Leonida di Taranto

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Leonida o Leonide (Taranto, 330 o 320 a.C.Alessandria d'Egitto, 260 a.C. circa) è stato un poeta greco antico.

Frammento di affresco con epigramma di Leonida di Taranto, da Suasa.

È considerato il maggiore esponente della scuola dorico-peloponnesiaca.

Leonida visse a Taranto fino al 272-270 a.C., fino a quando non fu conquistata dai romani[1].
Quando la città stava per cedere, Leonida fu tra i pochi abitanti a fuggire[2]: un gesto che inizialmente egli interpretò come una benedizione, avendo evitato la schiavitù, ma che presto si rivelò un'amara illusione, giacché da allora e fino alla morte, visse lontano dalla patria, alla ricerca di protettori, vivendo «una vita che vita non è» come scrisse in un celebre epigramma[3].
Dopo varie peregrinazioni (viaggiò per la Grecia, l'Asia Minore e il sud Italia) si rifugiò ad Alessandria d'Egitto, dove morì intorno al 260 a.C.[4].

La produzione di Leonida[5] fu ben presto antologizzata, come traspare dalle antologie tardoellenistiche di Meleagro di Gadara e di Aminte, tramite i quali venne conosciuta ed apprezzata da alcuni dei maggiori scrittori latini, come Cicerone[6], Catullo, Ovidio e Properzio[7]. A Pompei, inoltre, nella "casa degli epigrammi greci", è presente una pittura parietale che rappresenta il contenuto di un epigramma di Leonida[8], dove un cacciatore, un uccellatore e un pescatore consacrano al dio Pan le loro reti[9].

Numerosi epigrammi leonidei, infatti, sono indirizzati a persone appartenenti agli strati più umili della società (artigiani, pastori, contadini e pescatori), che, ormai anziani, dedicano agli dèi i loro strumenti del mestiere. Alcuni esempi riguardano un epigramma su un falegname in pensione[10] e un breve componimento su Socare e la Fame[11].
Gli epigrammi funerari sono di carattere bucolico o satirico, come nei casi di Maronide e il vino[12] o sul sepolcro del pastore Clitagora[13].
In più, legato alle origini "marinare" di Leonida, un consistente gruppo degli epigrammi è costituito dagli epitafi per coloro che hanno passato la loro vita in mare e in mare sono morti. Alcuni esempi sono l'epitafio di un povero pescatore[14], la morte di un uomo, dilaniato in due da uno squalo e sepolto parte in mare, parte nell'animale[15], come anche una variazione sul tema, meno macabra, su un naufrago[16].
Di notevole interesse, comunque, sono gli epigrammi autobiografici, come uno, malinconico, sull'uomo e il tempo[17] e l'accontentarsi di poco[18]. In effetti, Leonida appare un poeta di notevole caratura, consapevole di sé, come nel suo celeberrimo epitaffio, scritto mentre era in esilio ed ispirato, in alcuni tratti, ad Archiloco:

«Riposo molto lontano dalla terra d'Italia
e di Taranto mia Patria
e ciò m'è più amaro della morte.
Tale destino hanno i nomadi
a conclusione della loro inutile vita!
Le Muse però mi hanno caro
ed a compenso delle mie afflizioni
mi offrono una dolcezza di miele.
Il nome di Leonida non tramonta per esse:
i loro doni lo testimoniano sino all'ultimo sole.»


Ispirandosi ai cinici, poi, Leonida si atteggia a poeta "pitocco", mostrando di disprezzare la frivolezza ed il lusso: secondo il suo pensiero, la felicità è nella tranquillità, che si trova solo conducendo una vita modesta e solitaria. Leonida, dunque, si sofferma sugli strati umili, su personaggi che vivono, quindi, in misere dimore fra i campi o lungo la riva del mare, e conducono vita povera ed errabonda; il poeta stesso, in effetti, si dipinge come povero, così descrivendo la sua capanna:

«Andatevene topi, da questa capanna:
nutrire topi non può la misera dispensa di Leonida.
Al vecchio basta avere il sale e due pani di farina grezza:
fin dal tempo degli avi questo vitto lodammo.»

A parte questa spinta verso il basso, che lo accomuna a tanta poesia alessandrina, notevole è comunque, in Leonida, lo stile «così carico di sapore alessandrino, con una caratteristica strutturazione su triadi di concetti scrupolosamente osservata, a parte l'impiego di vocaboli nuovi e di precisi termini tecnici»[19].

  1. ^ M. Gigante, L'edera di Leonida, Napoli, Morano, 1971, pp. 37 ss.
  2. ^ Forse al seguito di Pirro: M. Gigante, L'edera di Leonida, Napoli, Morano, 1971, pp. 37-38.
  3. ^ AP VII 736.
  4. ^ L. Coco, Leonida di Taranto, in "Cultura e scuola", n. 95 (luglio-settembre 1985), pp. 61-67.
  5. ^ 92 epigrammi di sicura attribuzione, specie dedicatori, sepolcrali e descrittivi.
  6. ^ Ad Atticum, IX 7, 5 e 18, 3; X 2, 1.
  7. ^ Sulla diffusione di Leonida a Roma, cfr. O. Specchio, Risonanze di Leonida da Taranto nell'antichità, in "Rassegna trimestrale della Banca Agricola Popolare di Matino e Lecce", V, (1981), n. 3-4, pp. 66-68.
  8. ^ AP, VI 13.
  9. ^ Si conosce anche un altro esempio: cfr. S. Antolini-G. Lepore, Un epigramma di Leonida di Taranto su una pittura parietale da Suasa, in «Picus», XXIX (2009), pp. 13-34.
  10. ^ AP, VI 205.
  11. ^ AP, VI 298.
  12. ^ AP, VII 455.
  13. ^ AP, VII 657.
  14. ^ AP, VII 295.
  15. ^ AP, VII 506.
  16. ^ AP, VII 652.
  17. ^ AP, VII 472.
  18. ^ AP, VII 736.
  19. ^ O. Specchio, Risonanze di Leonida da Taranto nell'antichità, in "Rassegna trimestrale della Banca Agricola Popolare di Matino e Lecce", V, (1981), n. 3-4, p. 66.
  • M. Gigante, L'edera di Leonida, Napoli, Morano, 1971.
  • O. Specchio, Risonanze di Leonida da Taranto nell'antichità, in "Rassegna trimestrale della Banca Agricola Popolare di Matino e Lecce", V, (1981), n. 3-4, pp. 66–68.
  • L. Coco, Leonida di Taranto, in "Cultura e scuola", n. 95 (luglio-settembre 1985), pp. 61–67.
  • Leonida, In terra e in mare, a cura di M. Beck, Milano, Medusa Edizioni, 2009.
  • A. F. Mele, Leonida di Taranto, «Galaesus. Studi e ricerche del Liceo "Archita" di Taranto», 39, pp. 39-43, Scorpione Editrice Taranto 2017.
  • F. Poretti, Leonida poeta mediterraneo, «Galaesus. Studi e ricerche del Liceo "Archita" di Taranto», 39, pp. 66-78, Scorpione Editrice Taranto 2017.

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