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Stanchezza del terreno
La stanchezza del terreno o sindrome da reimpianto è un fenomeno che si verifica generalmente nei terreni ove vengono realizzati impianti consecutivi utilizzando sempre la stessa specie o specie affini. Di conseguenza le piante manifestano un minor accrescimento, ritardata entrata in produzione, addirittura possono arrivare alla morte.
Il prof.Franco Zucconi, tra i maggiori studiosi del fenomeno, in un suo noto lavoro sul tema[1], definisce la stanchezza del terreno come "l'inospitalità del suolo alla ripetizione di una singola coltura. Il declino della vitalità che ne deriva è limitato alla specie in oggetto e influenza meno, o non interessa, specie diverse soprattutto se botanicamente lontane. Il declino della pianta riflette un'incapacità a nutrirsi (distrofia) sotto l'azione congiunta di stress e della presenza di tossine nel terreno […]"[2].
Cause
[modifica | modifica wikitesto]Generalmente le cause di questo fenomeno possono dipendere da fattori biotici, come batteri, virus, funghi, che si specializzano per quella coltura; può essere dovuta anche alla presenza di sostanze tossiche come l'amigdalina e la florizina, che sono glucosidi prodotti dagli apparati radicali delle piante stesse (allelopatia). Quest'ultimo riguarda il caso dell'erba medica dove il proprio apparato radicale produce vere e proprie tossine che vengono riversate nel terreno. Le tossine sono tali che riseminando (dopo 3-4 anni di ciclo vegetativo) altra erba medica, questa si sviluppa poco e male, quasi come se il terreno, appunto, fosse stanco di continuare ad ospitarle. Oppure da sostanze tossiche formatesi con anomale decomposizioni della sostanza organica o in condizioni di eccesso idrico, oppure ancora da squilibri nutrizionali con eccessi o carenze di elementi nutritivi.
Alcuni studi svolti dal gruppo di ricerca coordinato dal Prof.Stefano Mazzoleni dell'Università Federico II di Napoli hanno dimostrato che lo stesso effetto tossico e specie-specifico riscontrato nei campi affetti da stanchezza del terreno, può essere ottenuto coltivando piante su substrati arricchiti con frammenti di DNA conspecifico[3].
Risoluzione
[modifica | modifica wikitesto]Generalmente per risolvere questo problema si richiede di non effettuare monocolture e reimpianti della stessa specie, ma ricorrere a consociazioni e rotazione colturali. La situazione può essere mitigata con l'utilizzo di nuovo terreno da immettere nelle buche, aggiunta di sostanza organica eterologa (di origine diversa dalla specie coltivata) o, nel caso delle colture arboree con l'utilizzo di inerbimenti permanenti. Negli impianti frutticoli altamente specializzati, dove la rotazione è particolarmente complessa a causa degli elevati costi degli impianti, il problema viene mitigato nel breve termine con il cambio frequente dei portainnesti[1].
Studi recentemente condotti in Italia e tuttora in corso stanno mostrando come l'utilizzo di tè di compost in fertirrigazione possa efficacemente contrastare il problema[4][5].
Un altro modo per risolvere il problema può essere la coltivazione di erba medica.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b Zucconi, Franco., Declino del suolo e stanchezza del terreno, Pitagora, 2003, ISBN 88-371-1177-0, OCLC 55027882. URL consultato il 28 giugno 2021.
- ^ Moria del kiwi e stanchezza del terreno: una correlazione oggetto di studio, su freshplaza.it. URL consultato il 28 giugno 2021.
- ^ Fabrizio Cartenì, Giuliano Bonanomi e Francesco Giannino, Self-DNA inhibitory effects: Underlying mechanisms and ecological implications, in Plant Signaling & Behavior, vol. 11, n. 4, 2016, pp. e1158381, DOI:10.1080/15592324.2016.1158381. URL consultato il 24 giugno 2021.
- ^ Moria del kiwi e stanchezza del terreno: i risultati dalle prime sperimentazioni in campo, su freshplaza.it. URL consultato il 28 giugno 2021.
- ^ Lorenzo Tosi, Moria dell’actinidia? Colpa della stanchezza del suolo, su Terra e Vita, 30 giugno 2021. URL consultato il 30 giugno 2021.
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