Johann Dominik Mahlknecht

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Un ritratto dell'artista sulla facciata del museo Ferdinandeum a Innsbruck realizzato da Anton Spagnoli (1884 circa).

Johann Dominik Mahlknecht, noto in Francia come Dominique Molknecht[1] e in Italia anche come Domenico Mahlknecht[2] (Castelrotto, 23 novembre 1793Parigi, 7 maggio 1876), è stato uno scultore austriaco naturalizzato francese.

Originario del Tirolo del Sud (austriaco all'epoca, oggi in Italia), egli fu l'autore di tre statue pedestri di Luigi XVI degli anni 1820.

Vita e attività artistica

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Johann Dominik Mahlknecht nacque il 13 novembre del 1793 nella località tirolese di Castelrotto, allora appartenente all'impero asburgico. Fin dalla tenera età mostrò un'inclinazione nei confronti della scultura: si trasferì giovanissimo in Francia per continuare lì la sua formazione. Dapprima risiedette a Lione e a Le Mans, e nel 1812 si stabilì a Nantes, dove entrò nello studio dello scultore Joseph Debay (1779-1863). In questo periodo egli realizzò molti monumenti e statue commemorative per gli spazi pubblici.[3] Il vero riconoscimento di Mahlknecht avvenne nel 1826, quando il re Carlo X lo nominò "scultore di sua Altezza reale". La nomina prevedeva la concessione di uno studio a Parigi affinché l'artista potesse lavorare e formare dei giovani alunni (come Jean-Baptiste Barré e Amédée Ménard).[3]

La Venere esposta al Salone di Parigi del 1831, oggi a Orléans.

Nel 1831 egli espose una scultura ritraente la dea Venere al Salone degli artisti francesi, vincendo una medaglia di seconda classe.[3][4] Nell'anno 1840, Mahlknecht venne scelto dal governo francese, assieme ad altri scultori importanti dell'epoca, per la decorazione esterna della chiesa della Maddalena di Parigi; allo scultore si deve la creazione della figura di San Francesco di Sales.[5]

Lo stile di Mahlknecht segue fedelmente i modelli del neoclassicismo che prevalevano nella sua epoca. Ciononostante, le sue sculture non mostrano il distacco freddo e l'accademismo di Canova o Alberto Thorvaldsen, ma cercano la loro ispirazione non solo nell'antichità greco-romana, ma anche nel Rinascimento o nel Barocco.

Questo si vede in alcune delle sue opere migliori, come la Santa Filomena della chiesa di San Germano d'Auxerre a Parigi (della quale esiste una copia al museo della Val Gardena, a Ortisei), il già citato San Francesco di Sales o la Madonna col Bambino della chiesa di Ortisei, una parrocchia vicina al suo paese natale, per la quale realizzò anche quattro figure che ritraggono gli evangelisti.[2] In tutte queste opere si vede la sua padronanza della tecnica, che raggiunge il virtuosismo nella resa delle vesti e dei panni, e la serenità e la grazia dei volti e degli atteggiamenti dei personaggi.

Dopo una carriera artistica lunga e prolifica, della quale lasciò delle testimonianze in tutta la Francia, lo scultore morì a Parigi nel 1876.[5]

Johann Dominik Mahlknecht lavorò a Parigi, dove scolpì diverse statue della chiesa della Maddalena, dell'Hôtel del ministro degli affari esteri, dell'Hôtel des Invalides e quelle della facciata dell'immobile del numero 14 della rue Vaneau.[6]

Le statue delle otto muse che sovrastano il teatro Graslin di Nantes.

Egli lavorò anche a Nantes, soprattutto nel 1825 sulle otto muse che sormontano il teatro Graslin, dopo il 1819 sulla statuaria dei cours Saint-Pierre et Saint-André (Bertrand du Guesclin, Olivier V de Clisson, Anna di Bretagna e Arturo III di Bretagna) e nel 1823 sulla colonna della place Maréchal-Foch, sormontata da una statua ritraente Luigi XVI.[7][8]

Egli fu l'autore di due delle altre quattro statue pedestri di Luigi XVI ancora presenti negli spazi pubblici in Francia: quella di Le Loroux-Bottereau (Loira Atlantica), all'ufficio del turismo (quella che è posta dinnanzi alla chiesa del paese è una copia) e quella di Plouasne (Côtes-d'Armor), nei giardini del castello di Caradeuc.

A Rennes si trova una statua di Du Guesclin nel parco del Thabor e una dell'ammiraglio Dumont d'Urville. Nel palazzo del Parlamento bretone, a Rennes, si trovava una statua dell'avvocato rennese (poi parigino) Pierre-Jean-Baptiste Gerbier (1725-1788), posta nel 1843 e poi scomparsa nel 1960.[9]

A Condé-sur-Noireau venne eretta una statua di bronzo di Jules Dumont d'Urville che egli aveva realizzato nel 1844 circa.[10] Il 23 aprile del 1942, sotto il regime di Vichy, l'opera fu sradicata dal piedistallo e fusa nell'ambito della mobilitazione dei metalli non ferrosi. Venne riprodotta in pietra dopo la guerra da Robert Delandre.

Galleria d'immagini

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  1. ^ Il suo nome francesizzato è riportato anche come Molchneht o Molchnecht.
  2. ^ a b Marco Forni, Momenti di vita: passato narrato, presente vissuto nelle valli ladino-dolomitiche, Istitut ladin Micurà de Rü, 2007, p. 88, ISBN 978-88-8171-072-0. URL consultato il 14 giugno 2024.
  3. ^ a b c (FR) Arthur La Broderie e Émile Grimaud, Revue de Bretagne, de Vendée & d'Anjou, J. Forest, aîné, 1897, p. 259. URL consultato il 14 giugno 2024.
  4. ^ (FR) Inventaire général des richesses d'art de la France: Province. Monuments civils, E. Plon, 1878, p. 95. URL consultato il 14 giugno 2024.
  5. ^ a b (FR) Antoine Kriéger, La Madeleine: Histoire de la paroisse, de ses curés et de la construction de l'église, avec la description de ses œuvres d'art, FeniXX, 1º gennaio 1937, p. 306, ISBN 978-2-402-58875-1. URL consultato il 14 giugno 2024.
  6. ^ (FR) Caroline Hauer, Paris : 14 rue Vaneau, Hôtel Genaille, une maison néo-renaissance, manifeste troubadour de l'architecte Pierre-Charles Dussillion - VIIème - Paris la douce, magazine parisien, culture, sorties, art de vivre, su parisladouce.com. URL consultato il 14 giugno 2024.
  7. ^ La place Foch ebbe ufficialmente il nome "place Louis-XVI" dal 1814 al 1929.
  8. ^ (FR) Philippe de Chennevières, Archives de l'art français, J.-B. Dumoulin, 1862, p. 44. URL consultato il 14 giugno 2024.
  9. ^ (FR) Pascal Simon, Rennes. Qui retrouvera les statues du parlement de Bretagne ?, su Ouest-France.fr, 31 luglio 2020. URL consultato il 14 giugno 2024.
  10. ^ (FR) Noémi Noire Oursel, Nouvelle biographie normande: Deuxième supplement, E. Dumont, 1912, p. 141. URL consultato il 14 giugno 2024.

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