Socialfascismo

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Disambiguazione – Se stai cercando le tendenze sociali e anticapitaliste interne al fascismo, vedi Fascismo di sinistra.

Socialfascismo è il termine usato dall'Internazionale Comunista (Comintern), tra gli anni 1920 e 1930, per denominare spregiativamente i riformisti e i socialdemocratici. Espresse anche una precisa linea politica del movimento comunista internazionale, adottata dal VI Congresso dell'Internazionale Comunista nel 1928: per oltre un quinquennio la concezione del socialfascismo, che sarebbe stata dettata dalla fine della "stabilità capitalista" e dall'inizio del "terzo periodo", fu diffusa e imposta a tutti i militanti comunisti, determinando la loro autoesclusione dalle organizzazioni unitarie dei partiti antifascisti[1]. Con l'avvio della fase dei fronti popolari deciso dal VII Congresso, questa teoria venne rinnegata dallo stesso Comintern che l'aveva precedentemente promossa.

Il precedente dei "socialtraditori"

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La teoria del socialfascismo è molto differente dalle posizioni sostenute nei primi anni della Terza Internazionale Comunista. Nelle 21 condizioni di ammissione all'Internazionale Comunista (i cosiddetti "21 punti"), in gran parte ispirate da Lenin, adottate formalmente il 7 agosto 1920, durante il II Congresso del Comintern[2], venivano imposte a tutti i partiti che ne volessero entrare a far parte l'accettazione di condizioni drastiche contro gli esponenti riformisti, che venivano tacciati di "tradimento" della classe operaia ("socialtraditori"). Tuttavia, le organizzazioni "socialtraditrici" non erano considerate appartenenti al campo della borghesia, e tanto meno alla sua ala fascista. Per questo motivo, la tattica difesa nei primi quattro congressi dell'Internazionale Comunista era quella della chiara separazione ma anche del fronte unico tra comunisti e socialisti.

Il concetto di socialfascismo fece la sua prima apparizione già nel periodo in cui la politica comunista verso i socialisti era quella del "fronte unico". Una prima formulazione può rinvenirsi in una risoluzione del Presidium del Comitato esecutivo dell'Internazionale Comunista sulla questione tedesca del 9 gennaio 1924:

«Attualmente i dirigenti della socialdemocrazia non sono che una frazione del fascismo che si dissimila [sic] sotto la maschera del socialismo... La socialdemocrazia internazionale al completo diventa così a poco a poco l'ausiliaria permanente della dittatura del grande capitale. I Turati e i Modigliani in Italia, i Sakyzov in Bulgaria, i Pilsudsky in Polonia, i capi socialdemocratici del tipo di Severing in Germania, cooperano direttamente a stabilire la dittatura del capitale... Ma i capi socialdemocratici di sinistra sono ancor più pericolosi di quelli di destra...[3]»

Lo stesso anno il concetto fu ripreso da Zinov'ev dinanzi al V Congresso dell'IC (giugno-luglio 1924) in un paragrafo del suo rapporto sull'attività del Comitato esecutivo intitolato La socialdemocrazia, un'ala del fascismo: «Ciò che importa è che la socialdemocrazia è divenuta un'ala del fascismo. È un fatto politico importante»[3]. Poco tempo dopo, nel settembre 1924, in un articolo Sulla situazione internazionale Stalin scrisse:

«Non è vero che il fascismo sia soltanto l'organizzazione di combattimento della borghesia. Il fascismo non è soltanto una categoria tecnico-militare. Il fascismo è l'organizzazione di combattimento della borghesia, che poggia sul sostegno attivo della socialdemocrazia. La socialdemocrazia è, obiettivamente, l'ala moderata del fascismo. Non vi è ragione di supporre che l'organizzazione di combattimento della borghesia possa conseguire successi decisivi nelle battaglie o nel governo di un paese senza l'appoggio attivo della socialdemocrazia. Vi sono altrettante poche ragioni di supporre che la socialdemocrazia possa ottenere successi decisivi nelle battaglie e nel governo di un paese senza l'appoggio attivo dell'organizzazione di combattimento della borghesia. Queste organizzazioni non si escludono tra di loro, ma si completano a vicenda. Non sono antagoniste, ma gemelle[4]

Definizione di "socialfascismo"

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Dopo l'affermazione del fascismo in Italia (1922) e di governi di destra in molti paesi europei, con un netto cambio di impostazione teorica l'Internazionale comunista accusa i partiti socialisti europei di costituire non tanto "l'ala destra del proletariato", quanto "l'ala sinistra della borghesia", che, secondo i comunisti aderenti alla linea di Stalin, usava alternatamente fascismo e socialdemocrazia come strumenti di politiche antipopolari e anticomuniste. In alcuni casi, per socialfascismo si intendeva poi il collaborazionismo (reale o supposto) dei partiti socialdemocratici e riformisti nei confronti dei regimi nazifascisti nati in Italia, Austria, Germania e, più tardi, in Spagna.

In questi paesi e in tutto il mondo industrializzato, secondo la dottrina uscita maggioritaria dal VI congresso del Comintern, i socialisti moderati avevano scoraggiato qualsiasi tentativo di rivoluzione, svolgendo una funzione antirivoluzionaria e revisionista.

Mentre in Europa l'onda nera montava già da qualche anno, i comunisti - in nome della teoria del socialfascismo - iniziarono a scaricare accuse di veemenza contro i socialisti.

Infatti, il VI Congresso dell'Internazionale Comunista, tenutosi a Mosca dal luglio al settembre 1928, aveva stabilito l'impossibilità di accordi con la socialdemocrazia, che veniva assimilata allo stesso fascismo. Era la tesi di Stalin il quale, liquidata l'opposizione trotskijsta, eliminava anche l'influenza di Bucharin che, già suo alleato contro Trotskij, era diventato il suo principale oppositore.

Il nuovo orientamento dell'Internazionale fu riaffermato nel X Plenum del Comitato esecutivo nel luglio 1929, dove il finlandese Otto Wille Kuusinen sostenne che i socialisti «le azioni fasciste non le fanno apertamente, ma dietro una cortina fumogena». Tali accuse non erano rivolte solo agli odiati socialdemocratici tedeschi: un altro esponente comunista di primo piano, Dmitrij Manuil'skij, le estese anche contro il britannico Ramsay MacDonald che nel 1924 aveva portato i laburisti al potere.

In questo contesto Palmiro Togliatti accusò il sindacalista socialista Bruno Buozzi (esule in Francia e futuro martire dell'occupazione nazista in Italia) di essere «un mercante che patteggia» con Benito Mussolini"[5].

Un esempio del clima creato nella sinistra francese dalla teoria del socialfascismo è rappresentato dal breve poema Fronte rosso (Front rouge) scritto nel 1931 da Louis Aragon, militante del Partito Comunista Francese. Dopo i versi iniziali, che evocano nemici quali i «borghesi» e i «poliziotti», seguono dei versi che invitano a far fuoco su vari esponenti socialisti sotto la direzione del partito comunista:

«Proletariato conosci la tua forza
conosci la tua forza e scatenala.
Esso prepara il suo giorno. Sappiate vedere meglio
Udite questo rumore che viene dalle prigioni.
Attende il suo giorno, attende la sua ora
il suo minuto, il secondo
quando il colpo sferrato sarà mortale
e la pallottola sarà a questo punto così sicura che tutti
che tutti i medici socialfascisti
chinati sui corpi della vittima
avranno un bel muovere le loro dita cercando
sotto la camicia di pizzo
avranno un bell'auscultare con gli strumenti di
precisione il suo cuore già in putrefazione
essi non troveranno il rimedio abituale
e cadranno nelle mani dei ribelli che li inchioderanno al muro.
Fuoco su Léon Blum
Fuoco su Boncour Frossard Déat
Fuoco sugli orsi sapienti della socialdemocrazia
Fuoco fuoco, io odo passare
la morte che si getta su Garchery. Fuoco vi dico
sotto la guida del Partito Comunista[6]

In Germania era ancor più marcata l'opposizione tra i comunisti (KPD) e i socialdemocratici (SPD). Nel 1919 questi ultimi avevano avuto nelle figure del cancelliere Friedrich Ebert e del ministro della difesa Gustav Noske un ruolo centrale nella repressione della rivolta spartachista guidata dal KPD[7].

Non aiutò a superare la reciproca ostilità il fatto che il cancelliere socialdemocratico Hermann Müller instaurasse un'equivalenza tra "fascismo rosso" e fascismo bruno"[8]. Tutto ciò portò alla reciproca ostilità tra comunisti e socialdemocratici tedeschi, intensificata dalle contrapposizioni del primo maggio 1929 a Berlino, in cui la polizia del governo statale (a guida SPD) sparò sui manifestanti comunisti[9]. Nel 1931, in Prussia il partito comunista si associò al partito nazista (definito composto da "compagni del popolo lavoratore") nel fallito tentativo di abbattere il governo locale a guida socialdemocratica con il plebiscito sullo scioglimento del Landtag prussiano del 9 agosto[10].

Isaac Deutscher fu tra gli oppositori della linea politica così designata, il che gli procurò, nel 1932, l'espulsione dal partito comunista «per avere, dice la motivazione, "esagerato il pericolo del nazismo" e "seminato il panico" nelle file comuniste»[11].

Il KPD continuò durante tutta la campagna elettorale per le elezioni del marzo 1933 a sostenere che nazisti e socialdemocratici si equivalevano e, sotto la guida di Ernst Thälmann, coniò lo slogan "Dopo Hitler, sarà il nostro turno!".[12]

In ogni caso, dopo la salita al potere di Hitler il KPD fu bandito e migliaia dei suoi membri furono arrestati, compreso lo stesso Thälmann. A seguito di questo disastroso corso degli eventi, il Comintern abbandonò la teoria del socialfascismo passando a quella, opposta del "fronte popolare", annunciata ufficialmente nel 1935 dal segretario del Comintern Georgi Dimitrov, scampato alla repressione nazista[13]. Peraltro, essa non impedì che, quando le esigenze di politica estera sovietica lo richiesero, l'Unione Sovietica stipulasse con la Germania hitleriana il patto Molotov-Ribbentrop.

Il KPD fu il partito più oltranzista nell'applicazione della teoria e la profonda spaccatura che venne a crearsi con l'SPD rappresentò uno dei fattori determinanti nell'ascesa di Hitler. Nel dopoguerra, la consapevolezza dei guasti arrecati dalla contrapposizione tra i due maggiori partiti operai spinse i vertici comunisti tedeschi e sovietici a premere per la fusione del KPD e dell'SPD nel Partito Socialista Unificato di Germania[14].

Il Partito Comunista d'Italia fu una delle ultime sezioni del Comintern ad aderire alla "svolta" e ad adottare la teoria del socialfascismo. Tuttavia, dopo un'iniziale riluttanza, la applicò con intransigente rigore[15].

In Italia i comunisti sottolineavano la critica negativa, da parte dell'ala "turatiana" dell'allora Partito Socialista Italiano, nei confronti del biennio rosso e delle occupazioni delle fabbriche guidate, tra gli altri, dagli ordinovisti di Antonio Gramsci.

Sandro Pertini ha dichiarato che, quando era in carcere a Turi, vi conobbe il leader comunista Gramsci, anch'egli lì detenuto, al quale si rivolse dandogli del lei. Il comunista sardo invitò Sandro Pertini ad usare il tu, e questi, dopo aver detto che come presunto "socialfascista" non credeva di essere ben accetto da parte del suo interlocutore, si sentì rispondere che "quelle (le accuse di socialfascismo, N.d.E.) sono tutte sciocchezze". Secondo lo stesso Pertini quella frase era segno della divergenza di opinioni del politico sardo con i vertici del Comintern che Gramsci avrebbe poi espresso scrivendo dal carcere.[16]

I Partiti comunisti nazionali dovevano adeguarsi alla dottrina del "socialfascismo", espellendo, se necessario, i dissidenti. Così il Partito comunista d'Italia espulse Angelo Tasca nel settembre 1929 e, in successione, ma con l'accusa di trotskismo, prima il fondatore del partito Bordiga, poi, nell'aprile del 1930, Alfonso Leonetti, Pietro Tresso e Paolo Ravazzoli.

L'accusa di socialfascismo sopravvisse nella polemica politica italiana anche dopo il formale abbandono di tale politica, venendo in particolare rivolta al socialdemocratico Giuseppe Saragat dopo la scissione di Palazzo Barberini del 1947[17].

La tesi del socialfascismo, già duramente criticata da Lev Trockij[18], fu abbandonata dalla Terza Internazionale nel 1935, con il VII Congresso, quando Georgi Dimitrov, nel suo discorso di apertura dal titolo Per l'unità della classe operaia contro il fascismo, sottolineò l'importanza della nuova politica dei Fronti popolari.

La Terza Internazionale era stata portata a fare questo passo anche a causa dell'ascesa al potere di Hitler e del Nazismo in Germania nel 1933.

Solo a seguito dell'abbandono della dottrina del "socialfascismo" i comunisti poterono iniziare a collaborare con gli altri partiti antifascisti della sinistra e si poté dar vita alla coalizione internazionale che, a partire dal 1936, si contrappose a Franco nella guerra civile spagnola[19].

Un ritorno alla politica di rottura dei comunisti con i socialisti vi fu a partire dall'agosto 1939, a seguito della stipula del patto Molotov-Ribbentrop di non aggressione tra l'Unione Sovietica e la Germania nazista, che determinò, dopo l'inizio della seconda guerra mondiale (1º settembre 1939), la divisione del territorio polacco tra sovietici e tedeschi e l'occupazione delle repubbliche baltiche da parte dell'Armata Rossa. Il nuovo scontro tra le due internazionali coinvolse, tra gli altri, i partiti italiani[20]. Sebbene i comunisti ripresero nei confronti dei socialisti il linguaggio del VI Congresso e del X Plenum, non tornarono ad adoperare il termine "socialfascismo", essendo i riferimenti al fascismo quasi del tutto assenti nei documenti cominternisti e sovietici di tale periodo. Il nuovo orientamento è espresso in un articolo di Dimitrov del 7 novembre 1939, in cui si dice che «i circoli dirigenti della Seconda Internazionale stanno assumendo la parte più sporca e più criminale nel mettere in moto la sanguinosa macchina micidiale della guerra». L'articolo continua:

«Nel periodo precedente alla guerra i comunisti si sono sforzati di arrivare all'unità d'azione della classe operaia mediante accordi tra i partiti comunisti e socialdemocratici. Oggi, a un accordo di questo genere non si può più pensare. Nella situazione attuale, l'unità della classe operaia può e deve essere realizzata dal basso, sulla base dello sviluppo del movimento delle masse lavoratrici stesse in una lotta risoluta contro i capi traditori del Partito socialdemocratico e di altri partiti piccolo-borghesi. I capi di questi partiti sono passati armi e bagagli nel campo degli imperialisti, mentre alcuni di essi, come i radicali francesi, si sono direttamente incaricati di condurre la guerra[21]

Un riavvicinamento tra comunisti e socialisti, con il definitivo abbandono di epiteti ingiuriosi da parte dei primi nei confronti dei secondi vi fu solo dopo l'aggressione nazista all'URSS, nel giugno del 1941, con la necessità di fare fronte comune contro i tedeschi.

Dopo la destalinizzazione del 1956, "il Partito Comunista Italiano di Berlinguer deprecò la teoria del "socialfascismo", proclamata dal VI Congresso del Comintern, addossandone interamente la responsabilità a Stalin. In realtà, come sosteneva il filosofo Lucio Colletti, quella teoria era organica al leninismo"[22].

  1. ^ La Controrivoluzione Sconosciuta, Editoriale Jaca Book, p. 194.
  2. ^ Spriano, pp. 70-72.
  3. ^ a b Paris 1974, p. 171.
  4. ^ Natoli 1980, p. 27.
  5. ^ Paolo Mieli, Dopo le elezioni Usa; A SINISTRA LA PARALISI DELLE IDEE, Corriere della Sera, 18 novembre 2016.
  6. ^ Paris 1974, p. 162. Il testo completo dell'opera originale è in Maurice Nadeau, Histoire du surréalisme, Paris, Éditions du Seuil, 1964, pp. 333-342.
  7. ^ All'interno della quale i Freikorps, per la verità non direttamente legati all'SPD, eliminarono fisicamente Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht e centinaia di militanti spartachisti: v. Il "Natale di sangue di Ebert" del 1918 in Germania, Contromaelstrom, 25 dicembre 2012.
  8. ^ Adelheid von Saldern, The Challenge of Modernity: German Social and Cultural Studies, 1890-1960, University of Michigan Press (2002), ISBN 0-472-10986-3, p. 78.
  9. ^ Martin Kitchen, A History Of Modern Germany 1800-2000, Blackwell Publishing (2006), ISBN 1-4051-0040-0, p. 245.
  10. ^ Rob Sewell, Germany: From Revolution to Counter-Revolution, Fortress Books (1988), ISBN 1-870958-04-7, Chapter 7.
  11. ^ Belfagor: rassegna di varia umanità, XXXIV, 1, 1979, p. 45 (Firenze: L.S. Olschki, 1979).
  12. ^ Jane Degras, The Communist International 1919-1943: documents. 3. 1929-1943, Routledge (UK), ISBN 0-7146-1556-0, p. 121.
  13. ^ "For the Unity of the Working Class Against Fascism"
  14. ^ Luciano Canfora, La crisi dell'Est e il PCI, Bari, Dedalo, 1990, p. 66.
  15. ^ Agosti 2013, cap. II In clandestinità e in esilio, par. 3. Fronte popolare e «fratelli in camicia nera».
    «Il Partito comunista italiano, che era stato una delle ultime sezioni dell'Internazionale ad adeguarsi, con evidente riluttanza, al nuovo corso di estrema sinistra sancito dal X Plenum nel 1929, aveva poi dimostrato quasi un eccesso di zelo nel far proprie le aberranti formule del "socialfascismo".»
  16. ^ Secondo alcuni, che citano come fonte il documentario "Gramsci, la forma della memoria", contenente un'intervista al Presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini, l'incontro sarebbe avvenuto al confino di Ustica, ma non risulta che né Pertini, né Gramsci siano mai stati confinati nella suddetta isola. Al contrario, nella biografia di Pertini pubblicata nel sito web del Circolo Sandro Pertini di Genova, viene citata la seguente ricostruzione dei suoi rapporti con Gramsci, sulla base delle sue stesse dichiarazioni: «Chiesi al maresciallo dei carabinieri che comandava la scorta se poteva dirmi dove mi portavano. Quando questi fece il nome di Turi me ne rallegrai. Ero contento perché sapevo che là avrei incontrato Antonio Gramsci, un uomo che avevo sempre ammirato per il suo coraggio». «A Turi incontrai Gramsci in un angolo del cortile dove coltivava un'aiuola di fiori; era piccolo di statura e con due gobbe: una davanti ed una di dietro. Mi avvicinai a lui, mi presentai, gli affermai che venivo da Santo Stefano e che ero onorato di fare la sua conoscenza. Gli davo del lei e lo chiamavo Onorevole Gramsci. Lui si mise a ridere, dicendomi: "Perché mi dai del lei? Siamo antifascisti, vittime del Tribunale speciale tutti e due", "Io gli ricordai che per loro, i comunisti, noi eravamo dei social-traditori". Gramsci disse di lasciar stare quella polemica penosa. Ci vedemmo dopo qualche giorno e Gramsci parlò di Turati e Treves in maniera che mi sembrò offensiva ed io risposi con durezza. Il giorno dopo Gramsci si scusò, dicendo che il suo era un giudizio politico, non aveva avuto intenzione di offendere le persone, e capiva la mia reazione in favore di due compagni che si trovavano in Francia. Da allora diventammo buoni amici. Parlavamo a lungo insieme anche perché era stato isolato dai suoi. Per certi versi costoro lo consideravano un traditore e chiedevano la sua espulsione dal partito, come poi fecero anche con Camilla Ravera. In cella Gramsci era perseguitato dai carcerieri: credo che l'ordine di non lasciarlo dormire arrivasse direttamente da Roma. Io andai dal direttore del carcere a protestare perché i carcerieri, ogni volta che Gramsci si addormentava, lo svegliavano facendo scorrere sulle sbarre della finestra dei bastoni, con la scusa di controllare che le sbarre non fossero state segate per un'evasione. Dissi al direttore che se la situazione non fosse cambiata, avrei scritto una lettera al ministero. Il risultato fu che Gramsci, già gravemente malato di tubercolosi poté dormire tranquillo. Le mie proteste costrinsero il direttore del carcere di Turi a concedere a Gramsci anche alcuni quaderni, delle matite, un tavolino ed una sedia. Così poterono nascere i quaderni dal carcere. La mia amicizia con Gramsci mi mise in contrasto con il direttore del carcere e forse non fu estraneo al mio trasferimento a Pianosa, all'inizio del 1932».
  17. ^ Tito Lucrezio Rizzo, Parla il Capo dello Stato: sessanta anni di vita repubblicana attraverso il Quirinale 1946-2006, Roma, Gangemi, 2012, p. 107.
  18. ^ Thomas M. Twiss, Trotsky and the Problem of Soviet Bureaucracy, BRILL, 8 mag 2014, p. 284, dà conto del dibattito sul punto con il segretario del partito comunista tedesco Ernst Thälmann, che respinse l'idea di una convergenza anche solo tattica con l'ala sinistra della SPD in funzione anti-hitleriana.
  19. ^ Chianese Gloria, Di Vittorio e la guerra civile spagnola, Italia contemporanea. DICEMBRE, 2007 (Milano, Roma: INSMLI; Carocci, 2007).
  20. ^ Partito socialista italiano, in Dizionario di storia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2011. URL consultato il 21 agosto 2024.
  21. ^ Spriano 1970, pp. 323-324.
  22. ^ Bedeschi Giuseppe, Politica e ideologia: un profilo politico-ideologico di Lucio Colletti, Rivista di politica: trimestrale di studi, analisi e commenti: 1, 2016, p. 57, Soveria Mannelli: Rubbettino, 2016.
  • Aldo Agosti, Storia del Partito comunista italiano. 1921-1991, Roma-Bari, Laterza, 2013 [2000], ISBN 9788858100592.
  • Miloš Hájek, Storia dell'Internazionale comunista (1921-1935). La politica del fronte unico, prefazione di Ernesto Ragionieri, Roma, Editori Riuniti, 1972 [1969].
  • Alexander Höbel, Luigi Longo e il PCd'I dal socialfascismo ai fronti popolari, in Studi Storici, vol. 54, n. 4, ottobre-dicembre 2013, pp. 915-950, JSTOR 43592527.
  • Enrico Monti, A proposito della «svolta» comunista del 1930 (PDF), in Italia contemporanea, n. 125, ottobre-dicembre 1976, pp. 85-90.
  • Claudio Natoli, Fascismo e crisi del capitalismo nell'analisi dell'Internazionale comunista 1921-1939 (PDF), in Italia contemporanea, n. 139, giugno 1980, pp. 19-50.
  • Alec Nove, Trockij e la "Opposizione di sinistra". 1929-1931, in Studi Storici, vol. 18, n. 1, gennaio-marzo 1977, pp. 31-48, JSTOR 20564471.
  • Robert Paris, La tattica «classe contro classe», in Problemi di storia dell'Internazionale Comunista (1919-1939). Relazioni tenute al Seminario di studi organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi (Torino, aprile 1972), a cura di Aldo Agosti, Torino, Fondazione Luigi Einaudi, 1974, pp. 151-192.
  • Giuliano Procacci, Scritti 1929-1936 di L. Trotskij [recensione], in Studi Storici, vol. 2, n. 2, aprile-giugno 1962, pp. 419-425, JSTOR 20563253.
  • Paolo Spriano, L'esperienza di Tasca a Mosca e il "Socialfascismo", in Studi Storici, vol. 10, n. 1, gennaio-marzo 1969, pp. 46-82, JSTOR 20562964.
  • Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano. II. Gli anni della clandestinità, Torino, Einaudi, 1969.
  • Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano. III. I fronti popolari, Stalin, la guerra, Torino, Einaudi, 1970.
  • Umberto Terracini, Intervista sul comunismo difficile, a cura di Arturo Gismondi, Roma-Bari, Laterza, 1978.

Voci correlate

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