Fontanot

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La famiglia Fontanot è stata una nota famiglia di antifascisti, comunisti e partigiani di origine muggesana, poi anche triestina e monfalconese (con un ramo italo-francese), che pagò molto duramente la propria scelta politica e militare.

Fra i componenti della famiglia si annoverano: Vinicio, Giovanni, Giacomo, Giuseppe, Giacomo (nipote di Giacomo e figlio di Giuseppe), Armido, Licio, i due fratelli ed il cugino di Nerina, Elsa, Ribella, Spartaco Romano, cugino di Vinicio, Lisa, moglie di Armido, e Giovanna moglie di Vinicio, anch'esse attive militanti comuniste.

La storia della Resistenza tradizionale dà, come riferimento iniziale, i giorni immediatamente successivi all'Armistizio di Cassibile stipulato fra il Regno d'Italia e gli Alleati l'8 settembre 1943[1]. Tale datazione può considerarsi valida in linea di massima, ma non per il Friuli-Venezia Giulia, dove la Resistenza armata ebbe inizio nel 1942 con una serie di azioni di guerriglia (fra cui quelle di Stojan Furlan). La spinta antifascista nelle zone operaie non si era esaurita negli anni venti del Novecento ed era rimasta come "un fuoco sotto la cenere". Il consenso ottenuto dal fascismo negli anni trenta con l'illusione dell'impero ed il relativo appoggio, o indifferenza, popolare, aveva viepiù permesso l'incarcerazione ed il confino di gran parte degli antifascisti senza "colpo ferire", ma coloro che non erano stati presi pur essendo in numero ridotto, erano molto attivi.
Alcune zone operaie italiane erano ancora roccaforti silenti di frange comuniste, socialiste ed anarchiche che mantenevano embrioni di organizzazioni clandestine. Fra queste ultime va citato il caso, in Liguria, di Sestri Ponente in cui cellule organizzative si erano già strutturate nel 1942 e quello di Monfalcone, in Friuli-Venezia Giulia, dove era iniziata a strutturarsi la resistenza politica al fascismo grazie ai cantieri navali e a una conseguente forte concentrazione di classe operaia. Grazie a questa industria, Monfalcone, da piccolo villaggio, era diventato un grosso borgo operaio con più di diciannovemila abitanti attorno alla metà degli anni trenta presentando forti analogie con Sestri Ponente, anch'essa contraddistinta dalla presenza di cantieri e fabbriche dell'indotto.
Anche Ronchi dei Legionari contava in quel periodo circa ottomila abitanti e una crescita simile avevano avuto i paesini limitrofi. Vi era stata quindi una forte proletarizzazione di strati contadini che portava ad avere un rapporto con lo sviluppo politico nazionale ben differente dal periodo precedente. Il cantiere e/o la fabbrica divenne luogo di presa di coscienza sindacale e di classe[2]. Nel monfalconese e zone limitrofe, pertanto, già durante gli anni del cosiddetto "consenso" nei confronti del regime fascista, operai in massima parte comunisti e socialisti distribuivano manifestini contro la guerra d'Etiopia (1935) e due anni più tardi, nel 1937, fecero innalzare nel cielo un pallone aerostatico che portava ben visibile la scritta "Viva l'URSS. Morte ai criminali fascisti".
In quel periodo gli operai delle suddette zone costituirono un'organizzazione denominata Soccorso Rosso, che raccoglieva fondi per dar aiuto alle famiglie degli antifascisti arrestati, impiantando persino una tipografia clandestina per la stampa del giornale Avanti!, mentre le riunioni si tenevano direttamente nelle case delle famiglie operaie. È in questa situazione che intere famiglie passarono alla lotta antifascista, prima politica, e, non appena possibile, armata. Fra queste ultime ricordiamo la famiglia Marvin[3], la famiglia Visintin e la famiglia Fontanot.

«La Brigata Proletaria [...] Era infatti composta da operai e studenti comunisti di Trieste e Monfalcone e la comandava Vinicio Fontanot, esponente di un'eroica famiglia operaia.[4]»

«Nella casa dei Fontanot di Ronchi dei Legionari, quando Vinicio tornò con la sua famiglia dalla Bulgaria nel 1935, vivevano ben 18 persone tra consanguinei e parenti acquisiti grazie ai matrimoni, tutte attive e note nell'ambiente antifascista triestino e monfalconese.[5]»

Ondina Peteani, amica di Nerina Fontanot, del ramo francese dei Fontanot, con due fratelli morti combattendo con i maquis, ebbe una vita intimamente legata a quella della famiglia Fontanot. Ondina fu una celebre staffetta partigiana della Brigata Proletaria, fra i cui comandanti c'era anche Vinicio Fontanot.

In seguito fu dato il nome di Brigata Garibaldi Fontanot ad una brigata partigiana italiana, formata essenzialmente da comunisti che successivamente confluì nel VII Korpus sloveno che operava militarmente nella provincia di Lubiana.

Giovanni Fontanot

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Nato a Muggia (Trieste), il 10 gennaio 1873, morto nel campo di concentramento di Dachau il 6 marzo 1944. Fu cugino di Giacomo e Giuseppe Fontanot, i due fratelli antifascisti che ripararono in Francia negli anni venti, mentre Giovanni, rimasto in Italia subì il carcere. Dopo l'8 settembre 1943 Giovanni, ormai settantenne, prese parte alla Resistenza armata friulana. Venne catturato pochi mesi dopo dai tedeschi a Pozzuolo del Friuli e deportato a Dachau. Data anche l'età, non poté resistere per lungo tempo al regime criminale di trattamento del campo. Due figli, Licio e Armido, nel frattempo caddero combattendo nella Resistenza. Fra i suoi figli si salvò solo Vinicio Fontanot, che sarà il comandante del 3º Battaglione della Brigata Proletaria con il nome di battaglia di "Petronio".

Giacomo Fontanot

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Figlio di Giuseppe Fontanot e nipote di Giacomo Fontanot, nacque in Francia nel 1927 e venne fucilato a Saint-Sauant nel 1944. Giuseppe aveva dovuto abbandonare nel 1923 Ronchi dei Legionari, dove abitava col fratello Giacomo, antifascista ed esule in Francia con la moglie ed il figlio di nome Nerone. Giacomo e Giuseppe divennero militanti del Partito Comunista Francese ed all'inizio della seconda guerra mondiale vennero internati a Gurs, da cui riuscirono a fuggire nel 1942. Furono catturati nuovamente in quello stesso anno per aver partecipato ad una manifestazione commemorativa del 150º anniversario della vittoria dei rivoluzionari a Valmy. Anche il giovane Giacomo venne recluso nel campo di Tourelles, assieme al padre Giuseppe ed allo zio Giacomo, venendo successivamente trasferito al campo di Rouillé. Qui venne liberato dai maquis, ai quali si unì. Partecipò ad una cruenta azione contro i nazifascisti nella foresta di Saint-Sauant; dopo tre ore di aspri combattimenti venne catturato e fucilato sul posto.

Licio Fontanot

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Nacque a Fiume nel 1912 e morì a Palmanova nell'agosto 1944. Figlio di Giovanni Fontanot, entrò, dopo l'8 settembre 1943, nella Resistenza, assieme al fratello maggiore Armido, assumendo il grado di comandante della Brigata GAP della Divisione Garibaldi Friuli. Conosciuto con il nome di battaglia di "Bruno", nel luglio del 1944 venne riconosciuto da un manipolo di fascisti e, quando già era riuscito a sfuggire alla cattura in sella a una bicicletta, si trovò innanzi a un gruppo di SS che gli sbarrarono la strada per il ponte di Pieris, nei pressi di Gorizia. Ingaggiato uno scontro a fuoco con i militi tedeschi, si tuffò ferito nell'Isonzo, mettendosi in salvo e riprendendo il proprio posto nella lotta partigiana. Catturato nell'agosto del 1944 nel corso di un rastrellamento, temendo di non resistere alle torture cui sarebbe stato sottoposto dai nazifascisti per estorcergli informazioni, preferì impiccarsi nella caserma "Piave" di Palmanova dove era detenuto. Circa quattro mesi prima, il fratello maggiore Armido era morto vilmente assassinato dai fascisti.

Armido Fontanot [6]

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Nato a Trieste il 28 febbraio 1900 e morto a Cepletischis (Udine) il 27 o 28 giugno 1944, operaio. Fratello maggiore di Licio[7], subito dopo l'8 settembre 1943 entrò nella Resistenza friulana. Fu uno dei primi combattenti antifascisti insieme a Stojan Furlan, Carlo Màslo e Giovanni Pezza. Divenuto commissario di battaglione della Brigata Garibaldi Trieste con il nome di battaglia di "Spartaco", partecipò a numerose azioni, dando prova di grande coraggio. Fra queste ricordiamo l'attacco del 24 maggio 1944, che "Spartaco" ed i partigiani da lui guidati effettuarono contro il presidio degli alpini repubblichini alloggiati nella scuola di Dornberk (Montespino) nei pressi di Nova Gorica, attaccando allo stesso tempo anche i presidi del Molino alle pendici del monte Tabor e quello posizionato in prossimità del ponte di Sassetto. Furono uccisi diversi fascisti soldati della Repubblica Sociale, mentre altri riuscirono a fuggire ed 87 chiesero la resa. La maggior parte dei repubblichini catturati espressero la volontà di arruolarsi fra le file della Resistenza. "Spartaco" dovette indagare sulla buona fede di questi ultimi e provvedere alla loro preparazione militare. Il 26 giugno, con l'approvazione del comando della brigata, li radunò per condurli nel Collio, dove le bande partigiane che operavano in zona avevano urgente bisogno di uomini da arruolare. Il sottotenente Giobatta Brandoni di Buia (Udine), con Michele Gervasoni di Udine e Pietro Castellini di Tarcento, pugnalarono nel sonno "Spartaco", che si era fidato di loro, prima di arrivare al Collio per poi raggiungere un distaccamento tedesco. La maggioranza degli altri repubblichini fuggì per paura che i traditori li vendessero ai tedeschi, ma otto di essi si allontanarono autonomamente, raggiungendo la banda partigiana di destinazione. Dopo la Liberazione la Corte d'Assise straordinaria di Udine emise condanne di 13 anni per il sottotenente Brandoni, di 7 anni per il Gervasoni e di 9 anni per il Castellini, che venne processato in contumacia; nessuno scontò la pena grazie all'amnistia Togliatti.

Vinicio Fontanot

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Nato nel 1913, assieme a Camillo Donda[8][9], Ferdinando Marega[10] e Giordano Tomasig[11], Vinicio fu uno dei comandanti della Brigata Proletaria. All'età di 23 anni assunse di fatto il comando del 3º Battaglione di tale brigata, con il nome di battaglia di "Petronio". Distintosi per il proprio coraggio contro forze di gran lunga superiori nel corso di tale battaglia, partecipò successivamente con i suoi uomini a molti scontri con le SS della Divisione Hermann Göring e di altre unità inquadrate nella Wehrmacht. Quattordici anni dopo la Liberazione venne ingiustamente denunciato per aver ucciso un fascista repubblichino a scopo di rapina. Arrestato col cugino Spartaco Romano, vennero comunque assolti con formula piena[12] dall'ANPI. Vinicio fu l'unico figlio di Giovanni sopravvissuto alla lotta contro i nazifascisti.

Alcuni membri della famiglia Fontanot dopo la Liberazione ed il problema dei "Monfalconesi"

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Dopo la seconda guerra mondiale[13] inizia la lotta portata avanti da Tito e Milovan Đilas per rendere indipendente la Jugoslavia dal dominio di Stalin; la lotta è durissima e ci vanno di mezzo anche diversi operai comunisti di Monfalcone che, dopo aver combattuto nella Brigata Proletaria e con le brigate partigiane in Slovenia, avevano deciso di emigrare in Jugoslavia, considerata da loro una nazione organizzata in modo socialista. Secondo Arrigo Petacco, tali operai costituivano, provenienti sia da Monfalcone che da Pola, una «quinta colonna» fedele al Cominform a cui sarebbe stato assegnato il lavoro politico di riportare la Jugoslavia all'interno dell'orbita stabilita da Stalin; raggiunsero la Jugoslavia tramite lo strumento organizzativo per l'"espatrio" messo in campo da Vittorio Vidali, ma su indicazioni di Palmiro Togliatti. Questo rappresentava un attacco diretto alla politica di Tito e di Milovan Đilas, per cui si incominciarono a mandare i "monfalconesi" in campi di prigionia. Ferdinando Marega riuscì a sfuggire alla cattura e a informare i dirigenti del PCI della situazione, ma rimase inascoltato per motivi di ordine propagandistico nonché geopolitico. Dalla testimonianza di Armido Campo, riportata sotto, nipote di Vinicio Fontanot, però non si evince una strategia preordinata, come da ipotesi di Arrigo Petacco, bensì più che altro una conseguenza dello scontro Stalin-Tito. Alcuni membri della famiglia Fontanot, come comunisti italiani, essendo il PCI in questa lotta schierato con Stalin, vennero visti con sospetto ed anche imprigionati. Ne dà testimonianza un nipote di Vinicio Fontanot:

«Chi parla è Armido Campo, figlio di Ribella e nipote di Vinicio Fontanot, famoso comandante della Brigata Garibaldi Trieste. Ora vive alla Spezia e, dopo circa cinquant'anni, si è deciso per primo a rompere il silenzio che la sua famiglia si era imposta per disciplina di partito. Racconta Armido: eravamo tutti comunisti dello zoccolo duro. Mia madre, Ribella, vedova di un deportato in Germania, si era risposata con Sergio Mori, il mio secondo padre, che era allora un quadro del PCI. Lasciammo Monfalcone all'inizio del 1947 per andare a vivere in Jugoslavia, dentro il comunismo reale, dal quale stavano fuggendo in massa gli italiani dell'Istria. Dopo la rottura fra Tito e Stalin la mia famiglia venne deportata a Zenica in Bosnia. C'erano con noi tre famiglie di monfalconesi: i Battilana, i Bressan, i Comar, i Babuder, i Gratton e Elsa Fontanot. In quel villaggio finimmo a contatto con i prigionieri tedeschi condannati ai lavori forzati. Ricordo la pietà di mia madre e di mia nonna Lisa le quali, dimenticando che i nazisti avevano ucciso i loro mariti, portavano tazze di brodo a quei prigionieri immersi nella neve. Anche noi, in verità, vivevamo come prigionieri, ma non portavamo le catene come i tedeschi. Restammo lì per più di un anno, completamente dimenticati dal PCI che non poteva ignorare quanto stava accadendo. Vittorio Vidali, certamente, sapeva tutto, ma nessuno fece nulla per noi. Per questo, Sergio Mori decise un giorno di fuggire da Zenica e riuscì a raggiungere Zagabria dove si mise in contatto con il console italiano. Poco tempo dopo, grazie all'intervento del governo italiano, fummo liberati, tornammo in Italia e cademmo dalla padella nella brace. Le nostre case di Monfalcone erano state assegnate ai profughi dell'Istria, i nostri posti di lavoro anche. Ci consideravano degli appestati.[14]»

La tesi di Arrigo Petacco è sostanzialmente ribaltata da Anna Di Gianantonio[15] presentando dei fatti secondo cui furono alcuni gruppi di "Monfalconesi", ormai ben integrati nel mondo del lavoro Jugoslavo che, rimasti fedeli al Cominform, presero contatti con Vittorio Vidali ed il Pci per costruire una lotta politica pro Stalin in opposizione a Tito, essendo appoggiati dal PCI che, in quel periodo, era su posizioni coincidenti con quelle di Stalin, soprattutto per quanto riguardava l'evoluzione del socialismo in Jugoslavia. La testimonianza di Mario Tonzar sembra infatti avvalorare maggiormente questa tesi.[16]. In ogni caso, le ipotesi sia di Petacco che della Gianantonio si possono ritenere convergenti sul piano dei risultati, indipendentemente se sia stato il PCI a formare la "quinta colonna" di comunisti fedeli al Cominform o se siano stati i comunisti fedeli al Cominform a chiedere aiuto al PCI per fare opposizione a Tito in difesa dello stalinismo, ed è comprensibile che in un periodo storico così lacerante per i comunisti italiani in Jugoslavia, non ha troppa importanza se vi era una tattica organizzata dietro al PCI o la tattica scaturì dalle loro posizioni riportate ai dirigenti del PCI da parte di gruppi dei suddetti comunisti espatriati in Jugoslavia, probabilmente ogni fattore servì da rinforzo ed amplificazione dell'altro.

La testimonianza nel libro di memorie di Mario Tonzar, operaio monfalconese

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La situazione in quel periodo è ben illustrata dalla testimonianza di Mario Tonzar[17] nel libro di Alessandro Morena "La valigia e l'idea. Memorie di Mario Tonzar"[18] Secondo l'autore si era creato un forte legame fra partigiani jugoslavi ed italiani che risiedevano in quelle zone, ciò che li accomunava era un passato di lotta contro i nazifascisti, lo stesso evento fu visto come tradimento dagli jugoslavi, facendo riferimento ai partigiani e operai andati in Jugoslavia, ma rimasti fedeli allo stalinismo. La sua lunga intervista permette di capire quali fossero i sentimenti di una parte della gente di confine in quelle zone ed in quel periodo, vi furono manifestazioni affinché tali territori fossero annessi alla Jugoslavia, con episodi che arrivarono all'aggressione dei corridori durante il giro d'Italia del 1946 presso il ponte di Pieris[19]. All'epoca Trieste era ancora contesa tra le due nazioni e gli italiani che erano stati partigiani con i compagni jugoslavi, erano favorevoli ad una annessione alla Jugoslavia. In seguito però vi fu la rottura fra Stalin e Tito, con le conseguenze per gli emigrati in Jugoslavia di cui si è trattato sopra; il fatto più sconcertante è che, non molti anni dopo, Stalin ebbe le critiche dei comunisti italiani e questo normalizzò in parte i rapporti fra i due partiti ma, nel frattempo, gli operai fedeli al Cominform ed espatriati in Jugoslavia, avevano già subito dure pene.

  1. ^ non considerando la lotta armata antifascista degli Arditi del Popolo e della formazioni di difesa proletaria degli anni venti
  2. ^ la Resistenza prima della Resistenza
  3. ^ composta dai fratelli Marvin Romano, Albino e Giuseppe. Giuseppe, come molti reduci dalla Spagna, si arruolerà nella Legione straniera francese, combatterà a Narvick in Norvegia, dove verrà decorato al valore, raggiungendo successivamente i maquis in Francia e cadendo, fucilato dai tedeschi, a St. Germain du Corbeis; Albino, gravemente ferito in Spagna, sarà curato in URSS per poi essere paracadutato in Slovenia dove diverrà capo di stato maggiore della Divisione Garibaldi Natisone; Romano si unirà alle Brigate garibaldine della zona di Gorizia e resterà con queste fino alla Liberazione.( foto di Giuseppe Marvin da archivio Giorgio Visintin[collegamento interrotto] foto dei fratelli Marvin da archivio Giorgio Visintin, da sinistra, in piedi: Albino Marvin, Ilio Barontini e Antonio Roasio; seduti: Romano Marvin e Anello Poma Archiviato il 25 ottobre 2004 in Internet Archive. )
  4. ^ L'esodo: la tragedia degli italiani d'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia - Pagina 83 di Arrigo Petacco
  5. ^ Ondina Peteani Archiviato il 19 ottobre 2007 in Internet Archive. la vicenda di Ondina Peteani
  6. ^ Armido Fontanot ANPI
  7. ^ Licio Fontanot da ANPI
  8. ^ biografia da ANPI, su anpi.it. URL consultato il 27 gennaio 2009 (archiviato dall'url originale il 16 maggio 2010).
  9. ^ foto di Camillo Donda[collegamento interrotto]
  10. ^ Marega Ferdinando Busta 3, Fasc. 63 da ISTITUTO FRIULANO PER LA STORIA DEL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE Fondo: Riccardo Giacuzzo, su beniculturali.ilc.cnr.it:8080. URL consultato il 4 ottobre 2020 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
  11. ^ comandò il 1º battaglione della Brigata Proletaria e dopo fu commissario politico della 24ª brigata d'assalto Garibaldi "Fratelli Fontanot" antefatti foibe Archiviato il 18 ottobre 2008 in Internet Archive.foto di Giordano Tomasig Archiviato il 25 ottobre 2004 in Internet Archive.
  12. ^ da ANPI, su anpi.it. URL consultato il 27 gennaio 2009 (archiviato dall'url originale il 30 aprile 2009).
  13. ^ Tito Dice No a Stalin Archiviato il 6 gennaio 2009 in Internet Archive.

    «Liberati dalla paura e dall'arbitrio cui da decenni sottostavano in patria, gli esperti sovietici, che si insediarono in tutte le istituzioni statali, industriali e militari, si comportarono con poco criterio e molta arroganza [...], come se ognuno di loro avesse il diritto e il dovere di atteggiarsi a piccolo Stalin»

    da scritti di Milovan Đilas

    «Gli jugoslavi non titubarono nell'organizzare una difesa: all'interno del Paese venne repressa brutalmente qualsiasi voce di dissenso, la polizia segreta OZNA controllava ogni aspetto della vita sociale, alla ricerca dei "traditori"»

  14. ^ Da «L'esodo. Le tragedie negate degli italiani d'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia». (Mondadori Editore) brani libro Arrigo Petacco Archiviato il 13 dicembre 2007 in Internet Archive.
  15. ^ autrice fra gli altri di *È bello vivere liberi. Ondina Peteani. Una vita tra lotta partigiana, deportazione ed impegno sociale Irsml Friuli-Venezia Giulia - 2007
    • Gorizia operaia. I lavoratori e le lavoratrici isontini tra storia e memoria 1920-1947 Editrice Goriziana - 2000. Anna Di Gianantonio è professoressa ed ha l'incarico di ricercatrice per l'Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia. Fra le ricerche pubblicate vi sono i suoi studi sulla storia politico-sociale delle aree della regione, ricavati da interviste con le persone che hanno vissuto il regime fascista sia come semplici cittadini ed operai, sia di partigiani e partigiane, si è inoltre occupata in particolar modo del dopoguerra monfalconese, oltre i già citati articoli, ha anche curato i volumi L'immaginario imprigionato e il documentario Storie resistenti. Da Monfalcone a Salcano. sempre per le edizioni dell'Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia
  16. ^ Tragico destino degli operai «cominformisti» Anna Di Gianantonio, su monde-diplomatique.it. URL consultato il 28 gennaio 2009 (archiviato dall'url originale il 10 giugno 2011).
  17. ^ Mario Tonzar, nasce a Turriaco nel 1920, muore nel 2007, di origini contadine entra nel cantiere di Monfalcone nel 1935 dove inizia la sua formazione politica, ed è arrestato dai fascisti il 27 aprile 1943, per gli scontri di piazza avvenuti in diverse località del monfalconese. Presto rilasciato inizia la lotta clandestina antifascista fino a quando per sfuggire alla cattura deve abbandonare il lavoro nel 1944 e inizia la collaborazione con «l'Intendenza Montes» senza prendere parte alle azioni di battaglia dei GAP ma facendo supporto. Subito dopo la Liberazione entra a far parte nelle milizie popolari diventando responsabile settore giovanile del PCI nella Regione Giulia. Un paio di anni dopo decide di trasferirsi in Jugoslavia. Prima si reca in Bosnia e poi a Fiume ma resta fedele al dettame stalinista del Cominform per cui viene arrestato e mandato ai lavori forzati nel campo di Uljanik e Bilece. Nel 1952 viene rilasciato e l'anno seguente torna in giugno a Turriaco da ANPI[collegamento interrotto]
  18. ^ Tragico destino degli operai "cominformisti" di Anna Di Gianantonio, su monde-diplomatique.it. URL consultato il 28 gennaio 2009 (archiviato dall'url originale il 10 giugno 2011).
  19. ^ Giro preso a sassate a Pieris (http://www.ilterritorio.ccm.it/lib/files/territorio_bollettino_it_645_pdf_.pdf Archiviato il 4 marzo 2016 in Internet Archive.)
  • Giorgio Jaksetich, La brigata "Fratelli Fontanot". Partigiani italiani in Slovenia, La Pietra, 1982.
  • Andrea Berrini, Noi siamo la classe operaia: i duemila di Monfalcone, Baldini Castoldi Dalai, 2004.
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  • Anna di Gianantonio, È bello vivere liberi. Ondina Peteani. Una vita tra lotta partigiana, deportazione ed impegno sociale, Irsml, Friuli-Venezia Giulia, 2007,
  • Pietro Secchia, Enzo Nizza, Bruno Anatra Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza, La Pietra, 1968.
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  • Giacomo Scotti, Juris, juris! All'attacco! La guerriglia partigiana ai confini orientali d'Italia 1943-1945, Mursia, 1984.
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  • Alessandro Morena, La valigia e l'idea. Memorie di Mario Tonzar, Consorzio culturale del monfalconese, 2005.
  • Luciano Patat, La battaglia partigiana di Gorizia: la resistenza dei militari e la "brigata proletaria" (8-30 settembre 1943), Gorizia, Centro isontino di ricerca e documentazione storica e sociale Leopoldo Gasparini, 2015. (parte 2 La brigata Proletaria) - parte 3 (p. 100-101) - IT\ICCU\TSA\1447292

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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