Utente:Brigante mandrogno/Sandbox21

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Cronaca atterramento cattedrale

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"Cronaca sull'atterramento del vecchio duomo di Alessandria eseguito nel 1803"[1].

Contesto Storico e Politico

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Essendo stato deliberato dalla Majre di questa Città, che di presente appelasi Comune il figlio del ex Marchese Prati[2], abitante dirimpetto alla Chiesa nominata di S. Francesco Frati Conventuali, e portatosi a Pariggi sotto il governo del primo Console Buona Parte, così suo nome, il quale dalla Republica Francese nominato ascestojre [?] alla mancanza di Rè, gli fu concesso a detto Majre come governatore del proprio paese, o sia d'Alessandria, e suo dipartimento contenuto in sej Città, co' suoj Vilaggi, e sono Tortona, Voghera, Bobbio, Casale, Valenza, e Alessandria nominato Capo luogo di queste, e dipartimento di Marengo.

Ultime funzioni liturgiche e chiusura della cattedrale

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La dove essendo il primo giorno del anno in sabato, la domenica giorno susseguente in la Capella della Beata Vergine della Salve si terminò con il sposalizio di Alessandro Pennò [?] del fù Francesco, e della fù Angiela Maria Vietta figlia d'una sorella di mio padre da Grassona, ed ora abitante nelli Orti colla professione da calzolajo, abitante in casa di Carlo Antonio Patrone del medesimo luogo, ed essendo che per fare una Piazza smisurata di grandezza, ove che prima contenevasi spaziosa, e quadrata proporzione, forsi lungi da questa, ovve vi era continuo mercato di ortaglie, frutta, uova, buttiro, polallerie diverse d'ogni qualità, ed altri comestibili, ove si vendeva la pescaria, e con quanto fà di bisogno al vivere. Il giorno della Epifania corente li 6 dell'anno 1803 del mese di Gienajo essendo in giorno di giovedi, chiuse la Fonzione il zelantissimo Monsignore, per nome Vincenzo Maria Mossi di Casale[3], Vescovo nominato a questa sedia d'Alessandria, con pontificale alla mattina, e Vespero alla serra, e Benedizione, quand'è il giorno suseguente si chiusero le porte di detto Duomo, e pochi sono stati li Canonici di essa Cattedrale che abbiano sacrificato, quando in un subito dalla Majre di questa, e dal Comitato di Polizia gli viene jmpedito alli Religiosi di nuovamente celebrare in detta Cattedrale, e circa alle ore 9 di Francia si chiuse detta Chiesa,

Trasferimento del Culto

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e nominato in tanto per Chiesa Matrichale la chiesa di S. Alessandro Bernabiti, chiesa per essere più moderna, e nuova[4], mà ben piccola, ellessero poj attigua a detta Chiesa di S. Alessandro altra Chiesa delle Monache Augustiniane chiamata la SS. Anonciata delle Monache[5], quanto bene mesi trè, le sudette dal detto furono scacciate, e ritrovandosi detta attigua alla nuova Cattedrale nominata Chiesa, ed in sè di buon fabricato, e di buona architettura, la concessero detto Comitato di Polizia alli Canonici di detto Duomo per intanto sia resa ufficciabile la nuova Cattedrale detta de Barnabiti, avendo collà alla detta Chiesa, o sia Monastero della SS. Anonciata trasferto tutti li individui parochiali che alla Cattedrale esistevano; avendo alla detta chiesa portato il Simulacro della Beata Vergine della Salve[6] con tutta la sua guarnizione d'argenteria che la circondava, quando alli 8 dell'detto mese di Gienajo, alla mezza notte trasportorono il simulacro della Beata Vergine della Salve, dalla sua Capella eretta nella Chiesa Cattedrale alla Chiesa della SS. Anonciata già descrita, accompagnata da due guardie, una avanti altra indietro, e dette Guardie Nazionali del paese, con numero infinito di seguito, bensì occultamente, e senza lume. La mattina poj del giorno 8 di sabato alle ore sette di Francia con un segno del campanone a guisa di comunione si alzò la Croce della Compagnia della Dottrina, che in detta Chiesa Cattedrale esisteva, e con il compagnamento di tutti li individui ascritti, e non ascritti con torchia achiesa, e con il venerabile Capittolo con cappa e torchia cantando il Pange Lingua sontuosamente e con mondo infinito dietro al SS. Sacramento tutti languenti adornavano la fonzione, e collà al Monastero il condusero, e chiusa la fonzione con la prima dignità del Capitolo, o sia il Archidiacono, lasciò luogo alli divoti sì per il SS. Sacramento, quanto alla devozionedi Maria SS. della Salve collà trattenuta, ed officciata dalli respetivi religiosi Canonici della Cattedrale, ed ufficciata dalli medesimi alle ore consuete nel Coro medesimo delle Monache abolite al consueto loro, come alla Matricale sogliono con divozione reccitare, e salmegiare secondo la giornata le consuete Augonie solite praticarsi nella Capella di S. Giuseppe eretta nella Cattedrale, si praticano alla detta Chiesa della SS. Anonciata, come la parochiale, sì funebri, che SS. Sacramenti tutti sono alla detta aspetando aprirsi la Chiesa Barnabita, cioè di S. Alessandro per rimpiaziare quella della Cattedrale destinata come sopra.

Architettura e caratteristiche della cattedrale

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Solo in quest'oggi 14 corrente Gienajo, e 25 Nevoso corente alla Republica Francese, alle ore 20 e mezza jttaliane, si vidde levare da suo luoco la statua di S. Giuseppe[7] dal suo deposito, e Capella, Capella capace da ufficiarsi, come a suo luogo, di vero marmo di Carrara di altezza per ben 52 oncie con il Bambino Giesù in braccio, e con il suo bastone con il giglio simbolegiante la purità, e castità, e tutto di un sol marmo, il quale creduto di tutti essere Rubbi 300[8] la sola statua senza il piedestalo; la dove per levarlo da suo luogo, e nel urna che esso contenevasi, dovetero rompere le mura ove esisteva; di poj con 4 taglie, due dentro, e due fori, e ben sicurato con corde nuove, la dove dovetero per levarlo dà suo luogo provedere numero 4 paja di buoj, e dando alla medesima statua scossa dalli buoj, ecco che se la viddi levata da suo luogo, e con destrezza delli opperaj a terra il riportorono a perfezione a forza di corde. Donque a terra scieso con una lettiggia collà il coricoronlo, e con li medesimi paja 4 buoj al Monastero della SS. Anonciata il condussero, ben guardigno di opperaj a tal occasione destinati. Fin ora la Parochiale stà al medesimo luogo dell' Monastero, sin tanto che aperta sia la Chiesa Barnabita, il quale se ne discorerà a suo luogo. Solo dirò la compustezza di detta Chiesa Cattedrale essere anticha da 600 anni fondata, la facciata di essa essere, come al presente si dice, alla Cappucina, varie torri esistono al intorno, mà d'avanti 3 senza il Campanile Torre inservibili, mà solo di ornamento, ed aguliate, e senza campane[9]. Le mura sono al intremedio bonissime, cioè non più di oncie 6 di mattone in cotto, il restante similmente di pietra[10], e venendo al inggiù di più si trova pietra. In mezzo alla faciata ritrovasi una torre senza campane aguliata, con due finestre rottonde grande, che servono di chiaro alla volta, sotto di esse ed in mezzo altra più grande rottonda, dove dà chiaro all' medesimo Duomo, e la rottondità di essa si è tutta di pietra piccola rottonda, come picciole colonette[11], di sotto evvi l'arcato della porta maggiore se bene l'ingresso di detta sia spazioso, si d'altezza quanto di larghezza, e la porta quadrata, tutta fatta a piccioli pezzi di quadretto, e tutto di legno, al di sopra l'architrave di detta porta maggiore, e sotto la sovranominata fenestra, evvi una statua di pietra fatta al anticha figurante S. Pietro in Cattedra[12], perche così la dedita, e nome di detto Duomo, con varie collonelle rottonde di pietra, ed in più righe alla porta di essa[13], o sia a piedi dieci, o dodeci anni scorsi esistevano due gran pietre vechie, e guastate, figurante come si diceva due leoni; alla dritta di essa porta altra ve n'era più piccola, e di egual ornamento alla pietra, e detta porta chiamavasi la porta della Madonna della Salve, perche cossì entrando di detta al principio, o sia fondo, erravi una Capella della Beata Vergine della Salve[14], come descriverò a suo luogo; pocho distante di essa porta esiste la Torre Maggiore, o sia Campanile[15], capace per portare 4 pezzi di canone, e quadro, ove che al fondo di detto al altezza di ben due trabucci[16], è tutto di pietra; parimente in mezzo di detto Campanile, ed al piano terra evvi la Tesoreria di Città, ove si pagavano le taglie di terra, le contribuzioni, con tutto quanto si richiede, e si entrava in detta tesoreria per mezzo d'un picciol uscio ben asiccurato colle dovute chiavi, e si scendeva un scalino; la dentro vi stavano due guardarobbe di legno d'albera ben chiuse, uno de quali esisteva tutta la misura de particolari di terra, e casa, ed il numero di mappa di tutto il Contado[17], nel altro vi esisteva tutti li libri di riscossione della testa, cottizio al negozio, ed altro spetante a ciò. In detta tesoreria ben quadrata, e capace di largezza, in ciò vi scorgeva la fortezza di detto Campanile, ed il suo fabricato con buone pietre, che il pensare non riesce. Fuori poj di detto luogo, e sopra la porta poco in sù al Campanile esisteva una picciol statua anticha di pietra[18] figurando la detta col nome di Gajaudo[19], la quale sarà stata alta non più di oncie 18 misura di piemonte[20] con le mani sulle ginocchia, perche sedeva, e per coperto alla di luj testa in forma di una formaggia lodegiana, perche così il detto Gajaudo ad occassione di guerra, ed assedio non avendo più la Città di chè vivere, se non per due giorni, soggiogata dà Federico Barbarosa, venero li Signori di Città a parlamento per la risoluzione del assedio se dovevano chiamarsi suditi, od a qual partito appiliarsi. Vi concorre anche il detto Gajaudo, ed avendo inteso tutte le ragioni de partitanti, si oppose così parlando, non essere convenevole alla Città farsi conoscere essere così scarsa de viveri perche favorevole sarebbe stato il partito al Nemico, e che anzi lui addusse per ragione fondamentale di raccogliere dà tutti li granaj di Città tutte quelle poche grane di formento, indi prendere una bestia bovina, e di quelle grane di formento pascolare la detta bestia, e poj fuori della porta al nemico inviarla. Così fecero, ed ecco a pena la bestia fù fuori, che il nemico corse fretoloso a quella prendere, indi l'amazarono subito, e nel ventre ritrovandovi tanto grano, dubitorono che la Città avesse ancora una fortissima provisione adducendo che sino alle bestie bovine davano il grano a pascolare, si levarono subito dal assedio, e lasciarono la Città libera. Vedendosi così liberati dal assedio dimandarono li Signori il detto Gajaudo qual rimunerazione detto pretendeva, di così magnanima impresa liberati: esso disse che null'altro pretendeva, una memoria perpetua si dovesse a questo, col edificare una statua in sua memoria, e che si dovesse ergere in piazza a vista comune, la quale averete inteso(21). Al insù andando di detto Campanile vi era Orologio figurato di cinque sfere, una delle quali si era orologio francese che da in 12 in 12 ore correva, e dinotava mezzo giorno, e mezza notte, il quale batteva sù il campanone, altro al fondo di detta crociera erravi uno altro orologio marcante all'jttaliana, e batteva sulla campana grossa, a drita un altro orologio con sua sfera e di ugual grandezza marcante tutti li giorni del mese, e siccome li mesi non sono uguali, tutti chi più, chi meno, così cominciava, uno, trè, cinque, e sempre dispari, e per li giorni pari erravi una picciol stella marcata, la quale dinotava giorno anch'essa, e per compire alli mesi di giorni 30, e 28, e 29, e 31 alla sinistra altro orologio con sua sfera marcante li giorni di settimana, cioè domenica, lunedì, martedi, mercoledì, giovedì, venerdì, e sabato, bensi tutti li giorni breviati per compire a detto orologio; in mezzo di questa crociera eravi un picciol quadrello apperto, dove si poneva ogni mese del anno al ittaliana, e breviato; sotto la crociera di questi quatro orologi erravi la arma della Città con un fondo azzuro, in mezzo una gran Croce rossa, e lateralmente di detta Croce eravi due lionesse in piedi che sostenevano la corona compimento del arma; sotto a detta erravi altro orologio che dinotava li giorni della luna(23), con sua grandezza, e rottondità pari alli altri, ed invece marcante le ore, errano tutti giorni la figura di questo consisteva in mezzo alla sfera, come una montagna tutta piena di stelle, che quando erravi il Sole figuravano stelle vere per il loro lucido, poj sortiva una gran faccia figura della luna ben verniciata con una Croce in mezzo di detta luna, che allo spontare con detta croce marcava il giorno di essa, ed errano tanti zeri pieni, tanti zeri significavano tanti giorni; nel medesimo ornamento di questa sfera vi era un picciol quadrato al longo, dove dinotava in scritto la luna era di qual mese. Tutto fù fatto l'anno del 1790(24), la regola per fare correre dette sfere da loro era, che alle ore dieci di Francia di notte per mezzo d'una ruota ad ingegno a bella posta fatta, nel ribatere dette 10 ore sonava sul campanone 300 botti, da 3 in 3 sempre, e da esso, ed in quel frà tempo ripartitamente correva la sfera del giorno che correva al indomani, correva la sfera di quanti del mese, e correva la sfera della Luna al suo giorno che correva, li due quadrati che del mese intiero, e della luna si mettevano a mano(25); e questo tutto accompagnato da belissima pittura al intorno, con due grandi collone ombregiate, e pittura moderna(26). Al di sopra di detta Torre, o Campanile ben quadrato in otto finestre grandi, due a cadauna facciata, dove l'anno 1797 esistevano cinque campane(27), una il Campanone, altra nominata la Campana della predica, altra nominata quella de morti, perche non serviva ad altro, altra della Madonna della Salve, perche alla Messa cantata di ciascheduna settimana per tempo si soleva questa suonare, e cantare con organo, e musica con sue littanie, e benedicione, ed altra campanella nominata delli Canonici, che due volte al giorno, alla mattina a dieci ore di Francia, e 21 ora italiane solevasi suonare a botti per chiamare li Canonici al coro, e serviva detta campanella per li morti piccioli bambini; dopo di detto anno 1797, il Rè di felice memoria Vittorio Amedeo III di questo Stato chiamò alle chiese la quarta delle campane, dove ne diedero due, cioè quella nominata della Predica, e quella della Beata Vergine della Salve, serbando ora il Campanone, quella de Morti che al presente serve anche per la predica, e la picciol campanella de Canonici. Poj sotto a detto Campanile a mano drita stava un picciol andito con portina quadrata(28), ma l'architrave si conteneva come le altre porte da picciolo in grande con le uguali colonette di pietra tonde a 3 girri, ed in mezzo a dette colonette ergevasi una pietra alta, e sopra erravi figurato una Croce di Malta(29). Dentro in questo andito stava un SS. Crocefisso che dà mano bene scolpita, e di legno(30), con due lampade giornalmente accese, e da devoti gli si porgeva anche qualche candela, dove vi era continuo concorso alla divozione affine, che la divozione li rodarono li piedi, prendendo un picciol pezzo di quel legno per divozione, dove convenuto al fabriciere farlo legare di latta d'ottone a quella parte, acciò più non lo guastassero; la stattura di detto SS. Crocefisso era grande, con suoj trofej di passione. Poj sortendo da detta porta, e da ugual parte pocho avanti trovavasi una portina(31), dove chiamata la porta di Sagrestia rustica, e di semplice muro; poj si andava al jntorno dove faceva la rottondità della Capella della Beata Vergine della Salve(32) con sua urna a detto muro, e sopra si stendeva una picciol toretta tonda, dove illuminava parte di detta Capella per mezzo di due fenestre, ed ancho illuminava il pontile dove stava la Reliquia di S.ta Croce, e delle S.te Spine(33), e di dentro ben figurato con la Passione del Signore. Girando al intorno di fuori dopo la Capella della Salve veniva il Coro di proporzionata grandezza, ed illuminato da due gran fenestre; pocho sotto a tetti di detto corro correva un pontile, il pavimento di cuj era di cotto, quale si entrava sù detta logietta dalla volta per mezzo d'un picciol uscio, e detta logietta erano le candele(34) di pietra piccola tonde, ed in mezzo a detta rottondità di una di dette colonette figurava S. Pietro in Cattedra; sopra la somità di detto coro eravi una toretta aguliata come quelle d'avanti inservibile, e senza campane, ma solo a detta sopra la Croce di ferro che tutte così avevano, e questa aveva un gallo d'ottone(35) ben luccido figurando il gallo(36) di S. Pietro quando il negò; anche sopra quella della Madonna della Salve vi era un picciolo trofeo d'ottone, quasi figurante li sette dolori di Maria Santissima. Girando sempre al intorno di parte manca erravi altra rottondità uguale a quella della Madona(37) consistente la Capella del Apostolo S. Andrea con due finestre grande che illuminavano l'Altare di dentro, e poj sulla somità di detta Capella, altra toretta aguliata eravi con due altre fenestre per maggior chiaro; in seguito altra rottondità, ma non così alta di muro(38), con due fenestre uguali, dove vi era e figurava un altare detto di S. Liborio Vescovo, il quale si diceva messa, ed la vigilia di S. Giacomo Apostolo, cioè li 24 Luglio correva la festa di detto Santo, e sopra a detta Capella vi era altra fenestra rottonda mediocremente grande. Pocho distante, sempre di ugual mano erravi una porticella dove si diceva la portina del Marchese Ghilini, non già per essere fatta da sè, ma per essere ben viccino al suo Palazzo, la cuj per l'ingresso alla chiesa bisognava scendere trè gradini; detta portina era di cotto, e rusticha senza figure, con un gran fenestrone tondo alla somità, quale illuminava parte della prima navata della Chiesa, che in tempo di predica, e di illuminazione la chiudevano con una gran tenda. Poj sempre girando di ugual mano erravi un picciol uscio, chiamato uscio del Cemiterio, senza ornamento, se non che una testa di morto di pietra, e sopra una croce di pietra, uscio quadro e non altro; la grandezza di detto Cemitterio(39) consiste mediocremente, perche in detto esisteva un portico per rippore tutte le scale della Chiesa e le casse da morto, che dalle sepolture di chiesa una volta l'anno d'jnverno si soleva espurgare, poj erravi loco capace per dare sepoltura ad ogni poverello. Sempre girando veniva una picciola fenestrella rottonda, ferrata e ramata, nominato detto luogo Cemitterio, dove vi errano tutte le ossa che si ritrovava da in Chiesa, luogo longo ma stretto a guisa di andito, ed in mezzo il suo sepolcro per sepelire persone così da loro destinato e con sua lampada, che tutta l'ottava de' morti stava accesa, e quando da benefatori avessero portato oglio. Pocho distante, e subito attigua correva la Capella di S. Giuseppe dove si facevano varie fonzioni al anno, perche Capella grande come una terza parte del Duomo ben illuminata con due gran fenestre al primo piano, poj due altre più piccole sulla somità, e siccome in questa parte esisteva l'urna di detto S. Giuseppe come da prima, dico che detta statua di marmo la sua altezza consisteva in 52 oncie di misura di Piemonte. Indi pocho distante erravi la cantonata, dove faceva facciata, e quadrato alla piazza, e subito girato il cantone erravi dipinto sulla mura l'arma del Pontefice di felice memoria Pio Quinto Alessandrino, ò sia del Bosco perche sogetto detto ad Alessandria di giustizia, e varie altre cose, se non del Vescovato, dove detta arma erravi una bella descrizione in lattino, e ben dipinta(40); dopo a questa, altra simile, e di ugual ordine correva altra arma della felice memoria del Sommo Pontefice di Pio Sesto di Cesena oriondo Alessandrino(41), con bella iscrezione, e ben ornata di pittura, la quale sì l'una che l'altra la Città le dovette fare due volte, o sia pitturarle, perche nella prima Republica del anno 1797 le copersero, e ritornando favorito dal jmperatore Giuseppe(42) secondo, le fecero nuovamente dipingere, e rinovare; poj nel anno 1798 di nuovo furono coperte con biancho acciò non più vi fosse vestiggia d'arma alcuna. Dopo di questo in seguito veniva la porta nominata di S. Giuseppe, perche subito entrando in Chiesa a mano dritta erravi la Capella di S. Giuseppe; la detta porta si ritrovava come quella della Beata Vergine della Salve, rottonda, e semplice senza quella della Beata Vergine della Salve, rottonda, e semplice senza intaglio di legno, e con le uguali colonelle di pietra, sì in piedi che alla rottondità di sopra(43); sopra a detta porta consisteva una fenestra rottonda che jlluminava tutta la navata di S. Andrea, grande e della stessa guarnizione come quella della Madona. Sulla somità de tetti erravi una toretta aguliata senza campane come le altre, servendo tutte dette torrette solo per ornamento, ed in caso di jlluminazione di qualche festa, come per il Corpus Domini, S. Pietro tuttelare di detto Duomo, venivano illuminate con trè padelle di pece, una a chiascheduna fenestra, e così le altre due uguali, cioè quella della porta grande, e quella della Madona(44). II giro di fuori, o sia estensione del fabricato al intorno era di 300 passi non già geometri, ma passi ordinarij da uomo. Poj per descrivere la Capella di S. Giuseppe non sò, e non posso immaginarmi il tempo di suo fabricato, perche nella dimulazione si viddi essere ad esso Duomo aggionto(45), e non nello stesso fabricato là dove entrando in Duomo a mano dritto dalla porticella nominata come sopra si vedeva quasi per la sua grandezza, e maestreria altra chiesa(46) e si nominava la Capella Reggia: reggia perche in occasione della venuta, persone Reggie di Casa Savoja solevano alloggiare al Palazzo detto del Governatore, e per la Messa si servivano di detta Capella, e con ciò si diceva la Capella Reggia di S. Giuseppe. L'entrata di essa si ascendeva a due gradini di marmo rosso a due porte grandi già descritte, dove subito entrando in mezzo da una porta al altra vi esisteva un gran confessionale dove si diceva essere detto luogo del Vescovo per confessare; ivi il pavimento di detta Capella consisteva tutto di marmi(47), cioè fatta a croce una pietra bianca, altra blè, e così da mano in mano tanto che vensi detta Capella ridotta al fine di suo pavimento unito, e questo fatto a miej ricordi, come dirò di più. A piedi della balustrata a mano sinistra, o sia in Cornu Epistole vi era una tomba fatta espressamente per un certo defonto Governatore Conte di Frincho(48), quale morì, e si fece seppellire in detta Capella, e nella stessa tomba ad esso espresso fatta con una gran lapide di sopra, con sua iscrezione del nome cognome patria ettà, con suoj tittoli da Governatore e con la sua arma incisa in capo di detta lapide; in mezzo, ed a piedi di detta balustrata composta di altri due gradini, si à [?] balustrata che li gradini ad ascendere errano di marmo rosso, e perciò in mezzo a piedi del entrata del S.tmo Sanctorum altro monumento erravi, e d'altro Governatore(49) qui defonto, e sepolto in detto luogo: il nome non sò, e quando la sua diposizione, abenchè da me letto la lapide che lo copriva, ciò non ostante da miej antecessori, così mi dissero; l'entrata del S.tmo Sanctorum, o sia presbiterato, veniva ad essere spazioso, e ben adornato, per il che in Cornu Evangelij stava la cattedra dimorante quotidianamente del Vescovo, ove si soleva apparare in giorno di Pontificale, asistito dal venerabil Clero, sì Canonici, e dignità, che Cappelani e Chierici; cantando in tempo del apparato al parte di nona, verso in Capella come si dice, cioè un verso dal choro, altro da musici; in Cornu Epistole stava altro sedere per li trè apparati servienti al Pontificale, o pure per cantare messa in detta Capella. In mezzo a detto presbiterato si ritrovava due ovvati di ferro(50), o sia due fenestre che jlluminavano li sepolcri di sotto de' Sacerdoti, tutto al intorno di detto S.ta Sanctorum, poj veniva l'Altare di detta Capella di marmo bianco(51), quale si ascendeva al detto altare in trè gradini, à l'altare medesimo composto di trè gradini, ben spazioso e ben adornato; jl Coro veniva ad essere pieno di cattedre di legno(52) semplice senza maestreria, ma bensì ben adobato, capace, e con le respetive sedie de loro Capellani al sotto, e con tutti li Chierici in mezzo a detto coro erravi un gran uscio che faceva pavimento a detto, dove si alzava qual uscio, e con una scala fatta di cotto, si discendeva francamente ne' sepolcri de' venerandi Sacerdoti collà espressamente fatti, e questi giravano al intorno di detto S.mo Sanctorum, sì a dritta che a sinistra, dove erravi la fondamenta del Altare di detta Capella. Li sepolcri che collà esistevano stavano composti di cotto, cioè di muraglia, ed erano come tante nichie, od urne capace per rinchiudere un uomo; collà messi in piedi in una di dette si veniva a farci un picciol muro d'avanti, quello era la sua pietra sepolcrare, con la sua discrezione di fuori, il nome cognome patria, se Canonico, o pure beneficiato, o Capellano, o pure di sua voglia con l'anno che morì, mese, e giorno, e con quej tittoli ad esso appartenenti. Detti sepolcri sono fatti a bella posta per uso de' Sacerdoti che in detta Capella veniva ad essere eretta, e si diceva la Compagnia de' Sacerdoti. Molti Canonici di esso Duomo sono quivi abenché abino altra sepoltura appartata per loro in mezzo della balustrata del Altar magiore di detto Duomo, e se qualche Canonico così attesta, gli si dà sepoltura in detto luogo; la rottondità di sotto a detto presbiterato [è] capace, ed in nichie in numero 100. Poj salendo di detta scala, e pocho da longi della cattedra del Vescovo esisteva un gran uscio, dove si diceva la Sagrestia di S. Giuseppe: il descrivere le rarità di essa egli è imposibile, bensi detta Sagrestia stava ben illuminata con quatro fenestre, due grandi a piedi, e due minori al sopra, ben pitturata(53), e ben lavorata da scultore esperto con varie lapide incise, e figurate de Vescovi, che adornavano detta Sagrestia, e per loro memoria; tutt'al intorno stavano dej guardarobba, dove rinchiudevano tutto il bel e buono della Chiesa Cattedrale, sì paramenta d'ogni sorte, candelieri, argenteria, ed ancho erravi l'Archivio con tutte le memorie. In mezzo a detta Sagrestia esisteva un gran banco quadrato dove si apparavano li Canonici, e Capelani per celebrare, ed anche per le benedizioni, e fonzioni; in un cantone di detta Capella, ed in un guardarobba che sembrava faceva uscio per andare nel Cemiterio, sì delle ossa come anche per andare nel Cemiterio grande. Sopra a detti guardarobba vi erano tutti li trofej di tella pitturata per il Santo Sepolcro che in detta Capella si faceva, ed era di pittura di gran maestreria, che sembrava il vero rittratto del vero Sepolcro in Gierusaleme(54), come si sentij da diversi religiosi da collà venuti; poj vi era altro uscio in detta Sagrestia che andava in un'altra stanza, dove si diceva la Sagrestia de Chierici del Seminario, perche essi tenevano chiave da in detta Capella per mezzo d'un uscio pitturato, che chiuso faceva ordine alla pittura del muro, ed in essa dava il passagio alla Sagrestia grande; dentro a detta stanza stavano due gran cassoni, dove si teneva la tapezeria grande della Chiesa, con tutte le banche delle donne della Dotrina, che in detta Capella si faceva con altre cose poste collà in discarico. Detta Sagrestia stava illuminata con una fenestra, indi si andava nella detta Capella, dove che tutta pitturata da esperto pittore, quale sembrava di rilievo(55); a mettà di detto muro di detta Capella, e sù la muraglia vi stavano due grandi quadroni dipinti: quello alla drita consisteva lo Sposalizio di S. Giuseppe con la Madonna, e S. Simeone Patriarca apparato secondo il costume d'allora che li sposò; alla sinistra altro quadrone di ugual misura, quale figurava S. Giuseppe e la Madonna che pagano il tributo a Cesare, essendo in mezzo a detto quadrone uno seduto ad una tavola con li occhiali sul naso che guarda alle monete se sono di Cesare; a piedi di detto quadrone stava un uomo con le braccia dentro ad un baule sembrando di cavare da quello le monete di pagare il tributo: al insù delle mura tutto pitturato, e sù il cornisone ancora di più si scopriva la finezza, ed architetura, con un morrione che pareva al naturale; in mezzo della volta di detta Capella stava piturato la gloria di S. Giuseppe; sopra al Coro stava dipinto la Angonia di S. Giuseppe asistito dal Salvatore, e Maria Santissima, con varij Angeli; pocho al ingiù stava l'urna di detto Santo con due collone di legno adorato, ed una per parte con suo cornicione di legno adorato, e di gran maestreria; sopra le sedie de' Canonici, due Santi figurati vi stavano e pitturati sul muro figure grandi, e due a ciascheduna parte(56), cioè alla drita vi stava la figura di S. Perpetuo vescovo, S. Girolamo; alla sinistra vi stavano altre due figure di ugual grandezza rappresentante S. Teobaldo protettore de Padroni calzolaj con il coltello in mano, ed una scarpa da donna a piedi, il quale li 27 Maggio da detti padroni in bottega veniva a cantarsi Messa, e si accendeva dua candele di cera ad imagine e con altre messe basse, e S.ta Cattarina con la ruota, e tutte quatro quelle imagini avevano ciascheduno il loro Beneficio, e Capellania. Sù li quatro cantoni della volta vi era a ciascheduna parte un Evangelista figurato, solo che il busto; in fine di detta Capella, e sotto il volto vi era figurato in pittura la Fuga di S. Giuseppe e Maria Santissima col il Bambino Giesù a cavallo del asinelo, ed un Angielo avanti che con la corda in mano conduceva in Egitto. Sotto a detta pittura vi era un arma dipinta di Casa Sachi(57), e vi stava la sua sepoltura al pavimento(58), perche concorse al fabricato di detta, e la adornò di varie cose; sotto a detta arma vi era anticamente, o sia da 20 anni addietro, l'organo piccolo con sua cantoria, di là in poj vedendo detta cantoria in pessimo stato, fù fatta di nuovo di legno ben adobata, e ben scolpita di tutti li arnesi da falegname, come servivasi S. Gioseppe, addorata di oro perfetto(59); l'organo fatto di nuovo di un amirabile disegno e con varij trofej, specialmente due Angioli, alla somità con una gran ghirlanda che adobava perfettamente, e tutto ciò adorato perfetamente. L'organo era perfettissimo, e pieno di gran canne(60); finalmente per termine di questa Capella, come dissi avanti si chiamava la Capella Reggia; anche l'Università de' Calzolaj aveva in detta jl jus possesorio, perche nella pittura, e lastrico, ed organo in ogni parte concorsero alle spese: quando più, quando meno a misura della spesa sempre concorsero, per avere la raggione in occasione della loro festa de S.ti Crispino, e Crispiniano solita venire li 25 Ottobre, con il loro quadro rapresentante detti Santi(61) fatto a bella posta di longezza, largezza, e quadrato al urna di S. Gioseppe, e perciò in tal giorno da Sig.ri Canonici veniva ad essere uficciata detta Capella, e detta festa con messe basse, Messa cantata in musica, ed la sera le Littanie in musica con il Tanum Ergo, e la benedizione, sempre dalla Università pagando.

Il giorno 31 Gienajo 1803 con trè mine alle ore 23, e mezza(62) date alla muraglia del Coro, parte cadè, e parte di detto Coro restò in piedi, così che a forza di scopello dimolito le mura al intorno, il giorno primo Febrajo alle ore 21 cadè altra parte di detto coro, restando ancora la parte di muro faciente faciata alla piazza ove vi erano le arme de Pontefici, ed alle ore 22 di detto giorno cadè anch'essa. Prima di chiudere ciò, perche di detta Capella egli è distrutta, devo dire che la facciata di detto Duomo fù fatta l'anno 1562 come osservaj in questo giorno(63). Il giorno 10 Febrajo dello stesso anno 1803 pocho più d'un ora di Francia dopo mezzo giorno fù dato foco a trè mine per demolire tutto il Coro del Altare maggiore, ma perche una sola prese foco, vi cadè la volta della Capella di S. Andrea jvi attigua. L'jstesso giorno di bel nuovo diedero foco alle mine di prima, non acese che alle ore 24 di sera; cadè il voltone di detto Coro con la torretta di detto ove vi era il Gallo descritto.

Il giorno 17 Febrajo dello stesso anno alle ore 7 di Francia di mattina, ed ore 13 italiane si fece il trasporto del SS. Sacramento dalla Chiesa delle Monache della SS.a Anonciata al nuovo Domo cioè alla Chiesa di S. Alessandro, o sia al Bernabita, con l'accompagnamento della Dottrina di detto Duomo, e tutti con cerej accesi cantando il Pange Lingua; dopo veniva il Clero apparato, cioè con cotta, e mozetta; dietro alli Canonici vi era il baldachino con sej aste, ed avanti alli due portori di detto baldachino, e sotto a detto vi era due Dignità del Capittolo, apparati con tonicella di tela d'oro, il quale alla dritta era il Primicerio Cavalli, così di suo nome, portando la reliquia di S.ta Croce; alla sinistra il Prevosto Schiffi apparato ugualmente portando la reliquia delle S.te Spine di nostro Signore. Dietro a questi, e sotto al baldachino altri trè apparati di ugual ordine vi era l'Arciprete Bobbio con il SS.o Sa-cramento, e li due soliti apparati. Gionto alla Chiesa de' Barnabiti, collà chiusero la fonzione con il Tantum Ergo, e Benedizione; dopo dal Capitolo in Coro intonarono l'inno Vexilla Regis Prodeunt, e nello stesso mentre tirarono a suo luogo la reliquia di S.ta Croce, e delle S.te Spine, e con ciò diedero principio al appertura di detta Chiesa.

Jl giorno 18 Febrajo dello stesso anno alle ore 4, minuti 11 di Francia, e dopo mezzo giorno, o sia ore 22 minuti 20 di Ittalia con otto mine, cioè 4 a caduna parte delle colonate di mezzo, perche così esistevano in Duomo, diedero fuoco alle mine tutto asieme che vi cadette tutto le otto colone, tutta la volta grande, e le due volte latterali al intorno, con parte della facciata, cioè la parte della porta a sinistra di S. Andrea, mettà della porta grande, restando ancora l'altra mettà di detta porta, e la porta della Madona, quale dico della facciata, e volta e voltoni, restando ancora a demolire detta parte, e tutto il circondario di detta Chiesa, cioè Capelle, Campanile, Sagrestia, Coro, e le Capelle della navata di S. Andrea.

Il giorno 19 di detto mese diedero foco a trè mine in un angolo della Sagrestia, la quale scopiò con la caduta parte di detta, e parte della corte, e nello stesso tempo vi cadette la mura del Cemiterio al intorno, e mettà della Capella della Madonna.

Jl giorno 21 di detto mese in ponto del mezo giorno diedero foco a trè mine alla parte di S. Andrea che vi cadette tutta detta navata, tutte le Capelle da quella parte, e mettà ancora della Sagrestia di S. Giuseppe. L'istesso giorno alle ore 24 italiane diedero foco ad altra mina, e nulla giovò che non cadette.

Il Giorno 22 ultimo di Carnevale alle ore 10 di Francia e sedeci italiane diedero foco ad altra mina alla porta del SS. Crocefisso che nulla cadette, se non con palli di ferro, e pichi che demolirono alquanto e jl giorno 25 alle ore nove di Francia a forza di picchi, e martelli vi cadette due Capelle con il muro jnfori, muro indentro, pilastri, e volta restando se non che la pura porta di detto andito, cioè del SS. Crocefisso, e delle altre Capelle, e Sagrestia.

Il giorno 23 di detto mese, primo di Quaresima, con una mina diedero foco alla facciata d'avanti alla piazza rimasta ancora in piedi, che fece cadere tutta quella parte, e dal scopio vi caddè il restante della Sagrestia di S. Giuseppe, senza offesa di alcuna persona, e questo succedette alle ore 24 italiane, restando se non che una picciola parte di porta della Madonna con poco muro. Jl giorno 24, giorno di S. Mattia alle ore 20 diedero foco ad una mina in un pezzo di muro di detta facciata per dividere facilmente li mattoni, ed essendo sì forte scopiò con due pezzi in aria, quale uno ferrì il capo d'un Peruchiere, e l'altro entrò in una bottega d'un Orefice in piazza senza offesa di alcuna persona.

Jl giorno 25 di detto, senza mina a forza di corda e pichi, alle ore una e mezza di Francia diedero forza alla porta del SS. Crocefisso, che ivi cadette senza alcun male, perche aveduti dal pericolo, fecero forza con corda, e palli ferro che cadette. Il giorno 26 di detto mese fecero cadere l'altra parte della Capella della Madonna a forza di ponte che la demolirono al intorno, poj con pontali la fecero cadere al indentro. Il giorno primo di Marzo fecero cadere tutto il restante della Sagrestia, ed l'allogiamento del Sacristano, ed ecco tutto atterato.

Al presente vi sarà per 200 persone a scieliere il matteriale; varie, e parechie carette a guisa di galeotte che trasportano matteriale, chi conduce pietre ad altro luogo, chi appolisce mattoni, varie donne che trasportano mattoni a suo luogo, chi con pichi, chi con palli terro, e badile per scoprire matteriale, e di quello dividere al calcinaccio, così che descriverò a suo tempo sì del trasporto e vendita, quanto al tempo renderlo netto d'ogni cosa. Li trè del medesimo mese di Marzo diedero forza ad un pezzo di muro della Sagrestia per ridurlo in pezzi, quando un lavoratore di dentro scavando per farlo cadere s'incapitò essere in un cavo della fondamenta, che ivi cadette detto muro, ed altro male non fece che si spezzò, lasciando l'uomo libero e sano, solo dovetero scavare al intorno per assicurare il lavoratore, restando se non che stupito del caso, e non altrimenti. Il caso spiegato pocho avanti delli colpi di pietra che saltarono in aria dalla mina seguita, e di aver colpito sul capo un Peruchiere per cognome Mutis, figlio di un Cochiere di Casa Castelani che andò a longo, e dentro alla ferita si fece piaga che lo ridusse a morire impenitente senza confessione, e senza Sagramenti, perche dove abitava di casa in compagnia d'altro Peruchiere chiamato Schufijno scacciò più volte il Parocho che a bella posta collà portatosi per indurre alla confesione il disgraziato defonto, dando ad intendere detto Schufijno al moribondo che non faceva di mestieri il confessarsi perche li chierurghi gli avevano assicurato di salute, senza le maldicenze, e spropositi dati al Parocho(nota non chiara). Donque morì il giorno 17 di marzo del 1803, ed il giorno 18, giorno suseguente e giorno di venerdì, alle ore 2 dopo mezzo giorno accompagnarono detto defonto al nuovo Duomo de Barnabiti senza alcun stendardo di Compagnia, senza Croce parochiale, senza suono di campana, senza reccitare Salmi in suo refrigerio, chi portò detto cadavere quatro fachini di piazza o sia camalli con una torchia accesa in mano a chiascheduno, e con quatro ordinanze di polizia alle quatro a piedi, e due al capo, con 20 poveri di dietro al accompagnamento con una piccola candeletta chi accesa, e chi smorza di peso 1/2 oncia; in Duomo condutto, diedero subito sepoltura al cadavere senza esequie e li medemi portatori lo sotrarono. In detto Duomo in tal giorno al detto dopo pranzo non poterono più ufficiare li Sacerdoti perche obligati daj Capi Polizia, ò daj regenti di Città il morto ricevere, ed essendo il detto scomunicato li convenne alla mattina suseguente fare nuova benedizione alla Chiesa per renderla di nuovo ufficciata.

Li 25 Maggio 1803 fermarono li orologi dell' Campanile, cosi che delli cinque quadranti che giornalmente giravano, cioè l'orologio francese in capo, alla dritta la sfera del giorno in cui si ritrovava, alla sinistra il quadrante del giorno della settimana, sotto a piedi il quadrante jttaliano, e tutti restarono sospesi, se non che il quadrante italiano che in sua vece lo ridusero alla francese, e con il medemo motto italiano. Sulla somità della cornice a mano dritta del Palazzo di Città esisteva un gran ovvato figurante la rottondità di un orologio(65), con suo quadrante, con marcato le ore in 12 in 12, con sua campana, la quale detta campagna serviva per dare segno alli alti scolari di Scuola Reggia; ed il quadrante non girava, e stava sempre affisso sulle 12 ore, onde levatto tal campana, e quadrante detto ovvato viene chiuso con mattoni, e calce, lasciando in mezzo il segno del quadrante da girare a giusto orologio. La campana medesima viene servita al di sopra di esso cornicione per battere le ore, e sospesa da due gran ferri fatti a bella posta.

Il giorno primo del mese di Giugno diedero principio al trasporto del matteriale de' mattoni del anticho Duomo con il numero di 50 carette da cavallo, od altra bestia; il primo di cui diedero principio ad una parte sotto al Campanile, altra scuadra de' carette alla parte inferiore di S. Giuseppe. In quest'oggi sono li Condutieri in mezzo della piazza per evacuare li mattoni, e giorno 2 di Giugno; jeri parimente diedero principio sopra della torre a demolire le mura in mezzo, e per mezzo d'una coridora fatta a bella posta callarono li mattoni per non ridurli in pezzi.

Li 4 Luglio levarono le traverie da suo luogo di detta torre per atterarlo.

Il giorno 18 di detto trasportorono li pezzi di pietra, sì di dentro che fuori alla facciata della Chiesa, e le trasportorono fuori di Porta Marengo, il quale del successo il descriverò, e parte alle fornaci per fare calcina. In detto giorno 18 Luglio diedero principio per levare con maestria la figura da suo luogo il famoso descritto Gajaudo con sua formaggia intiera per anticha memoria, ed in tal giorno parimente nella tesoreria a piedi di detta Torre, o Campanile si fece luogo a cinque mine ripartite, a due fuori alle cantonate di dietro.

Li 20 Luglio alle ore 6 di Francia diedero foco a quatro mine al detto Campanille(66) che nulla li giovò; alle ore 6, e mezza con altre due mine, tutto se ne restò perche ritrovandosi tutto pietra collo spesore d'un piede, e mezzo in quadrato, e tutto di pietra se bene dolce, con tutto ciò le mine descritte, detta torre ritrovassi intatto senza alcun segno di crepatura. Ciò durando continuamente ogni giorno da 7 in 8 mine, che alla fine il dimolirono al intorno trà palli ferro, e mine che solo due cantonate il lasciarlo intatto, e le altre due cantonate verso il palazzo di Città con due forte mine il ridussero a termine, che per mezzo d'una corradora fatta espressamente di legno a guisa di canale.

E circa le ore 22 poco più poco meno il giorno 2 Agosto festa della Beata Vergine delli Angioli che con gran scopio a guisa di canone si atterò facilmente da esso, e tutto verso il Palazzo di Città, senza offesa di alcuna persona; bensì con gran quantità di vetri spaccati all'intorno della piazza, e massime quelle del Palazzo del Governatore(67).

Una pietra spicccò sù di un angolo a mano dritta di porta trionfale che vi gettò a terra una parte d'ornamento, ovve vi esisteva sulla piazza, o sia dove faceva figura della descrizione al Popolo Francese, alla Vittoriosa Armata, al primo Console Bona Parte, Dipartimento di Marengo; e verso la contrada de Sarti conteneva il sudetto detto: Alla Vittoria di Marengo, alla Pace, alla Concordia, al Fraterno Amore, Dipartimento di Marengo. Altra pietra scopiò sul tetto del Governo, o sia ora sul tetto del Palazzo di Prefettura, sopra l'imagine della Beata Vergine di Caravagio che varij coppi ridusse a terra a pezetti, e senza alcuna ofesa di persone, e pesata dal panatiere Bobbio disse essere rubbi 2 et 20. Altra ne spichò sul orologgio della Luna sul palazzo di Città descritto, dove che rese inutile il suo corso, e giro per avere spezato li arnesi che davano corso a detta sfera. Altra pietra scopiò sul capello di latta verniciata, e sopra la campana delle ore che vi fece un gran guasto, e resiede aperto ancora il giorno d'oggi. Altra pietra di gran grosezza scopiò, ed andò a battere al Palazzo del Marchese Guasco(69) distante ben per 225 e più passi non geometri, ma passi da uomo e ritornò al indietro nella medesima Contrada, che essendo si forte la veemenza ricalcitrò al indietro, e diede colpo al palazzo del fù Gierolamo Panza, senza ofesa di ciascheduna parte, perche muraglia nuova e non incontrato le finestre, e persone. Le pietre poj che di facciata, e campanile, sì dentro che fori di detta Chiesa Cattedrale parte andò sul travaglio del ponte nuovo di Bormida, per formare li chiavistelli alle cantonate, e ridutte di nuovo ad altro metodo al disegno dagli Scarpelini, e parte ancora al travaglio del ponte per formare la rottondità de piedestalli per riparo alla veemenza del aqua. Li mattoni si può ben dire essere stati trasportati a forza di carette, e carettoni intorno alla Cittadella fuori della mura, serviente all'nuovo riparo, e primo, cioè dove vi era la stechata di legno, ed ora resasi in muraglia, e parte ancora per formare le nuove fornaci, ma il più tutto al intorno delle mura della Cittadella. Il rottame di detta demolizione, cioè le pietre piccole, parte sono state trasportate per sterno alli Quartieri, e molti alla muraglia del nuovo ponte di Bormida, il restante vanno al Magazeno di S.ta Teresa(70) per sterno della corte; il calcinaccio di detto Duomo in mezzo molto il crebiarono per godere di quella sabia a fare muraglie, ed intorno alli ponti; il rottame poi studiarono mezzo senza spesa al trasporto, cioè carri, barozze, carettoni, e carette non pottevano sortire voti anche de particolari, come quelli che concorono a vendere legna dalle parti senza essere carichi del sudetto rottame, e da condursi sulle strade dove essi particolari escivano a ben construere la strada maestra, e specialmente nelle fosse che vi pottesero essere per renderle meglio caregiabili, e praticabili, e fino al giorno d'oggi continua in ugual maniera.

Li 7 Gienajo 1804, egli e già un anno oggi 7 Gienajo 1803, che diedero principio a chiudere detto Duomo, e credo esservene ancora per il trasporto del matteriale, e rottame ancora per il corso di quest'anno 1804 perche appena sono alle fondamenta della facciata della piazza, eccetto il Campanile che si ritrova di già libero dal suo luogo, e le trè Capelle attigue alla Sagrestia, cioè S. Christofaro, S.a Catterina, e la Madonna Assonta, cioè la Madona del Usetto, che si ritrova la profondità di dette essere già libere, cioè già espurgate di tutto, e viene ad essere piano eguale alla piazza.

Il giorno di S. Stefano 26 Dicembre 1803 diedero principio a discoprire la prima cantonata attegua al palazo del ex Marchese Ghilini, levando li coppi del coperto per mezzo d'una corridora fatta a bella posta, per tenerli intieri, e con gran quantità di Soldati sopra muratori alle finestre, per levare la feramenta come anche per levare le pianelle servibili dallo sterno, e tutto per mezzo di corridore scendevano a terra senza alcuno dirupamento, le carette pronte al trasporto in quantità, e carettoni, parte per li coppi, parte per le traverie, e tutto questo trasporto li conducono alli respetivi magazeni, cioè S. Bernardino, S.a Teresa, Pozzolo, e S. Francesco(71), da mano in mano vanno avanti a scoprire, e demolire, cioè primo come dissi la cantonata del Abitante Cittadino Xaverio Vaccario, poj il Stallone del Osto del Cervo, poj sopra il Caffè detto della Sagrestia, o sia del fù Bartolomeo Cochino, poj alla Corte del Osto del Cervo, levandosi il sterno della corte, e tutte le feramenta, poj sempre al intorno di detta Osteria, che il giorno 31 [Gienajo] 1803 dovette del tutto sortire detto sito, poj va seguendo al Cafè detto delle Figlie o sia Marchese, bottegaro sul cantone della Fiera Vecchia(72), e così da mano in mano sino alla fine, cioè al disegno del quadrato, e tutto qui stà scoperto avendo di già nel interno della corte grande del Capitolo, e particolari di Fiera Vechia atterato le muraglie di dentro.

Il giorno 5 Gienajo diedero principio a discoprire il Corpo di Guardia vechio(73), così che la botega della contonata di dietro si ritrova di già scoperto. Il nuovo Corpo di Guardia militare ora ritrovasi attiguo, e sulla cantonata del ex Marchese Ghilini, che avendo preso un portico da legna che per l'addietro serviva e di ragione dell' Capitolo della Cattedrale, e luogo lungo, e largo a suficienza della Guardia, collà construsero detto temporaneamente per farne poj altro più spazioso, essendovi due stanze sopra per comodo del Uficciale di Guardia e suseguentemente col giorno d'oggi 9 Gienajo demolirono la cantonata del abitante Xaverio Vaccario, o sia il cantone dietro il detto Duomo, come fino al Cafettiere della Sagrestia, tacendo luogo nella corte grande strada per entrare, e sortire. Più, e più volte fu misurata la anticha piaza in primo luogo per la pianta di detta longa, e larga come ritrovasi, poj per il quadrato, poj per il livello a ridurla tutta uguale di altezza, di largezza, e finalmente con altra misura con suoj segnali che in mezzo di detta piazza deve essere colma, con li suoj canali di sterno per seco condurre il piovente, donde deve chiascheduna parte di detta rottondità avere il suo espurgo per clorare la pioggia.

Oggi 9 Gienajo 1804 diedero principio al opera con levare lo sterno di piccole pietre di detta piazza, e d'avanti al palazzo di Città sino al Oberge de' trè Rè(74) così nominato V.S., e trà donne, figlie, e figlij con forlini prendere di detto rottame, e portarlo al anzidetto livello. Più di cento persone si può contare a questo lavoro, parte de paesani con picco, e zappa per scavare, parte altri paesani con badile caricando detto matteriale, parte con picco levare lo sterno, con molti Soldati della 29ma demibrigade con picchi, molte carette, e caretoni al trasporto di dette pietre tutte ad un luogo. Oggi corrono in gran parte donne, figlie, e figliuoli con il loro cestino in testa, ad alzamenta, e da mano in mano vanno continuando sempre cosi tutto al intorno di detta piazza.

Oggi 16 Gienajo 1804 alle ore undeci di Francia, e di mattina, levarono l'Albero della Libertà da suo luogo, cioè d'avanti al palazzo di Città per esporlo sulla piazza di S. Martino(75) ove esiste continuamente il palazzo di Giudicatura e Condanna alli delinquenti, il quale servirà sempre per mettodo della Republica Francese. Parimente in quest'oggi demolirono una stanza si superiore che inferiore al nuovo Corpo di Guardia, come qui descritto, sulla cantonata del ex Marchese Ghilini per la costruzione di nuovo fabricato alla fondamenta, e quadratura della piazza a norma del disegno che li verrà esposto.

Li 18 corrente scoprono il restante della bottega dell' Capitolo della Cattedrale per atterare le muraglie acciò il nuovo Fabricato possa essere più spazioso e per fare le ligature delle mura a dovere. In tal giorno 18 alla sera dopo battuto la ritirata, e dato l'ordine di piazza, levorono la Guardia dal antico Corpo Guardia, e presero posseso del nuovo, come provisionalmente viene destinato al descritto retro.

Oggi 19 a gran forza seguono a discoprire il vechio Corpo Guardia, e chi al intorno alle mura con pichi a demolire le mura e sempre in piazza seguono al trasporto del rottame e calcinacio, ad alzare al intorno la piaza e parte de soldati scoprire, e levare le pietre fondamentali delle cantonate, e de' piedestalli delle Archate del Duomo.

Il giorno 21 alle ore due dopo mezzogiorno cadè il volto del Corpo di Guardia con le 4 collone di pietra, e tutto il volto di sopra a dette archate che serviva di coperto alla Guardia, nel cattivo tempo, e sopra due stanze del Uficciale, e sono appresso ad atterare le due muraglie latterali, e parte de giornalieri a polire il matteriale. Oggi parimente dietro principio al cavo della nuova Fabrica che servire deve di facciata alla Fiera Vechia, ed in piazza la dove il numero de conducenti si è imaginabile. Più reso la fondamenta della facciata, diedero principio al cavo latterale di tutte le stanze a segno che non trovando terra sicura a sforza di travi rovere, ed incrocciati, e ben chiodati al fondo collà misero, e dentro, e fuori, e sotto, e sopra con calce fresca, e mattoni construssero le fondamenta.

Il giorno primo Febrajo sempre corrente diedero principio a discoprire nuovo tetto, cioè sopra ed in contro alla muraglia divisoria del Capitano Rè ivi attigua, luogo affittato al brentadore Cristofaro.

Il giorno 4 di detto fecero un padiglione d'assi avanti il palazzo di Casa Ghilini ben longo di 3 trabuchi, e largo di 1 e 1/2, luogo di cui serve per il travaglio de Scarpelini alle pietre della [...](76).

(21) Lo sviluppo della leggenda - dall'episodio centrale all'epilogo — appare già perfettamente codificato, sulla fine del XVI secolo (cfr. Guglielmo Schiavina, anno 1175, coll. 26-27)

(22) Corretto da altra mano in margine al fol. 7v del ms.: «Griffoni»

(23) Ad esso sembra riferirsi, con tutta probabilità, una rata di pagamento della Fabbriceria del 10 giugno 1758, peraltro giustificata con qualche ambiguità: «Per Lire 6.17.3 pagate alla Moglie dell'Orologiaro Tedesco per la luna [...]». (cfr Fabbriceria della Cattedrale /IV, s.i.fol., n. 13)

(24) Postilla di altra mano in calce al fol. 7v del ms.: «dal celebre Mecanico Signor Caldani d'Acqui: li detti Orologi, atterrato il Campanile, furono conservati e quindi collocati sulla facciata del Palazzo di Città, ove ora si trovano (1848)»

(25) Il complesso e ammirato dispositivo di orologi in dotazione della torre doveva essere stato effettivamente completato entro il settembre del 1790, in conformità alla convenzione intercorsa tra la civica amministrazione e l'orologiaio Giuseppe Caldano, che si era impegnato nell'occasione di realizzare il progetto presentato per la somma di 1000 lire di Piemonte, Cfr. in proposito il Convocato dell'8 aprile di quell'anno (cfr. Convocati di Ragioneria, cc. 27r-31r). Egli era intervenuto allora, modificandolo e integrandolo, sul congegno predisposto trent'anni innanzi da un altro artefice, Carlo David Pellaton, che negli anni 1758-1759 - come da quietanza del 9 ottobre 1759 per l'ammontare di 20 zecchini - aveva prestato la sua opera nell'impresa, subentrando a sua volta all'orologiaio Gian Domenico Gallina, contattato un paio d'anni prima e, presumibilmente, protestato poco dopo.

(26) Di fatto, l'intera specchiatura del fronte della torre, compresa fra i due risalti di estremità, era occupata - per una larghezza di circa 6 m. e per un'altezza di quasi 16 m. - da un campo dipinto a fresco, con un'incorniciatura architettonica a paraste, coronamento a timpano triangolare con candelabre ai lati e sostegno inferiore a mensole inginocchiate, fiancheggianti una meridiana intermedia. All'interno della composizione principale erano collocati, nel mezzo, l'arma crucifera della Città, in alto un gruppo di quattro orologi, in basso un quadrante maggiore contrassegnante le fasi lunari. Dei quattro orologi sovrastanti, quello superiore batteva l'ora alla francese, cioè alla moderna, con rintocchi da uno a dodici; quello inferiore batteva all'italiana, da uno a ventiquattro, con uno scarto di sei tocchi in avanti rispetto al precedente; quindi, alla sinistra era la sfera indicante i giorni della settimana e alla destra quella che denotava la successione dei giorni del mese.

(27) La situazione preesistente è ben descritta nei verbali della visita pastorale di Giuseppe Tomaso de Rossi del 1760 (cfr. Visita Pastorale mons. De Rossi, сс. 44-44v): «Ascendit propterea ad dictam Turrim Campanilis, ibique visitavit quinque Campanas, quarum maxima fuit renovata de anno 1758, et Juit consecrata die 4 Octobris ejusdem anni ab Ill.mo e R.mo DD. Episcopo nostro. Secunda asseritur pariter confecta a n.g. DD. Episcopo Guasco, atque ita etiam quinta, mitime vero reliquae duae. Quo vero ad earum pondus: Prima, scilicet maxima, est ponderum vulgo Rubbi 240; Secunda quae dicitur Canonicorum, est ponderum ut supra 110 circiter; Tertia, quae dicitur a mortuis, est ponderum pariter ut supra 80; Quarta, quae dicitur vulgo La mezzana, est ponderum 46 circiter, el Quinta, quae dicitur vulgo La Campanetta, est ponderum 16 circiter, ibique omnia invenit rite disposita.» (in italiano: "Salì quindi alla suddetta Torre del Campanile, e lì visitò cinque campane, la maggiore delle quali fu rinnovata nell'anno 1758, e fu consacrata il 4 ottobre dello stesso anno dall'Ill.mo e Rev.mo Monsignor Vescovo nostro. La seconda si afferma essere stata ugualmente realizzata dal nostro vescovo Guasco, così come anche la quinta; le restanti due invece no. Per quanto riguarda il loro peso: la prima, cioè la maggiore, è di circa 240 Rubbi; la seconda, che si chiama dei Canonici, è di circa 110 Rubbi; la terza, che si chiama dei morti, è di circa 80 Rubbi; la quarta, comunemente chiamata La mezzana, è di circa 46 Rubbi; e la quinta, comunemente chiamata La Campanetta, è di circa 16 Rubbi, e lì trovò tutto debitamente disposto").

(28)Era questo un ingresso secondario - benché oltremodo frequentato — ricavato sul fianco settentrionale della cattedrale, tra il retro della torre civica e un lato della cappella della beata vergine dell'Uscetto. Dalla visita pastorale di Giuseppe Tomaso de Rossi del 1760, sappiamo ch'era interamente affrescato (cfr. Visita Pastorale mons. De Rossi, с. 30v): «transitus undequaque depictus».

(29) In altre parole, anche l'ingresso laterale era provvisto di un portale strombato, con spalle articolate da colonnine e un archivolto di coronamento a triplice ghiera di membrature toriche. Sulla lunetta risultante era campita una croce di Malta.

(30) Si tratta del pregevole Crocifisso cinquecentesco, trasferito nella cappella di patronato Valsecchi del nuovo Duomo - la prima di destra entrando - e colà rimasto anche dopo le trasformazioni ottocentesche. Sulla venerazione di cui esso era oggetto appare esplicito il passo della relazione della visita pastorale di Giuseppe Tomaso de Rossi del 1760 (cfr. Visita Pastorale mons. De Rossi, с. 30v): «Simulacrum SS.mi Crucifixi magnitudinis naturalis quod inibi magnam Civium, et Advenarum frequentia et religione colitur [...]» (in italiano: "Il simulacro del Santissimo Crocifisso, di grandezza naturale, che lì è venerato con grande affluenza e devozione sia dai cittadini che dai visitatori."). L'esigenza improrogabile d'interrompere la scarnificazione devozionale del legno delle gambe era peraltro già espressa nei verbali della visita pastorale di mons. Giovanni Mercurino Antonio Arborio di Gattinara del 1730 (cfr. Visita Pastorale mons. Arborio di Gattinara, c. 15r): «[...] et cum inspexerit au ferri particulas dictae Statuæ (prout creditur ex veneratione Fidelium) ordinavit omni meliori modo provideri» (in italiano: "[...] e dopo aver ispezionato le particelle di ferro della suddetta Statua (come si crede per la venerazione dei Fedeli), ordinò che si provvedesse nel miglior modo possibile."). Da ciò la soluzione di rivestire il simulacro dalla cintola in giù di una lamina in rame sbalzato.

(31) Rinnovata nell'autunno del 1768, secondo quanto attestano due pagamenti della Fabbriceria emessi in favore di Giuseppe Caselli - impegno invero modesto per il noto architetto locale, patentato gia dal 1759 — in data 28 agosto 1768 e 14 gennaio 1769: «Al Capo Mastro, ed Architetto Giuseppe Caselli per la nuova Portina, ed altre fatture nel Cortile della Cattedrale [...]» (cfr Fabbriceria della Cattedrale /IV, nn. 113, 150.)

(32) Cioè, il corpo convesso dell'abside settentrionale, in cui era stato traslato dal 1592 il veneratissimo simulacro della Vergine. Non è escluso che, nella circostanza, le strutture medievali del sacello — «Capella Purificationis, S.ti Hieronymi, et S.ti Perpetui de jure patronatus familiæ de Sachis», come registra la visita pastorale di Girolamo Gallarati del 1565 (cfr. Visita Pastorale mons. Gallarati, c. 1) — venissero rinnovate anche dall'interno e fosse innalzata allora la lanterna cui accenna il Giulini, «piciol toretta tonda».

(33) Queste erano, in seguito traslate nel nuovo Duomo, le reliquie insigni in dotazione della cattedrale alessandrina: quella della santa Croce, verosimilmente asportata da Costantinopoli in occasione della Quarta crociata del 1204 e donata alla città nella sua stauroteca bizantina — di cui resta soltanto la montatura con alcuni smalti originari e le placchette con scritte in greco — da Opizzo de Reversati l'11 dicembre 1208; l'altra della Sacra Spina, acquistata a Roma dopo il famigerato Sacco del 1527 e pervenuta in cattedrale nel 1542 dall'abbazia di san Pietro in Bergoglio, cui era stata legata per testamento. Ancora nel 1565, la reliquia della Croce era ospitata in una cappella apposita, diversa da quella della Salve, come testimonia la relazione della visita pastorale di Girolamo Gallarati del 1565 (cfr. Visita Pastorale mons. Gallarati, cc. 1r-1v), che le distingue esplicitamente: «[...] totamque denique Ecclesiam perlustravit, et in primis Capellam Vere Crucis [...]; Capellam S. Marie ubi [...] Salve Regina canitur [...]».

(34) Si tratta di un evidente lapsus calami per indicare invece le colonnine che scandivano la loggetta praticabile di coronamento dell'abside centrale. Dal contesto, espresso in forma particolarmente ambigua, sembrerebbe di capire ch'essa fosse in comunicazione diretta con un «pontile» interno, probabilmente una balconata superiore che girava attorno alla concavità del coro.

(35) Il galletto segnavento in oricalco costituiva uno dei trofei di battaglia che gli Alessandrini avevano asportato nel 1215 dalla cattedrale di sant'Evasio, in occasione del saccheggio di Casale. Non conoscendone l'effettiva collocazione, crede ch'esso fosse invece issato su una delle guglie laterali della facciata (cfr. Francesco Gasparolo, pp. 196-197)

(36) Postilla di altra mano a fol. 9r del ms., inserita sopra la riga corrispondente: «Questo fu poi collocato sul capello della Campana dell'orologio nella facciata del Palazzo civico».

(37) Si tratta dell'abside meridionale - simmetrica a quella detta della beata vergine della Salve - che conservava ancora all'esterno la sua fisionomia medievale, mentre l'interno risultava ormai definitivamente barocchizzato a seguito dei restauri del 1705, cui si era aggiunta, verso il 1723, la decorazione pittorica ad opera del bolognese Gian Antonio Gioannini, prospettico, e dell'astigiano Gian Carlo Aliberti, figurista (cfr. Giuseppe Antonio Chenna, II, p. 34, 39)

(38) Era il corpo, semicilindrico esterno della cappella, che si apriva sul fianco meridionale in corrispondenza della campata preabsidale. Come la sua simmetrica sul lato settentrionale, dedicata allora a san Francesco Saverio - che il Giulini non menziona perché inclusa nella corte rustica della Cattedrale e dunque scarsamente visibile dall'esterno - era probabilmente estranea alla fabbrica medievale, frutto piuttosto di un'aggiunta successiva.

(39) Il muro di recinzione era stato completamente ricostruito nel corso del 1754, come dimostra il relativo pagamento della Fabbriceria del 6 ottobre di quell'anno: «Lire duecento vent'otto soldi undeci, denari tre come sopra pagate al Muratore Francesco Remolto per sue giornate fatte con compagni, e garzoni, e manuali nel demolimento, e nuova construzione della muraglia di cinta al suddetto Cimitero, comprese le condotte di sabbia, calcina, e mattoni [...]», (cfr. Fabbriceria della Cattedrale /I, fol. 90г)

(40) Si tratta dell'epigrafe gratulatoria dedicata al pontefice boschese Ghislieri, Pio V, rinnovata una prima volta nel 1739 (cfr. L'iscrizione di S. Pio V)

(41) Sull'origine alessandrina del cesenate Braschi. papa Pio VI, v. s.a., Pio VI oriundo alessandrino, 1895, PP. 211-214; inoltre, G.A. CHENNA, Memorie ..., ms. in BNMVE, It. VI.438, cc. 107r-111v. Sull'epigrafe, apposta nel 1781, v. RIA, n° 187, p. 136. « Il nome è cancellato con un tratto di penna e corretto da altra mano sopra la riga: «Francesco» (fol. 10r del ms.).

(42) Il nome è cancellato con un tratto di penna e corretto da altra mano sopra la riga: «Francesco» (fol. 10r del ms.)

(43) In altre parole, anche i portali laterali della facciata erano sguanciati, mossi da una serie di colonnine, con archivolti a ghiera multipla archiacuta, coronati - come dimostrano ad evidenza le iconografie pervenuteci - da altrettante ghimberghe.

(44) I pagamenti di Fabbriceria registrano annualmente le spese per siffatta illuminazione, insieme a quelle per i fuochi di artificio sparati ogni 29 giugno, per la festa del Santo eponimo (cfr. Fabbriceria della Cattedrale /VII).

(45) In effetti, il Giulini aveva visto bene, dal momento che la cappella detta comunemente di san Giuseppe - ma il titolo ufficiale era di san Perpetuo - era stata addossata al fianco meridionale della cattedrale, allineata al fronte preesistente, benché orientata ortogonalmente rispetto al tempio, nel corso del XVI secolo, secondo tempi e modi non del tutto chiariti. Fra i dati comunque certi, merita segnalare due estremi cronologici: ançora incompiuta nel 1594, essa risulta perfezionata entro il 1612 (cfr. Giuseppe Antonio Chenna, II, p. 37)

(46) Di fatto, coi suoi 20,55 m. di lunghezza e 9,75 di larghezza, essa si discostava sensibilmente dallo standard delle altre cappelle gentilizie, tant'è che negli atti di visita pastorale viene abitualmente definita «sacellum» piuttosto che «capella». Ma non solo, a differenza delle altre, essa era provvista di navata, presbiterio e coro, oltre che di una sagrestia indipendente. Si vedano in proposito le denominazioni espresse nelle varie relazioni di visita: «Capella ampla» (cfr. Visita Pastorale mons. Paravicini, c.s.n.); «Sacelli Divi Joseph» (cfr. Visita Pastorale mons. Ottaviano Guasco, c. 78v); «Sacellum Divo Joseph dicatum» (cfr. Visita Pastorale mons. Arborio di Gattinara, c. 18v); «Sacellum Sancti Joseph» (cfr. Visita Pastorale mons. Miroglio, c. 5r); «Hoc Sacellum præ se fert speciem alterius formosissimæ Ecclesiæ, constat quippe ex Choro, Presbyterio, 'Platea el proprio Sacrario' [...]» (cfr. Visita Pastorale mons. De Rossi, с. 31г)

(47) Il pavimento era stato rinnovato nel 1757, come riporta la relazione della visita di mons. de Rossi (cfr. Visita Pastorale mons. De Rossi): «In Platea dicti Sacelli pavimentum stratum est lapidibus triplicis coloris affabre factis, et accurate contextis usque de anno 1757.», in italiano: "Nella piazza del suddetto oratorio, il pavimento è stato lastricato con pietre di tre colori, abilmente lavorate e accuratamente disposte fino all'anno 1757"

(48) L'epitafio di Giuseppe Antonio Mazzetti conte di Frinco (*17051786) è pubblicato nella "Raccolta di Iscrizioni Alessandrine" (cfr. RIA, n. 188, p. 353)

(49) Si trattava del conte Giovanni Battista Rorengo di Lucerna e Campiglione (*16711736)(cfr. RIA, n. 181, p. 348)

(50) Altre fonti ne segnalano tre: «[...] et in pavimento adsunt tres oculi clausi clatris ferreis pro aspiratione Sepulchri Societatis RR. Sacerdotum, in quod descenditur a parte posteriori Altaris per scalam latericiam; habes dictum Sepulchrum plurima loculamenta pro depositis [...]» (cfr. Visita Pastorale mons. De Rossi, c. 31v)

(51) Come testimoniava l'epigrafe affissa sul tergo, esso venne consacrato nel 1723: «Aram hanc Ill.mus et R.mus / Franciscus Gattinara hu jus Ecclesiæ Alexandrinæ Episcopus / Consecravit die 11. Octobris 1723.» (cfr. Visita Pastorale mons. De Rossi, с. 31г)

(52) Poteva trattarsi ancora degli stalli in noce colorato provveduti nel 1646 (cfr. Giuseppe Antonio Chenna, II, p. 38)

(53) Le decorazioni della sagrestia annessa alla cappella sarebbero state realizzate nel 1681 dallo stuccatore Gian Maria Aliprandi e dal pittore Pietro Bianchi, entrambi comaschi (cfr. Giuseppe Antonio Chenna, II, p. 38)

(54) L'apparato, composto di diversi telari da disporre secondo un impianto scenografico, era montato nella cappella in occasione del Giovedì Santo. Esso esisteva ancora nell'Ottocento, quando veniva allestito nella cappella di san Baudolino del nuovo Duomo. Giovanni Battista Rossi ne indica l'anno di esecuzione 1776 (cfr. Giovanni Battista Rossi, pp. 89-92}) - da ritardare tuttavia, su basi documentarie, al 1780 — e ne attribuisce la paternità ai Galliari, segnatamente a Bernardino, ne fornisce un'ammirata descrizione nel sottolineare il «grande spaccato di montagna, coperto nella parte superiore con rozzi e vecchi muri», la «larga e maestrevole scena di architettura [...] preceduta sul davanti da un bel vestibolo a cielo aperto, ricco e sovracarico di gradinate, balaustre, figure ed ornati in varie guise ed in ordine simmetrico», le «scalette che dall'una parte e dall'altra la circondano celate dietro un bell'ordire di balaustri», il «vano della caverna che si apre e si distende con una lunga fuga di archi appoggiati sopra svelte colonne di stile orientale-egizio, intersecati da marmorei busti [...] e illuminati a quando a quando da fanali pendenti dall'alto»

(55) Il vasto ciclo di affreschi, eseguito nel 1713, era opera del bolognese Gian Antonio Giovannini per le incorniciature architettoniche e dell'astigiano Gian Carlo Aliberti per le figure (cfr. Giuseppe Antonio Chenna, II, p. 38); inoltre (cfr. Visita Pastorale mons. De Rossi, c. 31г): «Hoc Sacellum [...] est quaquaversus admodum eleganter, et grajice depictum a DD. Lohanne Antonio loannini, et Carolo Aliberti insignibus Pictoribus.», in italiano: "Questo oratorio [...] è dipinto in maniera molto elegante e accurata da Giovanni Antonio Ioannini e Carlo Aliberti, pittori insigni."

(56) «[...] inter insignes picturas ordinate per Sacellum distributas cernuntur a latere dexiro dictæ Iconis Imagines S. Perpetui Episcopi, et S. Hieronymi, et a sinistro S. Theobaldi, et S. Catharinæ V. et M.» (cfr. Visita Pastorale mons. De Rossi, c. 31v), in italiano: "Tra le notevoli pitture ordinatamente distribuite per l'oratorio, si vedono sul lato destro dell'icona raffigurata le immagini di San Perpetuo Vescovo e di San Girolamo, e sul lato sinistro quelle di San Teobaldo e di Santa Caterina V. e M."

(57) Circa lo stemma dei Sacchi dipinto sull'alto della parete d'ingresso della cappella, al di sopra dell'organo: «[...] desuper [...] praedictis Januis adess Organum, quod est proprium dictæ Capellæ, super quo in muro picta sunt Insignia D. Præsidis Sacchi», (cfr. Visita Pastorale mons. De Rossi, c. 32г), in italiano: "Sopra [...] le suddette porte si trova un organo, che è proprio di detta cappella, sul cui muro sono dipinti gli stemmi del Signor Presidente Sacchi.". Quest'ultimo era Giacomo Filippo Sacchi, presidente del Senato di Milano, fondatore e munifico donatore della cappella di san Perpetuo, morto il 15 agosto 1550.

(58) Nel verbale della visita pastorale di mons. de Rossi (cfr. Visita Pastorale mons. De Rossi, c. 31v) si fa menzione del relativo sigillo tombale, la sepoltura dei Sacchi era al termine - il riferimento, secondo l'uso, è per chi dia le spalle all'altare — della cappella, oltre l'ingresso: «Versus finem adest lapis cum hac inscriptione: Sepulchrum Nob. Familiæ de Sacchis Patronæ hujus Sacelli constructum anno 1757.» (cfr. RIA, n° 184, p. 350), in italiano: "Alla fine si trova una pietra con questa iscrizione: Tomba della nobile famiglia de Sacchis, patroni di questa cappella, costruita nel 1757" .

(59) Recuperata in occasione della demolizione e poi trasferita nel nuovo duomo, ove fu collocata su un lato del presbiterio: «Superiormente alle pareti laterali erarvi due cantorie di cui l'una fu tolta dalla grandiosa Cappella di S. Giuseppe del duomo antico, come si può anche chiaramente dedurre dagli aurezzi da falegname che si veggono lavorati in rilievo sotto i davanzali della cantoria stessa [...]» (cfr. Giovanni Battista Rossi, p. 64)

(60) Postilla di altra mano in calce al fol. 13v del ms.: «Detta Cantoria ed Organo fu poi collocata nel nuovo Duomo in S. Marco in cornu Evangelii dell'Altar Maggiore».

(61) Con la riapertura del nuovo Duomo nel 1810, la corporazione dei calzolai poté ricollocare la tela in questione nella cappella ad essa riservata — la terza di destra a partire dall'ingresso — dedicata appunto ai protettori santi Crispino e Crispiniano. Dopo le trasformazioni degli anni '70 dell'ottocento, la cappella mutò il titolare in san Giovanni Nepomuceno e del quadro d'altare si sono perdute le tracce (cfr. Giuseppe Amato, р. 19)

(62) La demolizione della Cattedrale ebbe inizio pertanto alle ore 15.30 pomeridiane dell'ultimo giorno di gennaio, a partire dal muro di tondo, rivolto verso mezzogiorno, della cappella di san Giuseppe

(63) Il Giulini è l'unico a ricordare questa data, relativa evidentemente alla facciata della cappella di san Giuseppe e non a quella della cattedrale: potrebbe trattarsi in effetti di un anno cruciale per la nuova fabbrica, forse quello del completamento delle strutture murarie, piuttosto che l'anno di fondazione, da anticipare anzi a prima del 1529 (cfr. Giuseppe Antonio Chenna, II, p. 36)

(64) La vicenda, in sé marginale, proprio per i suoi presupposti blasfemi e la risoluzione infallibilmente espiatoria — o, se vogliamo, vindice — aveva colpito l'immaginazione anche di un altro cronista locale come Pietro Civalieri: «[...] pure allo scoppiare di esse [mine] alcuni macigni volarono lontano, ed uno di essi entrato per la finestra della casa accanto a quella Capriolo, andò ad ammazzare, nel proprio letto ove giaceva ammalato, un tal N... conosciuto per il suo cinismo morale e fratello serviente della allor fresca fondata Loggia de' liberi Muratori, e dal popolo generalmente fu auribuito a castigo del Cielo.» (cfr. Annibale Civalieri, p. 153). Da Giulini e da Civalieri discende direttamente la narrazione pubblicata da Francesco Gasparolo nel 1928 (cfr. Antico Duomo, p. 161, nota 2)

(65) Il Giulini si riferisce qui all'elemento centinato fuoriuscente dall'attico del palazzo municipale - la cui facciata era allora compiuta solo per meta lunghezza del fronte — in corrispondenza della campata d'angolo, destinato appunto ad accogliere un orologio. Previsto dal progetto originario di Giuseppe Caselli e mantenuto - insieme al suo simmetrico sull'altra estremità — ancora nel disegno «Facciata verso la piazza d'Armi del Palazzo Civico dell'Ill.ma Città d'Alessandria», sottoscritto da Leopoldo Valizzone il 3 febbraio1825 (cfr. Gestione Patrimoniale, allegato ai «Capitoli, e Condizioni dell'appalto per il Proseguimento del Palazzo dell'Ill.ma Città d'Alessandria», cc. 49r-53v), esso fu poi rimosso con la sistemazione definitiva del castello degli orologi realizzata secondo l'idea di Francesco Bonsignore nel 1826.

(66) Assai prima che si ponesse mano all'atterramento della Torre, l'architetto Giuseppe Caselli aveva compiuto una serie di sopralluoghi e perizie su invito del consiglio municipale: il 26 gennaio 1803, in compagnia dell'orologiaio Caldani «alla Torre del vechio Orologgio o sii Campanile, e nell'interno del Duomo, per rilevare se pericoloso il primo coll'atterramento del secondo»; il 29 gennaio alla Torre «per il calamento delle Campane, rimossione dell'Orologgio»; il 25 maggio «a detto Campanile, per rilevare se fattibile il taglio delle Chiavi di ferro diagonalmente collocate senza pregiudizio delli due Voltoni, e Torre sudetta». Cfr. la lista autografa del 7 ottobre 1803: «Ho Io sottoscritto consonti per queste Signorie d'Alessandria li seguenti Vacati [...]» (cfr. Giovanni Isidoro De Piaggia, p. 26)

(67) Affacciato sulla piazza all'angolo con la via dei Sarti, in seguito via Migliara, era stato per tutto il medioevo il Palatium Vetus divenuto agli inizi del XXI secolo sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria.

(68) Questa porta doveva coincidere probabilmente con l'arco di trionfo innalzato nel 1699 all'imbocco nord-occidentale della platea maior - tracciato obliquamente tra uno spigolo del porticato del palazzo del Governatore e l'edificio d'angolo fra la piazza e via del Carmine, in seguito via dei Guasco - in occasione del passaggio da Alessandria di Margherita d'Austria-Stiria, che andava sposa a Filippo III di Spagna. (cfr. Antico Duomo, p. 156). È possibile che la struttura, vecchia d'un secolo, fosse stata adattata provvisoriamente alle esigenze celebrative del regime, spogliata dagli emblemi originari e corredata delle nuove insegne e delle iscrizioni inneggianti ai fasti e alle vittorie del popolo, dell'armata e del Primo Console.

(69) Il palazzo dei marchesi Guasco, innalzato verso la metà del XVIII secolo per riplasmazione della preesistente dimora di famiglia, sorge sull'omonima via, a poco meno di 300 m. dal luogo della deflagrazione.

(70) Si tratta dell'ex convento dei santi Giuseppe e Teresa, già in dotazione delle carmelitane scalze, destinato a caserma dopo la soppressione del 1802. Sensibilmente manomesso dai riattamenti successivi, anche la chiesa venne distrutta.

(71) Il convento di san Bernardino, soppresso, fondato dall'ordine dei frati Minori della regolare osservanza era adibito a caserma; sorgeva nei pressi dell'ospedale dei santi Antonio e Biagio e fu abbattuto nel 1841 per far luogo al nuovo carcere. Del convento di santa Teresa si veda la nota precedente. Il monastero di san Sebastiano di Pozzolo, già affidato alle monache cistercensi, apparteneva allora al demanio; situato nel tratto settentrionale dell'isola compresa fra le vie Bergamo e Gramsci, venne atterrato verso il 1842. Infine, il convento di san Francesco dei frati minori conventuali, a quell'epoca in dotazione del Genio, dopo la Restaurazione divenne ospedale militare.

(72) Si tratta di via Dante. Nel tratto di isolato che avanzava verso la platea maior sorgevano all'epoca le case del capitolo della cattedrale.

(73) L'edificio settecentesco dell'antico corpo di guardia era situato a nord della cattedrale, arretrato di una quindicina di metri rispetto al suo fronte principale e separato da essa mediante un passaggio di 5 o 6 metri. Aveva alle spalle il corpo delle case canonicali, mentre verso settentrione chiudeva il fondale di via di porta Ravanale, in seguito via Mazzini. Una parte della facciata era preceduta da un portichetto, che tutte le iconografie note ci tramandano con sufficiente credibilità.

(74) L'Auberge era situato all'angolo della crösa, via Ferrara, in un edificio di proprietà Bonini. Eccone un accenno ricavato dal ms. Borges (cfr. Antico Duomo, p. 152): «In quella casa vi fu per tre secoli l'Albergo dei Tre Re. In esso, che era il migliore se non l'unico, alloggiarono parecchi Principi e personaggi autorevoli, e non cessò che verso il 182...» Nondimeno, il marchese de Sade, che evidentemente se ne intendeva, nel passaggio per Alessandria del 26 luglio 1775 preferì scendere all'Hôtel d'Angleterre, «il migliore della cità. Gli appartamenti sono decorosi e ben tenuti, il vitto piuttosto delicato, l'edificio ha un bell'aspetto, ma i prezzi sono eccessivi.» (cfr. D.A.F. De Sade, p. 42)

(75) Divenuta piazza Carducci, che allora prendeva ancora il nome dal convento soppresso dei padri Agostiniani della Congregazione di Lombardia, da poco assegnato al demanio.

(76) Il testo della narrazione bruscamente si interrompe al termine del foglio 20v del manoscritto.

  1. ^ Il testo presenta un'annotazione postuma, realizzata da una mano differente rispetto a quella dell'autore principale, ma che risulta responsabile di alcune correzioni e annotazioni marginali nel manoscritto. Queste modifiche saranno puntualmente segnalate nelle sezioni appropriate dell'articolo. L'importanza di questa nota aggiuntiva risiede nella sua capacità di fornire il nome dell'autore, che altrimenti sarebbe rimasto sconosciuto: «Scritta da Luigi Giulini di Giuseppe / Calzolajo che abitava nella Contrada de Sarti / attiguo alla quondam Spezieria Quaglia, / ora Salsamentajo Perretti (1846)».
  2. ^ Il cittadino Pio Prati di Rovagnasco, noto per la sua fedeltà ai principi giacobini, venne eletto maire nel 1802. Risiedeva nel palazzo marchionale settecentesco della sua famiglia. Il palazzo, originariamente progettato con una pianta a forma di "L", si trova all'incrocio tra le vie XXIV Maggio e Verdi.
  3. ^ Vincenzo Maria Mossi di Morano (1742-1829), appartenente all'ultima generazione di una prestigiosa famiglia di Casale, fu nominato alla cattedra di Alessandria nel 1796. Dotato di ampi interessi culturali che lo porteranno a diventare mecenate dell'Accademia Albertina di Torino, ebbe divergenze significative con il regime francese. Queste tensioni culminarono nella sua richiesta di dispensa dal ruolo vescovile, che gli fu concessa nel corso del 1803. (Cfr. Tommaso Canestri, pp. 12, 13).
  4. ^ La chiesa, appartenente al Collegio dei chierici regolari di San Paolo, fu fondata il 9 settembre 1742 da Giovanni Mercurino Antonio Arborio di Gattinara, vescovo dell'epoca. Nonostante non fosse completamente terminata, fu consacrata il 7 maggio 1758 dal suo successore, Giuseppe Tomaso de Rossi.
  5. ^ La chiesa conventuale delle agostiniane «l'anno 1759 fu [...] ristaurata, o dir anche potrebbesi edificata di nuovo, perchè in tutt'altra, e più vaga forma ridotta» (cfr. Giuseppe Antonio Chenna, II, p. 302). È chiusa da tempo ed è stata sede dell'ispettorato compartimentale dei monopoli di Stato.
  6. ^ Per mitigare il malcontento popolare, il consiglio municipale aveva pianificato l'esposizione del simulacro come terzo punto della delibera del 2 gennaio 1803: «Si proclama voto del Popolo, che il Simulacro della Beata Vergine della Salve sia preventivamente trasportato nella Chiesa che verrà surrogata per l'esercizio della Cattedrale e collocato in sito che resti continuamente esposto alla publica venerazione.» (cfr. Convocati del Consiglio Municipale /III).
  7. ^ La statua, opera dello scultore genovese Giacomo Filippo Parodi, fu benedetta il 25 novembre 1703 dal vescovo Carlo Ottaviano Guasco. Successivamente, venne posizionata in una nicchia situata nella parete di fondo dell'omonima cappella, al di sopra degli stalli del coro. (cfr. Giuseppe Antonio Chenna, II, p. 38).
  8. ^ Convertiti, in misura moderna, in 2355 kg. di peso.
  9. ^ I pinnacoli in questione sono collocati sulla sommità e agli estremi della facciata. Le rappresentazioni iconografiche esistenti li ritraggono come torrette-campanili allungate, dotate di aperture che potrebbero essere accessibili. Tali strutture sono ultimate da cuspidi piramidali eleganti o, in alcune rappresentazioni grafiche, da elementi conici.
  10. ^ Si fa riferimento al rivestimento esterno dell'edificio, realizzato in opus mixtum, caratterizzato da fasce alternate di arenaria e strati di laterizio. Secondo quanto riportato da Giulini, l'altezza delle fasce di cotto sarebbe stata insolitamente ridotta, circa 25 cm. Tuttavia, questo dettaglio è contraddetto dalle iconografie della facciata che sono pervenute fino ai giorni nostri, indipendentemente dalla convenzionalità della loro rappresentazione grafica.
  11. ^ Il rosone situato nella parte centrale, era delimitato da un cordolo avente una sezione torica. Quest'ultimo era costituito da numerosi segmenti di pietra, accuratamente sagomati e disposti in tondo.
  12. ^ Dall'analisi del contesto, rimane incerto se l'oggetto in questione fosse una statua autonoma oppure un bassorilievo collocato nella lunetta di un portale. Indipendentemente dalla sua collocazione originaria, si ritiene che l'opera fosse di manifattura medievale, realizzata in stile «all'antica». Tuttavia, non esistono ulteriori informazioni riguardo al suo destino, che potrebbe essere stato compromesso a seguito dell'alienazione, della dispersione o della distruzione durante la demolizione delle strutture circostanti.
  13. ^ Il portale centrale della struttura era caratterizzato da una marcata strombatura e ornato con diverse colonnine su ciascun lato, come evidenziato anche dalle rappresentazioni storiche della facciata che ci sono pervenute. Questo elemento architettonico fu ricostruito nel 1384 da Innocenzo de Petrobono, come si evince dall'epigrafe commemorativa posta in quell'occasione (cfr. Giuseppe Antonio Chenna, II, p. 30). Originariamente, l'accesso al portale era preceduto da un protiro, di cui permangono prove fino al 1790 grazie alla presenza in situ dei leoni stilofori, sebbene eroditi dal tempo e dagli agenti atmosferici. Tali leoni stilofori sono ancora raffigurati nella Veduta del domo d'Alessandria della Paglia, contenuta nel disegno 0.v1.43 conservato presso la Biblioteca Reale di Torino.
  14. ^ Prima del suo trasferimento all'interno dell'abside settentrionale nel 1592, l'altare dedicato alla beata vergine della Salve era posizionato sullo stesso lato, all'interno di una cappella che successivamente fu demolita per permettere la costruzione della nuova sagrestia (cfr. Giuseppe Antonio Chenna, II, p. 34).
  15. ^ Fondata intorno al 1292 e costruita molto lentamente, tanto che nel 1619 era ancora priva di copertura, la torre civica, denominata nei documenti come «Turris Sacra Campanilis», era sotto la giurisdizione comunale. Il vescovo manteneva la giurisdizione sul castello delle campane, che veniva regolarmente ispezionato durante le visite pastorali. La torre era posizionata vicino al lato settentrionale della cattedrale, in allineamento con la facciata, e aveva una struttura piuttosto robusta, con un'altezza di circa 26 metri e una larghezza di quasi 9 metri, caratterizzata da murature estremamente spesse.
  16. ^ La struttura muraria della Torre era composta da blocchi di pietra, probabilmente dello stesso tipo utilizzato per la zoccolatura esterna della cattedrale, presumibilmente provenienti da Carezzano. Due trabucchi corrispondono a circa 6 metri.
  17. ^ Tutta la documentazione del catasto «antico» e sabaudo, composta da registri descrittivi, figurati e mappe, è parzialmente conservata a partire dal 1531.
  18. ^ In una postilla aggiunta da un'altra mano al folio 6v del manoscritto si legge: «Questa mostruosa statua ora fu collocata sull'angolo destro della facciata del nuovo Duomo, prima S. Marco chiesa de' Dominicani».
  19. ^ Identificata come rappresentazione del leggendario Gagliaudo Aulari, questa statua medievale fu inizialmente posizionata sulla cima della ghimberga del portale principale della torre, trasferita presumibilmente nell'anno 1292 (cfr. Guglielmo Schiavina, anno 1292, col. 27/b). Durante i lavori di demolizione, l'effigie fu salvata e successivamente installata sull'angolo nord-occidentale della facciata del nuovo duomo, all'incontro con via Parma. Un'epigrafe votiva fu aggiunta vicino alla statua nel 1815 (cfr. RIA, n° 355, p. 455).
  20. ^ In misura moderna, 70 cm. circa.

Fianco meridionale

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Fianco settentrionale

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Zona absidale

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Piedicroce

Bibliografiche

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Fondi, archivistica

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  • (LA) Liber Crucis, in ASCAL, Serie IV, n. 4302, cc. 56v-57r, Alessandria.
  • (LA) Codice 5077, in Formularius Cancellariæ Curiæ Romanæ, s. XV, ff. 76-77, Österreichische Nationalbibliothek, Vienna.
  • (LA) Gerolamo Sappa, notaio, Testamento di Giacomo Ghilini, in ACCAL, Fund. Erect. Beneficiorum (1389-1796), tomo unico, fasc. 2, c. 1, copia settecentesca dell'originale, 13 settembre 1434.
  • (LA) Relatio Status Ecclesiæ Alexandrinæ facta per Ill.mum el R.mum D.D. Cardinalem Paravicinum eiusdem Ecclesiæ Episcopum, in ASVCV, S. Congr. Concili, Visitationes ad limina, Alexandrin., m. 27A, fol. 141.
  • (LA) ASTo, sezione Corte, paesi di nuovo acquisto, provincia dell'Alessandrino, mazzo 1, 1450.
  • (LA) Visita Pastorale di monsignor Girolamo Gallarati, in ACVAL, VIII.L.1, fascicolo 1, 1565.
  • (LA) Visita Pastorale di monsignor Erasmo Paravicini, in ACVAL, VIII.L.1, fascicolo 4, 1612.
  • (LA) Visita Pastorale di monsignor Carlo Ottaviano Guasco, in ACVAL, VIII.L.3, 1695.
  • (LA) Visita Pastorale di monsignor Giovanni Mercurino Antonio Arborio di Gattinara, in ACVAL, VIII.L.4, 1730.
  • (LA) Fabrica Musices Sacrarum, in ACCAL, tomo unico, fasc. 15, 1732.
  • (LA) Visita Pastorale di monsignor Giuseppe Alfonso Miroglio, in ACVAL, VIII.L.1, fascicolo 9, 1744.
  • (LA) Visita Pastorale di monsignor Giuseppe Tomaso de Rossi, in ACVAL, VIII.L.6, 1760.
  • (LA) Fabbricieri della Cattedrale, in ASAL, ASCAL, s. I, Atti Municipali, vol. 1776, tomo I.
  • Libro delle Entrate et spese fatte per la Capella & Reliquie della SS.ma Croce della Cattedrale di Alessandria, in ASAL, ASCAL, s. III, cat. 11, Culto, m. 1803, fasc. s.n., (1719 - 1730).
  • Libro mastro della Compagnia S. Croce & S. Spina eretta nella Cattedrale, in ACCAL, (dal 1743).
  • Libro de Redditi della Veneranda Compagnia del SS.mo Sacramento della Cattedrale della presente Città d'Alessandria, in ACCAL, (dal 1754).
  • Libro d'Enttrata ed Uscita della Veneranda Compagnia de RR. Sig.ri Sacerdoti detti del Suffragio eretta nella Cappella di S. Giuseppe della Cattedrale [...], in ACCAL.
  • (LA) Fabbriceria della Cattedrale (1746-1757), in ASAL, ASCAL, s. III, cat. 11, Culto, reg. 1765.
  • (LA) Fabbriceria della Cattedrale (1757-1764), in ASAL, ASCAL, s. III, cat. 11, Culto, reg. 1765.
  • (LA) Fabbriceria della Cattedrale (1758-1767), in ASAL, ASCAL, s. III, cat. 11, Culto, reg. 1765.
  • (LA) Fabbriceria della Cattedrale (1758-1767), in ASAL, ASCAL, s. III, cat. 11, Culto, reg. 1766.
  • (LA) Fabbriceria della Cattedrale (1767-1771), in ASAL, ASCAL, s. III, cat. 11, Culto, reg. 1767.
  • (LA) Fabbriceria della Cattedrale (1771-1781), in ASAL, ASCAL, s. III, cat. 11, Culto, reg. 1765.
  • (LA) Fabbriceria della Cattedrale (1676-1781), in ASAL, ASCAL, s. III, cat. 11, Culto, regg. 1764-1768, passim.
  • Giuseppe De Conti, Viaggio d’Italia, in BCCM, ms. 091/156, c. 6 v., manoscritto autografo, 1775.
  • (LA) De Cathedrali & Collegiatis (1780-1800), in ACVAL, VII.I.9, tomo III, cc. 7r-12г.
  • (LA) ASAL, ASCAL, serie I, Atti Municipali, vol. 105: Convocati di Ragioneria, t. 16 (1790).
  • Lettera di Luigi Aliora, in ASAL, Archivio Ferrari di Castelnuovo, b. 43, Lettere dell'agente, 1802.
  • ASAL, ASCAL, s. III, cat. 1, Città e sua amministrazione, vol. 117:, Convocati del Consiglio Municipale, t. 52, 17 settembre 1802-26 agosto 1803.
  • (FR) Extrait des Registres des Délibérations des Consuls de la République, in ASAL, IGDAL, m. 200, Affari speciali dei Comuni, “Alessandria intra Muros” (1814-1825), fasc. s.n., Alessandria.
  • Pietro Casalini, Rilievo della Cattedrale, in ASAL, IGDAL m.200:, Affari speciali dei Comuni, "Alessandria intra muros" (1814-1825), fasc. s.n, Alessandria, 1803.
  • Copia dell'Inventaro de gli effetti, mobili, ed arredi spettanti a questa Cattedrale, e ricevuto Rattazzi Segretaro dell'Ufficio di Pace, in ASAL, ASCAL, s. III, cat. 11, Culto, m. 1804: Antica Cattedrale - Demolizione, fasc. s.n., 1804.
  • ASAL, ASCAL, s. III, cat. 11, Gestione Patrimoniale - Contabilità - Contenzioso,, vol. 728: Istrumenti (1825-1829).
  • ASAL, ASCAL, s. III, Archivio Valizzone, cart. 2261/1: Edifici Religiosi, n. 261.

Genealogica, araldica

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  • Francesco Guasco di Bisio, Famiglie Ghilini, Lanzavecchia, Gavigliani, Straneo, in Tavole genealogiche di famiglie nobili alessandrine e monferrine dal secolo IX al XX, vol. 6, opera postuma riveduta e pubblicata dal figlio Emilio, Casale, Tipografia Cooperativa Bellatore, Bosco & C., 1930.

Storica, annalistica e trattatistica

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Pubblicazioni, riviste, studi, ricerche

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Poetica, narrativa

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  • D.A.F. De Sade, 1974.

Quotidiani, periodici

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