Conquista fatimide dell'Egitto

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Conquista fatimide dell'Egitto
parte dell'espansione del califfato fatimide
Data6 febbraio – 9 luglio 969
LuogoFustat, Egitto
EsitoVittoria fatimide
Schieramenti
Comandanti
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La Conquista fatimide dell'Egitto ebbe luogo nel 969 allorquando le truppe fatimidi sotto il comando del generale Jawhar sottomisero l'Egitto, allora governato dall'autonoma dinastia ikhshidide a nome del Califfato abbaside.

I Fatimidi avevano tentato già in precedenza di sottomettere l'Egitto fin da quando avevano preso il potere in Ifriqiya (odierna Tunisia ed Algeria orientale) nel 909, ma questi primi tentativi andarono incontro al fallimento. Negli anni sessanta del X secolo, tuttavia, la situazione era mutata a favore dei rafforzati fatimidi, con il califfato abbaside sull'orlo del collasso e il regime ikhshidide che stava attraversando un periodo prolungato di crisi: alle incursioni straniere e una grave carestia si aggiunse la morte nel 968 di Abu l-Misk Kafur. Il vuoto di potere creatosi di conseguenza portò a scontri aperti tra le varie fazioni in contrasto a Fustat, la capitale dell'Egitto. La crisi fu aggravata dalla concomitante avanzata dell'Impero bizantino che si espanse a danno degli stati musulmani del Mediterraneo orientale. Nel frattempo gli agenti fatimidi operavano apertamente in Egitto e le elite locali cominciarono poco alla volta ad accettare e finanche a vedere di buon occhio la prospettiva di una conquista fatimide dell'Egitto nella speranza che ciò avrebbe posto fine al periodo di instabilità e di insicurezza.

Approfittando della situazione favorevole, il califfo fatimide al-Mu'izz li-Din Allah organizzò una spedizione imponente per conquistare l'Egitto. Condotta da Jawhar, la spedizione partì da Raqqada in Ifriqiya il 6 febbraio 969, ed entrò nel Delta del Nilo due mesi dopo. Le elite Ikhshididi preferirono negoziare una resa pacifica, e Jawhar emanò un salvacondotto (amān), promettendo di rispettare i diritti della popolazione e dei notabili egiziani e di portare avanti il jihād contro i Bizantini. L'esercito fatimide prevalse sui soldati fatimidi, che avevano tentato vanamente di impedirne l'attraversamento del Nilo tra il 29 giugno e il 3 luglio, mentre gli agenti filofatimidi approfittarono del caos per assumere il controllo di Fustat e dichiarare la sua sottomissione ad al-Mu'izz. Jawhar prese possesso della città, cui fu esteso l'amān, il 6 luglio, con la preghiera del venerdì letta in nome di al-Mu'izz il 9 luglio.

Nei quattro anni successivi Jawhar fu viceré di Egitto, soffocando rivolte e dando avvio alla costruzione di una nuova capitale, Il Cairo. I suoi tentativi di espansione negli ex domini Ikhshididi in Siria, nonché negli stessi territori bizantini, furono respinti: dopo una iniziale avanzata, le armate fatimidi furono annientate, e lo stesso Egitto dovette subire una invasione carmata che giunse a minacciare lo stesso Cairo. Al-Mu'izz arrivò in Egitto nel 973, e pose la propria residenza al Cairo, che divenne la capitale del Califfato Fatimide per il resto della propria esistenza, fino alla caduta dei Fatimidi per mano di Saladino nel 1171.

Antefatti: i precedenti tentativi fatimidi di conquistare l'Egitto

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La dinastia fatimide pervenne al potere in Ifriqiya (odierna Tunisia e Algeria nordorientale) nel 909. I Fatimidi erano fuggiti dalla propria patria, la Siria, alcuni anni prima, e si erano diretti nel Maghreb, dove i loro agenti avevano fatto progressi considerevoli nella conversione dei Kutama Berberi al ramo ismailita dello Sciismo promosso dai Fatimidi.[1][2] Mentre i Fatimidi rimasero in clandestinità, il missionario ismailita Abū ʿAbd Allāh al-Shīʿī condusse i Kutama alla caduta della regnante dinastia aghlabide, permettendo al capo fatimide di rivelarsi in pubblico e di autoproclamarsi califfo con il nome di regno di al-Mahdi Billah (r. 909-934).[2][3] In contrasto con i loro predecessori, che si erano accontentati di rimanere una dinastia regionale alle estremità occidentali del Califfato abbaside, i Fatimidi avevano pretese ecumeniche: sostenendo di discendere da Fatima, la figlia di Maometto e moglie di Ali,[4] i califfi fatimidi erano simultaneamente a capo della setta ismailita, i cui adepti li consideravano imam, i legittimi vicegerenti di Dio sulla Terra. Di conseguenza, i Fatimidi consideravano la loro presa del potere come il primo passo verso un obiettivo più ambizioso: diventare i capi legittimi dell'intero mondo islamico attraverso la detronizzazione degli usurpatori abbasidi, di fede sunnita.[5][6]

Dinar del secondo califfo fatimide, al-Qa'im bi-Amr Allah. Durante il regno del padre, condusse, da erede al trono, le prime due, fallimentari, invasioni fatimidi dell'Egitto.

In linea con le loro mire imperialistiche, una volta preso il potere in Ifriqiya, l'obiettivo successivo era la conquista dell'Egitto, la porta del Levante e Iraq, dove avevano sede i rivali Abbasidi.[7] Nel 914 una prima invasione sotto il comando dell'erede al trono fatimide al-Qa'im bi-Amr Allah fu lanciata. Occupò la Cirenaica (Barqa), Alessandria e l'Oasi del Fayyum, ma non riuscì a espugnare la capitale egiziana, Fustat, e fu respinta nel 915, in seguito all'arrivo dei rinforzi abbasidi dalla Siria e Iraq.[8][9] Una seconda invasione fu intrapresa nel 919–921. Alessandria fu ancora una volta espugnata, ma i Fatimidi vennero respinti alle porte di Fustat mentre la loro marina fu annientata. Al-Qa'im si mosse nell'Oasi del Fayyum, ma fu costretto ad abbandonarla dall'arrivo di fresche truppe abbasidi e a ritirarsi, attraverso il deserto, in Ifriqiya.[10][11]

Il fallimento dei primi tentativi di conquista fu dovuto principalmente alla sovraestensione della logistica fatimide e al mancato ottenimento di successi decisivi prima dell'arrivo dei rinforzi abbasidi. Nonostante tutto, Barqa rimase in mani fatimidi e divenne una base avanzata dalla quale minacciare l'Egitto.[12] Negli anni trenta del X secolo, mentre il califfato abbaside era entrato in una grave crisi generalizzata, i Fatimidi tentarono ancora una volta di trarre vantaggio dai conflitti in corso tra le fazioni militari in Egitto nel 935–936. Le armate fatimidi occuparono per breve tempo Alessandria, ma colui che trasse un reale vantaggio dalla situazione fu Muhammad ibn Tughj al-Ikhshid, un comandante turco che si autoproclamò sovrano dell'Egitto e della Siria settentrionale—nominalmente in nome degli Abbasidi ma di fatto indipendente— fondando la dinastia ikhshidide.[13][14] Nel corso delle conseguenti dispute con Baghdad, al-Ikhshid non esitò a ricercare l'appoggio dei Fatimidi, arrivando addirittura a proporre un'alleanza matrimoniale tra uno dei figli e una figlia di al-Qa'im, ma, una volta ottenuto il riconoscimento dalla corte abbaside, ritirò tale proposta.[15][16]

Nel frattempo, entro la fine degli anni trenta del X secolo l'iniziale slancio rivoluzionario che aveva portato i Fatimidi al potere aveva cessato i suoi effetti, e anche se le rivendicazioni al dominio universale non furono accantonate del tutto, i Fatimidi furono messi in grave difficoltà dallo scoppio di una rivolta a larga scala condotta dal predicatore berbero Khariji Abu Yazid (943–947). Tale insurrezione rischiò seriamente di provocare la caduta del regime fatimide, e anche in seguito alla sua repressione, i Fatimidi dovettero per qualche tempo concentrarsi nel restaurare la propria posizione nel Mediterraneo occidentale.[17] Nel frattempo l'Egitto attraversò un periodo di relativa pace. In seguito alla morte di al-Ikhshid nel 946, il potere passò nelle mani di Abu l-Misk Kafur, uno schiavo eunuco nero che al-Ikhshid aveva nominato comandante supremo dell'esercito. Per un ventennio Kafur si accontentò di reggere lo stato da dietro le quinte, manovrando i figli di al-Ikhshid emiri soltanto nominalmente, ma nel 966 prese il potere assumendo per sé il trono.[18][19]

Circostanze mutevoli: l'Egitto negli anni sessanta del X secolo

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Nel corso del secondo terzo del X secolo, l'equilibrio di potere mutò a favore dei Fatimidi: mentre questi ultimi consolidavano il loro regime, il Califfato abbaside era stato indebolito dalle costanti lotte intestine per il potere tra le fazioni rivali che avevano coinvolto funzionari burocratici, la corte e l'esercito. Gradualmente privata delle province più remote da ambiziosi dinasti locali e ridottasi all'Iraq, dopo il 946, i califfi abbasidi dovettero subire per giunta l'affronto di divenire pedine impotenti dei Buyidi.[20][21]

Entro gli anni sessanta del X secolo, anche gli Ikhshididi si trovarono a dover fronteggiare una crisi dovuta sia a tensioni interne sia a pressioni esterne.[22] Il regno cristiano nubiano di Makuria lanciò invasioni dell'Egitto dal sud, mentre a ovest i Berberi Lawata occuparono la regione circostante Alessandria, alleandosi con le tribù locali beduine del Deserto occidentale in funzione anti-ikhshidide.[23][24] In Siria, la crescente tendenza dei Beduini a creare disordini mise in pericolo la dominazione ikhshidide, soprattutto in occasione della coincidente invasione della Siria da parte dei Carmati, una setta ismailita avente sede in Bahrayn (Arabia orientale).[N 1] Spesso in alleanza con i Beduini, i Carmati depredavano le caravane di mercanti e di pellegrini Hajj indistintamente, con gli Ikhshididi incapaci di contrastare i loro attacchi.[23][24] La situazione divenne tanto grave da tagliare le vie di comunicazione terrestri tra Egitto e Iraq.[29] Gli studiosi moderni hanno sospettato un possibile coinvolgimento fatimide in almeno alcuni di questi eventi: secondo l'orientalista francese Thierry Bianquis, l'incursione makuriana del 956, che saccheggiò la zona di Aswan, era "probabilmente appoggiata segretamente dai Fatimidi",[23] e la congettura che fossero stati i Fatimidi a istigare le incursioni dei Beduini e dei Carmati in Siria è stata accolta da molti storici, benché, come avverte scetticamente lo storico Michael Brett, non poggi su alcuna testimonianza certa.[30]

La situazione interna in Egitto si aggravò ulteriormente a causa di una serie di basse inondazioni del Nilo a partire dal 962. Nel 967 l'inondazione raggiunse il minimo storico nell'intero periodo islamico iniziale, e nei tre anni successivi il livello del fiume rimase ben al di sotto della norma.[N 2] I venti caldi e gli sciami di locuste contribuirono a provocare gravi danni alle coltivazioni, provocando la peggiore carestia locale negli ultimi decenni, ulteriormente aggravata dallo scoppio di una epidemia di peste originata dai ratti.[32][33] Di conseguenza, i prezzi degli alimenti salirono vertiginosamente: entro il 968, un pollo costava 25 volte di più rispetto al periodo pre-carestia, e un uovo costava cinquanta volte di più.[34] A pagarne particolarmente le spese fu la capitale, Fustat, la città più popolosa del mondo islamico dopo Baghdad, che fu flagellata dalla carestia e da epidemie (che persistettero anche nei primi anni della dominazione fatimide).[35] I raccolti scarsi, inoltre, ridussero il gettito fiscale, con conseguenti tagli di spese. Ciò ebbe ripercussioni dirette su influenti circoli religiosi; non solo rimasero senza paga, ma il denaro destinato alla manutenzione delle moschee sparì nel nulla, e l'impossibilità di garantire gli uomini e il denaro necessari per tutelare la loro sicurezza provocò, dopo il 965, la cessazione delle caravane dirette al pellegrinaggio annuale alla Mecca (o Hajj).[36]

Per giunta, gli anni sessanta del X secolo videro l'Impero bizantino sotto il regno di Niceforo II Foca (r. 963-969) espandersi a spese del mondo islamico, con le conquiste di Creta, Cipro e della Cilicia e l'avanzata nella Siria settentrionale. La reazione ikhshidide a tale avanzata fu titubante e inefficace: dopo non essere intervenuta in soccorso di Creta, la flotta inviata in risposta alla caduta di Cipro fu annientata dalla marina bizantina, lasciando senza difese le coste dell'Egitto e della Siria. I musulmani d'Egitto chiedevano a gran voce il jihād e diedero luogo a dei pogrom anti-cristiani che furono soffocati a stento.[22][37] La propaganda fatimide ebbe gioco facile a sfruttare l'offensiva bizantina per rappresentare gli Ikhshididi e i loro superiori abbasidi come sovrani inetti e incapaci di difendere il mondo islamico dall'avanzata degli Infedeli, a differenza dei Fatimidi,[38] che proprio nello stesso periodo stavano combattendo con successo i Bizantini in Italia meridionale.[39] L'avanzata bizantina, insieme alle depredazioni concomitanti dei Beduini e dei Carmati nella Siria centrale, contribuì inoltre a privare l'Egitto di grano siriano, cui faceva ricorso di norma nei periodi di carestia.[34]

In questo contesto di problemi interni e minacce esterne, e a seguito del declino irreversibile dei loro precedenti signori imperiali, una possibile presa del potere da parte dei Fatimidi divenne una prospettiva sempre più attraente per gli egiziani.[40]

Collasso del regime ikhshidide

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Dinar in nome dell'ultimo sovrano ikhshidide, Abu'l-Fawaris Ahmad, battuta nel 968/9 a Ramla, Palestina

La morte di Abu al-Misk Kafur nell'aprile 968, senza eredi, paralizzò il regime ikhshidide.[41] Il visir di Kafur, Ja'far ibn al-Furat, che aveva sposato una principessa ikhshidide e potrebbe aver nutrito speranze di collocare suo figlio sul trono,[42] tentò di assumere le redini del governo, ma era privo di una base di potere al di fuori della burocrazia; mentre l'esercito si era suddiviso in varie fazioni mutualmente antagoniste (principalmente gli Ikhshidiyya, reclutati da al-Ikhshid, e i Kafuriyya, reclutati da Kafur).[43][44] I comandanti militari avrebbero auspicato che uno di essi fosse succeduto a Kafur, ma furono costretti a tornare sui propri passi per via dell'opposizione delle classi dirigenti.[45]

Le varie fazioni in un primo momento avevano stretto un patto di condividere il potere effettivo sotto il governo nominale del nipote (abiatico) undicenne di al-Ikhshid, Abu'l-Fawaris Ahmad ibn Ali, con suo zio al-Hasan ibn Ubayd Allah, governatore della Palestina, come reggente, Ibn al-Furat come visir, e il soldato-schiavo (ghulmām) Shamul al-Ikhshidi come comandante in capo.[44] Il patto non durò a lungo, per via del riemergere delle rivalità tra le elité ikhshididi. Shamul era privo di ogni effettiva autorità sull'esercito, per cui gli Ikhshidiyya si scontrarono con i Kafuriyya e li espulsero dall'Egitto. Allo stesso tempo, Ibn al-Furat cominciò ad arrestare i potenziali rivali nell'amministrazione, portando a una crisi di governo e a una interruzione di afflusso delle entrate fiscali.[46] Il reggente al-Hasan ibn Ubayd Allah arrivò dalla Palestina a novembre e occupò Fustat, imprigionando Ibn al-Furat; ma i suoi sforzi di imporvi la propria autorità andarono incontro a un fallimento, e agli inizi del 969 abbandonò la capitale e fece ritorno in Palestina, lasciando l'Egitto senza un governo effettivo.[47][48]

Lo storico Yaacov Lev sostiene che, mentre si trovavano a dover fronteggiare tale impasse, alle elite egiziane non rimase che la scelta di cercare aiuti esterni. Data la situazione internazionale all'epoca tali aiuti non potevano che giungere dai Fatimidi. Le fonti medievali attestano che le principali autorità civili e militari spedirono lettere al califfo fatimide al-Mu'izz li-Din Allah (r. 953-975) in Ifriqiya, dove i preparativi per una nuova invasione dell'Egitto erano già in corso.[48]

Preparativi fatimidi

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Dinar di al-Mu'izz, battuto ad Al-Mansuriyya nel 954/5

Nei primi anni del regno al-Mu'izz si concentrò sull'espansione dei propri domini nel Maghreb occidentale e nel conflitto con i Bizantini in Sicilia e Italia meridionale, ma è chiaro, secondo lo storico Paul E. Walker, che al-Mu'izz avesse la conquista dell'Egitto tra i propri obiettivi fin dal principio del proprio regno.[38] Già nel 965/6, al-Mu'izz cominciò a immagazzinare provviste e ad allestire i preparativi per una nuova invasione dell'Egitto.[49] Entro il 965, le proprie armate sotto il comando del generale Jawhar avevano trionfato sugli Umayyadi del Califfato di Cordova, ripristinando l'autorità fatimide sull'odierna Algeria occidentale e Marocco, territori che erano stati in precedenza conquistati dai generali fatimidi negli anni dieci e venti del X secolo e poi temporaneamente perduti. In Sicilia, i governatori fatimidi espugnarono le ultime fortezze bizantine, completando così la conquista islamica dell'isola, e sconfissero una spedizione bizantina inviata per tutta risposta.[50][51] In seguito a questi successi, nel 967 fu conclusa una tregua con Costantinopoli, lasciando entrambe le potenze libere di perseguire i propri obiettivi ad oriente: i Bizantini contro l'Emirato di Aleppo retto dagli Hamdanidi, e i Fatimidi contro l'Egitto.[30][52] Il califfo fatimide non nascose mai la propria ambizione, arrivando addirittura a vantarsi davanti a un ambasciatore bizantino nel corso delle negoziazioni che la prossima volta che si sarebbero incontrati sarebbe stato in Egitto.[38][53]

Preparativi militari

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A differenza delle spedizioni dei propri predecessori, intraprese avventatamente, al-Mu'izz pianificò con molta cura la propria spedizione egiziana, investendovi tempo e risorse considerevoli.[40] Secondo lo storico egiziano del XV secolo al-Maqrizi, il Califfo spese 24 milioni di dinar per raggiungere l'obiettivo prefissatosi. Lev ritiene che la cifra "forse non dovrebbe essere presa alla lettera", ma che dia comunque "un'idea delle risorse a disposizione dei Fatimidi" per l'impresa.[54] Il fatto che al-Mu'izz fosse in grado di racimolare somme tanto enormi è un indicatore delle finanze fiorenti dello stato fatimide nello stesso periodo, accresciute dalle tasse riscosse sul commercio trans-Sahariano—circa 400 000 dinar, metà del gettito fiscale annuale dei Fatimidi, derivati dal terminale commerciale di Sijilmasa nel solo 951/2—e la massiccia importazione di oro di altà qualità dall'Africa subsahariana.[55][N 3] Questi fondi si accrebbero nel 968 imponendo tasse straordinarie per finanziare la spedizione imminente.[29]

Nel 966 Jawhar, reduce dal trionfo nel Maghreb, fu inviato nella madrepatria dei Kutama in Piccola Cabilia per reclutare truppe e raccogliere fondi: fece ritorno nella capitale fatimide nel dicembre 968 con fresche truppe berbere e mezzo milione di dinar.[56] Il governatore di Barqa ricevette l'ordine di preparare il percorso per l'Egitto, scavando nuovi pozzi lungo il tragitto a intervalli regolari.[40][56] Questa preparazione meticolosa era una diretta conseguenza del rafforzamento e della stabilità del regime fatimide. Secondo Lev, le armate inviate in Egitto nelle precedenti spedizioni erano indisciplinate e terrorizzarono la popolazione, a differenza dell'esercito radunato da al-Mu'izz che era imponente, ben retribuito e disciplinato.[57] L'impresa fu affidata a Jawhar, nominato comandante supremo della spedizione: il Califfo decretò che i governatori delle cittadine lungo il tragitto avrebbero dovuto smontare da cavallo in sua presenza e baciargli la mano.[29]

Propaganda fatimide in Egitto

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La propaganda ismailita antiabbaside e filofatimide si diffuse rapidamente nel mondo islamico agli inizi del X secolo, con simpatizzanti ismailiti presenti finanche nella corte abbaside.[58] Nel 904, il futuro primo califfo fatimide aveva cercato riparo in Egitto, all'epoca governato dall'autonoma dinastia tulunide, e aveva vissuto in clandestinità con dei simpatizzanti a Fustat per circa un anno, finchè gli Abbasidi recuperarono il controllo della provincia all'inizio del 905. Mentre il capo fatimide fuggì verso ovest a Sijilmasa, il fratello di Abu Abdallah al-Shi'i rimase in Egitto per mantenere i contatti con il resto della rete di propaganda missionaria fatimide (il daʿwa).[59]

L'attività degli agenti e simpatizzanti fatimidi in Egitto è attestata dalle fonti nel 917/8, alla vigilia della seconda invasione. Nel 919 il governatore locale arrestò alcune persone ree di contatti con l'esercito invasore.[60] In seguito al fallimento dei primi tentativi di invasione, i Fatimidi fecero ancora una volta ricorso alla propaganda e alla sovversione.[21] Gli agenti del fatimide daʿwa non ebbero particolari problemi a infiltrarsi a Fustat, trattandosi di un importante centro di commercio con una popolazione mista sia etnicamente sia dal punto di vista della religione professata.[61] L'attività del daʿwa viene mostrata marcatamente nelle iscrizioni pro-Shi'a, o specificatamente Isma'ili, su pietre tombali egiziane nei decenni successivi al 912.[62]

Una delegazione di missionari fatimidi fu ricevuta pubblicamente da Kafur, e al daʿwa fu consentito di stabilirsi e operare apertamente a Fustat, con i suoi agenti che sottolinearono che "la dominazione fatimide avrebbe avuto inizio solo alla morte di Kafur".[63] Il massimo esponente del daʿwa, il mercante benestante Abu Ja'far Ahmad ibn Nasr, mantenne relazioni amichevoli con le elite locali, compreso il visir Ibn al-Furat, e aveva probabilmente subornato diversi di loro.[40][63] I mercanti della città, particolarmente interessati al ripristino della stabilità del paese e del commercio regolare, erano tra quelli che accolsero con maggior favore le argomentazioni di Ibn Nasr.[32] Inoltre, alcune fonti sostengono che il reggente al-Hasan ibn Ubayd Allah fosse sotto l'influenza di Ibn Nasr; quando le truppe insorsero a Fustat, Ibn Nasr consigliò ad al-Hasan di rivolgersi ad al-Mu'izz, e consegnò personalmente una lettera a tale scopo al califfo.[56] Nel frattempo, il suo luogotenente Jabir ibn Muhammad organizzò il daʿwa nei quartieri residenziali della città, distribuendo bandiere fatimidi da esporre all'eventuale arrivo dell'esercito fatimide.[64] I Fatimidi, inoltre, ricevettero il sostegno del convertito ebreo Ya'qub ibn Killis, che in passato aveva aspirato a diventare visir prima di essere perseguitato dal rivale Ibn al-Furat. Ibn Killis fuggì in Ifriqiya nel settembre 968, dove si convertì all'Ismailismo e assistette i Fatimidi mettendo a loro disposizione la sua conoscenza della situazione egiziana.[65] Nel governo ikhshidide erano presenti diversi esponenti filofatimidi; si narra che alcuni comandanti turchi avessero scritto ad al-Mu'izz istigandolo a conquistare l'Egitto,[66] e non è da escludere, come sospettano alcuni storici moderni, che Ibn al-Furat si fosse unito al partito filofatimide.[67]

Le ricostruzioni moderne degli eventi sottolineano l'importanza dell'"abile propaganda politica" (Marius Canard), messa in atto dai Fatimidi, che precedette l'effettiva invasione.[68] Insieme alla carestia che affliggeva l'Egitto e alla crisi politica del regime ikhshidide, questo "periodo intensivo di preparazione psicologica e politica" (Thierry Bianquis) si rivelò più determinante della mera superiorità militare,[69] e fece sì che la conquista venisse conseguita rapidamente e senza grandi difficoltà.[29][68] A favorire i Fatimidi nella loro impresa fu anche il terrore destato dalle notizie dell'ulteriore avanzata bizantina nella Siria settentrionale nel corso del 968: i Bizantini devastarono la regione indisturbati, senza trovare alcuna seria resistenza da parte dei sovrani musulmani locali allineati con gli Abbasidi.[70]

Esplicative
  1. ^ Benché si fosse originata all'interno dello stesso movimento segreto ismailita che portò alla nascita del Califfato fatimide, i Carmati ruppero con il ramo filo-fatimide nel 899 in risposta alle innovazioni dottrinali introdotte dal futuro primo califfo fatimide, al-Mahdi Billah, rifiutando di riconoscerlo come loro imam.[25][26] Le fonti islamiche coeve, nonché alcuni studiosi moderni, ritengono che i Carmati avessero coordinato in segreto i propri attacchi con i Fatimidi, ma tale tesi è stata successivamente smontata.[27] I Fatimidi intrapresero diversi tentativi per ottenere il riconoscimento dalle sparse comunità carmate ma, anche se ebbero successo in alcune zone, i Carmati del Bahrayn continuarono ostinatamente a opporre un secco rifiuto.[28]
  2. ^ Quindici aune (1 auna araba, suddivisa in 24 dita, equivalente a 46,2 centimetri (18,2 in)) era, in età medievale, il valore soglia del livello di inondazione al di sotto del quale non si potevano avere raccolti completi sufficienti a scongiurare una carestia; con sedici la popolazione poteva ancora patire qualche stento; con diciassette, si aveva un raccolto abbondante; mentre si verificavano devastanti alluvioni se il livello del fiume saliva al di sopra delle diciotto aune. Nel 967 il livello del fiume raggiunse appena 12 aune e 19 dita.[31]
  3. ^ Per una discussione sull'impatto del commercio trans-Sahariano, l'importo dell'oro non coniato, e le prassi fiscali fatimidi, cfr. Brett 2001, pp. 243–266.
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