Coordinate: 43°15′56.7″N 13°18′43.31″E

Abbazia di Rambona

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Abbazia di Santa Maria di Rambona
StatoItalia (bandiera) Italia
LocalitàRambona (Pollenza)
IndirizzoContrada Rambona, 18
Coordinate43°15′56.7″N 13°18′43.31″E
ReligioneCattolica
TitolareSanta Maria
Diocesi Macerata
Stile architettonicocarolingio romanico
Inizio costruzione898

L'Abbazia di Rambona sorge in località Rambona, nel territorio comunale di Pollenza, in provincia di Macerata, lungo la media valle del fiume Potenza.

Fu edificata nel IX secolo per volere dell'imperatrice dei longobardi Ageltrude, che ne affidò l'incarico all'abate Olderico[1]. La scelta dell'imperatrice Ageltrude di erigere qui la sua abbazia potrebbe essere stata dettata dalla volontà di ricostruire un cenobio benedettino risalente al VII-VIII secolo e andato distrutto.

Nell'area era esistito in precedenza un santuario pagano dedicato alla Dea Bona, protettrice della fertilità. Il suo culto era legato all'elemento dell'acqua e infatti il luogo è significativo perché il Rio Acqua Salata confluisce nel fiume Potenza e vi sgorga una sorgente d'acqua ritenuta benefica. Dall'antico culto locale della Dea Bona è derivato nei secoli il toponimo Rambona (Ara Bonae Deae, da cui Arambona).

L'edificio del IX secolo, individuato di recente, è di grande rilevanza storico-artistica poiché rappresenta una delle poche testimonianze rimaste in Europa dell'architettura carolingia. La cripta, le tre absidi e il presbiterio sono invece frutto di un ampliamento in stile romanico avvento nei secoli XI-XII. Il monastero benedettino è andato completamente perduto, ma fu potentissimo[2] nell'Alto Medioevo; la sua giurisdizione si estendeva in un territorio molto ampio che andava dai Monti Sibillini alla foce del fiume Potenza. In quei secoli la chiesa era dedicata ai Santi Flaviano, Gregorio e Silvestro e solo nel XIV secolo venne dedicata alla Vergine Assunta e nominata Santa Maria di Rambona[3]. Con la riforma di Cluny l'abbazia passò nella proprietà dell'Ordine cistercense ed iniziò a perdere autonomia vedendo sorgere a poca distanza l'Abbazia di Fiastra. Nel XV secolo questi territori subiscono la conquista di Francesco Sforza, che fa incendiare l'abbazia e da qui ha inizio un lungo periodo di abbandono.

Secoli dopo, a seguito dell'incameramento dei beni ecclesiastici da parte dello Stato, una parte del complesso viene venduta a privati. Nel 1886 viene costruita addosso all'abbazia una villa gentilizia di proprietà del conte Antonelli-Incalzi, essa ingloba la navata centrale, l'ipogeo e il sacello a nord della primitiva chiesa carolingia. Mentre il sacello a sud viene prolungato e trasformato in canonica; la cripta romanica originale e il presbiterio rimaneggiato restano invece adibiti al culto fino ai giorni nostri.[4]

Fu il Vescovo di Macerata Vincenzo Maria Strambi ad insistere con Pio VII affinché l'abbazia non venisse dimenticata e fosse eretta a Parrocchia, nel 1819.

All'abbazia è legata anche la figura di Sant'Amico, monaco e secondo abate dell'abbazia, nativo del luogo e vissuto intorno all'anno Mille. A lui è dedicato l'affresco centrale della cripta che lo raffigura in atto di ammansire il lupo che secondo la leggenda avrebbe sbranato l'asino del monastero. Uno dei capitelli nasconde tra le decorazioni una piccola mano che la tradizione indica come il calco della mano di Sant'Amico. Un'urna rinascimentale in pietra del 1510, ancora presente in cripta, ne ha custodito il corpo da un precedente incendio fino alla ricognizione delle reliquie avvenuta nel 1929. Da allora il corpo si trova in una nuova urna, collocata anch'essa in cripta. L'occasione dell'apertura dell'urna ha permesso di scoprire all'interno una grande quantità di monete coniate nei secoli da varie zecche d'Italia, alcune di provenienza ungherese e greca e le monete di ben quattro Papi: Paolo II, Sisto IV, Innocenzo VIII e Alessandro VI. Questo ritrovamento attesta che l'abbazia è stata un'importante meta di pellegrini, i quali transitando sull'antica Via Lauretana sostavano qui a pregare Sant'Amico, guaritore dai mali dell'ernia. Al momento della ricognizione fu trovato nell'urna, oltre alle spoglie di Sant'Amico, un altro corpo di datazione antecedente. Secondo alcuni potrebbe trattarsi del corpo di San Flaviano di Ricina, tesi avvalorata dalla dedicazione della chiesa a questo santo già nel IX secolo.

Si conserva nel presbiterio la copia in gesso di un importante dittico che riporta la storia di questo luogo. L'opera originale[5] in avorio fatta realizzare dall'abate Olderico nel IX secolo è conservata presso i Musei Vaticani. Si tratta di un documento straordinario a livello iconografico e storico poiché indica precisamente la fondazione della chiesa ad opera dell'imperatrice Ageltrude[6]. Nelle due tavolette sono rappresentate la Crocifissione e la Madonna in trono insieme ai tre Santi cui la chiesa veniva dedicata al momento della fondazione.

Si ha notizia di un'importante fiera-mercato che in epoca medioevale si svolgeva intorno all'abbazia il 16 agosto di ogni anno.

Il complesso abbaziale è stato più volte rimaneggiato nel corso dei secoli. Gli ultimi interventi di restauro sono seguiti al sisma del 1997-1998; con il sisma del 2016 alcune parti sono state lesionate e attualmente l'abbazia è chiusa al pubblico in attesa di nuovi interventi.

Simbolo dell'abbazia sono le tre imponenti absidi semicircolari di matrice preromanica con influssi longobardi. La struttura, rarissima in Italia, è in pietra arenaria alternata a fasce orizzontali di mattoni in laterizio. Le absidi, differenti tra loro, sono decorate verticalmente da semicolonne in pietra bianca. L'edificio appare sobrio e poco decorato, ma presenta frammenti di recupero a motivi floreali. Sulla sommità delle absidi è presente un rosone cieco; monofore e bifore strombate di diverse epoche si aprono ad altezze che grosso modo corrispondono ai due ordini di cripta e presbiterio.

La navata del IX secolo, oggi di proprietà privata, detta Aula carolingia si presenta come un unico grande ambiente ai cui lati vi sono due ambienti rettangolari absidati. Essi erano collegati alla navata ognuno tramite una grande arcata laterale. La loro funzione è incerta, potrebbe trattarsi di sacelli o cappelle (quello del lato sud è oggi inglobato nella canonica, quello a nord è parte della proprietà privata insieme alla navata e all'ipogeo). Le pareti della navata sono composte di ciottoli di fiume, grosso pietrame e pochi frammenti di laterizi. Ai lati vi sono degli arconi e delle alte monofore.[7] La copertura a doppio spiovente è sostenuta da capriate.

Cripta e presbiterio sono stati aggiunti nei secoli XI-XII; ma mentre la cripta conserva intatta la sua forma originale, il presbiterio risulta più volte rimaneggiato e funge da chiesa rurale. Al suo interno si possono apprezzare ancora le absidi semicircolari, i pilastri a fascio di colonne e una nicchia arcuata sulla parete nord con affreschi del XV-XVI secolo.

Abbazia di Rambona, cripta, capitello

La cripta romanica presenta cinque navate con volte a crociera. Viene sorretta da due pilastri e scandita da colonne romane con capitelli di recupero tutti differenti tra loro scolpiti a motivi vegetali e animali tratti da bestiari medievali o tipici della simbologia cristiana; su alcuni di essi è ancora possibile distinguere l'uso del colore, in particolare vi sono tracce di rosso.

Un tempo collegata al piano superiore da una scala interna, oggi si accede alla cripta da una porta laterale. Si legge all'ingresso l'iscrizione Signore salvaci, ci perdiamo voluta da Giuseppe Fammilume; essa colpì profondamente lo scrittore Salvator Gotta in visita all'abbazia tanto da indurlo ad intitolare proprio così una sua opera letteraria del 1947.

Nell'abside centrale della cripta si trovano affreschi databili al XV-XVI secolo: un Dio Padre nella mandorla con motivi floreali agli angoli, un Sant'Amico che ammansisce il lupo e una Madonna in trono con bambino la cui fattura è riconducibile alla scuola dei fratelli Salimbeni. Sul lato nord-est è rappresentato un piccolo volto ritenuto l'autoritratto dell'autore. Gli affreschi del presbiterio risultano invece di epoca compresa tra il XIII e il XVI secolo. Vi sono rappresentati una Vergine con il Bambino e una Vergine in trono affiancata da due angeli nimbati; un santo con tonsura è seguito da una figura che forse rappresenta nuovamente Sant'Amico con bastone in spalla e lupo accovacciato ai piedi; vi è infine un Sant'Antonio Abate datato 1539.

Ancora oggi al di sotto della cripta si trova un ambiente ipogeo a pianta quadrata con un bacino di circa 70 centimetri irrorato da acqua captata dalla vicina sorgente. Alcuni ipotizzano che sia proprio questo luogo, rinvenuto solo nel 1981-1982, l'antico santuario pagano dedicato alla Dea Bona.

L'abbazia risultava nell'elenco dei monumenti nazionali d'Italia stilato nel 1902.

  1. ^ La proprietà di Ageltrude è riportata da un Diploma di Berengario I, re d'Italia.
  2. ^ S. Campilia, L'Abbazia di Rambona nell'Alto Medioevo, in Studi Maceratesi, 7, p.153-186
  3. ^ Fabio Filippetti, Elsa Ravaglia, Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità delle Marche, Roma, Newton & Compton, 2002, p. 230-231.
  4. ^ Abbazia di Rambona, cenni storico artistici in Il patrimonio culturale come risorsa di sviluppo: il caso dell'Abbazia di Rambona e del suo territorio, Pollenza, Comune di Pollenza, 2006
  5. ^ Appartenuta all'erudito Senatore di Roma Filippo Buonarroti che ne scrive nel 1716 in Osservazioni sopra alcuni frammenti di vasi antichi di vetro ornati di figure trovati né cimiteri di Roma, con appendice Osservazioni sopra tre dittici antichi d'avorio, Firenze, 1716
  6. ^ Recita: CONFESSORIS DNI SCIS GREGORIUS SILVESTRO FLAVIANI CENOBIO RAMBONA AGELTRUDA CONSTRUXI
  7. ^ Per un esame più completo delle evidenze relative alla primitiva chiesa carolingia si rimanda all'articolo Ricerche a Rambona contenuto negli atti della tavola rotonda Il patrimonio culturale come risorsa di sviluppo: il caso dell'Abbazia di Rambona e del suo territorio, Pollenza, Comune di Pollenza, 2006
  • Giuseppe Fammilume, La badia di Rambona nella storia, nell'arte e nei recenti restauri, Tolentino, 1938
  • Aldo Nestori, Rambona e la sua Abbazia, Studio archeologico, Macerata, Università di Macerata, 1984
  • Fabio Filippetti, Elsa Ravaglia, Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità delle Marche, Roma, Newton & Compton, 2002, p. 230-231
  • Lucia Tancredi, Racconti di viaggio, le città d'arte della marca maceratese, Macerata, Quodlibet, 2003, p.177-179
  • Fabio Sileoni, Don Nazareno Boldorini (1904-1959), una vita per Rambona, con scritti e articoli scelti, Pollenza, Associazione Pro Rambona, 2005

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