Nobiltà civica nella Marca pontificia

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La Nobiltà civica nella Marca pontificia era costituita dalle famiglie che godevano del monopolio ereditario delle magistrature nei centri urbani liberi, dove era avvenuta la separazione di ceto[1].

Le caratteristiche dei patriziati cittadini

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A partire dal XV secolo le élites cittadine della Marca Anconitana si erano venute organizzando secondo i moduli del governo aristocratico[2], e attraverso il controllo delle funzioni pubbliche e di larghe porzioni della proprietà fondiaria esercitavano un potere dai tratti nettamente oligarchici sui centri urbani e sul loro contado[3].

I patriziati urbani attingevano gran parte della loro forza economica dalla proprietà terriera[4]. Dal catasto di Recanati del 1530 si evince che quasi l'ottanta per cento della proprietà laica, pari a circa la metà dell'intera superficie comunale, era detenuto da sole sessantotto famiglie. Spesso gli stessi nuclei familiari occupavano i vertici delle chiese locali, e mediante l'affitto e l'enfiteusi controllavano indirettamente anche i possedimenti ecclesiastici[5]. A dare poi la misura del carattere spiccatamente oligarchico dei governi basti ricordare che verso fine Settecento su una popolazione totale di Arcevia di oltre ottomila persone solo sedici esercitavano effettivamente il potere[6].

La nobiltà civica era ricognitiva di uno status familiare preesistente da generazioni[7], e maturò nei Comuni a partire dal XVI secolo contemporaneamente al progressivo accentramento amministrativo dello Stato Pontificio. Le piccole patrie comunali avocarono a sé il diritto di identificare le famiglie di reggimento, punto di contatto e di mediazione tra i territori e l'amministrazione pontificia, attraverso il fenomeno della separazione di ceto e il riconoscimento dell'esercizio ereditario delle massime magistrature cittadine[8].

Il carattere dell'aristocrazia cittadina riecheggia nelle parole orgogliose di Francesco Brunamonti, esponente nella seconda metà del Settecento di una famiglia del primo ordine di reggimento di Roccacontrada, oggi Arcevia[9]:

«Il più chiaro indizio della stima che ha la nostra patria sempre avuta di sè stessa, è quella distinzione, che da altre, benchè oneste e benestanti famiglie, ha voluto che abbiano alcune sole e scelte; alle quali, finchè durano, concede privativamente rispetto a tutte l'altre, il Confalone della Giustizia. ... E questa è quella vera legal segregazione, che unita alla giurisdizione è il fondamento della nobiltà. ...(nei centri urbani dove questo non avviene) si vede nei pubblici rappresentanti quella uguaglianza, che esclude ogni specie di nobiltà, perchè non dà veruna distinzione pubblica a verun numero di famiglie, onde si conoscano per non simili ed uguali a tutte l'altre, ma segregate e maggiori.»

La classificazione delle Città e delle Terre

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I centri urbani della Marca erano composti da città e da Terre. Terra era il termine tecnico-giuridico con cui, dal tardo Duecento, gli apparati amministrativi periferici dello Stato della Chiesa indicavano nella documentazione quei centri che non godevano del titolo di civitas[10], dal momento che non erano sedi episcopali, ma che per i loro attributi istituzionali, per la vivacità economica e sociale, per l’articolazione della vita religiosa, a volte anche per le dimensioni, si definivano alla stregua di città[11].

I reggimenti aristocratici fiorirono, oltre che nelle ventidue città della Marca, anche in un numero comparabile di Terre indipendenti dove "la nobiltà minore deteneva altrettanta forza così da comprimere e ridurre a porzioni modestissime il peso e lo spazio degli altri ceti urbani"[12].

I centri urbani erano infatti distinti secondo le prerogative politico-amministrative e giurisdizionali di cui godevano. La loro prima classificazione sistematica si ebbe per motivi meramente fiscali con le Costituzioni Egidiane, che il Cardinale Egidio Albornoz promulgò a Fano nel 1357[13], e con la successiva Descriptio Marchiae Anconitanae (1362-1367)[14][15]. Essi furono suddivisi in due grandi classi: immediate subiecti, ovvero alle dirette dipendenze della Camera Apostolica, organo che amministrava il patrimonio dello Stato pontificio, e mediate subiecti, ovvero dipendenti da un altro centro abitato o da un potentato, come un signore locale. Fra i secondi, che erano perlopiù ville e castra[16], figuravano anche le Terre che erano subordinate a una città, come Camerano, che dipendeva da Ancona. Erano invece centri immediate subiecti, oltre a tutte le città, le Terre indipendenti, dove il carattere di dominio diretto esercitato dall'amministrazione papale restava spesso un dato formale e il governo locale era in realtà saldamente posto sotto la giurisdizione cittadina[17].

I moduli di governo aristocratico potevano appunto svilupparsi solamente - oltre che nelle città, ovviamente - nelle Terre rimaste indipendenti, cioè immediate subiectae[18], poiché solo queste garantivano alla comunità poteri sovrani di tipo politico-amministrativo e giudiziario, che nel tempo divennero esclusivo appannaggio della locale nobiltà, implicanti anche il governo e la giurisdizione sulle comunità del contado[19].

Origine e sviluppo della nobiltà civica

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All’indomani della pace di Cateau-Cambrésis (1559) nello Stato della Chiesa si consolidò una architettura di governo nella quale il Papa, principe naturale, lasciava un ampio margine di autonomia alle oligarchie urbane a discapito dei regimi signorili e della feudalità, marginalizzati dai pontefici nel corso del secolo precedente[20]. Lo Stato Pontificio, pur conoscendo un rilevante processo di accentramento amministrativo, venne quindi a configurarsi come una diarchia tra un apparato clericale centrale e un diffuso patriziato nei territori periferici[21].

Tale evoluzione fu particolarmente evidente nella Marca, caratterizzata fin da tempi antichi da una fitta trama di nuclei urbani[22] con un ricco e glorioso passato di autogoverno, secondo una modalità che la storiografia ha definito pattizia[23]. Gli uffici pubblici delle città e dei centri minori[24] erano frequentemente monopolizzati da famiglie legate alla curia romana da vincoli di subordinazione ma quasi sempre individuate dalle stesse élites comunali attraverso chiusure di ceto e autonome decisioni di aggregazione[25]. Solo raramente il processo di aristocratizzazione del governo locale fu gestito direttamente dai rappresentanti pontifici, dando luogo a una estrema frammentazione politico-territoriale.

Il potere centrale non si limitò a trovare un equilibrio con quello periferico ma vi si alleò esplicitamente vedendo in questo il fondamento della pace, dell'ordine sociale e un sicuro strumento di governo fiscale[26]. Una identificazione di interessi a cui non era estranea la comune origine sociale delle gerarchie e del personale dello stato, da un lato, e dei ceti dirigenti periferici, dall'altro[27]. Dalla fine del Seicento in poi, infatti, la provenienza dei pontefici, che nei secoli precedenti aveva visto l'alternarsi della grande aristocrazia italiana soprattutto centro-settentrionale, si restrinse allo Stato Pontificio, da Clemente XI Albani e Innocenzo XIII Conti, attraverso una lunga serie di papi romagnoli e marchigiani fino a Pio IX Mastai-Ferretti[28].

Si inaugurò in tal modo un regime patriziale basato sulla stratificazione sociale e scandito dalla gerarchia urbana. Il monopolio delle magistrature - Consigli, priorato, gonfalonierato - implicava l'esercizio in via ereditaria del potere legislativo, esecutivo e giudiziario di primo grado, il cosiddetto mero et mixto imperio codificato negli Statuti comunali, e il riconoscimento della nobiltà per la famiglia secondo un indirizzo che si andò sempre meglio delineando a partire dal XVI secolo.

Secondo l'Arnone[29], "allorquando i consigli nobili aggregavano un individuo non creavano in questi nobiltà, ma accertavano e dichiaravano che egli e la sua famiglia per l'antichità, il tenore di vita, la posizione sociale ed economica, la capacità, i parentadi, avevano i requisiti per essere egli ammesso a far parte del consiglio. La nobiltà quindi degli appartenenti ai Consigli civici era dichiarativa e non attributiva, ed inoltre generosa cioè proveniente da una lunga serie di avoli ed infissa nella schiatta tanto che veniva considerata valida come prova nobiliare per l'ammissione negli ordini militari".

Le oligarchie urbane della Marca arrivarono a sopravanzare per decoro, prestigio, cultura e potenza le famiglie meno ricche di origine feudale[30], adottandone gli stili di vita[31]. Esse mantennero fino all'Unità d'Italia la loro preminenza economica, che venne meno soltanto nella seconda metà dell'Ottocento quando l'abolizione dei fedecommessi, dei patronati, e dei benefici laicali determinarono il frazionamento dei patrimoni. Fatto tanto più significativo in quanto fin dalle Campagne d'Italia del 1797 i patriziati cittadini erano stati privati del loro potere essenziale, l'egemonia politica, che non avrebbero riacquistato neanche dopo la Restaurazione[32].

Diffusione della mezzadria e rafforzamento delle oligarchie urbane

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Alla vocazione agricola delle Marche la storiografia ha ricollegato gran parte delle dinamiche politiche, istituzionali, ed economiche sperimentate dalle forze aggreganti urbane[33]. L'analisi della struttura fondiaria riveste quindi un ruolo centrale per intendere l'evoluzione delle forme del potere locale[34].

A partire dal Duecento nella Marca anconitana la proprietà fondiaria venne progressivamente strutturandosi attraverso l'appoderamento e la mezzadria. Tra il Duecento e il Quattrocento si diffusero unità fondiarie compatte, dimensionate a una conduzione di tipo familiare e dotate di casa colonica e di varie infrastrutture agricole, in locazione commerciale di breve durata con contratti per lo più scritti e molto dettagliati. I patti prevedevano la divisione a metà dei principali prodotti agricoli e d’allevamento e la compartecipazione di padrone e mezzadro alle spese d’esercizio e ai capitali necessari all’azienda rurale. A metà del Trecento la fase di drammatico spopolamento causata dalla Peste Nera favorì l'estendersi della proprietà cittadina a discapito del medio e piccolo possesso contadino. Per le Marche è documentata una forte espansione quattrocentesca della mezzadria, nel quadro di un potente movimento di ricolonizzazione agricola successivo a un’ondata trecentesca di abbandoni su vasta scala[35].

L'espansione della proprietà urbana[36] diede vita a rapporti di tipo clientelare che avvolgeranno il mezzadro in forme di dipendenza sempre più accentuate[37]. Alla autorità sul contado esercitata in qualità di proprietari, i nobili possidenti univano quella derivata dall'essere ufficiali del governo comunale per giustizia, amministrazione e difesa, gestori dell'annona e dei Monti Frumentari, responsabili della ripartizione dei carichi fiscali e amministratori dei Monti di Pietà[38], finanziatori dei principali istituti di assistenza e rappresentanti dei vertici di chiese e conventi, nonché detentori di amplissimi poteri informali e infragiudiziari[35].

Il sistema mezzadrile e il monopolio aristocratico del potere, inseriti nel più ampio quadro dell'assolutismo papale, garantirono un lungo periodo di stabilità, ma anche di stasi sociale[39], da cui il mondo rurale cominciò ad emergere solo alle soglie del XX secolo[40].

Nobiltà civica e formazione degli Stati regionali

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La relazione tra nobiltà civica e titolata è emblematica del processo di formazione degli Stati regionali. I patriziati urbani incarnavano il tenace particolarismo di origine medievale di oligarchie strettamente ancorate alle loro patrie cittadine, che dirigevano e da cui derivavano nobiltà e privilegi. Era quindi naturale che la marcata frammentazione del potere implicita nell'autonomia comunale entrasse in conflitto con gli emergenti Stati regionali, di ispirazione monarchica e assolutista, che vollero assicurarsi il pieno controllo sulle dinamiche di cooptazione e di nobilitazione[41].

Esemplare in tal senso è la vicenda del Granducato di Toscana nel passaggio dai Medici agli Asburgo-Lorena. Anche nel Granducato di Toscana l’aristocrazia urbana deteneva rilevanti prerogative di governo locale, che la dinastia lorenese intese fortemente limitare[42]. Principale strumento di questo disegno fu la «Legge per il regolamento della nobiltà e la cittadinanza», promulgata da Francesco Stefano di Lorena nel 1750, che impose a tutti i rappresentanti delle oligarchie locali che desiderassero istituzionalizzare il proprio status privilegiato di sottoporsi a un esame teso ad accertare la legittima appartenenza al ceto nobiliare[43]. In tal modo la nobiltà civica era formalmente equiparata a quella titolata, la cui legittimità era sempre derivata da concessione sovrana, e vedeva venir meno quell'autonomia che riuscì invece a preservare nello Stato Pontificio fino all'instaurazione del Regno d'Italia napoleonico.

Con la Restaurazione anche lo Stato Pontificio accolse le istanze uniformatrici e di centralizzazione dell'esperienza giacobina e napoleonica, abolì gli Statuti comunali sottraendo i contadi alla secolare subordinazione alle città, e aprì cautamente i Consigli civici alla partecipazione dei ceti non nobili[27]. In seguito molti Comuni delle Terre non vennero elevati a rango di città e rimasero perciò esclusi dal novero dei centri urbani aventi ufficialmente nobiltà per effetto della riforma dell’amministrazione contenuta nel Motu proprio di Papa Leone XII del 1827[44]. Nel Regno d'Italia per detti comuni la Regia Consulta Araldica, basandosi sugli elenchi compilati dallo Stato Pontificio in epoca di Restaurazione, non riconobbe né il titolo di Patrizio né quello di Nobile[45].

L'analisi degli storici

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Il reggimento oligarchico dei Comuni - di cui la Marca fu un esempio eminente - è stato ritenuto dagli storici un elemento caratterizzante della società italiana in epoca moderna, destinato ad avere importanti ripercussioni sull'identità della classe dirigente che avrebbe condotto l'Italia all'unificazione.

Fondamentale è stato riconoscere le radici storiche alla base dell'affermazione dei nuovi ceti dirigenti. Questi emersero vittoriosi dalle secolari lotte di fazione tra cives e rappresentanti popolari di arti e mestieri[46], che vennero infine completamente estromessi dal potere. Una dinamica che evidenzia la lunga gestazione delle oligarchie in seno ai Comuni e la natura essenzialmente ricognitiva della nobiltà civica, frutto di una preminenza sociale di lungo periodo[47].

A partire dal XVI secolo l'egemonia aristocratica impresse alla vita sociale una forma gerarchica, persino a livello paesaggistico con la diffusione della villa all'italiana, che assunse per i patriziati cittadini il significato che il castello aveva avuto per la feudalità[48]. Si instaurò un regime di dipendenza dalle famiglie potenti cui dovettero sottostare, oltre al contado, la quasi totalità delle classi urbane artigiane e commercianti, reintroducendo un sistema di clientele che era stato caratteristico della società feudale, e che la prima epoca dei Comuni sembrava aver eliminato con l'instaurazione di una società più mobile e aperta[49].

L'alto grado di integrazione sociale che venne a stabilirsi mise fine alle lacerazioni e ai contrasti che avevano caratterizzato l'epoca comunale, al costo di un assetto sostanzialmente paternalistico e autoritario[49], anche se le piccole patrie aristocratiche conservarono per le epoche successive il gusto della legalità, del confronto politico largo e dell'uguaglianza (entro il ceto)[50].

"La grande affermazione storica delle classi che diedero vita alla civiltà comunale e ai suoi sviluppi rinascimentali appare, così, inseparabile dalla prosecuzione di fatto di una condizione politica - il particolarismo - che era stata una caratteristica del mondo medievale"[49], con conseguenze che incideranno sulle capacità di sopravvivenza dei principati prima, e sul processo di unificazione italiano in seguito[51].

Le casate nelle Città della Marca Anconitana

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Di seguito sono elencate le casate nobili delle città della Marca. In nota sono riportate le fonti da cui ciascuna lista è stata desunta, assieme a brevi cenni sulla tipologia di reggimento oligarchico che venne a stabilirsi nei centri principali.

L'importanza delle casate, della loro origine, dell'articolazione del loro potere non di rado esteso a più città o Terre, è duplice. Da un lato esse costituirono il ceto dominante e, spesso, anche quello dirigente, dall'altro incarnarono nuovamente nei secoli XVI-XVIII un carattere originario del Comune italiano, e cioè il suo essere prevalentemente signorile, prima che "borghese".

Nelle parole di Philip Jones[52]: "nella forma o nella sostanza, la storia politica dei Comuni cittadini, come quella sociale, fu una storia delle famiglie principali, delle casate civiche e sempre più frequentemente comitatine, terriere o feudourbane. Nati signorili, tali nella maggioranza dei casi i Comuni essenzialmente rimasero. A differenza delle città transalpine, essi non furono in generale, come città-Stato, governati o conquistati da interessi mercantili [..] la politica era regolata da forze più antiche e indipendenti dallo sviluppo economico e dagli obiettivi "borghesi"; le più intense, se non le più profonde, divisioni politiche non erano, come oltralpe, conflitti economici di mercanti e "meccanici", di capitale e lavoro, o neanche conflitti di classe, ma vendette e constrasti tra fazioni e parentele aristocratiche che aspiravano, e alla fine arrivarono, sotto forma di signoria, al domino esclusivo sopra tutto il resto."

Ancona[53]

Accialini - Agli - Albrici - Alessandri - Altobelli - Amboni - Amoni - Angeli - Antiqui/Antichi/Antici (col ramo Antici Mattei di Giove) - Aqueri - Aquila - Arcangeli - Armenticci - Balestrieri - Bartoli (Bertola?) - Bartulucci/Bartolucci - Baruti - Benincasa - Berardini - Bernabei - Bernardini - Betti - Bianchi - Binolfi - Boccaleoni - Boccamajori - Bompedoni-Zanni/Ziani - Bompiani - Bonandrini - Bonanni - Bonarelli (coi rami Bonarelli della Colonna e Bonarelli della Rovere) - Bonda-Giorgi - Bonfiglioli - Bongrani - Borbone - Bosdari - Brancaleoni - Brandolini - Brinci - Brizi - Buceleni/Buccelleni - Buscaratti - Camerata [21] - Cadolini - Camaianj - Capistrelli - Capoleoni, estinti nei Bussolari - Carboni - Carli - Carlino - Carrali - Cartolari - Casalini - Cavalli - Ceci - Cugni - Damiani - Diani - Fanelli (col ramo Fanelli-Tommasi) - Fatati/Fattati - Fazioli, originari di S. Vittoria in Matenano - Ferdini - Ferducci - Ferrantini - Ferrari - Ferretti (entrambi i rami) - Fiorini - Fulgentini - Gabrielli - Galli - Garucioli/Garrucioli - Gentili - Giacchelli - Giamagli - Giorgi-Bonda - Giovanelli/Giovannelli - Giraud - Gozolini - Graziani - Grazioli - Griffoni/Grifoni - Grimaldi - Gualterucci - Invitti - Iparchi - Leoni - Lucini - Ludovici - Lunari - Magi - Mainardi - Majù - Malacari - Mancini - Manfredi - Manzoni - Marcellini - Marchetti - Marganetti - Marinozzi - Mascioli - Masseri? - Mazzei - Migliorati - Monaci - Monte (del) - Monteferri - Montefani - Mugnadini - Muti - Nappi, forse estinti nei Carsuggiani - Nembrini (con ramo Nembrini-Gonzaga) - Orbeveteri - Ortoni - Palunci - Papis - Passeri - Pavesi - Pelago - Pera - Pichi di Borgo San Sepolcro (col ramo Pichi-Mei) - Pilestri - Pironi - Pizzocari - Pizzoni - Polidori - Polzoni - Querenghi - Racani - Reggi - Reppi - Righi - Rinaldini (col ramo Rinaldini-Tancredi) - Roscioli - Rossi - Ruffini - Sacchi - Saracini - Scacchi - Scalamonti - Scottivoli - Senati - Senili - Soranze (?) - Stocchetti - Stracca - Sturani - Tancredi - Tarelli - Tellini - Todini - Tomasi/Tommasi - Toriglioni/Torriglioni (col ramo Toriglioni de Passen) - Torresi - Trinchieri - Trionfi (col ramo Trionfi-Honorati) - Troili - Valentini - Vandergoes - Vecchioni - Venerj - Vincenzi - Vitali - Zanola - Zanni-Ziani-Bompedoni

Cingoli[54]

Bartoli - Bellaspiga - Benvenuti - Bernardi - Bertucci - Blancatelli - Boccacci - Bruni - Calvelli - Catani - Cavallini [22] - Ciamberlini - Cima [23][24] - Cima delle Stelle - Clavoni - Conti [25] - Cristiani - Eustachi - Falcetta - Fauni - Franceschini - Gallo - Gentiloni - Giulioni - Giustiniani - Graziosi - Leoncini - Lipponi - Longhi - Maria - Mattarelli - Mazzavelli - Mazzini - Muccetta - Onori - Perfetti - Pergoli [26] - Pinelli - Raffaelli [27] - Roccabella - Rocchetta - Romani - Sacchetti - Sanzi - Severini - Silvestri [28] - Simonetti [29][30] - Vannuzzi - Venanzi - Vici

Corinaldo[55][56]

Amati - Boscarini - Brunori (poi Brunori Querenghi) - Cesarini (poi Cesarini Duranti) - Ciani - Cimarelli - Gaetani - Gentili - Gioacchini - Marrovelli - Mattei - Mazzoleni - Orlandi - Ottaviani - Paris - Perozzi - Ridolfi - Roberti - Rossi - Sandreani - Sanzi - Sforza - Tesei - Torres - Vencenzi/Vincenzi

Fabriano[57]

Acciacca - Adami - Agostini - Alberti - Allegretti - Aloisi - Altini - Ambrosi - Angeletti - Apolloni - Arpi - Attidi - Attoni, feudali - Aymelda - Baldassini - Baldelli - Baldini - Balducci - Barberini - Barboni - Bargagnati - Baroni - Bartoli - Bartolo - Bastari - Battaglioni - Becchetti - Bellari - Benigni - Benvieni - Bianchi - Bigonzetti - Bizzocchi - Bonagura - Bontempi - Bosi - Braccini - Brasca - Broglio - Brunamonti - Brunetti - Bufera - Bugatti - Burzacchi - Buti - Caldori - Campana - Campioni - Capannaroli - Cappelletti - Carlucci - Castrica - Cave - Censi - Censori - Cerbelli - Cerilli - Chiavelli - Chiavellini - Ciappi - Cicchetti - Cinotti - Clari - Colini - Corradi - Corradini - De Vecchi - Del Grillo - Del Marro - Del Serchio - Della Genga, feudali - Della Porta - Della Torre - Dell'Uomo - Domizi - Donati - Ercolani - Fabbri - Farnese - Farratoni - Fattorelli - Favarelli - Favorini - Ferrata - Ferretti - Fidismidi - Fiorini - Flori - Fornari - Galli - Gennarini - Gentilini - Giampé - Giannini - Gilii - Gionantoni - Gionta - Giovani - Gobbetti - Graziosi - Guarini - Guerrieri - Guglielmi - Guzzolini - Isaia - Latini - Lenci - Licini - Lori - Lucatelli - Maffoli - Malatesta - Malvaioli - Mammoletti - Manari - Mancini - Mannelli - Manni - Marcellini - Marchetti - Mariani - Marini - Maruti - Maurizi - Mentenni - Mercurelli - Merli - Mezzanotte - Miliani - Mirabucci - Mondati - Montani - Morelli - Morichi - Moroncelli - Moscardelli - Moscatelli - Mostarda - Muccioli - Nepis - Olibani - Onesti - Orlandi - Ottoni - Paci - Paganelli - Palamidessi - Pallotta - Patrizi - Pedonei - Pellacchia - Pellegrini Quarantotti - Periberti - Peroli - Perozzi - Perucci - Petrollini - Pettoni - Piccinini - Pico - Possenti - Quirini - Rabatta - Raccamadoro Ramelli - Raffaelli - Ramelli - Razzanti - Refrigerati - Righi - Rinaldini - Romalduzzi - Ronca - Roncalli - Benedetti - Rosei - Rosi - Rossetti - Sabbatini - Santachiara - Santacroce - Santi - Sanucci - Saraceni - Sassi - Savini - Scacchi - Scarsellati - Semprebene - Serafini - Severini - Silvani - Simoncelli - Sinibaldi - Sordini - Stelluti Scala - Stufa - Taramanni - Teccosi - Tempestini - Tinti - Toccacieli - Toni - Torsello - Turco - Ungarini - Vallemani - Vecchi - Venanzi - Venimbeni - Venturini - Zobicco - Zonghi Lotti - Zuccari

Fano[58]

Agolanti - Alavolini - Alessandrini - Amiani - Angelici - Arnolfi - Avveduti - Bambini-Borgogelli - Barocci - Bartolelli - Bellocchi - Berardi - Bettera - Bettoli alias Della Fiorentina - Biancolini - Biccardi - Billiotti - Boccacci - Boglioni - Bonaccorsi - Borgarucci - Borgogelli - Borgognini - Bracci - Brichinelli - Brizi - Brunetti - Canossa - Cantarini - Carrara - Castracane - Castracane di Cagli - Cigni - Ciucci - Clementi - Corbelli - Costanzi - Cuppis (De) - Danielli - Della Fiorentina o Bettoli - Del Prete o Presbiteri - Dionigi - Diotallevi - Duranti - Durantini - Duti - Evangelisti - Fabri - Ferri - Firmani - Flavi-Costanzi - Floridi - Forestieri - Francescucci - Gabrielli - Gabuccini - Galassi - Galletti - Gambetelli - Gasparoli - Gianetti o Zanetti - Giangolini - Giorgi - Giorgi d'Orciano - Gisberti - Graziani - Gualteruzzi - Guarini - Lanci - Leonardi - Leonelli - Marcelli - Marcolini - Martinenghi-Colleoni - Martinozzi - Michelucci - Millioni - Montevecchio - Negusanti - Nicolini - Nolfi - Oddi - Palazzi di Fano e Palazzi di Brescia - Paleotti - Panezi - Pazzi (De) - Passeri - Peruzzi - Petrucci - Pichi - Pili - Podaliri - Poliardi - Priori - Righi - Rinalducci di Rimini - Rinalducci di Fano - Roncoli - Rusticucci - Sabbatini - Salvolini - Saraceni - Scacchi - Severi - Sigisberti - Simonetti di Fano - Simonetti di Jesi - Soldati - Sperandio - Speranza - Stamegna - Stati - Tomani - Tommasini di S. Costanzo - Tommasini di Fano - Tonsi (De) - Torelli - Ubaldi - Uffreducci - Vignattoli - Vincenzi - Vita - Zagarelli

Fermo[59]

Adami - Altocomandi - Ambrosij - Arbustini - Azzolini - Barabucci - Bartolotti - Bartacchini - Bevilacqua - Briscia - Brancadori - Calabri - Caluci - Careli - Cecichi - Cordella - Corsi - Costantini - Doria - Facci - Falconi - Ferranti - Gigliucci - Grassi - Grisostomi - Guerrieri - Helij - Luccili - Mancini - Martelli - Matteucci - Montani - Monti Mori - Morichi - Mortoni - Nobili - Olivieri - Orlandi - Paccaroni - Pacini - Palmieri - Pernessi - Piergiovanni - Potti - Rainaldi - Ricciardi - Riccamadori - Ricci - Rosati - Ruffi - Sabbini - Sanguigni - Santoni - Sauini - Scatoni - Sciaura - Semmbronij - Spaccasassi - Spinucci - Tassoni - Tornaboni - Vigoritij - Victorij

Jesi[60]

Baldassini - Benigni - Bonacci - Campagnoli - Colini - Colocci [31] - Familume - Ferranti - Fiordemonti - Fossa - Franceschini - Franciolini - Gherardi - Ghislieri - Greppi - Grizi - Guglielmi - Honorati - Leopardi - Magagnini - Marcelli - Misturi - Mosconi - Pianetti - Ricci - Ripanti - Salvoni - Tosi - Ubaldini

Loreto[61]

Bartolini - Borghi - Gaudenti - Gianuizzi - Grondona - Gualterio - Loviselli - Massucci - Pellegrini Quarantotti - Querenghi - Rozzi - Sertori - Silva - Solari - Vannetti

Macerata[62]

Accoretti - Adriani - Alaleona - Alaolini - Amici - Angelucci (XIV) - Asclepi - Aurispa - Balleoni (XVIII) - Bandini - Barvicchi (XVIII) - Bernabò - Boccaleoni - Bongrazi (XVIII) - Bonifazi (XVIII) - Borrocci (XIV) - Bracconi (XIV) - Buonaccorsi - Burgi - Capotosti (XVIII) - Carboni, feudali - Carradori - Cassini - Censio (XVIII) - Centi - Ciccolini (XIV) - Ciccolini-Silenzi - Ciminelli - Cinelli (XIV) - Cittadani - Civalli - Clarignani - Claudiani (XIV) - Collaterale (XVIII) - Compagnoni, feudali - Compagnoni-Burgi - Compagnoni-Marefoschi - Compagnoni-Floriani - Consalvi (XVIII) - Conventati - Costa - Daganelli - De Geronimis (XIV) - De Vico - De Vico-Ubaldini - Ercolani - Fedeli (XIV) - Ferri (XIV) - Filippucci - Firmani - Flaviani (XVIII) - Floriani - Frontoni (XIV) - Gabuzi - Galeotti - Gasparrini (XIV) - Gizzi - Gnudi - Graziani - Gregoretti (XVIII) - Ilari (XVIII) - Illuminati (XVIII) - Jozzi (XVIII) - Lauri - Lazzarini - Mancinelli (XIV) - Marchegiani - Marchetti - Marefoschi - Mareotti (XVIII) - Massi - Morichi (XVIII) - Mornatti (XVIII) - Mozzi - Nardi - Narducci - Narducci-Boccaccio - Nelli (XVIII) - Pallotta (XVIII) - Palmucci (XIV) - Palmucci de' Pellicani - Panici (XIV) - Pavoni (XVIII) - Pellicani - Pistaferri - Ranaldi (XVIII) - Ranaldi-Gregoriani - Ranucci - Razzanti - Regi - Ricci [32] - Ridolfi - Ridolfini - Romani - Rosati - Rossini (XVIII) - Rotelli - Ruggeri - Santij - Silvani - Silvestri - Spagni - Spinucci - Terribili (XVIII) - Tomassini (XVI)[63] - Tomassini Barbarossa (ramo del precedente reintegrato nel 1848)[63] - Torre Magno (de) - Tosti - Troili - Ugolini - Ulissi (XIV) - Virginii - Viscardi - Zamboni (XVIII)

Recanati[64]

Alberici (XIV)[33] - Alemanni (XIII), cavalieri di Malta 1574 - Angelita (XV), conti palatini imperiali 1468 - Antici (XII), conti di Castel San Pietro 1249, conti palatini imperiali 1269, cavalieri di Santo Stefano 1585, cavalieri di Malta 1611, marchesi 1637, principi - Ballatroni (XV) - Ballucci (XV)- Barlocci (XV) - Bencioli poi Pucci (XV) - Benvenuti-Angelelli (XIV) - Bonamici (XV) - Bongiovanni (XIII) - Bosoni (XV) - Botani (XV) - Bracci (XV) - Bramanti (XV) - Brancaleoni (XV) - Buratti (XVI), ordine di San Maurizio e Lazzaro sec. XVI - Calcagni (XIV), cavalieri di Malta 1711 - Calcioni (XV) - Cambi (XVII) - Capitosti (XV) - Carboni-Butoli (XV) - Carboni (XVI) - Ceccoli (XVI) - Ciattoni (XV) - Cima (XVII) - Colombella (XV), cavalieri di Santo Stefano 1630 - Condulmari (XIII), cavalieri di Santo Stefano 1569 - Gonfalonieri (XIII), cavalieri di Malta 1496, cavalieri di Santo Stefano 1573 - Corraducci poi Mazzagalli (XIV), conti sec. XVII - Costantini (di Andreuccio) (XIV) - Costantini (della Penna) (XV) - Costantini (delle Sonaglie) (XIII), cavalieri di San Maurizio nel 1567 - Cruciani (XIII), cavalieri di Santo Stefano 1599 - Flamini, cavalieri di Santo Stefano 1607 - Gherarducci (XIV), cavalieri di Santo Stefano 1600 - Giardini (XVI), conti palatini 1518, cavalieri di Santo Stefano 1564 - Gigli (XIV) - Giorgi (XVI) - Giunta (XV) - Jacobelli (XVII) - Jacometti (XV) - Lazzari (XV) - Leopardi (XIII), cavalieri di Malta 1565, conti di San Leopardo 1726 - Lepretti (XV) - Lizzonetti (XV) - Lucidi (XV) - Lunari (XIV), cavalieri di Malta - Masi (XIV), cavalieri di Santo Stefano 1630 - Masini-ConsoIi (XIV) - Massi (XV) - Massioni (XV) - Massucci (XIII), cavalieri di Malta 1575, cavalieri di Santo Stefano 1604 - Mazzaferro (XV) - Mazzoni (XV) - Melchiorri (XIV), cavalieri di Malta 1573, marchesi - Meoli (XIV), cavalieri di Santo Stefano 1709 - Monaldi (XIV) - Moroni (XVI) - Pastrovicchi (XVI), cavalieri di San Michele 1622 - Percivalli (XIII), cavalieri di San Maurizio e San Lazzaro - Perozzi (XVII), cavalieri di Santo Stefano nel sec. XVII - Piercicarelli (XV) - Pierviti poi Pazzaglia (XV) - Polini (XIV) - Politi (XII), conti palatini imperiali 1249 con predicato di Nussignano - Pronti (XIV) - Pucci (di Firenze) (XV) - Riccabella (già Servanni?) (XVI) - Roberti (XIV) - Rogati (XV) - Ruffini (XV) - Ruggeri (XVI) - Sanguigni (XIV) - Servanni (XIV) - Soffia (XV) - Squarcia (XV) - Stabili (XVI) - Tomassini (XVII)[63] - Trebbiani (XV) - Venieri (XIII) - Verzelli (XVII) - Vignati (XV) - Vitali (XVI) - Vulpiani (XIII) - Zenobi (XVII)

Le casate nelle Terre della Marca Anconitana

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Di seguito sono elencate le casate ascritte alla nobiltà di ventiquattro Terre della Marca pontificia di antico regime, identificate dallo storico Bandino Giacomo Zenobi[12]. Egli mostra attraverso l'esame della legislazione statutaria che in quei nuclei urbani era avvenuta la separazione di ceto, e grazie a una ricerca condotta su fonti archivistiche settecentesche («bussoli», «estrazioni», «consigli») identifica i 365 lignaggi[65] che parteciparono in maniera ereditaria al loro reggimento. Accanto a ciascun cognome tra parentesi è indicata l'epoca a cui è possibile far risalire il casato[66].

Giova precisare che Zenobi, per redigere il suo elenco, ha analizzato solo piccole porzioni temporali dei registri dei bussoli e dei Consigli ed afferenti principalmente al secolo XVIII. Ciò ha portato alla conseguente esclusione delle famiglie ascritte ai reggimenti delle Terre sia prima delle date da lui considerate, sia dopo, ovvero durante le varie restaurazioni del Governo Pontificio avvenute prima della grande riforma amministrativa del 1816[67][68].

Va inoltre ricordato che nelle Terre - specialmente dopo la metà del secolo XVIII - avvenivano aggregazioni nel cosiddetto "Bussolo degli Onorari". In questo bussolo figuravano famiglie non residenti localmente e che non erano chiamate a partecipare direttamente alla vita politico-amministrativa, ma che all'occorrenza potevano esserlo: l'esempio più classico consisteva nell'utilizzo degli Onorari per rimpiazzare le estinzioni delle stirpi locali di reggimento, evitando quindi aggregazioni dagli altri ceti sociali. Anche queste famiglie - per ovvi motivi - spesso non figurano nell'elenco redatto da Zenobi[68].

Un fulgido esempio di quante casate non figurino negli elenchi di Zenobi per questioni puramente metodologiche lo fornisce Marco Moroni, il quale ha enumerato tutte le schiatte di reggimento di Castelfidardo suddivise per secolo di aggregazione, per un totale di ben 84 famiglie, rispetto alle appena 24 individuate da Zenobi[69].

Amandola[70]

Benattendi (XVI), nobili di Cingoli 1799 - Bongrazi (XVI) - Calza (XVI) - Ciccarelli (XVIII) - Farina (XVI) - Gallo (XIV)[34], nobili di San Severino, conti 1804 - Guglielmi (XVIII) - Lucidi (XVIII) - Manardi (XV), aggregati anche a Montefortino - Muziani (XVII) - Pascucci già Righi (XIII), feudali, nobili 1690 - Passeri (XVI) - Plebani (XVI), conti fine sec. XVIII - Pochini (XVIII) - Ricci-Spadoni (XVII) - Ronconi (XVI) - Rossi (de') (XVII) - Treggiali (XVI)[71] - Vermigli (XVII), nobili di Cingoli 1788 - Zucchi (XVII)

Apiro

Boncambi (XVIII) - Canonici (XVI) - Conti (XVIII) - Fedeli (XVII), nobili di Macerata - Madagnini (XVII) - Mariotti (XVIII) - Pelagalli (XVIII) - Perucci (XVI) - Scoccianti (XV) [35] - Turchi (XVIII) - Ventroni (XVII)

Castelfidardo[72][73]

Bartolini (XVIII) - Bertoni (XVIII) - Carelli (XVIII) - Ciccolini (XV), originari di Macerata, patrizi maceratesi, nobili romani 1574, marchesi 1666 - Federici (XVIII) - Filippi (XVIII) - Fiorani (XVIII) - Gentilucci (XIII), originari di Montecassiano, ove erano aggregati, nobili di Recanati, conti 1667, estinti nei Mei di Ancona sec. XIX - Ghirardelli (XV), nobili di Cingoli 1787 - Leopardi (XIII), nobili di Recanati, conti di San Leopoldo 1726, aggregati 1793 - Lepretti (XVIII), nobili di Recanati 1795 - Massimi (XVI) - Massucci (XVI), nobili di Osimo - Quarantotti-Pignocchi (XVIII), marchesi, nobili romani - Ranaldi (XVIII) - Riccardini (XV), nobili di San Severino 1795 - Sabbatini (XVIII) - Sciarra (XVIII)[74], nobili di Numana 1775 - Silva (XVI), nobili di Ancona 1750, nobili di Osimo, aggregati sec XVIII - Tassetti (XVIII) - Tomassini (XV)[75], nobili di Macerata e Recanati - Uguccioni (XVIII) - Vigentini (XVIII) - Zani (XVIII)

Castignano

Angelini (XVIII) - Brunamontini (XVI) - Carlini (XVI), nobili di Montalto 1730 - Gasparrini (XVII) - Gelosi (XV), nobili di Montalto 1711 - Ianni (XVIII) - Marinucci (XVI) - Pignotti (XVI) - Recchi (XV), nobili di Ferrara, nobili di Montalto 1747, conti palatini del S.R.I. - Siliquini (poi De Carolis) (XIV) - Tanzi (XV)

Montecassiano

Antimi (XVII) - Antolini (XV), nobili di Macerata 1441, nobili di Montalto 1650, nobili di Cingoli 1788, nobili di Ostra - Buratti (XIII), ordine di San Maurizio e Lazzaro sec. XVI, nobili di Recanati 1567, reintegrati 1735, nobili di Cingoli 1744 - Capponi (XVI), ordine di ...1602 - Cesaretti (XVII) - Compagnucci (XV) - Dionisi (XIII), nobili di Treia, nobili di Montalto 1715 - Ferri (XII)[36], feudali, eredi di un ramo Buratti e aggregati 1689, patrizi maceratesi 1724, marchesi sec. XIX - Filippo (XVIII) - Gaspari (XVII) - Gentilucci - Giannucci (XVIII) - Mancini (XVII) - Mariotti (XVII) - Orsini (XVII), originari di Apiro, aggregati 1645-40 - Pochini (XVII) - Quattrini (XV) - Salvucci (XVII) - Scaramuccia (XV) - Schinetti (XVII) - Tosi (XVI) - Tulli (XVII)

Monte Fano, oggi Montefano

Alessandrini (XVIII) - Balleani (XVIII) - Carradori (XIV) [37], patrizi maceratesi, nobili di Ancona, nobili di Recanati, conti 1728 - Consalvi (XVI), patrizi maceratesi 1776, marchesi - Consoli (XVIII), nobili di Osimo - Panici (XIV), patrizi maceratesi, conti - Perugini (XVIII) - Volponi (XVIII), nobili di Osimo

Montefortino

Andreozzi (XVII) - De Cesaris (XVIII) - Geminiani (XVII) - Giuliani (XVII) - Gualtieri (XVIII) - Lamponi (cfr Monterubbiano) - Leopardi [38](cfr. San Ginesio) - Manardi (cfr. Amandola) - Pomponi (XVIII) - Spagnoli (XVIII) - Sparretti (XVII)

Montegiorgio

Agliati (XVI) - Alaleona (XIV), feudali, nobili romani, patrizi maceratesi - Allevi (XIV) - Boncori (XIII) - Calisti (XVI) - Ercolani (XVII) - Gallucci (XVI), ordine di Santo Stefano - Isopi (XV) - Latini (XV) - Natali (XVI) - Passari (XIII), nobili romani, patrizi di Fermo e di Foligno, marchesi di Fontebella - Patti (XVII) - Pellei (XVI), ordine di Cristo 1651, nobili di Montalto 1845 - Prosperi (XVI) - Radicini (XVI) - Rossi (de') (XVI), conti palatini del S.R.I. 1654, nobili di Narni, patrizi fermani - Valera (XVIII) - Zenobi (XIV), nobili di Recanati 1601, nobili di Montalto 1742

Montelparo

Adriani (XV), nobili di Montalto 1795 - Aloisi (poi Palma) (XVI) - Berardi (XVIII) - Capestrelli (XVI) - Catalani (XVI) - Colangeli (XVIII) - Cornacchia (XVIII) - Ercolani (XVI) - Felici (XVII), nobili di fermo 1754 - Giustiniani (XVIII) - Lorenzini (XVI) - Morelli (XVIII) - Pellei (cfr. Montegiorgio) - Poncellini (XVI) - Squarcia (XVI) - Stecchi (XVI), ordine di Cristo 1650 - Travalloni (XVI) - Valeriani (XVIII)

Montelupone

Aureli poi Pozzi (XVII) - Barbarossa poi Tomassini (XV) - Basvecchi (XV), nobili di Norcia 1783, nobili di Recanati 1784 - Celsi (XVII) - Eleuteri (XVIII) - Garulli [39] (cfr. Monterubbiano) - Pochini (XVII) - Santoni (XVIII) - Spina poi Borgianelli (XVII) - Terenzi (XVIII) - Tomassini[76] - Urbani (XVIII)

Monte Milone, oggi Pollenza

Assortati (XVIII) - Fiorenzi (XIII), conti 1570, nobili di Osimo e di Ancona - Galli (XVIII) - Lazzarini (XIII), conti, patrizi maceratesi 1669 e 1770 - Marchetti (XVIII) - Morroni (XVIII) - Narducci (XIII), nobili di Siena, nobili di Macerata - Padovani (XVIII) - Palmesani (XVII) - Palmucci (XVII) - Ranaldi (XVIII), nobili di Macerata - Sbrilla (XVIII) - Scolastici (XVIII)

Monte Novo, oggi Ostra Vetere

Buti (XVII), nobili di Ancona, patrizi romani, marchesi 1734 - Franceschini (XVI)[40], conti, nobili di Jesi - Guerra (XVIII) - Innocenzi (XVIII) - Maurizi (XIII), conti, nobili veneti 1468, nobili milanesi, nobili di Fossombrone 1559, di Jesi 1728, di Pesaro e San Marino sec. XVIII - Monti (XVI), nobili di Senigallia - Ricci (XVIII)

Monterubbiano[77]

Bennati (XV) - Falconi (XIV), conti, patrizi di Fermo - Garulli (XIV)[41], conti, patrizi fermani 1681, nobili di Ripatransone 1712, nobili di Ancona sec. XIX - Lamponi (XIII), patrizi fermani 1555, ordine di Santo Stefano sec. XVI - Laurenzi (XV) - Monti (XVIII) - Morici (XII), nobili di Montalto 1706, di Tolentino 1797, patrizi fermani 1777, marchesi 1829 - Onesti (XV) - Paccaroni (XIV)[42], patrizi fermani 1525, patrizi di Ascoli, conti 1610 - Secreti (XIV)[43], nobili di Camerino 1717, nobili di Montalto 1788

Monte San Pietrangeli

Acerbotti (XVI) - Amici (XVI), nobili di Ascoli - Avetrani (XVII) - Barbarossa (XVII) - Bracci (XVIII) - Ciapponi (XVIII) - Fedeli (XVIII) - Gasparrini - Leopardi (XVII) - Mandiroli (XVI), patrizi maceratesi, nobili di Montalto 1631 - Mistichelli (XVII) - Olivieri (XVIII) - Ouintiliani (XVII) - Rossini (XVIII) - Tresani (XVII)

Monte Santo, oggi Potenza Picena

Bernabei (XIII), patrizi anconitati, conti 1700 - Buonaccorsi (XIII), patrizi maceratesi 1496, bolognesi 1677, conti di Castel San Pietro - Cenerelli (XVIII) - Carradori (XIV), conti, patrizi maceratesi, nobili di Ancona e di Recanati - Gasparrini (XVI) - Grisei (XVI), nobili di Camerino sec. XVIII - Manciforte (XVII)[44], patrizi anconitani, marchesi - Marefoschi (XVII) - Mazzagalli (XIII)[45], conti sec. XVII, nobili di Recanati, patrizi di Foligno - Pasquali (XVI) - Rinaldini (XV)[46], conti, patrizi anconitani - Scoccia (XVI) - Torre (della) (XVII), conti, patrizi maceratesi 1720, nobili di Recanati 1732

Montolmo, oggi Corridonia

Bartolazzi (XV), nobili di Cingoli 1788, nobili di Fabriano - Foglietti (cfr. Sant'Elpidio) - Franchellucci (XVIII) - Gregoretti (XVIII) - Latini (XVI) - Marucci (XVIII) - Nobili (XI), feudali, signori di Petriolo 1236 - Orsetti (XVI) - Pampinoni (XVI) - Paoletti (XVIII), nobili di Fabriano 1800 - Riccardini (XVIII) - Rossini (XVI) - Tomassini (XVIII) - Ugolini (X), feudali, signori di Castel Collebucato, marchesi - Vincenzi (XVIII)

Morrovalle

Amici (XVI), patrizi maceratesi - Bartoli (XVIII) - Buzi (XVIII), nobili di Fiume - Ciccolini (cfr. Castelfidardo) - Collaterali (XV) - Giovannoni (XVIII) - Grisei (cfr. Montesanto) - Luciani (XVIII) - Malvezzi (XVII) - Marchetti (XV), nobili di Macerata - Mazza (XVII) - Meconi (XVIII) - Mozzi (XV)[47], patrizi maceratesi - Porfiri (XVI), conti - Prosperi (XVIII) - Roberti (cfr. Sant'Elpidio)

Penna San Giovanni

Brancadori (XVIII) - Brancondi (XVIII) - Cini (XVIII) - Colucci (XIII), nobili di Ascoli 1775, nobili di Camerino 1793 - Ferraguti (XVII), nobili di Ascoli 1788 - Miti (XVIII) - Perucci (XVII) - Rioli (XVI) - Scipioni (XVI) - Vecchi (XIII), patrizi fermani

Roccacontrada, oggi Arcevia

Alavolini (XIV), nobili di Fano, patrizi maceratesi, conti palatini del S.R.I. 1499 - Anselmi (XVI) - Bianchi (XIII), feudali, signori di Rosora dal 1249 - Brunamonti (XII), feudali, conti di Serra e nobili di Gubbio sec. XIII, nobili di San Marino sec. XVII - Carletti (XV), conti palatini del S.R.I. 1721 - Filippini (XIII), feudali, signori di Montesecco 1238 - Fossi (XIII), feudali a Rocca 1284, nobili di Jesi - Mannelli (XIII) - Michelangeli (XVI) - Niccolini (XVII) - Orsini (XV), nobili di Norcia - Padovani (XV) - Palazzi (XVI), ordine di Cristo 1613 - Pascuzi (XIV) - Rotati (XVI) - Stelluti-Scala (XIII), feudali, conti di Rotorsio 1662, nobili di Fabriano 1711, nobili di Macerata 1737 - Tarugi (XIII), feudali, signori del Monte 1226 - Tasti (XIII) - Tesei (XVI) - Zitelli (XIV), conti palatini del S.R.I.

San Ginesio

Barbi (XVI), nobili di Macerata 1642 - Benigni (XVI) - Bruti (XVII) - Caioti (XVII) - Clementini (XVII) - Flaviani (XVII) - Gentili (XII), feudali, marchesi, nobili del S.R.I. - Giberti (XII), feudali, consorti di San Costanzo e Cerreto, marchesi, nobili di Ascoli 1607, nobili di Montalto 1649, nobili romani 1654 - Leopardi (XIII) - Lucci (XVIII) - Maiani (XVII) - Matteucci (XIII), feudali, patrizi fermani, ordine di San Michele sec. XVI, nobili di San Severino, nobili di Ravenna - Mazzabufi (XIV) - Michelangioli (XVIII) - Migliorelli (XIII) - Morichelli (XVI) - Onofri (XVI), ordine di San Michele 1650, conti di San Benedetto in Valle Maestra 1795 - Pallotta (XIII), feudali, conti, patrizi di Camerino e Macerata, nobili di Tolentino e di Ferrara - Passeri (XIII), ordine di Cristo 1631 - Petrelli (XV) - Ragoni (XVI) - Vannarelli (XIV)

San Giusto, oggi Monte San Giusto

Bazzani (XVI) - Bonafede (XIV), conti, patrizi fermani - Capparucci (XVIII) - Cardelli (XVIII) - Ercolani (XVII) - Felicioni (XVIII) - Foglietti (cfr. Montolmo) - Olivieri (XVIII) - Pansoni (XVII) - Pesci (XVI) - Roberti (cfr. Morrovalle) - Romani (poi Romani-Adami) (XVI)[48], patrizi maceratesi e fermani, conti 1794 - Rossi (XVII) - Sperandi (XVIII) - Tallevi (cfr. Sant'Elpidio) - Vincenzi (XVIII)

Sant'Elpidio, oggi Sant'Elpidio a Mare

Acciarrini (XIV) - Antonelli (XVIII) - Asclepi (XIV)[49], nobili romani sec. XVII, conti 1704, patrizi maceratesi 1726 - Bartocci (XVIII) - Brancadoro (XII), feudali, conti palatini del S.R.I. sec. XIII, marchesi, patrizi fermani, nobili di Fano e di Orvieto - Bulgarini (XIII), patrizi maceratesi 1593 - Cassini (XIV), nobili di Macerata - Compagnoni-Marefoschi (XII), feudali, conti, patrizi maceratesi, anconitani e sammarinesi, nobili romani coscritti, nobili di Orvieto e di Todi - Conventati (XV)[50], patrizi maceratesi 1645, 1722, conti - Errighi (XVI) - Passitelli (XIII) - Ferranti (XVIII) - Foglietti (XVI), patrizi maceratesi, conti 1805 - Gerardini (XIII) - Gigliucci (XV)[51], patrizi fermani, patrizi ferraresi, conti di Serravalle - Guerrieri (XV) - Magnalbò (XVI), patrizi sammarinesi 1850 - Mallio (XIV) - Medaglia (XIV) - Moscati (XVIII) - Natinguerra (XIII) - Odoardi (XIV) - Palmili (XVIII) - Pangrazi (XVIII), patrizi ascolani - Roberti (XIV) - Rossi (XIV) - Ruggeri (XVIII) - Sinibaldi (XV) - Sisti (XVIII) - Tallevi (XVIII) - Tomassini (XVIII) - Ubicini (XVII) - Urbani (XV)

Serra de' Conti

Agostinelli (XVII) - Caosi de' Grandis (XVI) - Fossa (cfr. Roccacontrada) - Giampieri (XVIII) - Honorati (XV), nobili di Jesi, marchesi 1673 - Laguidara (XVIII) - Laurenti (XVII) - Moroncelli (XVIII) - Palazzesi (XVIII) - Palazzi (cfr. Roccacontrada) - Tomassini (XVIII)

Serra San Quirico

Anselmi (XVIII) - Armezzani (XVI) - Biradelli (XVII) - Bonacci (XVI) - Borgiani (XVIII) - Castiglini (XVI) - Colbassani (XVI) - Colelli (XIV), ordine di Santo Stefano 1703 - Fontana (XV) - Gaspari (XVIII) - Genga (della) (XIII), feudali, conti della Genga, nobili di Fano - Grassi (XVIII) - Laurenti (cfr. Serra de' Conti) - Lupi (XVIII) - Manci (XV) - Marcellini (XVI), nobili di Fabriano 1710 - Nicolai (XVII) - Nicolini (XVI) - Pandolfi (XVII) - Racani (XVII) - Rinaldi (XVIII) - Romaldi (XV) - Stefanini (XVI) - Tosi (XV) - Valeriani (XVII) - Ventroni (XVI)

  1. ^ La chiusura di ceto avveniva quando i principali organi di governo della comunità erano riservati ai nobili e di fatto resi ereditari in un gruppo molto ristretto di famiglie che si succedevano nelle cariche con regolarità e continuità. Banci1996, Zenobi1976.
  2. ^ "Ai fini di una corretta e non equivoca definizione di nobiltà, pare che non si possa assolutamente prescindere da un elemento fondamentale costituito dal diritto all'esercizio in via ereditaria di una porzione anche infinitesima o addirittura ideale di poteri regi ossia statuali", Zenobi1976. Vedi Castelnuovo2004 per una analisi della formazione delle aristocrazie cittadine fin dai tempi protocomunali.
  3. ^ Nel Settecento le famiglie della nobiltà decurionale comprendevano meno del due per cento della popolazione, Anselmi1995.
  4. ^ "Cives Esini, sudore, et sanguine pauperum Comitatensium ditati sunt", dalla Bolla del 3 ottobre 1567 di Papa Pio V.
  5. ^ Troscé1972. Si veda anche Marco Moroni. Proprietà della terra e classi sociali a Recanati nel primo cinquecento, Proposte e Ricerche, 1981.
  6. ^ Banci1996.
  7. ^ L'origine delle casate è indicativa di una distinzione sociale spesso secolare, a conferma del carattere essenzialmente ricognitivo delle aggregazioni alla nobiltà decurionale. Percorso tipico quello degli Scoccianti: cives possidenti di Cupramontana secondo il catasto del 1471, furono aggregati alla nobiltà di Apiro nel Settecento (Zenobi1976) ma ricoprivano ruoli apicali nelle magistrature di Jesi e dei suoi castelli da almeno tre secoli. Nella seconda metà del Quattrocento, quando le oligarchie cittadine cominciano a costituirsi in ceto aristocratico chiuso, la famiglia siedeva nei consigli "Generale" e di "Credenza" di Jesi e del suo Contado, esprimendo un priore e un camerario del comune di Jesi, il capitano del castello di Poggio San Marcello - appellato Ser, quindi nobile - e un notaio (Riformanze di Jesi del 1470-72 [1], in Archetti1978). La famiglia dirigeva anche la Quattraria - la magistratura di reggimento di Massaccio, odierna Cupramontana - con Cristoforo Scoccia, ricordato dallo storico Giuseppe Colucci come ambasciatore presso Leone X, rappresentante del Castello per controversie legali con Perugia, conservatore delle mura, organizzatore delle milizie nei frequenti eventi bellici dell'epoca e "benemerito della patria". Nel Cinquecento la casata continuò a esercitare il notariato (Colucci1795), attività privilegiata dai ceti dirigenti assieme alla carriera militare e a quella ecclesiastica, perchè redditizia e giudicata non "meccanica e vile" (Troscé1972). Il nome quattrocentesco della famiglia, Scoccia, è una probabile derivazione dal termine militare longobardo skulka, toponimo che si ritrova nel vicino Monte Scoccioni [2] (da skulka-haima, ‘insediamento di scocche' ovvero guardie armate [3]) e in altri germanismi del centro Italia come Scocchia (Mastrelli1973). Numerosi i toponimi longobardi nella media e alta valle dell'Esino (Cherubini1981), zona di confine popolata da arimanni del Gastaldato di Pierosara [4] che si contrapponevano ai bizantini della media valle del Misa.
  8. ^ "E i giuristi dichiaravano che nobile era chi come tale veniva salutato nella sua patria", Berengo1965.
  9. ^ Francesco Brunamonti, Dimostrazione del nobile, sì antico, che moderno stato di Roccontrada, Castelpiano, s.e., 1896.
  10. ^ Termine che nella concezione politica e giuridica latina designava la città-stato, corrispondente alla polis greca. [5]
  11. ^ B. G. Zenobi, I caratteri della distrettuazione di antico regime nella Marca pontificia, in R. Paci (a cura di), Scritti storici in memoria di Enzo Piscitelli, Padova, 1982, p. 61-106.
  12. ^ a b Zenobi1976.
  13. ^ P. Sella (a cura di), Costituzioni Egidiane dell'anno MCCCLVII, collana Corpus Statutorum Italicorum, Roma, 1912.
  14. ^ Emilia Saracco Previdi, Descriptio Marchiae Anconitanae (da Collectoriae 203 dell'Archivio Segreto Vaticano), Spoleto, Fondazione Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo, 2010.
  15. ^ Zenobi [6], per comporre il suo corposo studio sulle Terre marchigiane (Zenobi1976), è partito proprio dai capisaldi forniti in questi due grandi testi del basso medioevo italiano.
  16. ^ Agglomerati abitativi privi e muniti di mura, rispettivamente.
  17. ^ "Il carattere di dominio diretto esercitato dallo Stato papale sulle città restava spesso un dato formale, poiché esso veniva esercitato per mezzo di una farraginosa rete burocratica, mentre in realtà era il patriziato locale a dettare e ad orientare le decisioni di governo. Ora, se si considera la Marca pontificia strictu sensu, che escludeva il Ducato di Urbino e che si estendeva in quello spazio individuato dai geografi di antico regime «dall’Esi al Tronto» (cioè dal fiume Esìno al fiume Tronto), il quadro territoriale che si dispiega alle soglie della rivoluzione francese mostra la frantumazione in una moltitudine di distretti amministrati da governi prelatizi e saldamente posti sotto la giurisdizione cittadina", Pirani2014.
  18. ^ Nel Settecento, 304 comunità della Marca su 383 erano dipendenti da altri centri. Erano invece libere, cioè non infeudate o dipendenti da altri centri urbani ma unicamente soggette all'autorità papale, le città di Ancona, Fermo, Camerino, Ascoli, Jesi, Fano, Fabriano, San Severino, Loreto, Matelica. A queste si aggiungevano poi le città e Terre del Governo Generale della Marca e del Presidato di Montalto. Il Governo Generale della Marca comprendeva: Amandola, Appignano, Apiro, Belforte, Cingoli, Morrovalle, Osimo, Penna San Giovanni, Recanati, Sant'Elpidio, Castelfidardo, Caldarola, Corinaldo, Monte Alboddo (oggi Ostra), Montevecchio (oggi Treia), Monte Santo, Monte Novo (oggi Ostra Vetere), Montecassiano, Montefilottrano (oggi Filottrano), Montolmo (oggi Corridonia), Montefano, Montegiorgio, Montegranaro, Montelupone, Monte Milone, Monte San Martino, Monte San Pietro, Sarnano, San Ginesio, San Giusto, Serra San Quirico, Staffolo, Tolentino, Urbisaglia, Rocca Contrada. Il Presidato di Montalto includeva: Montalto, Castignano, Force, Montelparo, Montefiore, Montefortino, Monte Gallo, Monte Monaco, Montedinove, Monterubbiano, Offida, Patrignone, Forchia, Ripatransone, Rotella, Santa Vittoria. L'elenco dei centri urbani liberi è tratto da Francesco Ammannati, La disuguaglianza economica in area marchigiana: uno studio di lungo periodo (1400-1800). Datini Studies in Economic History, Università di Firenze, 2020.
  19. ^ F. Paoloni, Chiusure, conflittualità e autonomia del ceto dirigente nella Macerata del Settecento, in Proposte e Ricerche, fascicolo 34, n. 1/1995.
  20. ^ "In merito all’area marchigiana, ci si può spingere ad affermare che l’autorità dello Stato Pontificio operò stabilmente e con continuità solo dalla seconda metà del Quattrocento, cioè dopo lo smantellamento definitivo, iniziato nei primi anni del secolo e prolungatosi per più di un cinquantennio, di tutta una serie di signorie vecchie e nuove che avevano tentato di estromettere il potere del papa dalla zona. In rapida successione caddero i Simonetti di Jesi (1406), i Cima di Cingoli (1424), i figli di Conte da Carrara ad Ascoli (1426), i Chiavelli di Fabriano (1436), gli Smeducci di San Severino (1443), Francesco Sforza, già Marchese della Marca e padrone di oltre metà della regione fra 1433 e 1447, i Paganelli di Montalboddo (1449)[7] e infine i Malatesta, costretti a cedere Senigallia e Fano (1462-63)". Ammannati2020.
  21. ^ Zenobi1994, Chittolini2004. Secondo lo Zenobi, "un potere oligarchico nelle città pontificie, dunque, che precede l'esperienza signorile, che convive, affievolito, con essa e che, in ogni caso, ad essa sopravvive dimostrando, sul lungo periodo, una intensa capacità di tenuta, di recupero e di ripresa."
  22. ^ "Nel 1392, un giurista e diplomatico della corte angioina di Napoli, Niccolò Spinelli, considerando i centri urbani dello Stato papale, poteva annotare per la Marca anconetana: «Sunt in ista provincia multa notabilissima castra, quasi sint civitates»." Francesco Pirani, «Multa notabilissima castra». I centri minori delle Marche. Firenze University Press, 2018.
  23. ^ "Trattative e concessioni (tra i patriziati e il governo centrale pontificio, dopo il crollo delle signorie) tutte ispirate da una logica di scambio - scambio certamente ineguale, ma pur sempre contrattato e bilaterale - che consentono alle oligarchie locali il mantenimento, spesso l'ampliamento in termini reali, di facoltà e poteri che il dominio signorile aveva certamente compresso nella sostanza, talora anche nella forma e che riacquistano ora, rispetto ad un potere centrale lontano, localmente sottorappresentato e - quel che più conta - quasi mai bene armato, una valenza e una grinta squisitamente politici in materie decisive: finanze, annona, fisco, giurisdizione, specie se riferiti a quell'ampio campo di azione su cui possono ora esercitarsi, nella loro pienezza, le prerogative cittadine: intendo i relativi contadi soggetti, come tali riconosciuti e rispettati dal governo centrale e nei quali persisterà, fino alla caduta dell'ancien régime, un'amplissima area di dominio mediato." B. G. Zenobi, Da Ferrara a Benevento. I moduli del potere oligarchico tra basso medioevo ed età barocca.
  24. ^ "Fin dal basso medioevo la Marca di Ancona si caratterizzava per una gerarchia demica appiattita e priva di nette egemonie. Tale struttura insediativa, caratterizzata dalla fitta presenza di centri di dimensioni medie o piccole, rende difficoltoso e forse vano il tentativo di istituire un discrimine netto fra città e centri minori, dal momento che tale distinzione tende naturalmente ad assottigliarsi e quasi ad annullarsi. Infatti, molti centri di medie e di modeste dimensioni si caratterizzano alla fine del medioevo per una struttura sociale, un apparato istituzionale e una vita economica di stampo urbano, per nulla assimilabili alle comunità rurali. Per designare tali realtà, il lessico storiografico ha introdotto l’espressione di «quasi-città»", Pirani2014.
  25. ^ Giovanna Accrescimbeni, La formazione del ceto dirigente in una “terra mediocre” della Marca Pontificia, Cingoli 1533-1650, Tesi di Laurea in Storia, Università di Pisa, anno accademico 1987-1988. Francesca Paoloni, Chiusure, conflittualità e autonomia del ceto dirigente della Macerata del settecento in "Proposte e ricerche" , 34 (1995)[8]. Bandino Giacomo Zenobi, La separazione di ceto in una "terra" della Marca: Montegiorgio nel secolo XVIII. Quaderni storici delle Marche Vol. 2, No. 6 (3) (settembre 1967), pp. 508-533.
  26. ^ vedi Carocci2010: "Nello Stato della Chiesa, dove mancava ogni stabile raccordo fra stato e famiglia regia, dove il sovrano era elettivo, anziano e quindi in genere al potere solo per brevi periodi, dove era assente un solido tessuto di fedeltà feudo-vassallatiche, dove ufficiali e personale burocratico erano per lo più di condizione chiericale e largamente provenienti da regioni esterne allo Stato, insomma in questa sorta di monarchia elettiva e collegiale il governo centrale, più ancora che altrove, aveva stretta necessità della collaborazione, dell’appoggio delle oligarchie locali. L’aristocrazia, i patriziati e tutti i gruppi preminenti trovavano nella Chiesa un solido sostegno per conservare i propri privilegi contro la pressione dei popolari, e in definitiva per conservarsi al vertice delle società locali."
  27. ^ a b Molinelli1984.
  28. ^ Galasso1974.
  29. ^ Arnone1951.
  30. ^ Molinelli1977.
  31. ^ "Anche per quel che riguarda il genere di vita, la nobiltà delle terre non si differenziava sostanzialmente da quella delle città maggiori. Si pensi alla dimora, con incorporata l'immancabile cappella od oratorio privato: "si tratta - osserva finemente B. G. Zenobi - degli unici edifici settecenteschi o anteriori che, insieme a quelli adibiti a sede comunale o ai servizi del culto, dominavano per mole e per fattura sul restante delle costruzioni e che contribuiscono a conferire, anche attualmente, alle terre che li ospitano, un aspetto particolare e inconfondibile". E si pensi ai diritti di juspatronato su chiese, benefici ecclesiastici, commende, cappelle o semplici altari, di cui godevano di regola i nobili delle terre; o ancora ai sepolcreti gentilizi "diretti come a perpetuare nell'al di là la condizione nobiliare dei proprietari", o ai fedecommessi "istituiti ad evitare la dispersione dei patrimoni e, dunque, ad assicurare la sopravvivenza del genere di vita"." Claudio Donati. La nobiltà nell'età moderna. Studi Storici, Anno 18, No. 3 (Jul. - Sep., 1977), pp. 163-174.
  32. ^ "E' curioso osservare come, comparando i dati relativi al secolo XVIII con quelli che emergono dalle rilevazioni relative agli anni 1825-55, i rapporti quantitativi fra le proprietà dei vari ceti sociali non avessero subito modificazioni rilevanti, malgrado il cinquantennio decorso fosse stato denso di eventi e di sconvolgimenti", Zenobi1976.
  33. ^ Paci2001.
  34. ^ B. G. Zenobi Catasti marchigiani: fonti e metodi. Il seminario di San Leo, 1981.
  35. ^ a b Ginatempo2002.
  36. ^ A metà del Duecento, in piena epoca del Comune di "Popolo", a Macerata vi erano quasi 1900 proprietari. Tre secoli dopo, a metà del Cinquecento, ve ne erano 650, in ulteriore e costante riduzione fino ai soli 388 registrati nel catasto del 1778 (si noti che nel frattempo la popolazione di Macerata era fortemente aumentata, da 2200 residenti nel 1450 a 3600 nel 1550, a oltre 12000 - incluso il contado - alle soglie del 1800. Ammannati2020). Alla drastica diminuzione del numero di proprietari corrisponde il forte incremento della quota di proprietà laica detenuta dai nobili, che raggiunge l'85% alla fine del Settecento, e il parallelo incremento della proprietà della Chiesa - in gran parte nella disponibilità degli stessi patriziati urbani, che occupavano i vertici degli enti ecclesiastici - che aumenta dal 18% del totale a metà del Cinquecento al 40% alla fine del Settecento.Troscé1982.
  37. ^ "Di pari passo con la diffusione del contratto mezzadrile, ancora definito dalla terminologia notarile ad soccitam, si fanno più evidenti i segnali dell'evoluzione o della degenerazione dalla iniziale societas verso un patto sostanzialmente squilibrato a danno del lavoratore: così i polli che deve portare al padrone devono essere "grandi e buoni" e le galline "grasse"; "le sue donne siano obbligate dar l'opra loro a far la bugata", deve coltivare il lino e "conciarlo", etc." Augusta Palombarini, Tra atti notarili e catasti: la mezzadria anconitana nel XVI secolo, Proposte e ricerche, 1990.
  38. ^ I Monti di Pietà erano gli istituti di credito dei territori, di antica fondazione anche nei centri minori delle Terre. Ad Apiro, per esempio, il locale Monte di Pietà venne fondato per iniziativa privata nel 1549 e rimase attivo fino al 1941 [9]; ancora a inizio Novecento annoverava tra i suoi amministratori esponenti di famiglie nobili di Apiro del Settecento.
  39. ^ "Gli elementi di progresso in agricoltura, che avevamo osservato per il XVI secolo, sembrano perdersi via via che ci si inoltra nel secolo seguente, in evidente rapporto non solo con una congiuntura mondiale negativa, ma anche con la chiusura e la cristallizzazione del ceto possidente. Esclusivo nel dirigere l'amministrazione municipale e provinciale, quel piccolo numero di famiglie nobili che fino a tutto il Settecento si dimostra impenetrabile a nuovi apporti sociali determina in pari tempo la completa stasi nel progresso delle campagne", Troscè1972.
  40. ^ Nel 1911 oltre il sessanta per cento dei contadini marchigiani erano ancora mezzadri. Arrigo Serpieri, La guerra e le classi rurali italiane, Laterza, Bari 1930.
  41. ^ Marcella Aglietti, Restare nobili perdendo la nobiltà. Il caso del Granducato di Toscana tra Sette e Ottocento, 2021, [10].
  42. ^ "Dopo la fine del governo dei Medici, in pieno Settecento (1737), i funzionari lorenensi giunti al seguito del nuovo sovrano trovarono le istituzioni ancora intrecciate in un groviglio repubblicano tipicamente medievale. Un Gian Rinaldo Carli, ad esempio, ministro impegnato nelle riforme, non esitò a parlarvi della presenza di 'un bosco di repubbliche'", Ascheri2006.
  43. ^ "Il dibattito che precedette la stesura della legge, svoltosi tra i principali rappresentanti della Reggenza lorenese in Toscana, fu oltremodo vivace e ricco di interessanti considerazioni. Di fatto, si assistette allo scontro tra differenti mentalità, da un lato quella espressa dai toscani, tesa alla conservazione delle istanze tradizionali locali, dall’altro quella imposta dai lorenesi, e in particolare dal conte Nay de Richecourt a capo del Consiglio di Reggenza, orientata piuttosto ad imporre una diversa concezione centralizzata e sovranocentrica della nobiltà". Marcella Aglietti, Nobiltà periferiche in Toscana tra Sette e Ottocento. Il caso di Colle Val D'Elsa, Edizioni ETS, Pisa, 2008.
  44. ^ Moto proprio della Santità di Nostro Signore Papa Leone XII sulla Amministrazione pubblica, 21 dicembre 1827 [11].
  45. ^ L'elenco completo dei patriziati marchigiani riconosciuti come tali dall'Ordine di Malta si ricava da una nota del Gran Priorato di Roma del 1776 (prima classe: Ancona, Ascoli, Camerino, Cingoli, Fabriano, Fano, Fermo, Fossombrone, Jesi, Macerata, Osimo, Pesaro, Recanati, San Severino, Senigallia, Tolentino, Urbino; seconda: Cagli; terza: Matelica, Montalto, Montefeltro, Ripatransone, Sant'Angelo in Vado, Urbania; quarta: Loreto), mentre nobiltà civiche furono riconosciute dalla Consulta Araldica in Ancona, Arcevia, Ascoli, Cagli, Camerino, Cingoli, Civitanova, Corinaldo, Fabriano, Fano, Fermo, Filottrano, Fossombrone, Jesi, Loreto, Macerata, Matelica, Montalto, Numana, Osimo, Ostra, Pennabilli, Pergola, Pesaro, Recanati, Ripatransone, San Leo, San Severino, Sant'Angelo in Vado, Sassoferrato, Senigallia, Tolentino, Treia, Urbania, Urbino. Cfr. Norme per la ricezione nel Sovrano Militare Ordine di Malta, Venezia, Gran Priorato di Lombardia e Venezia, 1978, pp. 31-32 (Massimario Nobiliare del Magistrale Collegio dei Consultori Araldici, norma n. 21) e Gioacchino Quadri di Cardano, I processi nobiliari nell'Ordine di Malta, s.l., edito a cura dell'autore, 2021, pp. 395-397 e 408-409.
  46. ^ A. Ventura, Nobiltà e popolo nella società veneta del '400 e '500, Bari, 1964.
  47. ^ Castelnuovo2004.
  48. ^ Andrea Palladio sintetizza la storica dicotomia città-campagna nell’unitaria ed armonica casa di villa. Qui è consentito al «gentiluomo di molto splendore» di «vedere ed ornare le sue possessioni et con industria et arte dell’agricoltura accrescer[ne] le facultà […] ma pur anco di dar sanità e robustezza al corpo e molto ristauro e consolatione all’animo stanco dalle agitazioni della città, così da poder quietamente attendere agli studi delle lettere et alla contemplatione».[12]
  49. ^ a b c Galasso1974.
  50. ^ Ascheri2006.
  51. ^ "L’atteggiamento mentale delle oligarchie risente dello spirito fazioso che ha dato loro origine: esse intendono tutelare se stesse, i loro privilegi ed il loro prestigio; la città e la patria sono considerate tutt’uno con i loro interessi", Cusin1948.
  52. ^ Jones1980.
  53. ^ Indice delle famiglie nobili di Ancona a cura di Riccardo Francalancia Vivanti Siebzehner, ricavato dai volumi di G. Pichi-Tancredi del XVIII° secolo e di C. Albertini del 1788, conservati nella Biblioteca Comunale “L. Benincasa”, con l’aiuto di “Titoli e Nobiltà nelle Marche” di Angelo Squarti Perla [13]. Dallo Statuto del 1493 si evince che la direzione della cosa pubblica spettava solo al ceto dirigente di Ancona, che veniva selezionato esclusivamente tra i cives. Le prerogative di governo "spaziavano dal potere legislativo e di riforma statutaria alla rappresentanza diplomatica, dalla politica annonaria al controllo sociale e sanitario, ma che indirizzava soprattutto le scelte cittadine in ambito economico e mercantile. I membri del Consiglio generale, infatti, provenivano unicamente dalle nobili famiglie dell’aristocrazia urbana che, per discendenza di sangue in linea maschile, beneficiavano del diritto vitalizio di partecipare all’assemblea. Luogo dove in pubblica concione si dibattevano gli affari comunali, le proposte legislative e ogni altro interesse collettivo, approvando a maggioranza le soluzioni da adottare. I circa duecento consiglieri dell’assise, distinti in sei gradi di “reggimento”, si alternavano in ogni compito pubblico attraverso una rotazione periodica, praticata con l’estrazione a sorte dei nominativi introdotti nell’apposito bussolo o urna. Questa forma di governo oligarchico, allora adottata diffusamente nella Marca anconitana, vedeva nella chiusura per vincoli di sangue e di censo dell’élite dirigente una classe di appartenenza pressoché immutabile, sebbene sottoposta a meccanismi di autocontrollo e bilanciamento tra i vari poteri. Alla civiltà anconitana si poteva tuttavia venire equiparati per aggregazione, un istituto che permetteva a ricchi patrizi forestieri, da tempo residenti in Ancona e proprietari di beni immobiliari nel suo territorio, di acquisire la cittadinanza dorica e con essa le prerogative e i doveri connessi." [14]
  54. ^ Elenco dei casati ascritti al gonfalonierato di Cingoli tra il 1533 e il 1650, tratto da Accrescimbeni1991. Cingoli fu una terra fino al 1725, quando venne elevata al rango di città con il ripristino della cattedra vescovile. La sua forma di reggimento era mista fino alla metà del Quattrocento e basata sulla scelta degli appartenenti ai Consigli per quartiere, risentendo ancora del periodo del Comune Popolare. L'ereditarietà del potere fu definitivamente sancita con la riforma statutaria del 1533, quando il primo grado del Magistrato, che dava accesso al gonfalonierato, fu riservato esclusivamente alle famiglie nobili.
  55. ^ L’elenco è estratto da un documento che venne prodotto dal Comune di Corinaldo in risposta al Motu Proprio di Papa Leone XII (emesso in data 21.12.1827) sulla riforma delle nobiltà civiche e delle amministrazioni locali nello Stato Pontificio. Il suddetto documento è conservato in Archivio di Stato di Ancona col seguente nome e segnatura: Delegatizio, tit. XXI, rub. 3, b. 11
  56. ^ L'attuazione a Corinaldo dei disposti di Leone XII relativi ai ceti Nobile e Civico, collana Rivista Araldica, vol. 7-8, 1970, pp. 161-169.
  57. ^ Nobili e Civiche Famiglie Fabrianesi (XIII-XIX secolo), da studi del prof. Romualdo Sassi, raccolti dal prof. Dalmazio Pilati e da ulteriori ricerche di Francesco Pirani.[15]
  58. ^ Elenco dei casati nobili settecenteschi di Fano, redatto dal nobile fanese Francesco Bertozzi. Il manoscritto digitalizzato del cavalier Bertozzi contiene la storia, la genealogia e gli stemmi di tutte le famiglie citate [16].
  59. ^ Le famiglie nobili di Fermo sono elencate in L. Di Linda, M. Bisaccioni, Le relationi et descrittioni universali et particolari del mondo, Venezia 1672, pg. 397.
  60. ^ Elenco delle famiglie nobili presenti nel Consiglio Comunale di Jesi negli anni 1791-2 e 1802-3, tratte da Alessandro Mingo, Continuità e discontinuità nella classe dirigente jesina tra ancien régime e seconda restaurazione, Proposte e Ricerche (41), 1998. [17]
  61. ^ Elenco redatto attingendo dalle seguenti fonti: “Elenco Ufficiale Definitivo delle Famiglie Nobili e Titolate della Regione Marchegiana”, 1908; “Titoli e Nobiltà nelle Marche” di Angelo Squarti Perla; “Titoli e Nobiltà nell’Umbria” di Angelo Squarti Perla
  62. ^ L'elenco delle famiglie nobili di Macerata è tratto da Troscé1972 per quelle della metà del XVII secolo, da Paoloni1995 per quelle che presero parte ai Consigli di Riformanza nel XVIII secolo. Tra parentesi è il secolo di aggregazione. Dal Quattrocento la classe dirigente di Macerata aveva acquisito una fisionomia che sarebbe rimasta pressoché inalterata fino all'epoca napoleonica. Gli organi di governo della città erano costituiti dai Priori, dal Consiglio Generale, di Credenza e di Riformanza. A capo del governo cittadino, dapprima con poteri giuridici ed esecutivi, poi solo rappresentativi, era il Magistrato, organo collegiale formato da 4 e in seguito 5 Priori, tutti appartenenti alla nobiltà. Il Consiglio Generale - composto sia da famiglie nobili sia da quelle di mercanti e artigiani - era subordinato a quello di Credenza, formato da due esponenti per ogni famiglia nobile, che aveva fra l'altro la prerogativa di esaminare le proposte prima che queste venissero discusse dal Consiglio Generale. Ancora più importante e ristretto era il Consiglio di Riformanza, costituito da un solo esponente per famiglia nobile, che aveva il dovere di far rispettare le norme statutarie, ma all'occorrenza anche di modificarle, oltre a decidere le aggregazioni e a formare il bussolo di Magistrato. La carica di Consigliere e di Priorato era vitalizia, quelle di Credenziere e di Riformatore ereditarie, confermando con questo l'esclusiva appartenenza alla nobiltà.
  63. ^ a b c Vittorio Spreti, Enciclopedia Storico Nobiliare Italiana, II, Lettera T, 1969, pp. 628-631.
  64. ^ Elenco delle casate che costituirono la nobiltà di reggimento di Recanati fino ai primi anni del Seicento, estratte dalla ricerca di Marco Moroni, Sviluppo e declino di una città marchigiana: Recanati tra XV e XVI secolo, volume 5 di Quaderni di Proposte e ricerche, 1990 [18]. Si veda anche [19].
  65. ^ Comprendenti 513 famiglie per un totale stimabile in circa 2500 individui, su una popolazione della Marca pontificia che alla fine del Settecento era pari a circa mezzo milione di persone. Si veda F. Corridore, La popolazione dello Stato Romano (1656-1901), Roma, 1906.
  66. ^ Per le famiglie aggregate dopo il secolo XV nella maggioranza dei casi Zenobi ha indicato unicamente il secolo di aggregazione.
  67. ^ Papa Pio VI, Motu Proprio "Quando per ammirabile risoluzione", 6 Luglio 1816.
  68. ^ a b B. G. Zenobi, Ceti e potere nella Marca pontificia, Il Mulino, 1976, pp. 45-46.
  69. ^ Marco Moroni, Castelfidardo da castello a città, Andrea Livi Editore, 2015, pp. 82-87.
  70. ^ Amandola venne elevata a rango di Città con Breve di Papa Gregorio XVI del 16.12.1836, conservato in: Archivio Apostolico Vaticano, Sec. Brev., Reg. 4921, ff. 34r-47v
  71. ^ Il Cognome Treggiali è un errore di trascrizione di Zenobi in quanto il cognome corretto è Treggiari. Cfr P. Ferranti, Memorie Storiche della Città di Amandola
  72. ^ Integrazione delle casate ad opera di Marco Moroni, ordinate per secolo di origine o aggregazione. La lista delle casate redatta da Moroni è - come detto - più ampia di quella di Zenobi, e la ricomprende. Castelfidardo da castello a città'', Andrea Livi Editore, 2015, pag. 83. XVI secolo: Abati - Adriani - Antici (1575) - Baleani - Brancaleoni - Butoli - Cambi - Checchi - Ciccolini - Ciminella - Farina - Gavazzeni - Ghirardelli - Leopardi (fine '500) - Malvezzi - Mandirola (fine '500) - Massimi - Massucci (fine '500) - Nucci - Pagliarani - Riccardini - Silenzi - Simonucci - Spera - Tomassini - Torelli - Toroli; XVII secolo: Andrei (1605) - Boccaurati (1624) - Carboni (1600) - Carelli (1666) - Cassandri (1614) - Corraducci (1621) - Cristofani (1605) - Ferretti (1613) - Filippi (1605) - Gentili (1600) - Penna Grifonelli (fine '600) - Piersanti (1688) - Pietropaoli (1605) - Possanza (1666) - Ranaldi (1666) - Ricci (1600) - Rossi (1660) - Spera (1600) - Toloni (1600); XVIII secolo: Avetrani (1777) - Bartolini (1741) - Benigni (1720) - Bennati (1752) - Bertoni (1767) - Borgia (ante 1720) - Bonarelli (1773) - Dittaiuti (1775) - Farri (1741) - Fava (1741) - Fazi (1741) - Federici (1741) - Ferrari (1757) - Ferrarini (1741) - Fiorani (1741) - Girardini (1719) - Lauri (1718) - Lepretti (1757) - Passerini (1718) - Pierantoni (1750) - Quarantotti (1793) - Riccardi (1757) - Sabbatini (1757) - Sciava (1731) - Servi (1707) - Silva (1750) - Silveri (1787) - Silvestri (1773) - Solari (1746) - Tassetti (fine '700) - Uguccioni (1791) - Vigentini (ante 1720) - Viola (1762) - Zani (1751).
  73. ^ Informazioni sulle magistrature di reggimento di Castelfidardo
  74. ^ Sia Zenobi che Moroni fanno confusione sul cognome di questa famiglia (aggregata a Castelfidardo l'8 giugno 1731 e alla nobiltà civica di Numana nel 1772) che è in realtà Sciava. Vedi l'articolo su Castelfidardo pubblicato da C. A. Bertini Frassoni per rubrica La nobiltà nello Stato Pontificio, in Rivista Araldica, vol.28, 1930 e B. G. Zenobi, Dai governi larghi all'assetto patriziale, Argalia Editore, 1979, pag.34.
  75. ^ I Tomassini di Castelfidardo, che ottennero l'aggregazione alla nobiltà di Recenati ed Osimo, sono uno dei vari rami dei Tomassini di Montelupone. Per i rami dei Tomassini si rimanda alla bibliografia dei Tomassini e Tomassini-Barbarossa nell'elenco di Macerata e Recanati.
  76. ^ I Tomassini di Montelupone sono i capostipiti dei rami stabilitisi a Macerata (Tomassini Barbarossa: Patrizi di Macerata; Conti di Montenovo), Tolentino (Tomassini: Nobili di Tolentino) e Castelfidardo (Tomassini: Nobili di Recanati e Nobili di Osimo). Per maggiori info si rimanda alla bibliografia dei Tomassini e Tomassini-Barbarossa nell'elenco di Macerata e Recanati.
  77. ^ Si vedano anche i riferimenti nella pagina web collegata, dove si menzionano casate non elencate dallo Zenobi e desunte da un libello del conte Garulli [20].
  • Giuseppe Colucci, Delle antichità picene, 1795.
  • Fabio Cusin, Antistoria d'Italia, Torino, Editore Einaudi, 1948.
  • Carmelo Arnone, Vittorio Burattini, Dizionario della Nobiltà, dei Titoli e degli Stemmi delle Famiglie Marchigiane, Ancona, tip. Venturini, 1951.
  • Marino Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino, editore Einaudi, 1965.
  • Mariella Troscé, Governanti e possidenti nel XVI e XVII secolo a Macerata, Quaderni Storici, 21, 1972. [52]
  • Carlo Alberto Mastrelli, Elementi germanici nella toponomastica dell'Alto Medioevo, Spoleto, Atti V Congresso Studi Alto medievali, 1973.
  • Giuseppe Galasso, Potere e istituzioni in Italia. Dalla caduta dell'Impero romano ad oggi, Torino, editore Einaudi, 1974.
  • Bandino Giacomo Zenobi, Ceti e potere nella Marca pontificia. Formazione e organizzazione della piccola nobiltà fra '500 e '700, Bologna, il Mulino, 1976.
  • Elisabetta Archetti Giampaolini, Agricoltura, proprietà e società nel castello di Massaccio: catasto del 1471, Ancona, Studia Picena, 1978.
  • Bandino Giacomo Zenobi, Dai governi larghi all'assetto patriziale, Urbino, Argalìa Editore, 1979.
  • Philip Jones, Economia e società nell'Italia medievale, Torino, editore Einaudi, 1980.
  • Vittorio Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Forni, 1981.
  • Alvise Cherubini, Presenza longobarda nel territorio jesino, in "Atti e Memorie di Storia Patria per le Marche", Deputazione di storia patria per le Marche, 1981.[53]
  • Mariella Troscé, Elementi di toponomastica nella catastazione maceratese: secoli XIII-XVIII, Proposte e Ricerche, 1982.[54]
  • Raffaele Molinelli, Città e contado nella Marca pontificia in età moderna, Urbino, Argalia Editore, 1984.
  • Giovanna Accrescimbeni, La formazione del ceto di governo in una "Terra Mediocre" della Marca pontificia: Cingoli 1533-1650, Tesi di Laurea in Storia, Università di Pisa, Facoltà di Lettere e Filosofia, 1991.[55]
  • Bandino Giacomo Zenobi, Le ben regolate città. Modelli politici nel governo delle periferia pontificia in età moderna, Bulzoni, 1994.
  • Sergio Anselmi, Contadini marchigiani del primo Ottocento. Una inchiesta del Regno Italico, Senigallia, Edizioni Sapere Nuovo, 1995.
  • Francesca Paoloni, Chiusure, conflittualità e autonomia del ceto dirigente nella Macerata del Settecento, Proposte e Ricerche, 1995.[56]
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  • Maria Ginatempo, La mezzadria delle origini. L'Italia centro-settentrionale nei secoli XIII-XV, Rivista di storia dell'agricoltura, XLI(1), 49-110, 2002.
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  • Giorgio Chittolini, Città, comunità e feudi negli Stati dell'Italia centro-settentrionale (XIV-XVI secolo), Unicopli, 2004.
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  • Francesco Pirani, L’officina dei «facchini eruditi»: storiografia municipale e centri minori nel secolo dei Lumi, Andrea Livi Editore, 2014.[59]
  • Marco Moroni, Castelfidardo da castello a città, Fermo, Andrea Livi Editore, 2015.
  • Angelo Squarti Perla, Titoli e nobiltà nelle Marche, Gambini Editore, 2015.
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Voci correlate

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Collegamenti esterni

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