Gaio Letorio

Da Teknopedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Gaio Letorio
Magistrato romano
Nome originaleGaius Laetorius
NascitaRoma
Tribunato della plebe471 a.C.

Gaio Letorio (in latino Gaius Laetorius; Roma, ... – ...; fl. V secolo a.C.) è stato un politico romano.

Nel 471 a.C., consoli Appio Claudio Sabino Inregillense e Tito Quinzio Capitolino Barbato, come tribuno della plebe, replicò al discorso pronunciato da Appio Claudio, contro l'adozione della Lex Publilia Voleronis, proposta dal tribuno Publilio Volerone[1].

Dionigi di Alicarnasso lo descrive[2] come il più venerabile ed esperto dei tribuni di quell'anno, buon commerciante e valente soldato.

Avendo Tito Quinzio Capitolino Barbato ottenuto il permesso della Plebe a che lui e Appio Claudio, potessero parlare nei Concilia Plebis Tributa, da cui i Patrizi erano esclusi,[3], Letorio parlò dopo che Appio ebbe pronunciata la propria arringa fortemente provocatoria nei confronti dei Plebei.[4]

Letorio pronunciò un durissimo discorso per confutare le argomentazioni di Appio, rivendicando il ruolo e i diritti acquisti dai Plebei,[5][6] ingiungendo infine ad Appio ad abbandonare l'assemblea popolare.[7]

Al rifiuto del console, scortato dai propri clienti e dai littori, ordinò agli altri tribuni della plebe di condurlo in carcere. Solo l'intervento pacificatore di Tito Quinzio, riuscì ad evitare che la situazione degenerasse[7].

«Ciò nonostante, Appio si ostinava a tener testa a un tumulto di quelle proporzioni e la cosa sarebbe finita in un bagno di sangue se Quinzio, l'altro console, non avesse incaricato gli ex consolidi afferrare il collega e di trascinarlo fuori dal foro con la forza (nel caso fosse stato necessario), e se egli stesso non avesse ora supplicato la folla di calmarsi ora richiesto ai tribuni di aggiornare la seduta, in modo da far sbollire i furori»