «que sunt circa plateam» era la «rugata porticuum», corrispondente anche secondo la tradizione storiografica locale all'attuale via dei Martiri: con il suo sbocco diretto sulla platea Maior, era il vero asse rettore del mercato di Alessandria. I portici caratterizzavano l'affaccio su strada delle case su entrambi i lati della via; era fatto obbligo di mantenerli sempre aperti e liberi da strutture anche temporanee, ma tale regola era talvolta disattesa**. Erano denominati «pannorum», «casei» e «campsorum»* a seconda dell'attività che si svolgeva nella retrostante bottega. Se non vi sono elementi per sciogliere il problema relativo all'organizzazione della vendita del formaggio (casei), nei documenti alessandrini è costante il rimando alle altre due professioni che la via dei portici accoglieva: il mercante «pannorum», e il «campsor», o cambiavalute. Il commercio dei panni era uno degli ambiti più redditizi e meglio documentati anche nel presente ambito d'indagine, soprattutto se estendiamo il discorso all'industria del lino, gestita dall'ordine degli Umiliati, presente ad Alessandria dal 118950.

Fin dagli inizi del XIII secolo sono documentate a Genova transazioni mercantili promosse da mercanti alessandrini e relative all'acquisto di panni e al commercio del lino2. Nel Codex Statutorum è ricordata la «societas mercatorum pannorum», con i relativi «consules»3 (attestati dal 1248) che avevano mansioni di controllo sul regolare svolgimento delle attività dei membri, a fianco delle societates «lini», «caligarioram» e «pellipariorum»*. La fortuna di queste associazioni di mestieri durò fino al XIV secolo inoltrato, quando esse vennero sciolte ed i rispettivi statuti distrutti, soltanto la società dei mercanti afferenti all'arte della lana trasmise i propri ordinamenti oltre il Medioevo. Per contro, l'attività del campsor si rendeva naturalmente indispensabile in una città di connotazione mercantile che adottava la moneta tortonese, valuta dell'area d'influenza di Milano, nonostante - ne afferisse all'orbita commerciale genovese.

La strada forse più difficile da inquadrare, per via della scarsità di indizi precisi, è la «contratam marzarie» o «via de mercaris»: questo nome, secondo diversi studiosi, è da interpretare semplicemente come un altro appellativo della «rugata porticuum»58 Una simile interpretazione risulta piuttosto discutibile, per via della compresenza dei due termini in alcuni capitoli degli statuti: in questi testi, la via «de mercarüis» appare come asse di connessione tra la via dei portici e le beccherie®', probabilmente collocabili qualche centinaio di metri a nord-ovest di Palatium Vetus'. Interpretando dunque la via dei mercanti come ideale prosecuzione della via dei portici verso il fiume Tanaro, il ponte di Bergolium e i moli per il trasporto via fiume delle merci verso Asti e Pavia®, se ne potrebbe proporre l'identificazione con l'invaso dell'attuale via Milano che, peraltro, ha nome «via Mezzaria» sulla mappa pseudo-quattrocentesca". Un capitolo degli statuti risalente al 1297 prevedeva il contributo dei «marzarios et omnes habitantes» nella pulizia della strada. Sembrerebbe quindi che lungo questa via fossero concentrate le abitazioni di un certo numero di mercanti, con le rispettive botteghe, come potrebbe confermare in maniera indicativa la lottizzazione a isole con fronte stretto su strada e sviluppo profondo nell'isolato ancora visibile sulla mappa catastale del 176364. La persistenza di questi gruppi continuò oltre il Medioevo: al XV secolo risale la supplica per costruire portici sui lati della via dalla chiesa di santo Stefano (posta a metà tra la platea Maior e il fiume lungo via Milano) fino al Tanaro®, mentre nel 1585 Paolo Mantelli e altri mercanti si opposero alla costituzione del ghetto nella via Maestra', fu «contrata marzarie»: gli ebrei furono di conseguenza stanziati in via dei Sarti®, attuale via Migliara, che assunse il nome di via degli Ebrei.

Diverse ipotesi su rapporti urbanistici e istituzionali derivanti da altri contesti urbani e politici possono dunque essere verificate e corroborate attraverso l'analisi degli Statuti, sottolineando la complessità del caso alessandrino e dell'organizzazione del «palazzo» e del centro amministrativo. Come ricordato supra, il ponte del broletto era collegato al campanile della Cattedrale da una levata: il testo degli Statuti evoca così i tratti di un'assialità di grande impatto, delineata fisicamente dalla strada su terrapieno.

Un certo tipo di interpretazione della distribuzione planimetrica dei palazzi pubblici di Alessandria - perfettamente legittima alla luce dei dati disponibili - permetterebbe di apprezzare appieno il significato di questa situazione. Il broletto si trovava a fianco del palatium communis. In analogia rispetto ad altri casi di area nord-italiana - su tutti Imola® - si potrebbe collocare lo stesso Palatium Vetus in prossimità del palazzo comunale tardo duecentesco. Altre interpretazioni, volte magari a coinvolgere in questo tipo di contestualizzazione il sito dell'attuale Municipio (che è documentato come «Pretorio con le carceri» nella già citata mappa di 1730) rischiano di risultare piuttosto arbitrarie, sebbene non vada ignorata, in merito, l'autorevole opinione di Giulio Ieni. Analogamente, proporre l'attribuzione dei due diversi appellativi (palatium vetus e palatium communis) a un'unica entità architettonica e istituzionale potrebbe apparire azzardato, se non altro per la coesistenza dei due termini distinti in diverse rubriche degli statuti, tra cui «Qualiter sit puniendus qui super concivem gladium levaverit, vel qui percuxerit in rixam vel extra», trascritta in estratto all'inizio del presente contributo. In via largamente ipotetica, si consideri che la coesistenza di un unico complesso (balatium communis - broletto - palatium vetus) nell'isolato in cui sorge attualmente il Palatium Vetus rappresenterebbe una 'solu-zione ideale'. Si potrebbero peraltro formulare alcune ipotesi interessanti provando a interpolare la pluralità di riferimenti topografici appena rilevata con la questione relativa alla datazione ancora incerta delle maniche del broletto insistenti sulla piazza e su via Migliara". Il cuore del centro direzionale, rappresentato in questo modo dal binomio cattedrale-palazzo comunale, si sarebbe così collocato in posizione baricentrica rispetto al perno del tessuto urbano, costituito dalla piazza e dall'assialità delle vie dei Portici e dei Mercanti, accomunate dall'elemento unificatore del mercato.

Un aspetto strettamente correlato a questo, e ampiamente illustrato nel corso della trattazione, riguarda il ruolo assunto nella connotazione funzionale del tessuto urbano del centro cittadino dalle strutture porticate e dai percorsi su terrapieno, o levatae, sulla platea Maior: La tavola 1 mostra una prima ipotesi ricostruttiva del quadro analitico della situazione urbana tardo-duecentesca, proponendo il probabile tracciato delle levata individuabili (riferite a fulcri noti dell'area di riferimento, come argomentato supra al paragrafo 2). La 'simulazione' qui proposta parte da un'ipotesi specifica (pur non verificabile con certezza): le levatae erano in primo luogo le opere di argine del beale (o di eventuali rami secondari dello stesso). Questa possibilità è implicitamente confermata dalla definizione tipologica di tale categoria di manufatti, peraltro già ricordata supra: la levata era un terrapieno, con sviluppo longitudinale marcato, costruito con il terreno di risulta dallo scavo di un fosso o di un canale. La seconda e la terza levata univano rispettivamente la cattedrale e la rugata porticuum, il campanile e il broletto, mentre la quinta collegava due aree vitali del mercato quotidiano (mercato del pesce e delle erbe); per entrambe, il riferimento ai ponti (rispettivamente ponte porticuum e ponte brolieti) suggerisce la vicinanza del canale. La descrizione della quarta - di difficile collocazione e non segnata sulle tavole, poiché è ignota la posizione della saleria - lascerebbe intendere come l'opera dovesse costeggiare in qualche modo il canale, correndo la stessa dal portico del campanile fino appunto al portico della saleria, che sorgeva «super beale»2. Le levatae avrebbero seguito dunque lo sviluppo del beale, formando insieme agli spazi dei portici - e alle stesse vie porticate - un substrato connettivo omogeneo, che collegava i fulcri principali della vita pubblica del comune medievale, tra i quali il broletto aveva un ruolo dominante. In chiusura, una considerazione di carattere generale: pur non permettendo ancora una contestualizzazione completa dei fenomeni urbani rilevati, le circostanze legate alle scoperte stratigrafiche e architettoniche, emerse contestualmente al cantiere di restauro di Palatium Vetus sottolineano l'importanza delle considerazioni che il Codex permette di effettuare sull'architettura e sul contesto urbano della stessa.

  1. ^ Codex Statutorum.
  2. ^ Il contenuto del corpo degli statuti antecede di 250 anni esatti la pubblicazione a stampa, la cui esecuzione potrebbe essere stata incentivata da un evento commemorativo. Nel 1297, gli "anziani del popolo" di Alessandria organizzarono un testo unificato degli Statuti, incaricando una commissione di giuristi per il riordino di testi preesistenti, alcuni dei quali del XII secolo. Oltre agli Statuti, vennero inserite le "Consuetudini" del 1179 e alcune norme di due gruppi, la “Società di giustizia” e la “Società del popolo”, dei secoli XV e XVI. Il Codex, suddiviso in nove libri, è a volte incompleto e carente ma è stato fondamentale per il diritto locale per circa tre secoli. (Cfr. Codex Statutorum (1969)).
  3. ^ Le prime annotazioni risalgono al quarto decennio del XIII secolo, riferendosi a statuti legati al rifacimento di infrastrutture cittadine e territoriali. Nonostante l'incertezza nella lettura dell'opera, disponibile solo nella versione stampata del 1547 con varie imprecisioni, il testo si basa principalmente sulla riforma statutaria del 1297, con aggiunte successive che vanno fino al 1359, le ultime delle quali correlate alla sottomissione della città a Luchino Visconti. (Cfr. Gian Savino Pene Vidari e Mario Viora.
  4. ^ È interessante notare come i luoghi sacri, a volte, mantenessero anche un ruolo civile: ad esempio, fino alla metà del XIII secolo, l'archivio comunale era conservato nel campanile.
  5. ^ La relazione tra questo edificio e il Palatium Vetus non è ancora completamente compresa e richiede ulteriori studi.
  6. ^ Quelli che possono essere definiti dei piccoli argini sopraelevati che permettevano il passaggio.

Codici, opere

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Storica, annalistica

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  • Girolamo Ghilini, Annali di Alessandria, Milano, Gioseffo Marelli, 1666.
  • Giuseppe Antonio Chenna, Del Vescovato de' Vescovi e delle Chiese della Città e Diocesi d'Alessandria, Alessandria, Ignazio Vimercati Stampatore, 1786. URL consultato il 20 gennaio 2022.
  • Carlo A-Valle, Storia di Alessandria dall'origine ai nostri giorni, vol. 1, Torino, Tipografia fratelli Falletti, 1853. URL consultato il 14 dicembre 2021.
  • Mario Viora, Consuetudini e statuti di Alessandria, in Rivista di storia, arte archeologia per le province di Alessandria e Asti, anni LXXVIII-LXXIX, Alessandria, Società di Storia Arte e Archeologia per le Province di Alessandria e Asti, 1969-1970, pp. 281–289.
  • Geo Pistarino, La doppia fondazione di Alessandria (1168, 1183) (PDF), in Rivista di Storia Arte Archeologia per le provincie di Alessandria e Asti, volume unico, Alessandria, Società di Storia Arte Archeologia - Accademia degli Immobili, 1997, pp. 5-36. URL consultato l'11 giugno 2016.
  • Gian Savino Pene Vidari, Gli statuti di Alessandria: noterelle anniversarie, in Rivista di storia, arte archeologia per le province di Alessandria e Asti, anno CVI, Alessandria, Società di Storia Arte e Archeologia per le Province di Alessandria e Asti, 1997, pp. 37–64.
  • Gianfranco Calorio, Bergolium: il Territorio e l'Abitato, volume primo, Castelnuovo Scrivia (AL), Casa Editrice Favolarevia, 2000.

Pubblicazioni

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