Nativi americani degli Stati Uniti d'America

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Nativi americani famosi: 1) Phillip Martin, un Choctaw 2) Dia Molnar, una Navajo 3) Harvey Pratt, un Cheyenne 4) Jamie Oxendine, un Lumbee 5) Joe Shirley, un Navajo 6) Lori Piestewa, una Hopi 7) Robbie Robertson, un Mohawk 8) Mary Titla, una Apache 9) John Herrington, un Chickasaw

Il termine Nativi americani degli Stati Uniti è utilizzato dal governo degli Stati Uniti per descrivere i Nativi americani dei territori del Nord America. Secondo un censimento del 2020,[1] negli Stati Uniti vivono circa 9,7 milioni di nativi americani, comprendono più di 500 tribù e gruppi etnici riconosciuti dal governo federale USA, molti dei quali sopravvivono mantenendo proprie culture ed identità.

I nativi americani degli Stati Uniti sono ricordati anche con i termini più comuni di indiani d'America, pellerossa e aborigeni americani.

Regione artica

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Famiglia Inupiat (Inuit che vivono in Alaska) - fotografia di Edward Sheriff Curtis

La regione artica che comprende le coste dell'Alaska e il Canada settentrionale è, per motivi climatici, un territorio scarsamente popolato, in cui l'agricoltura è praticamente impossibile: qui le popolazioni vivevano cacciando foche, caribù e, in alcune zone, balene.

Durante l'estate abitavano in tende e in inverno in abitazioni costruite con blocchi di ghiaccio o blocchi di terra ricoperti di pelli. Anche ai nostri giorni i gruppi presenti hanno scarsi rapporti con altre popolazioni e sono molto legati alle loro tradizioni. In Alaska vivono gli Inuit e gli Yupik (entrambi i gruppi vengono spesso erroneamente definiti Eschimesi), una parte dei quali emigrò in Groenlandia nell'XI secolo; la zona a Sud Ovest è abitata dagli Yuit, presenti anche in Siberia, mentre gli Aleutini vivono nelle isole omonime.

Regione subartica

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A causa dell'inclemenza del clima, quindi dell'impossibilità di praticare l'agricoltura, le popolazioni dell'area subartica (comprendente quasi tutto il Canada dalla tundra quasi fino al confine con gli Stati Uniti) erano nomadi e vivevano in tende o in case interrate, dedicandosi alla pesca o alla caccia di alci e caribù.

A Est vivevano popolazioni di lingua algonchina, tra cui i Cree e gli Ojibway o Chippewa; a Ovest, gruppi di lingua athabaska (Carrier, Ingalik, Dogrib, Han, Hare, Koyukon, Kutchin, Mountain, Slavey, Tanaina, Yellowknife e altri). Queste popolazioni venivano generalmente guidate dai capifamiglia ed i conflitti tra le varie tribù erano piuttosto rari.

Per quanto riguarda la religione, erano molto diffuse le credenze sugli spiriti guardiani e sulla stregoneria. Molti di questi popoli ora sono sedentari e tuttora vivono di caccia e pesca.

Costa nordoccidentale

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Capo tribù Winnebago, litografia del 1825

Nonostante la ristrettezza della zona abitabile (limitata ad Est dalle montagne), la costa nordoccidentale del Pacifico ha fornito un ambiente ideale per gli abitanti, grazie ai fiumi Colombia e Fraser, eccezionalmente ricchi di salmoni.

Questo habitat particolarmente ricco, insieme a quello collinare, consentì l'incremento della popolazione, che diede vita ad una cultura elaborata, organizzata in grandi case di legno e caratterizzata da ricche cerimonie e da un artigianato in legno. I villaggi solitamente erano composti da 100 o più abitanti, imparentati fra loro secondo una modalità gerarchica: i vari membri venivano ordinati in base al grado di parentela col capo. Solo i prigionieri di guerra e gli schiavi erano esclusi da questa classificazione.

Di fondamentale importanza era considerata la ricchezza individuale o di gruppo, che veniva ridistribuita durante il potlatch, una cerimonia nella quale il capo e il suo gruppo regalavano i loro beni.

Tutto ciò avveniva per consolidare o accrescere il proprio status, per ricevere l'invito ad altri potlatch e per equilibrare la distribuzione dei beni tra i vari gruppi. La religione era basata principalmente sul culto degli antenati mitici: le loro rappresentazioni stilizzate erano ovunque, sui pali totemici, sulle facciate delle case, sulle prore delle barche, sulle maschere e le coperte.

I gruppi più importanti sono i Tlingit, gli Tsimshian, gli Haida, i Kwakiutl, i Nootka e i Chinook, i Bellacoola e i Quileute. La maggior parte delle lingue parlate in quest'area appartenevano alla famiglia delle lingue salish atabasca, penutiana o mosana.

Nell'altopiano compreso tra l'Idaho, l'Oregon orientale, lo stato di Washington, il Montana occidentale e il Canada vivevano numerosi piccoli gruppi molto pacifici (tra cui i Nez Percé (Nasi Forati), gli Spokane, i Wallawalla, gli Yakima, i Flathead e i Cayuse). Sopravvivevano grazie alla caccia, alla raccolta di frutti e alla pesca del salmone. La loro cultura era simile a quella dei loro vicini della costa nordoccidentale del Gran Bacino e della California. Le lingue appartenevano per lo più alle famiglie penutiana e mosana.

L'area del Gran Bacino, comprendente le catene montuose e le vallate dello Utah, del Nevada e della California, è stata abitata da popolazioni il cui stile di vita arcaico rimase quasi invariato fino al 1850; le più conosciute sono i Paiute, gli Ute e gli Shoshoni, insieme ai Klamath in Oregon, ai Modoc e agli Yurok. Si trattava di piccole bande di raccoglitori, composte a volte da un'unica famiglia, ed erano distribuite su un territorio inospitale con una densità abitativa estremamente bassa.

In estate si nutrivano di semi, radici, frutti di cactus, insetti, rettili e piccoli roditori, insieme a occasionali antilopi e cervi; i coyote invece non venivano mangiati perché li si credeva dotati di poteri soprannaturali. In inverno si dovevano affidare alle provviste estive perché la disponibilità di cibo era scarsissima e la minaccia della fame era sempre incombente. Nei periodi in cui il cibo era abbondante i vari gruppi si riunivano in bande più numerose, composte quasi esclusivamente da individui imparentati bilateralmente.

Il riconoscimento della leadership avveniva in maniera informale e raramente sorgevano conflitti fra tribù, causati di solito da accuse di stregoneria o da rivalità sessuali. La religione formale era poco praticata; veniva soprattutto ricercata l'alleanza con gli spiriti, conosciuti attraverso sogni e visioni, che era ritenuta capace di conferire poteri connessi con la medicina, la caccia e il gioco d'azzardo.

Bandiera dell'American Indian Movement, gruppo lobbystico dei Nativi americani degli Stati Uniti

L'area culturale californiana comprende approssimativamente la superficie dello Stato attuale, con l'esclusione della zona sud orientale lungo il fiume Colorado. La popolazione ivi installata, che secondo le stime ottimistiche contava forse 200.000 abitanti, parlava più di 200 linguaggi distinti.

Fra i gruppi più importanti vi erano i Pomo, i Modoc, gli Yana, i Chumash, i Costanoan, i Maidu, i Miwok, i Wintu, i Patwin o (Wintu meridionali), i Salinan, gli Yokut, gli Yuki e i cosiddetti Mission Indians (Indiani delle Missioni), Cahuilla, Diegueño, Gabrileño, Luiseño e Serrano.

Tutti gli Indiani o nativi americani della zona californiana erano principalmente raccoglitori di ghiande, semi erbacei e altri vegetali commestibili. Pesci e frutti di mare avevano importanza sulla costa, mentre nell'interno si cacciavano cervi, orsi e piccoli mammiferi vari. Il villaggio, composto anche da più di 100 persone, col suo particolare dialetto, era spesso la più ampia unità politica esistente. Diffusa era l'usanza delle metà esogame, che consentiva l'endogamia, pratica secondo la quale i matrimoni avvenivano solo all'interno del villaggio però diviso a sua volta in due metà, per cui i membri di un gruppo dovevano combinare il loro matrimonio con un membro dell'altro gruppo.

I capi, a volte ereditari, organizzavano la vita sociale e cerimoniale, ma avevano scarso potere politico. I conflitti organizzati fra villaggi erano rari. Frequenti erano i riti di cura, le cerimonie della pubertà maschile e l'uso rituale delle droghe.

Teepee dei Nativi nord-americani fotografati da uno dei massimi studiosi della loro civiltà, Edward Sheriff Curtis (1868-1952). L'immagine è stata esposta al Museo delle Culture del Mondo di Genova

Nella zona delle Pianure (ovvero le praterie che si estendono dal Canada centrale fino al Messico e dal Midwest alle Montagne Rocciose) si erano installate popolazioni che vivevano in piccoli gruppi nomadi seguendo le grandi mandrie di bisonti, in quanto la caccia ha costituito la principale risorsa alimentare fino al 1890, anche se lungo il Missouri e altri fiumi delle pianure erano presenti rare forme di agricoltura stanziale. La densità abitativa era molto ampia.

Tra i primi abitanti delle praterie possiamo ricordare i Piedi Neri (cacciatori), i Mandan e gli Hidatsa (agricoltori); in seguito, quando i coloni europei conquistarono le zone orientali ricche di foreste, molte popolazioni del Midwest si spostarono nelle Pianure: tra questi i Dakota e i Lakota, facenti parte della grande alleanza del popolo Sioux, i Cheyenne, gli Arapaho, i Crow, i Pawnee e gli Arikara, che furono preceduti dagli Shoshoni e dai loro parenti Kiowa e Comanche, provenienti però dal Gran Bacino.

Quando il cavallo fu introdotto dagli europei (XVII secolo) e poi si diffuse in tutte le Grandi Pianure (XVIII secolo), nella zona si mescolarono tutta una serie di popoli precedentemente sedentari, disturbati dai cacciatori-guerrieri a cavallo delle zone vicine. Gli antichi raccoglitori e agricoltori d'estate iniziarono ad organizzarsi in accampamenti di dozzine di tipi trasportabili disposti in cerchio, per praticare la caccia al bisonte in maniera intensiva. Le cerimonie pubbliche, in particolare la danza del sole, servirono a creare nei gruppi legami più saldi e un obiettivo comune.

Il potere individuale, perseguito in primo luogo con la ricerca della visione, accompagnata da automutilazioni e severe ascesi, veniva manifestato tramite la partecipazione alle incursioni belliche contro i nemici. Le società guerriere, alle quali gli individui aderivano in gioventù, divennero in breve tempo organizzazioni specializzate nella guerra, spesso con funzioni di controllo dell'ordine all'interno dei grandi accampamenti. Il successo nelle incursioni (condotte di solito da meno di una dozzina di uomini), il possesso di molti cavalli e il potere ottenuto attraverso le visioni o la danza del sole erano i segni del rango fra gli indiani delle Grandi Pianure.

Foreste orientali

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Coperta in origine da una fitta vegetazione, l'area delle foreste orientali (comprendente le regioni temperate degli Stati Uniti e del Canada orientali, dal Minnesota e Ontario fino all'oceano Atlantico a Est e fino alla Carolina del Nord a Sud) era abitata inizialmente da cacciatori: intorno al 7000 a.C. vennero introdotte l'agricoltura, la pesca, la lavorazione della pietra e, nella zona dei Grandi Laghi, del rame.

I nativi abitanti quest'area comprendevano le popolazioni Irochesi, cioè Cayuga, Mohawk, Oneida, Onondaga, Seneca ed Uroni, e popolazioni di lingua algonchina, tra cui i Mohicani, i Chippewa e i loro parenti Ottawa, i Delaware, i Micmac, i Narragansett, gli Shawnee, i Potawatomi, i Kickapoo, i Menominee, gli Illiniwek.

Joseph Brant, celebre capo Mohawk

A cavallo tra il XVIII e il XIX secolo anche la maggior parte dei gruppi algonchini, e così pure degli Irochesi, furono costretti a spostarsi ad Ovest, verso il Territorio Indiano, o a Nord verso il Canada, dalla politica dei neonati Stati Uniti d'America che subivano la pressione dei coloni di origine europea in cerca di terra da coltivare e città da costruire, che si scontrava con il modello di vita delle tribù indiane basato su grandi spazi a disposizione; alcuni gruppi rimasero comunque nella regione, raccolti di solito in piccole comunità.

Il clima freddo del Nord Est e dei Grandi Laghi tendeva a limitare l'orticoltura e a costringere alla raccolta delle piante selvatiche; i cibi più importanti erano il pesce, gli animali da caccia, lo sciroppo d'acero e il riso selvatico. Fra i coltivatori gli uomini si limitavano in genere a preparare il terreno per la coltivazione, che era opera essenzialmente femminile. I popoli di lingua irochese erano organizzati in villaggi matrilineari guidati da un consiglio: le donne avevano un ruolo importante nel governo dei villaggi.

Fra la costa orientale e i Grandi Laghi vivevano i popoli di lingua algonchina, organizzati per lo più in piccoli villaggi, semisedentari, fortemente influenzati dai loro vicini meridionali. Le attività orticole erano in genere poco sviluppate lungo la costa, dove la raccolta dava un prodotto assai abbondante. La leadership era in genere debole, il territorio mal definito e l'organizzazione politica somigliava a quella delle piccole tribù di altre zone. Queste furono fra le prime culture nomadi o seminomadi installate nell'area a subire l'impatto della diversa civilizzazione europea in espansione e nel conflitto impari tra le due civiltà molte di esse erano già scomparse prima dell'inizio del Settecento.

La regione a clima tropicale che si estende a Nord del golfo del Messico, dalle coste dell'Atlantico al Texas centrale, era originariamente coperta di foreste di pini e popolate da daini. Nel 3000 a.C. in quest'area fu introdotta l'agricoltura che determinò un forte incremento demografico, mentre intorno al 1400 a.C. furono costruite le prime città.

Al momento dell'arrivo degli spagnoli e dei portoghesi nei secoli XVI-XVII, le epidemie cominciarono a decimare le popolazioni. Alcune popolazioni di questa zona, che includevano anche i Cherokee, i Creek, i Choctaw, i Chickasaw e i Seminole, erano conosciute come le Cinque Nazioni Civilizzate, in quanto la loro economia e la loro organizzazione sociale erano più articolate e in qualche modo più vicine a quelle europee, anche se in seguito furono deportate dalle loro terre (vedi il Sentiero delle lacrime) Nella stessa area erano insediati anche i Natchez, ma la loro cultura, molto elaborata, fu distrutta dall'impatto con gli spagnoli alla fine del XVIII secolo.

Fra i gruppi più importanti del Sud Est sono da segnalare anche gli Alabama, i Caddo, i Chickasaw, i Choctaw, i Quapaw, i Biloxi, i Sewee, i Timucua e i Tunica (Tunican). Molti di questi popoli raggiunsero i più complessi livelli culturali a Nord della Mesoamerica. Un'orticoltura produttiva integrata dagli abbondanti prodotti delle foreste fornì la base materiale ai loro grandi insediamenti sottoposti all'autorità centralizzata di un capo.

Ebbero villaggi di centinaia di abitanti fortificati con palizzate, che contenevano grandi tumuli sui quali sorgevano i templi al cui interno ardeva il fuoco perenne e le abitazioni delle classi superiori. I capi e i re esercitavano il potere assoluto sui sudditi, nobili e popolani, e in alcuni casi comandavano più di una dozzina di villaggi. Frequenti erano le guerre e le incursioni.

L'area culturale del Sud Ovest si estende su una regione calda e arida di montagne e bacini cosparsi di oasi: gli abitanti di quest'area comprendente l'Arizona, il Nuovo Messico, il Colorado meridionale e l'adiacente Messico settentrionale, dapprima cacciatori di mammut e poi del bisonte, diedero origine a una cultura, definita arcaica, sviluppatasi tra l'8000 a.C. e il 300 ca. a.C. Sono state ritrovate tracce di culture precedenti, come i Clovis, risalenti addirittura ad epoche precedenti (11.000 anni fa).

Nel Sud Ovest si muovevano popoli di cacciatori-raccoglitori (fra cui gli Apache, gli Havasupai, i Seri, i Walapai, gli Yavapai) ma esistevano anche popoli di orticoltori, come i Mohave, i Navajo, i Papago, i Pima, i Pueblo (fra cui gli Hopi e gli Zuñi), gli Yaqui, gli Yuma (Nijoras), i Cocopa e gli Opata. Nonostante la sua aridità, la regione offriva una certa quantità di cibi selvatici, sia animali che vegetali, che fornivano il sostentamento necessario agli insediamenti, organizzati patrilinearmente o matrilinearmente. Erano frequenti le incursioni contro gli orticoltori vicini.

Intorno al 300 a.C. alcune popolazioni del Messico, a economia basata sulla coltivazione di mais, fagioli, zucche e meloni in terreni irrigati, emigrarono nell'Arizona meridionale. Chiamati Hohokam, furono gli antenati degli odierni Pima e Papago. L'agricoltura fu praticata anche dagli Anasazi: i loro discendenti sono gli attuali Pueblo, cui si aggiunsero in seguito gli attuali Navajo e vari gruppi di Apache. Risalgono al 1000 a.C. le prime caratteristiche tombe coperte da tumuli sepolcrali, diventate in seguito centri di culto, tipiche della prima civiltà Hopi.

Aspetti culturali

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Benché le caratteristiche culturali, come la lingua, i costumi e le usanze varino enormemente da una tribù all'altra, ci sono alcuni elementi che si possono incontrare frequentemente e sono condivisi da molte tribù.

La religione più diffusa è conosciuta con il nome di Chiesa nativa americana. È una chiesa sincretistica che unisce elementi dello spiritualismo nativo provenienti da un numero di differenti tribù con elementi simbolici tipici del Cristianesimo. Il suo rito principale è la cerimonia del peyote. La Chiesa del Peyote ha aiutato molto i popoli nativi a uscire dal vortice di decadenza alla quale il popolo rosso era arrivato apprendendo gli usi e costumi ma soprattutto i vizi dei bianchi, recuperando almeno in parte le proprie radici culturali perse dopo i vari stermini causati dalle genti europee per puri fini commerciali e di guadagno.[2] Molto della cultura indiana americana si è andata mischiando ai simboli cattolici invasori così come già accadde anche per quello che riguardava la tratta degli schiavi africani che mischiarono tradizioni nere a quelle cattoliche pur di poter continuare a pregare le loro entità. Nella parte sud-occidentale degli Stati Uniti d'America, specialmente nel Nuovo Messico, il sincretismo tra il Cattolicesimo portato dai missionari spagnoli e la religione nativa è piuttosto comune; i tamburi, i canti e le danze dei Pueblo sono regolarmente parte della Messa.

Musica e arte

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Donna della Nazione Seneca

La musica dei Nativi americani è quasi interamente monofonica anche se ci sono notevoli eccezioni. La musica nativa tradizionale spesso prevede i tamburi ma pochi altri strumenti, anche se i flauti vengono impiegati da alcuni gruppi. La tonalità di questi flauti non è molto precisa e dipende dalla lunghezza del legno usato e dalla grandezza della mano del suonatore.

La forma più diffusa di musica pubblica tra i nativi americani negli Stati Uniti è il pow-wow. Durante questa manifestazione, così come nell'annuale Gathering of Nations ad Albuquerque nel Nuovo Messico, membri di gruppi di suonatori di tamburi si siedono in cerchio intorno ad un grande tamburo, mettendosi a suonare all'unisono mentre cantano nelle loro lingue native e i danzatori colorati ballano in senso orario intorno ai suonatori.

Le attività musicali ed artistiche scandiscono la vita degli indiani molto più del lavoro, che è ridotto al minimo necessario per la sopravvivenza.

Le sonorità dei nativi americani sono state riprese anche da molti artisti di musica pop e rock.

L'arte dei nativi americani costituisce una categoria importante nel panorama dell'arte mondiale. Il contributo dei nativi americani include stoviglie di terracotta, gioielli, vestiti, sculture.

Nell'area delle foreste dell'est si diffusero la lavorazione della pelle, le decorazioni di vasi, sacche, cinture, tra le quali quelle multicolori chiamate wampum con disegni simbolici.

In tutte le aree nordamericane molto importante è l'arte delle maschere in legno a fini religiosi, raffiguranti demoni e spiriti.[3]

Molto diffuse la pittura della pelle sia di tipo figurativo sia con temi geometrici, l'arte dell'intreccio del vimini, la decorazione di ceramiche e la tessitura.

Tʿatʿaɲka Iyotake, il grande capo Lakota, comunemente noto come Toro Seduto (Sitting Bull)

All'inizio del Cinquecento, mentre gli spagnoli dilagavano nella parte centrale e meridionale del continente, altri europei presero a esplorare le coste atlantiche della sua parte settentrionale. Così fecero l'Inghilterra (con Giovanni Caboto e Sebastiano Caboto) e la Francia (per mezzo di Giovanni da Verrazzano). A quel tempo a nord del Rio Grande si stima che la popolazione indigena non superasse i 12 milioni di persone, riunite in tribù poco numerose e non unite le une dalle altre. I nativi americani, appartenenti alle tribù Algochine e Cherokee, praticavano un'agricoltura rudimentale e si spostavano con le canoe lungo i fiumi.

Scontro fra cavalleria e indiani

Fra il XVI e il XVII secolo sorsero in Florida, nel New Messico e in California le prime colonie degli spagnoli che provenivano dall'America centrale. Più a nord, i francesi si inoltrarono nel bacino del San Lorenzo dove si stanziarono nelle città di Québec e Montréal. Da qui i francesi penetrarono nell'interno, verso i Grandi Laghi e successivamente verso sud nel bacino del Mississippi, fino a raggiungere la sua foce, dove fondarono la città di La-Nouvelle Orléans (New Orleans).

Si ebbero anche guerre con indiani alleati degli inglesi e altri dei francesi. Furono i britannici che richiesero gli scalpi dei nemici uccisi ai nativi, che prima d'allora non avevano questa pratica. Prima di queste guerre, raramente gli indiani erano stati ostili (escludendo il massacro indiano del 1622), e spesso avevano permesso gli insediamenti in cambio di fucili e altri oggetti, non avendo il concetto di proprietà privata.

Ben presto però, fra tutti i coloni, prevalsero gli inglesi che giunsero a dominare l'intera fascia costiera, dove un po' alla volta si formarono 13 colonie, il nucleo fondamentale di quelli che un secolo più tardi divennero gli Stati Uniti d'America (1776).

I primi tentativi di colonizzare l'America settentrionale non ebbero un grande successo, dato che i nativi americani non si adattavano minimamente ad essere assoggettati come manodopera e il clima non favoriva gli insediamenti. Dopo alcuni tentativi falliti, il primo insediamento inglese stabile fu costruito nell'odierna Virginia e prese il nome di Jamestown.

Gli inglesi partirono dalla costa più vicina all'Europa (la East Coast) respingendo progressivamente le popolazioni indigene verso ovest (il cosiddetto Far West).

I nativi più combattivi e più numerosi, come i Sioux e gli Apache, si opposero con le armi, ma gli inglesi e gli americani avrebbero risposto con violenza ancora superiore, spesso ignorando i trattati e massacrando anche donne, vecchi e bambini inermi, come nel massacro di Sand Creek, ad opera di John Chivington, e nel massacro di Wounded Knee. La vittoria più importante dei nativi fu nella battaglia del Little Bighorn, dove Cavallo Pazzo, con l'aiuto di Toro Seduto, annientò il generale George Armstrong Custer e il suo reggimento 7º cavalleria. I capi che resistettero di più furono i celebri Cochise, Toro Seduto e Geronimo; alla fine i nativi rimasti saranno rinchiusi nelle riserve, e otterranno i diritti civili e politici solo nel XX secolo. Il generale William Tecumseh Sherman fu uno dei maggiori esecutori delle stragi ai danni degli indiani, assieme a Philip Henry Sheridan, sostenitore dello sterminio esplicito dell'etnia nativa, al punto che avrebbe dichiarato che "l'unico indiano buono è l'indiano morto" (in realtà frase pronunciata dal deputato James M. Cavanaugh).[4]

Le guerre indiane

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"Hamburger" è il nome usato dagli storici statunitensi per descrivere la serie di conflitti prima con i coloni, principalmente europei, e poi con gli Stati Uniti, in opposizione ai popoli nativi del Nordamerica. Alcune delle guerre furono provocate da una serie di paralleli atti legislativi, come l'Atto di rimozione degli indiani, unilateralmente promulgate da una delle parti e potenzialmente considerabili alla stregua di guerra civile.[5]

La guerra civile tra nativi e coloni

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Lapide presso il Sand Creek, dove il reggimento di John Chivington massacrò un gran numero di nativi
Goyaałé, capo e sciamano apache, più noto col soprannome di Geronimo

I sioux e gli apache, scacciati anche dall'est, allo stremo della sopportazione, reagirono violentemente attaccando e uccidendo anche civili (come negli "attacchi alla diligenza"), in risposta alle stragi indiscriminate ordinate dai generali statunitensi contro i loro accampamenti, e alla colonizzazione forzata dei loro territori. Allora il presidente Ulysses S. Grant si rivolse a Sheridan, sotto la spinta dei Governatori delle pianure, ed egli ebbe carta bianca.[6] Successivamente diverrà Comandante in capo dell'Esercito al posto di Sherman. Nella Campagna d'inverno del 1868–69 attaccò le tribù dei Cheyenne, dei Kiowa e dei Comanche nelle loro sedi invernali, tagliando loro rifornimenti e bestiame e uccidendo chiunque avesse resistito, conducendo i sopravvissuti indietro nelle loro riserve. Questa strategia proseguì finché i Nativi onorarono i Trattati che erano stati costretti a sottoscrivere (tuttavia saranno gli stessi bianchi che non li rispetteranno, in futuro). Il Dipartimento di Sheridan portò a compimento anche la Red River War, la Ute War e la Black Hills War, che provocarono la morte del suo fido subordinato Custer. Le incursioni dei nativi proseguirono negli anni Settanta del XIX secolo e finirono ai primi degli anni Ottanta, allorché Sheridan divenne il Comandante generale dell'esercito statunitense.1

I massacri contro gli indiani

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Precedentemente vi erano state già sanguinose rivolte come nelle grandi pianure; il numero di Sioux morti nella grande rivolta del 1862 (detta "guerra di Piccolo Corvo", dal capo che la guidò) rimane non documentato ma dopo la guerra 303 nativi furono accusati di assassinio e rapina dai tribunali statunitensi e successivamente condannati a morte. Molte di queste condanne vennero commutate ma il 26 dicembre 1862 a Mankato, in Minnesota, si andò a consumare quella che ad oggi rimane la più grande esecuzione di massa nella storia degli Stati Uniti, con l'impiccagione di 38 Sioux. Nel 1863 i bianchi catturararono il vecchio capo apache Mangas Coloradas; i soldati lo torturarono, prima di decapitarlo e mutilarlo inviando il teschio all'est, al museo Smithsonian; quest'atto era considerato intollerabile dagli indiani, non solo per l'efferato omicidio, ma anche perché, nella religione apache, un morto decapitato era costretto a vagare senza mai trovare la pace. Fu allora che gli apache, sotto la guida di Cochise, genero del capo ucciso, cominciarono a uccidere e mutilare i bianchi, prendendo spesso gli scalpi. Questi fatti furono utili alla propaganda contro i nativi, cosicché la stragrande maggioranza del popolo appoggiava e partecipava agli stermini dei "barbari pellerossa", spesso ignorando che le vendette erano state causate dai crimini precedenti perpetrati dei bianchi. Furono anche messe taglie e premi per chi uccideva più indiani[7] Era raro che un guerriero indiano uccidesse donne e bambini dei nemici in guerra, e quando avveniva era per rappresaglia, mentre spesso i soldati lo facevano per affrettare l'estinzione delle tribù native. Si diffuse un'ampia letteratura, fiorente già dal 1700, poi culminata nel cinema western, in cui gli indiani venivano rappresentati come violenti e malvagi per natura.[8]

Nel 1864, durante la guerra di secessione americana, avvenne una delle battaglie indiane maggiormente degne di infamia, denominata non a caso il Massacro di Sand Creek. Una milizia locale, al comando di John Chivington (il quale sosteneva l'eliminazione dei nativi, e che essi andavano «scalpati tutti, adulti e bambini» perché «le uova fanno i pidocchi»[9]), attaccò un villaggio Cheyenne ed arapaho situato nel sud-est del Colorado ed uccise e mutilò indistintamente uomini, donne e bambini. I soldati, molti di loro ubriachi, stuprarono le donne e fecero il tiro al bersaglio con i bambini. Gli indiani di Sand Creek avevano avuto la rassicurazione dal governo degli Stati Uniti che avrebbero vissuto tranquillamente nella loro area, ma ciò che causò il massacro fu il crescente odio bianco nei confronti dei nativi. Essi avrebbero voluto trattare la pace, ma i loro ambasciatori, spesso sventolanti la bandiera bianca (tra di essi una bambina di sei anni, durante la battaglia), furono abbattuti a vista, e l'accampamento attaccato a tradimento, mentre i guerrieri maschi giovani erano in gran parte assenti (i 3/4 delle vittime furono vecchi, donne e bambini). Pochi opposero una resistenza, peraltro inutile. I prigionieri vennero tutti fucilati, comprese le donne incinte, e pochi furono i superstiti. Chivington fece prendere gli scalpi di molti nativi, e molti soldati asportarono parti di organi genitali per usarli come ornamenti; Chivington farà esibire gli scalpi in pubblico come trofei a Denver. I morti furono tra 130 e 200 nativi e 9 militari. Vi furono anche alcuni soldati che si rifiutarono di partecipare al massacro.[10][11][12] I successivi congressi diffusero un appello pubblico contro altri simili carneficine nei confronti degli indiani, ma esso non fece presa nel popolo. Gli indiani della zona, tra cui alcuni superstiti cheyenne, poco inclini a combattere d'inverno e meno bellicosi degli apache, organizzarono un gruppo di 1600 uomini e reagirono saccheggiando alcuni villaggi e distruggendo alcune piste, nonché uccidendo molti coloni e soldati.[12]

Nel 1875 l'ultima vera guerra Sioux scoppiò quando la corsa all'oro nel Dakota arrivò alle Black Hills (Colline Nere), territorio sacro per i nativi americani. L'esercitò statunitense non precluse ai minatori l'accesso alle zone di caccia Sioux, ed inoltre quando venne chiamato ad attaccare delle bande indiane che stavano cacciando nella prateria, come loro concesso dai precedenti trattati, rispose immediatamente.[10]

Il generale Sheridan

Più tardì, nel 1890, nella riserva settentrionale dei Lakota, a Wounded Knee nel Dakota del Sud, il rituale della "danza degli spiriti" portò l'esercito a tentare di sottomettere i Lakota. Durante l'assalto vennero uccisi più di 300 nativi americani, per la maggior parte anziani, donne e bambini. Alla notizia dell'assassinio di Toro Seduto, che ormai aveva deposto le armi e lavorava in un circo, la tribù di Miniconjou guidata da Big Foot (Piede Grosso) partì dall'accampamento sul torrente Cherry per recarsi a Pine Ridge, sperando nella protezione di Nuvola Rossa.[10] Il 28 dicembre furono intercettati da quattro squadroni di cavalleria del reggimento agli ordini di Samuel Whitside, che aveva l'ordine di condurli in un accampamento di cavalleria sul Wounded Knee. 120 uomini e 230 tra donne e bambini furono portati sulla riva del torrente, fatti accampare e circondati da due squadroni di cavalleria e sotto tiro di due mitragliatrici. Il comando delle operazioni fu preso dal colonnello James Forsyth e l'indomani gli uomini di Piede Grosso, ammalato gravemente a causa di una polmonite, furono disarmati. Coyote Nero, un giovane Miniconjou sordo, tardò a deporre la sua carabina Winchester, fu circondato dai soldati e, mentre deponeva l'arma, partì un colpo a cui seguì un massacro indiscriminato. Il campo venne falciato dalle mitragliatrici e i morti accertati furono 153. Secondo una stima successiva, dei 350 Miniconjou presenti, ne morirono quasi 300.[10]

Venticinque soldati furono uccisi, alcuni probabilmente vittime accidentali dei loro compagni.[10]

Dopo aver messo in salvo i soldati feriti, un distaccamento tornò sul campo dove furono raccolti 51 indiani ancora vivi, quattro uomini e 47 tra donne e bambini, presi prigionieri.[10]

Tuttavia, già molto prima di questo evento erano già state eliminate le basi per la sussistenza sociale delle tribù delle Grandi Pianure, con lo sterminio quasi completo dei bisonti negli anni 80, dovuto ad una caccia indiscriminata, spesso effettuata proprio per colpire i nativi, che si nutrivano dei bisonti cacciati, ma in quantità minori tali da non estinguerli.[13] Le guerre, che spaziarono dalla colonizzazione europea dell'America del XVIII secolo fino al massacro di Wounded Knee e alla chiusura delle frontiere USA nel 1890, risultarono complessivamente nella conquista, nella decimazione, nell'assimilazione delle nazioni indiane, e nella deportazione di svariate migliaia di persone nelle riserve indiane. Gli eventi trattati costituiscono una delle basi della discriminazione razziale su base etnica, e del problema del razzismo che affliggerà gli USA fin a tutto il XX secolo.[13]

Soldati presidiano le fosse comuni con i corpi di vittime indiane a Wounded Knee
La battaglia di Little Bighorn

Morti nelle guerre indiane

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Basandosi sulle stime di un censimento del 1894, lo studioso Russel Thornton ha estrapolato alcuni dati essenziali: in particolare, dal 1775 al 1890 almeno 45.000 nativi americani e 19.000 bianchi avrebbero perso la vita. La stima include anche donne, vecchi e bambini, poiché i non-combattenti spesso perivano durante gli scontri di frontiera, e la violenza dei combattimenti non permetteva di risparmiare, né da una parte né dall'altra, le vite dei civili.[13]

Dopo le guerre

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Sterilizzazione

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Una parte degli indiani verrà decimata ancora con la sterilizzazione, spesso coatta, attuata con l'inganno o le minacce, che coinvolgerà 85.000 uomini e donne nativi.[14]

Bandiera di Pine Ridge, riserva indiana Lakota nello stato del Dakota del Sud

La maggior parte degli indigeni sopravvissuti visse poi nelle riserve indiane (inizialmente veri campi di concentramento, poi ghetti e luoghi di residenza), dove poterono mantenere i loro costumi, anche se molti si trasferirono nelle città, ma ben pochi ricoprirono ruoli importanti, perlomeno fino a tempi moderni. Nel 1924 furono autorizzati a integrarsi e venne loro concesso il diritto di voto, anche se furono soggetti ancora alla segregazione razziale che colpì anche i neri e tutti i non bianchi fino alla firma del Civil Rights Act del 1964 da parte del Presidente Lyndon Johnson, in cui furono rimosse le leggi razziste e anticostituzionali dei singoli stati.

L'efficienza dello sterminio, per la parte esplicita e voluto, come quello sostenuto da Sheridan e altri militari, portò Adolf Hitler a lodare il genocidio indiano come esempio di azione efficace da attuare contro gli ebrei e i rom in Europa, come avverrà poi in effetti con l'Olocausto.

L'emarginazione e le proteste

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Si sono anche avute numerose proteste dalla metà del XX secolo in poi, da parte dei nativi e dei loro simpatizzanti, per il mancato rispetto dei trattati e delle loro richieste politiche e sociali, come l'occupazione di Wounded Knee nel 1973.[15]

Nel 1980 gli Oglala (LakotaSioux) ottennero 100 milioni di dollari per la perdita del territorio delle Black Hills. Nel 2007 alcuni lakota/sioux, una frangia minoritaria dell'American Indian Movement guidati da Russell Means, hanno chiesto la secessione della loro "nazione", comprendente cinque stati federati, dagli Stati Uniti. Tra i motivi della protesta anche il fatto che nella loro comunità vi sarebbero condizioni di vita nettamente inferiori rispetto a bianchi, ispanici e anche molti afroamericani: vi è infatti un'alta percentuale di suicidi tra gli adolescenti, di 150 volte superiore a quella statunitense, una mortalità infantile cinque volte più alta e una disoccupazione che tocca cifre altissime; sono inoltre molto diffusi la povertà, l'alcolismo e la tossicodipendenza. In seguito a questa azione politica e dichiaratamente nonviolenta è stata proclamata la nascita di uno stato non riconosciuto, la Repubblica Lakota.[16]

L'assimilazione

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Mary Peltola divenne la prima nativa dell'Alaska ad essere eletta alla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti nel 2022.

A partire dalla fine del XVIII secolo inizia un processo che tendeva a "civilizzare" le popolazioni native, con iniziative che prevedevano l'educazione dei bambini dei nativi, con il fine di assimilare le popolazioni native alla cultura statunitense. Tale processo diviene maggiormente evidente con il Civilization Fund Act of 1819 con il quale il Governo degli Stati Uniti incoraggiava e finanziava il processo di assimilazione.

Con l'Indian Citizenship Act del 1924 il governo statunitense assicurava la cittadinanza a tutti i nativi.

  • Acuera
  • Ahantchuyuk
  • Amikwa
  • Apalachee
  • Apalachicola
  • Avogel
  • Bear River
  • Beothuk
  • Calusa
  • Cape Fear
  • Cathlamet
  • Cathlapotle
  • Monacan
  • Nehelem
  • Quinapissa
  • Salina
  • Tillamook
  • Wailaki
  • Washa
  • Yoncalla
  • Yahi (California)[17]

Popoli e tribù distribuiti da Stati americani e Province canadesi

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  • Alaska: Kutchin, Tlingit, Chilkat, Aleutini, Eskimo Kuskowagamiut, Eskimo Thule, Vuntakuchin, Tlinakers, Nuklukayat, Nulato, Nahani-Tàhltan
  • Yukon e Territori del Nord-Ovest: Kutchin, Dogrib, Hares, Slaves, Nahani, Eskimo Thule, Coppermine, Tatsanottine (Chipewyan)
  • Columbia Britannica: Sekani, Chilcotin, Haida, Wakash, Kwakiutl, Heiltsuk, Nootka, Kitamat, Thompson, Lilloet, Ntlakyapomuk, Shuswap, Okinagan, Bella Coola, Comiakin, Salish, Hellelt, Bella Bella, Kalispel, Kootenay, Tsimshan, Takulli, Cowichans, Squawmish, Tàhltan, Nitinat, Makah, Clallam, Haihai, Xaisla, Columbia
  • Alberta e Saskatchewan: Athabaska, Chipewyan, Cree, Blackfeet, Bows, Atsina, Blood, Piegan, Chippewa, Sarsi, Stoney, Assiniboin
  • Manitoba e Ontario: Chipewyan, Algonkini, Cree, Monsoni, Chippewa, Ottawa, Huron, Assiniboine, Sarsi, Potawatomi, Munsee, Nipissing, Neutral
  • Quebec: Nàscapi, Neenoilno (vulgo: Montagnais), Natik, Beothuc, Micmac, Eskimo Thule, Sokòki, Algonkini, Abnaki, Malecite, Cree
  • Washington: Chimakua, Quileute, Okanògan, Yakima, Nisqualli, Nez Percè, Pullayup, Cayose, Klikitat, Squawmish, Chewelah, Chinook, Washram, Wasco, Makah, Spokane, Clackamas, Chilikitqua, Cathlamet, Clatsop, Hoh, Wenatchee
  • Oregon: Umpqua, Chastacosta, Tillamook, Skilloot, Yakima, Alsea, Calapuya, Siuslaw, Kuitsh, Takelma, Kus, Klamath, Modoc, Chinook, Walla walla, Clatsop, Cayuse
  • California: Hupa, Wailaki, Mono, Chemehuevi, Serranos, Gabrieleños, Wiyot, Luiseños, Yosemite, Yurok, Karok, Chimariko, Kato, Shastan, pomo, Esselen, Yana, Mohave, Cocopa, Walaipai, Washo, Yuki, Huchnam, Wappo, Wintun, Maidu, Miwok, Yokut, Costaño, Cusan, Diegueño-Quemayà, Achomawi, Waicuri, Pericù
  • Idaho: Shoshoni, Bannock, Salishan, Nez Percè, Kootenay, Skitswish, Nampa, Lemhi, Yaak, Ketchum, Kawitch, Spokane
  • Nevada: Paviotso, Paiute, Washo, Mono
  • Montana: Hidatsa, Absaroke (vulgo: Crows), Salishan, Kootenay, Atsina, Piegan (Poor Robes) Nitsitapi, Kainah (Blood) Nitsitapi, Siksika (Blackfeet) Nitsitapi, Amahana, Chippewa, Cheyenne
  • Utah: Navajo, Uinta, Ute, Paiute, Goshiute
  • Arizona: Navajo, Paiute, Hopi, Pima, Pàpago, Yuma, Havasupai, Diegueños, Cocimi, Pueblos, Opata, Hano, Maricopa, Acoma, Yaqui
  • Sonora: Pima, Cahita, Yaqui, Mayo, Seri, Maricopa, Opata, Chichimechi, Cora, Huichol
  • Wyoming: Cheyenne, Absaroke, Arapaho, Atsina, Crows, Blackfeet, Ute, Shoshoni
  • Colorado: Kiowa-Apache, Ute, Cheyenne, Arapaho, Kiowa, Comanche
  • Nuovo Messico: Apache, Lipan[18]

I nativi americani nel cinema

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Tradizionalmente nei numerosi film western i nativi americani erano rappresentati in forma stereotipata come i nemici per antonomasia dei coloni.[19] Essi apparivano agli americani di origine europea come popolazioni selvagge e crudeli, al tempo stesso il loro stile di vita pittoresco e vicino alla natura (e ormai in via di scomparsa) era continua fonte di curiosità e attrazione. Così fin dall'inizio accanto alla figura del crudele selvaggio si affianca nel cinema quella del nobile e saggio guerriero, depositario di una sapienza che gli deriva proprio dal rapporto "primitivo" e diretto con la natura. Come un animale selvaggio, il nemico per antonomasia del colono poteva così anche trasformarsi, una volta "addomesticato", nel suo compagno di avventure più utile e più affidabile. È il caso di Chincachgook (nelle varie versioni de L'ultimo dei Mohicani); Cochise (in L'amante indiana, 1950); Lone Watie (in Il texano dagli occhi di ghiaccio, 1976); Kicking Bird (Balla coi lupi, 1990); e soprattutto i fedelissimi Little Beaver e Tonto (nei numerosi film dedicati rispettivamente a Red Ryder e Lone Ranger).

Se l'amicizia a livello individuale era dunque possibile (sia pure in un rapporto mai completamente paritario), più complesso appariva il problema delle relazioni interrazziali. L'idea che una donna bianca potesse avvicinarsi ad un nativo americano (non per forza e violenza ma per amore e libera scelta) non era neppure presa in considerazione. Al contrario si presupponeva che la donna nativa provasse una "naturale" attrazione per l'uomo bianco al punto da preferirlo ad ogni altro membro della sua razza e a spingersi per amore fino al sacrificio di sé. La passione dell'uomo bianco di fronte alla bellezza esotica della donna nativa però era destinata ad esaurirsi inevitabilmente con il suo ritorno alla civiltà, di norma con un vero matrimonio con una donna bianca e l'abbandono dell'amante. Una famiglia mista poteva infatti funzionare soltanto lontano dalla società dei bianchi, era infatti impensabile che questa condizione potesse divenire socialmente accettabile. I figli in particolare per quanto "educati" sarebbero stati sempre e comunque considerati dei "nativi" esclusi dal mondo dei bianchi.

Purché le ferree regole di segregazione sociale e razziale fossero rigidamente rispettate, non mancano fin dalle origini del cinema pellicole che guardano alla vita dei nativi con sincera simpatia e curiosità etnografica. In grandi registi come D.W. Griffith e John Ford, il trattamento dei nativi americani risulta così oscillante tra i poli opposti della condanna più netta della loro barbarie e l'ammirazione un po' ingenua della loro sapienza naturale e incontaminata dalla civiltà moderna. A partire dagli anni cinquanta, e più decisamente dagli anni settanta, comincia ad affermarsi una visione più equilibrata, realistica e maggiormente complessa e sfaccettata della vita dei nativi americani e del loro complicato rapporto di incontro, scontro e confronto con la civiltà dei coloni europei. Il cinema comincia progressivamente ad allontanarsi da un trattamento del soggetto esclusivamente legato all'epopea mitica della conquista del West nell'Ottocento e ad interessarsi anche delle problematiche attuali delle relazioni interrazziali nella società americana post-segregazionista. Negli ultimi anni soprattutto l'accento si è sempre più spostato sul tema del recupero e della preservazione dell'identità etnica da parte delle nuove generazioni.

Quanto alla partecipazioni di nativi americani come interpreti nei film, essi vi sono presenti in largo numero sin dalle origini.[20] Per ragioni di verosimiglianza si ricercava l'impiego di numerose comparse: guerrieri nelle scene di battaglia ed intere famiglie (inclusi donne, bambini e anziani) a rappresentare le tribù e la vita dei villaggi "indiani". Quando però un personaggio nativo americano assumeva un ruolo di rilievo si preferiva di norma affidarsi ad attori professionisti bianchi. Per i più si trattò solo di un fatto occasionale nella loro carriera (Yvonne De Carlo, Rock Hudson, Linda Darnell, Debra Paget, Elsa Martinelli, Henry Brandon, Burt Lancaster, Jack Palance, Marla English, Anne Bancroft e Audrey Hepburn). Per altri divenne un impegno professionale che si ripeté in più di un'occasione (Charles Inslee, Mary Pickford, Richard Dix, Jeff Chandler, Anthony Quinn, Frank De Kova, Burt Reynolds, Charles Bronson, Keith Larsen e John "Bud" Cardos). Accadde talora che alcuni attori si specializzassero a tal punto nell'impersonare parti di "indiano/a" da identificarvisi anche nella propria vita al di fuori della scena, assumendo nome e identità di nativi, come nel caso di Chief Buffalo Child Long Lance, Chief White Elk, Chief Thundercloud, Mona Darkfeather, Sacheen Littlefeather e Iron Eyes Cody.[21]

Soltanto occasionalmente parti di rilievo erano affidate ad attori nativi americani. I casi più notevoli furono quelli di Dark Cloud, William Eagle Shirt (impegnato anche nel circuito circense con i Miller Brothers 101 Ranch)[22] e soprattutto James Young Deer, attore e regista, e sua moglie, l'attrice Red Wing (Lillian St.Cyr), prima coppia nativa americana a conoscere una carriera di successo e ruoli di protagonista tra il 1908 e il 1916. La lista dei comprimari è molto più lunga e include Molly Spotted Elk, Luther Standing Bear, Richard Davis Thunderbird, Charles Bruner, Charlie Stevens, Ann Ross, Chief Red Fox, Elijah Thurmont, Rod Redwing, Nipo Strongheart, Chief Yowlachie, e attori bambini come Nocki, Cheeka e Martin Good Rider.[23] I risultati migliori si hanno in film di carattere semi-documentario (The Silent Enemy, 1930), dove l'interesse etnografico imponeva un maggiore realismo ed agli interpreti era chiesto non tanto di recitare quanto di impersonare se stessi. Nei rari casi invece in cui attori nativi americani si trovassero ad interagire con i bianchi, come in Susannah of the Mounties (1939), il peso del pregiudizio li costringeva spesso ad una recitazione fortemente caricaturale.[24]

Anche in questo campo, la situazione comincia gradualmente a cambiare a partire dagli anni cinquanta con attori come Jay Silverheels, Kim Winona e il piccolo Anthony Numkena, e in modo ancora più deciso dagli anni settanta, quando nel 1971 Chief Dan George diventa il primo attore nativo americano ad essere candidato all'Oscar. Da allora al cinema e alla televisione il ricorso ad attori nativi americani si fa sempre più comune e generalizzato anche per parti principali. Tra i più noti attori nativi americani si annoverano Graham Green (candidato all'Oscar nel 1991), Wes Studi, Irene Bedard, Will Sampson, Floyd 'Red Crow' Westerman, Michael Greyeyes, Eric Schweig, Russell Means, e Chevez Ezaneh (primo attore bambino nativo americano a vincere un Young Artist Award nel 2008).[25]

Filmografia (parziale)

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  • Angela Aleiss, Making the White Man's Indian: Native Americans and Hollywood Movies (Westport/CTPraeger, 2005).
  • Gretchen M. Bataille, and Charles L.P. Silet (eds.), The Pretend Indians: Images of Native Americans in the Movies (Ames/IA: Iowa State University Press, 1980)
  • Edward Buscombe, “Injuns!” Native Americans in the Movies (Bodmin/Cornwall: Reakiton Books, 2006).
  • Joanna Hearne, Native Recognition: Indigenous Cinema and the Western (Albany/NY: State University or New York Press, 2012).
  • Michael Hilger, From Savage to Nobleman. Images of Native Americans in Film (Lanham/MD, London: Scarecrow Press, 1995).
  • Gregory S. Jay, “'White Man's Book No Good': D.W. Griffith and the American Indian.” Cinema Journal 39.4 (Summer, 2000): 3-26.
  • Jacquelyn Kilpatrick, Celluloid Indians: Native Americans and Film (Lincoln/NE: University of Nebraska Press, 1999).
  • M. Elise Marubbio Killing the Indian Maiden: Images of Native American Women in Film (Lexington/KY: University Press of Kentucky, 2006).
  • John E. O'Connor, The Hollywood Indian: Stereotypes of Native Americans in Film (Trenton/NJ: New Jersey State Museum, 1980).
  • John A. Price, “The Stereotyping of North American Indians in Motion Pictures.” Ethnohistory 20.2 (1973): 153-171.
  • Peter C. Rollins (ed.), Hollywood's Indian: The Portrayal of the Native American in Film (Lexington/KY: University Press of Kentucky, 1998).
  • Beverly R. Singer, Wiping the War Paint off the Lens: Native American Film and Video (Minneapolis/MN: University of Minnesota Press, 2001).
  • Andrew Brodie Smith, Shooting Cowboys and Indians: Silent Western Films, American Culture, and the Birth of Hollywood (Boulder/CO: University Press of Colorado, 2003).
  • Woll, Allen L. and Randall M. Miller. Ethnic and Racial Images in American Film and Television. Historical Essays and Bibliography (New York/NY: Garland Publishing, 1987).
  1. ^ Copia archiviata (PDF), su ncai.org. URL consultato il 29 maggio 2022 (archiviato dall'url originale il 26 gennaio 2022).
  2. ^ Paul Pascarosa e Sanford Futterman, Ethnopsychedelic Therapy for Alcoholics: Observations In the Peyote Ritual of the Native American Church, in Journal of Psychedelic Drugs, vol. 8, n. 3, 1976-07, pp. 215-221, DOI:10.1080/02791072.1976.10472016. URL consultato il 6 dicembre 2018.
  3. ^ Le Muse, vol. 6, Novara, De Agostini, 1965, p. 116.
  4. ^ Good Indians, Dead Indians
  5. ^ Zinn Howard, Storia del popolo americano dal 1492 a oggi, Il Saggiatore, Milano, 2005
  6. ^ Morris, pp. 297-300.
  7. ^ Mangas Colaradas
  8. ^ La rivolta di Metacomet
  9. ^ Genocidio degli indiani
  10. ^ a b c d e f Il grande olocausto dei nativi americani Archiviato il 19 dicembre 2014 in Internet Archive.
  11. ^ Il massacro del Fiume Sand Creek
  12. ^ a b John Lewis, Il massacro del Sand Creek, su presentepassato.it. URL consultato il 18 aprile 2014 (archiviato dall'url originale il 24 settembre 2015).
  13. ^ a b c Thornton, American Indian Holocaust, 48–49
  14. ^ USA: 85.000 Nativi sterilizzati con forza Archiviato il 3 gennaio 2015 in Internet Archive. 85.000 nativi sterilizzati con forza
  15. ^ https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2008/05/storie-storia-resa-wounded-knee.shtml?refresh_ce=1
  16. ^ USA, la rivolta degli indiani Lakota: "Stracciamo i trattati con il governo"
  17. ^ Il mondo fino a ieri. Che cosa possiamo imparare dalle società tradizionali?, Jared Diamond, Torino: Einaudi, 2013 ISBN 978-88-06-21452-4
  18. ^ Elenco delle tribù indiane del Nordamerica
  19. ^ I seguenti commenti sono tratti dal libro di Michael Hilger, Native Americans in the Movies: Portrayals from Silent Films to the Present (Rowman & Littlefield, 2015), che rappresenta lo studio più recente e completo sul soggetto dei nativi americani nella storia del cinema, dalle origini al presente.
  20. ^ "(EN) Redface!, su red-face.us..
  21. ^ Clint C Wilson II, Felix Gutierrez, Lena Chao, Racism, Sexism, and the Media: Multicultural Issues Into the New Communications Age, SAGE publications, 2012.
  22. ^ Julia Bricklin, America's Best Female Sharpshooter: The Rise and Fall of Lillian Frances Smith, University of Oklahoma Press, 2017.
  23. ^ Joanna Hearne, Native Recognition: Indigenous Cinema and the Western (Albany/NY: State University or New York Press, 2012).
  24. ^ Robert Nott, The Films of Randolph Scott, McFarland, 2015, pp.77-78.
  25. ^ (EN) 13 Best Native American Actors, su reelrundown.com.
  • David E. Wilkins, American Indian Sovereignty and the U.S. Supreme Court: The Masking of Justice, 0292791089, 9780292791084 University of Texas Press 1997
  • Philippe Jacquin, A. Leroux , B. Bertrand , F. Mocchia, Storia degli indiani d'America, 3ª ed., Mondadori, 6 giugno 2017, p. 214, ISBN 978-88-04-67817-5.

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