Utente:Jerson Herbas PC01
Studente Classe V^A IPSIA - Istituto Mattei - Fiorenzuola d' Arda
Partecipante al Progetto Adotta una Parola va a scuola
Ponte Maria Luigia
[modifica | modifica wikitesto]L'inaugurazione del ponte sull'Arda avvenne il 13 agosto 1837; la costruzione del ponte era stata sancita da Maria Luigia sin dal 14 luglio 1833; i lavori cominciarono nel 1834 e terminarono nel 1836. L'opera era particolarmente urgente, in quanto il ponte vecchio, troppo stretto e destinato ai soli pedoni, nonostante le riparazioni del 1734 , rischiava di cadere.
Inoltre, il vecchio ponte si trovava all'imboccatura della porta di Piacenza, invece il nuovo fu ubicato all'altezza della strada Maestra (ora Corso Garibaldi). In quel periodo furono anche demoliti i resti dell'antica rocca viscontea, che appunto ostacolava la strada maestra. Il ponte fu costruito seguendo i progetti del capo Ingegnere Cav. Antonio Cocconcelli, autore dei due ponti sul Taro e sul Trebbia, e sotto la guida dell'Ingegnere Antonio Montecchino e dell'Ingegnere fiorenzuolano Teofilo Rossi. Le dimensioni del ponte dovevano essere di una lunghezza, testate comprese, di 69.70 metri, una larghezza tra i parapetti di 8.00 metri, ed una altezza del piano dell'alveo di 5.30 metri. Sul lato sinistro del ponte fu posata la pietra inaugurale con il deposito, cioè un vaso di metallo contenente varie monete preziose e tre copie, in oro, in argento e in bronzo, della medaglia fatta valutare per la circostanza dalla Sovrana. La medaglia, del diametro di 55 millimetri, è esposta al Museo di Parma. Negli anni '20 il ponte fu ampliato e il parapetto in mattoni fu demolito e sostituito con uno metallico[1].
Integrare con stemma
L'origine dello stemma è misterioso: ci sono ben tre leggende che tentano di spiegarla.
Una delle storie più interessanti è quella di una battaglia avvenuta nel 73 a.c. combattuta da Marco Lucullo. Secondo questo racconto, Lucullo esitava a dare inizio alla battaglia perché in inferiorità numerica: era al comando di sedici plotoni contro i cinquanta del nemico; all'improvviso, però, un vento che proveniva dalla pianura portò sulla sua tendopoli una grande quantità di rose. Le rose si fermarono sugli elmi e sugli scudi dei soldati di Lucullo, il quale interpretò il fatto come un segnale divino di buon auspicio, così attaccò il nemico con grande slancio e riuscì in breve tempo ad annientarlo.
Esiste un'altra versione della leggenda che, pur mantenendo invariati i particolari delle rose cadute su un accampamento militare alla vigilia di un'importante battaglia, fa riferimento allo scontro che a Fiorenzuola contrappose nel 923 Berengario I, imperatore del Sacro Romano Impero e Re d'Italia e l' antagonista Rodolfo II di Borgogna.
Secondo un'altra storia le rose dovrebbero ricordare le tre figlie di un nobile che abitava in queste località; la fama della bellezza delle donzelle si era sparsa in tutto il contado ed arrivò sino alle orecchie del guerriero che, con la sua crudeltà, faceva vivere nel terrore i residenti di quella zona. Quest'uomo, dopo averne assassinato i genitori, rapì le tre fanciulle. Il pianto e la disperazione delle ragazze commossero una divinità dei boschi che, per salvarle dal rapitore le trasformò in tre rose bianche. Arrabbiato, il cavaliere cercò di strappare i fiori dal terreno, ma , per quante volte lui ci provasse non riusciva mai nel suo intento, anzi, le spine delle rose lo punsero profondamente, tanto da farlo morire dissanguato.
Una terza leggenda racconta invece che un drago aveva rapito tutte le fanciulle di un villaggio della Val d'Arda e nessun abitante del posto, malgrado i diversi tentativi, riuscì a salvarle. Finalmente arrivarono quattro nobili cavalieri gemelli che sfidarono il drago. La lotta fu dura e al tramontare del sole, solamente il più giovane dei cavalieri era vivo. Raccogliendo le forze lanciò il suo ultimo attacco, riuscendo così ad uccidere il drago, ma nonostante la vittoria, il cavaliere si mise a piangere, per la perdita dei suoi fratelli. Allora la principessa Fiore, che era la ragazza più bella del villaggio, per alleviare il suo dolore gli cucì sul mantello tre rose bianche, in ricordo dei tre valorosi giovani caduti.
Porta Piacenza
[modifica | modifica wikitesto]Il breve vicolo della Madonna dell'Aiuto, che unisce la piazzetta della Rocca a viale Matteotti (via della Emilia), dà accesso all'antica Porta Piacenza, l'unica, tra le quattro che si aprivano nella cinta murata, a essersi conservata fino ai giorni nostri come unica testimonianza del tempo in cui Fiorenzuola , aveva l'aspetto di una grande fortezza militare. Porta Piacenza immetteva direttamente sul ponte dell'Arda che allora era riservato solo ai pedoni ed era anche nominata Porta Nuova perché venne aperta nelle mura dopo la costruzione della Rocca(dove ora giace la Piazza). L'arco posto sopra Porta Piacenza risale al 1814 e ne sostituisce uno più antico; l'iscrizione che vi fu incisa ricorda la pace ottenuta nel 1814 dopo i drammatici anni di bufera napoleonica. Il progetto della Porta fu realizzato dal perito Ermenegildo Gradali, sotto l'arco vi è rappresentata l'immagine della Madonna dell'Aiuto: si tratta di un affresco che raffigura la Vergine col Bambino.
Le altre tre porte erano: Porta Parma, le cui ultime parti restanti vennero portate via nel 1890; Porta Chiusa, che incominciava all'inizio di via Liberazione davanti al sottopassaggio delle scuole e fu demolita nel 1890; infine Porta del Pretorio, che si trovava nelle vicinanze del Macello (largo Garibaldi) e fu demolita verso la fine del '700[2].
Parte sulla colleggiata
[modifica | modifica wikitesto]Presbiterio, parete a sinistra, Due frammenti di affreschi e sinopie
[modifica | modifica wikitesto]Il primo frammento, un santo su sfondo architettonico, fa riferimento a S. Stefano, e si deduce che sia lui per i ciottoli sulle spalle e sulla palma.
Nella sinopia del secondo si pensa sia un guerriero (S.Giuliano?) che si dirige verso due figure giacenti (i genitori?) per ucciderli.
Questi frammenti sono nello stile degli affreschi dell'abside e perciò si possono attribuire allo stesso pittore lombardo del XV secolo.
Abside della navata sinistra, Cappella del Crocifisso
[modifica | modifica wikitesto]Il Crocifisso è opera di un abile scultore piacentino della prima metà del XVIII secolo, stilisticamente vicino al Gheernaert.
La decorazione a fresco eseguita nel 1741 è opera del pittore piacentino Antonio delli Alessandri (v. documenti dell'archivio parrocchiale pubblicati da mons. Antonio Bergamaschi sul Bollettino "L'Idea", 1924). Dello stesso anno è la trasformazione dell'abside in cappella, adattandola con opere murarie, per la collocazione del Crocifisso e dell'ex altare maggiore, rimosso dal presbiterio per sostituirlo con quello attuale, del Panini. La mensa dell'antico altare in marmo rosso di Verona, è stata posizionata sull'altare dell'Oratorio della Morte. Questa cappella fu restaurata nel 1990 a cura del Lions Club Val d'Arda.
Presbiterio, Altare maggiore
[modifica | modifica wikitesto]Fu disegnato dal pittore piacentino Gian Paolo Panini su commissione del canonico fiorenzuolano Pietro francesco Salomoni, che ne sostenne le spese e lo munì della suppellettile d'argento e della pala (v. cappella della trinità, terza della navata sinistra). Questo altare è databile al 1740 e, fu eseguito a Milano dal marmista G.Maria Bignetti e costò L. 16.000.
Prima cappella a destra detta di S.Antonio Abate
[modifica | modifica wikitesto]Madonna col Bambino, S.Antonio abate (a sinistra), S.Francesco (a destra) e l'Eterno Padre, in un nimbo di angeli, due dei quali, incoronano la vergine.
E' un affresco attribuito da Arturo Carlo Quintavalle a Bernardo Gatti, detto il Sojaro, tra il 1556 e il 1560.
L'ancona pittorica in cui è inserito l'affresco, è di epoca successiva, di quadraturista emiliano di fine secolo XVIII.
Due colonne corinzie sorreggono una trabeazione molto ornata, ulla quale sovrasta un arco spezzato. In un medaglione , fra due putti, un simbolo: due verghe incrociate a fiamma.
Nel 1988 la Soprintendenza ai beni artistici e storici di Parma e Piacenza, ha restaurato l'affresco a cura dell'Ing. Ermanno Botti.
- ^ Tagliaferri, p.109
- ^ Tagliaferri, p.112