Vicende storiche
[modifica | modifica wikitesto]Le prime strutture deputate all'opera in Milano furono i teatri di corte che si avvicendarono nel cortile di Palazzo Reale: un primo salone intitolato a Margherita d'Austria-Stiria, moglie di Filippo III di Spagna, eretto nel 1598 e distrutto da un incendio il 5 gennaio 1708 e il Regio Ducal Teatro, costruito nove anni più tardi a spese della nobiltà milanese su progetto di Gian Domenico Barbieri.[1]
Per il palcoscenico di questi teatri furono commissionate opere di importanti compositori, tra i quali: Nicola Porpora (Siface), Tomaso Albinoni (La fortezza al cimento), Christoph Willibald Gluck (Artaserse, Demofoonte, Sofonisba, Ippolito), Josef Mysliveček (Il gran Tamerlano), Giovanni Paisiello (Sismano nel Mogol, Andromeda), Wolfgang Amadeus Mozart (Mitridate, re di Ponto, Ascanio in Alba, Lucio Silla).
Il Nuovo Regio Ducal Teatro
[modifica | modifica wikitesto]«Con mia grande sorpresa vidi che stavano demolendo una chiesa per far posto ad un teatro»
Il Teatro alla Scala fu costruito in conformità al decreto dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria dopo che un incendio, divampato il il 26 febbraio 1776, aveva distrutto il teatro di corte.[3][4] Il progetto venne affidato al celebre architetto Giuseppe Piermarini, il quale provvide anche al disegno del “Teatro Interinale”, una struttura temporanea costruita presso la chiesa di San Giovanni in Conca, e del Teatro della Cannobiana, dalla pianta assai simile a quella della Scala, ma in dimensione ridotta, dedicato a spettacoli più “popolari”.[5] La decorazione pittorica fu realizzata da Giuseppe Levati e Giuseppe Reina. Domenico Riccardi dipinse invece il sipario, rappresentante, su suggerimento del Parini, il “Parnaso”.[6] Le spese per l'edificazione del nuovo teatro furono sostenute dai palchettisti del “Regio Ducale” in cambio del rinnovo della proprietà dei palchi.
I lavori di demolizione della collegiata di Santa Maria iniziarono il 5 agosto 1776, il 28 maggio 1778 si svolsero le prime prove di acustica e il 3 agosto, alla presenza del governatore di Milano, l'arciduca Ferdinando d'Asburgo-Este, venne inaugurato il “Nuovo Regio Ducal Teatro” con la prima rappresentazione assoluta de L'Europa riconosciuta di Salieri.[7] Il libretto, opera dell'abate Mattia Verazzi, fu pensato per dare spazio ad arie ricche di virtuosismi, ed è caratterizzato dai numerosi duetti, terzetti e complessi finali d'atto. La sera del 3 agosto, tra gli spettatori c'era anche Pietro Verri, il quale scrisse al fratello Alessandro, in quel periodo a Roma: «la pompa dei vestiti è somma, le comparse ti popolano il palco di più di cento figure e fanno il loro dovere... gli occhi sono sempre occupati». Particolarmente suggestivo risultò l'inizio in medias res, «mentre te ne stai aspettando quando si dia principio, ascolti un tuono, poi uno scoppio di fulmine e questo è il segnale perché l'orchestra cominci l'ouverture, al momento s'alza il sipario, vedi un mare in burrasca».[8][9] Allietarono gli intervalli i balli Pafio e Mirra, o sia I prigionieri di Cipro, musica di Salieri, coreografia di Claudio Legrand, e Apollo placato, musica di Luigi de Baillou, coreografia di Giuseppe Canziani.[10]
Il teatro non era all'epoca soltanto un luogo di spettacolo: la platea era spesso destinata al ballo, i palchi venivano usati dai proprietari per ricevervi degli invitati, mangiare e gestire la propria vita sociale, nel ridotto ed in un altro spazio in corrispondenza del quinto ordine di palchi si giocava d'azzardo (tra i vari giochi figura anche la roulette, introdotta dallimpresario Domenico Barbaja nel 1805).[11] Fin dal 1788 era infatti severamente proibito giocare in città, con l'unica eccezione dei teatri in tempo di spettacolo.
Durante gli anni di dominazione austriaca e francese, la Scala era finanziata, oltre dagli introiti provenienti dal gioco, dalle stesse famiglie che avevano voluto la costruzione del teatro e ne conservavano la proprietà attraverso le quote dei palchi. Mentre i primi tre ordini rimasero per molti anni di proprietà dell'aristocrazia, il quarto e il quinto erano per lo più occupati dall'alta borghesia, che a partire dagli anni venti fa un massiccio ingresso in teatro. In platea, ed ancora di più in loggione, vi è un pubblico misto di militari, giovani aristocratici, borghesi, artigiani.[12]
La titolarità della gestione rimase principalmente in mano ad esponenti della nobiltà milanese (l'anno dell'inaugurazione i «Cavalieri associati» furono il conte Carlo Ercole Castelbarco, il marchese Giacomo Fagnani, il marchese Bartolomeo Calderara e il principe Antonio Menafoglio di Rocca Sinibalda),[13] ma l'effettiva gestione era quasi sempre affidata a impresari di professione come Angelo Petracchi (1816-20), Domenico Barbaja (1826-32), Bartolomeo Merelli (1836-50), i fratelli Ercole e Luciano Marzi (1857-1861).[11]
Il problema maggiore nell'organizzare le stagioni era mantenere acceso l'interesse degli spettatori, molto spesso distatti, nei palchi, in altre faccende. Essendo lo sfarzo dell‘Europa riconosciuta a lungo andare economicamente insostenibile, già nel secondo anno di attività si diede spazio all'opera buffa, della quale il maggior interprete, il basso Francesco Benucci, calcò spesso le scene scaligere. Grande successo ebbero alla Scala i castrati, sopranisti e contraltisti, tra i quali si possono ricordare Gaspare Pacchierotti, Asterio nell'opera di apertura, Luigi Marchesi, Girolamo Crescentini, di lì a qualche decennio sostituiti dalle primedonne (tra le prime, le celeberrime Giuseppina Grassini ed Elisabetta Gafforini). Quanto ai compositori, oltre a Salieri, forse imposto dall'alto e comunque raramente chiamato, si possono in questi primi anni ricordare Domenico Cimarosa, Giovanni Paisiello, Nicola Antonio Zingarelli, Luigi Cherubini, Ferdinando Paër, Johann Simon Mayr, Gioachino Rossini, Giacomo Meyerbeer.
Durante la primavera e l'estate del 1807, le stagioni furono trasferite alla Canobbiana a causa di importanti lavori di rifacimento delle decorazioni interne, ridisegnate secondo il gusto neoclassico mentre nel 1814, a seguito della demolizione di alcuni edifici tra i quali il convento di San Giuseppe, venne ampliato il palcoscenico secondo il progetto di Luigi Canonica.
Un grande lampadario con ottantaquattro lumi a petrolio, disegnato dallo scenografo Alessandro Sanquirico, venne appeso al centro del soffitto nel 1823.[14] Contrastanti furono le reazioni: contro i sostenitori dell'innovazione alzava la voce chi riteneva che il lampadario illuminasse troppo la sala, permettendo agli sguardi indiscreti di penetrare nell'intimità dei palchi.
Fin da subito strettissimo fu il rapporto tra il Conservatorio e la Scala. Ideatore e fondatore dell'Accademia di Ballo fu invece Francesco Benedetto Ricci (1813).[15]
Negli anni venti fecero la loro comparsa le opere di Saverio Mercadante, di Gaetano Donizetti e soprattutto del siciliano Vincenzo Bellini, sul quale Barbaja punterà negli anni della propria gestione. È percepibile però la "regia occulta" dell'editore Ricordi che, in forza del suo privilegio di copista prima, di editore poi, delle opere rappresentate alla Scala, oltre che del fondo dei manoscritti del teatro acquistato già nel 1825, influenzò fortemente la scelta dei compositori a cui venivano commissionate riprese e nuove produzioni.
Nel 1830, le fasce tra gli ordini tra i palchi vennero decorate, sempre su indicazione del Sanquirico, con rilievi dorati e Francesco Hayez realizzò una nuova decorazione della volta della sala, visibile ancora nel 1875, quando fu sostituita da una decorazione a grisaille. Nel 1835, su progetto di Pietro Pestagalli, vennero aggiunti nella facciata due piccoli corpi laterali sormontati da terrazzi.[16]
Verdi alla Scala
[modifica | modifica wikitesto]Giuseppe Verdi esordì alla Scala nel 1839 con Oberto, Conte di San Bonifacio,[17] opera di stampo donizettiano, ma con alcune sue peculiarità drammatiche che piacquero al pubblico, decretandone un buon successo. Visto l'esito dell'Oberto, l'impresario Merelli gli commissionò la commedia Un giorno di regno, andata in scena con esito disastroso.[18] Fu ancora Merelli a convincerlo a non abbandonare la lirica, consegnandogli personalmente un libretto di soggetto biblico, il Nabucco, scritto da Temistocle Solera. L'opera andò in scena il 9 marzo 1842 e nonostante un'iniziale tiepida accoglienza, a partire dalla ripresa del 13 agosto il successo fu questa volta trionfale.[19]
I titoli del primo periodo scaligero del compositore di Busseto (I Lombardi alla prima crociata, Giovanna d'Arco, oltre a quelli già citiati) appassionarono il pubblico, ora composto anche da borghesi.
Proprio in occasione della messa in scena della Giovanna d'Arco, nel 1845, i malumori intervenuti a causa della generale scarsa considerazione dei desiderata dei compositori di fronte alle necessità, soprattutto economiche, degli impresari scaligeri, spinsero Verdi a rinunciare per oltre vent'anni al palcoscenico che lo aveva lanciato.
Gli anni dell'esilio scaligero di Verdi non furono tra i più felici per il teatro. A parte alcuni titoli (Il barbiere di Siviglia, Semiramide, La Cenerentola, Guillaume Tell) le opere rossiniane tendono a diradare; costante è invece la presenza di Bellini, scomparso già nel 1835, e di Donizetti. L'ultima opera composta da Mercadante per la Scala, La schiava saracena, passa inosservata, e anche le opere precedenti del compositore altamurano, scompaiono dai cartelloni. Accanto alle opere composte da Verdi per gli altri teatri d'Europa, successo ottengono anche le produzioni di Giacomo Meyerbeer.
La Scala dopo l'unità d'Italia
[modifica | modifica wikitesto]Dopo la partenza dalla città dagli austriaci (1859), l'attività riprende con Lucia di Lammermoor di Donizetti: alla recita del 9 agosto assiste anche il re Vittorio Emanuele II. A seguito dell'unità d'Italia, la Municipalità si sostituì al governo austriaco nell'erogazione di sovvenzioni al teatro.
Nel 1860, in occasione della serata di apertura della Stagione di Carnevale e Quaresima, venne inaugurato il nuovo sistema di lumi a gas del lampadario del Sanquirico. Nel 1883 venne invece completato l'impianto di illuminazione elettrica.
Negli anni immediatamente successivi si tentarono alcuni esperimenti, per lo più falliti: I profughi fiamminghi di Franco Faccio su libretto di Emilio Praga nel 1863, manifesto antiverdiano che proponeva l'abbandono delle tradizionali formule operistiche, e Mefistofele di Arrigo Boito (1868), spettacolo di quasi sei ore che si rifaceva al dramma wagneriano. È invece dal 1873 la prima, fortunata apparizione scaligera del grande compositore tedesco con Lohengrin, in lingua italiana, diretto da Franco Faccio.
Rassicurato da Tito Ricordi e da suo figlio Giulio, Verdi tornò alla Scala nel 1869 con una versione rinnovata de La forza del destino "messa in scena dall'autore", come si legge nel cartellone. Altre produzioni messe in scena dal compositore furono la prima europea di Aida (1872), la nuova versione di Simon Boccanegra (1881), la versione italiana in quattro atti del Don Carlo (1884), Otello (1887) e Falstaff (1893).
Tra i titolari della gestione degli anni post unitari si possono ricordare i fratelli Corti (1876) e Luigi Piontelli (1884-1894).
Tra il 1894 e il 1897 la gestione del teatro passò in mano all'editore Edoardo Sonzogno. Sul palcoscenico scaligero apparvero in quegli anni opere di compositori francesi (Charles Gounod, Fromental Halévy, Daniel Auber, Hector Berlioz, Georges Bizet, Jules Massenet, Camille Saint-Saëns) e della cosiddetta scuola verista (Pietro Mascagni, Ruggero Leoncavallo, Umberto Giordano). Grande successo ebbero anche le opere di Richard Wagner, che in quegli anni inaugurano spesso la stagione operistica.
Tra il 1881 ed il 1884 furono rinnovate le decorazioni degli ambienti al piano terra seguendo un progetto del 1862 degli architetti Savoia e Pirola. Nel 1891, per controllare meglio l'afflusso degli spettatori, furono aboliti i posti in piedi e vennero installate le prime poltrone fisse in platea.
Il 1º luglio 1897, il Comune di Milano, posto di fronte a emergenze sociali e sotto la spinta delle sinistre, decise di sospendere il proprio contributo: la Scala fu costretta a chiudere.
Toscanini alla Scala
[modifica | modifica wikitesto]Il teatro riaprì il 26 dicembre 1898 grazie alla munificenza di Guido Visconti di Modrone.[20] Riparate con fondi personali le perdite e fondata una Società Anonima, di cui il duca assunse la carica di presidente chiamando Arrigo Boito quale proprio vice, l'attività ricominciò sotto la direzione generale di Giulio Gatti Casazza e la direzione artistica di Arturo Toscanini.[21]
Il primo periodo di Toscanini alla Scala fu segnato dal profondo interesse del direttore per Richard Wagner, ma anche per Meyerbeer e Berlioz. Fra i compositori contemporanei, catalizzarono la scena scaligera Mascagni, Franchetti, Boito.
Il 21 aprile 1889, con la prima di Edgar, fece il proprio esordio il giovane Giacomo Puccini, ottenendo un successo cordiale ma non propriamente caloroso. Un clamoroso fiasco fu invece, qualche anno dopo, la prima della Madama Butterfly (1904).[22]
Prima di mettere in scena le opere dei compositori scomparsi, Toscanini eseguiva un inusuale lavoro di ripulitura e interpretazione, finalizzato a ripristinare parti tagliate o vistosamente modificate nell'orchestrazione, rimuovere tutti quegli accorgimenti che, già a partire dalle prime messe in scena, venivano adottati per sopperire a carenze degli interpreti, correggere veri e propri errori. Tanto più incisivo era l'intervento quanto più famosa e rappresentata era l'opera: un buon esempio è costituito dal lavoro di Toscanini su Il trovatore, messo in scena il 9 febbraio 1902. Quando il maestro decise di sottoporre quest'opera alla necessaria ripulitura, l'editore Giulio Ricordi, titolare dei diritti sul libretto, oppose un netto rifiuto, giudicandolo un intervento arbitrario, e solo la mediazione di Boito permise a Toscanini di portare a termine il proprio lavoro. Nelle pagine della Gazzetta musicale di Milano, l'editore, che continuava a non essere d'accordo, scrisse:
«Toscanini è, per taluni, infallibile quanto il Papa! Anzi è superiore allo stesso Verdi, che pure ha scritto il Trovatore, ma non lo ha mai concertato e diretto così!»
Questo ed altri motivi (il contrasto, in parte dovuto a ragioni caratteriali, con Uberto Visconti di Modrone, succeduto nel 1903 al padre Guido, la mancata concessione di un aumento di stipendio, all'epoca nettamente inferiore, ad esempio, rispetto a quello garantito ai cantanti, la divergenza con il pubblico milanese), ma soprattutto il differente modo di concepire i compiti del direttore d'orchestra, visto da Toscanini come il "demiurgo" dello spettacolo, controllore di ogni più piccolo elemento e responsabile dell'unitarietà del lavoro dei strumentisti, cantanti, registi, scenografi,[23] spinsero il maestro a lasciare Milano e l'Italia.
Mentre Toscanini lasciò il teatro il 14 aprile 1903, Gatti Casazza rimase fino al 1907, anno in cui dispose l'arretramento del palcoscenico per far spazio alla cosiddetta "buca", parzialmente nascosta dalla ribalta. Prima di allora i musicisti e il direttore d'orchestra non avevano un loro posto ma suonavano davanti al pubblico, ostruendo spesso la visibilità dalla platea. Durante le feste mondane l'orchestra suonava invece sul palcoscenico per lasciar maggior spazio alle danze.
Nel 1909, il quinto ordine di palchi fu trasformato nell'attuale "prima galleria" per permettere a più spettatori, non proprietari di palchi, di assistere agli spettacoli.
Ente Autonomo Teatro alla Scala
[modifica | modifica wikitesto]Alla fine del 1918, Visconti di Modrone fu costretto a rinunciare all'incarico per ragioni economiche. Lo stallo di due anni portò ad una radicale trasformazione dei criteri di gestione: grazie alla rinuncia del diritto di proprietà sia da parte dei palchettisti che del Comune, venne fondato infatti l’Ente Autonomo Teatro alla Scala, subito impersonato dal direttore generale Angelo Scandiani. Grazie a sovvenzioni comunali e statali e alle somme raccolte attraverso una sottoscrizione promossa dal Corriere della Sera, il teatro poté finalmente godere di una completa autonomia.
Si deve a Scandiani la costituzione formale dell'orchestra del Teatro alla Scala, i cui musicisti, un centinaio,[6] verranno d’ora in poi scelti secondo rigidi criteri di selezione e assunti con regolari contratti a tempo indeterminato. Alla direzione musicale tornò ancora una volta Toscanini, promotore di una intensa e straordinaria stagione per il teatro. Il palco scaligero vide avvicendarsi i maggiori cantanti del tempo, tra cui Fëdor Ivanovič Šaljapin, Magda Olivero, Giacomo Lauri-Volpi, Titta Ruffo, Enrico Roggio, Gino Bechi, Beniamino Gigli, Mafalda Favero, Toti Dal Monte, Gilda Dalla Rizza, Aureliano Pertile.
Nel 1929 lo stato fascista riservò al capo del governo la facoltà di nomina del presidente dell'Ente e impose la partecipazione di un rappresentante del Ministero dell'Educazione Nazionale al consiglio di amministrazione. Di fronte a ciò, Toscanini, portata a termine l’impegnativa tournée a Vienna e Berlino, lasciò la direzione del teatro nel maggio dell'anno successivo e si trasferì a New York. Nel 1931, a seguito di un'aggressione subita a Bologna, schiaffeggiato davanti al Teatro comunale per essersi rifiutato di eseguire la Marcia Reale e Giovinezza, il maestro lasciò definitivamente il paese.
Nel 1932, Luigi Lorenzo Secchi progettò le «scale degli specchi» che collegano il foyer al ridotto dei palchi, anch'esso al centro di importanti lavori nel 1936[24][25]
Nel 1938 il palcoscenico venne dotato di ponti e pannelli mobili, oltre che di un sistema che permetteva di abbassarne il livello, facilitando il carico delle scene direttamente dal cortile.[26]
Subito dopo la caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, comparvero sui muri del teatro manifesti inneggianti al ritorno di Toscenini ("Evviva Toscanini", "Ritorni Toscanini"). Nella notte tra il 15 ed il 16 agosto di quell'anno, però, la Scala subì un devastante bombardamento: gravi danni furono causati alla sala (crollo del soffitto, di parte delle gallerie e dei palchi), andarono completamente distrutti il palcoscenico e le strutture di servizio. Su iniziativa dell'assessore alla cultura Achille Magni e con il placet del sindaco di Milano Antonio Greppi, si optò per ricostruire il teatro "com'era e dov'era" prima del conflitto. Fu perciò nominato un commissario straordinario (Antonio Ghiringhelli) che diede avvio ai lavori, guidati dall'ingegnere capo del Comune di Milano Secchi.[27] Quest'ultimo continuerà fino al 1982 a sovraintendere alle opere di adeguamento e rinnovo del teatro.
La ricostruzione e il ritorno di Toscanini
[modifica | modifica wikitesto]I lavori si protrassero fino al maggio 1946, ma nel frattempo non si cessò di far musica: l'attività scaligera continuò presso il Teatro Sociale di Como,[28] nel Teatro Gaetano Donizetti di Bergamo e, a Milano, nel Teatro Lirico e nel Palazzetto dello Sport. L'11 maggio 1946 alle ore 21:00 "precise", come si legge sul cartellone, Toscanini inaugurò la nuova sala, dirigendo l'ouverture de La gazza ladra, il coro dell'Imeneo, il Pas de six e la Marcia dei Soldati del Guglielmo Tell, la preghiera del Mosè in Egitto, l'ouverture e il coro degli ebrei del Nabucco, l'ouverture de I vespri siciliani e il Te Deum di Verdi, l'intermezzo e estratti dall'atto III di Manon Lescaut, il prologo ed alcune arie del Mefistofele.[29] Il "concerto della ricostruzione", che vide tra gli interpreti anche Renata Tebaldi, fu un evento storico per tutta Milano. Come scrisse Filippo Sacchi:
«quella sera [Toscanini] non dirigeva soltanto per i tremila che avevano potuto pagarsi un posto in teatro: dirigeva anche per tutta la folla che occupava in quel momento le piazze vicine, davanti alle batterie degli altoparlanti[30]»
Dopo una serie di concerti diretti da Toscanini, Klecky e Votto, l'attività operistica riprese il 26 dicembre con il Nabucco.
La gestione di Ghiringhelli, nominato sovrintendente nel 1948, fu contrassegnata tra l'altro dalle partigianerie tra i sostenitori di Maria Callas e di Renata Tebaldi: il soprano greco, che era già apparsa in sostituzione della collega italiana in alcune recite di Aida del 1950, ottenne il primo trionfo scaligero in occasione dell'apertura della stagione 1951-52. Tra gli eventi più importanti di questo periodo si possono citare il debutto scaligero di Herbert von Karajan in veste di direttore d'orchestra (Nozze di Figaro, 1948) e di regista (Tannhäuser, due anni pù tardi), la rappresentazione de L'anello del Nibelungo (marzo-aprile 1950) diretto da Wilhelm Furtwängler, e della novità di Igor Stravinskij The Rake's Progress, rappresentato l'8 dicembre dell'anno successivo.
Mentre la riscoperta delle partiture fu affidata alle bacchette di Thomas Schippers, Gianandrea Gavazzeni, Carlo Maria Giulini, le scelte di regia di artisti come Giorgio Strehler e Luchino Visconti permisero al pubblico di vedere con occhi nuovi i libretti.
Il 18 febbraio 1957 la Scala ricordò Toscanini, scomparso a New York in gennaio, con un concerto diretto da Victor De Sabata.[31]
Ente autonomo lirico Teatro alla Scala
[modifica | modifica wikitesto]Nell'estate 1967 viene promulgata una legge che riordina lo status dei principali teatri italiani, riconoscendo alla Scala, "ente autonomo lirico", la personalità giuridica di diritto pubblico. Da questo momento in poi il presidente del consiglio d'amministrazione del teatro è il sindaco della città, mentre il sovrintendente è proposto dal Consiglio comunale e nominato dal Ministro per il turismo e lo spettacolo (la competenza è attualmente trasferita al Ministero per i Beni e le Attività Culturali). Al sovrintendente spetta il compito di predisporre i bilanci e, assieme al direttore artistico, nominato dal c.d.a., la stagione scaligera.
Antonio Ghiringhelli, cui va riconosciuto, tra l'altro, il merito di aver risollevato il teatro nella difficile situazione del dopoguerra, fu soprattutto un imprenditore. Grande influenza ebbe durante la sua gestione la competenza teatrale dei direttori artistici Mario Labroca, Victor de Sabata, Francesco Siciliani, Gianandrea Gavazzeni e Luciano Chailly.[32]
Nel 1972 furono nominati il nuovo sovrintendente, Paolo Grassi, uno dei fondatori del Piccolo Teatro, regista ed editore di collane teatrali, e il direttore artistico, il pianista e musicologo Massimo Bongianckino. Sotto questa gestione si è registrato il periodo di maggior produttività del teatro, che metteva in scena quasi 300 rappresentazioni all'anno.
Nel 1976 venne realizzato il meccanismo idraulico che consentì al piano dell’orchestra di essere sollevato fino al livello del palcoscenico.
L'anno successivo si ebbe un nuovo cambio nella gestione: a sostituire Grassi fu chiamato Carlo Maria Badini, già sovrintendente del Teatro comunale di Bologna, mentre Claudio Abbado prese il posto di Francesco Siciliani, subentrato dopo due anni a Bongianckino. Proprio in quell'anno si festeggiò il secondo centenario dalla fondazione del teatro con una stagione in cui spiccarono Verdi (Don Carlo, Un ballo in maschera, I masnadieri, La forza del destino e Il trovatore) e Monteverdi (L'Orfeo, Il ritorno di Ulisse in patria e L'incoronazione di Poppea). Furono rappresentate anche due novità assolute di Luciano Berio (La vera storia) e di Camillo Togni (Blaubart), L'heure espagnole e L'enfant et les sortilèges di Maurice Ravel, Madama Butterfly e Manon Lescaut di Puccini, Fidelio di Beethoven, Pierrot Lunaire di Arnold Schönberg, Tristan und Isolde di Wagner, Die Entführung aus dem Serail di Mozart e molti balletti, tra cui il Ballo Excelsior.[33]
Solo due anni più tardi, nel 1979, Abbado lasciò la direzione artistica, mantenendo solo quella musicale. Rimarrà in tale veste alla Scala fino al 1986, anno in cui promosse, in maggio, un "Omaggio a Debussy", coinvolgendo anche il coreografo Maurice Béjart.[34]
A sostituirlo fu chiamato il maestro napoletano Riccardo Muti, il quale promuoverà una stagione di riscoperta di opere come Lodoïska di Luigi Cherubini, Alceste e Iphigénie en Aulide di Christoph Willibald Gluck, con regie di ricerca e rinnovamento.
Con la nuova gestione di Carlo Fontana, nominato sovrintendente nel 1990, la Scala ha continuato non solo la tradizionale attività, ma ha puntato sulle tournée all'estero (ad esempio il Requiem di Verdi diretto da Abbado prima, da Muti poi, portato, tra l'altro, nella Cattedrale di Notre-Dame a Parigi, o la versione di Falstaff che ha aperto la stagione 1979-80, regia di Giorgio Strehler, scenografia di Ezio Frigerio).
Fondazione Teatro alla Scala
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1996 fu costituita per legge[35] dallo Stato italiano, dalla Regione Lombardia e dal Comune di Milano, la Fondazione Teatro alla Scala,[36] una fondazione di diritto privato, senza scopo di lucro, con il fine di perseguire la diffusione dell'arte musicale, l’educazione musicale della collettività, la formazione professionale dei quadri artistici e tecnici [...] la ricerca e la produzione musicale, anche in funzione di promozione sociale e culturale.[37] Ai "fondatori di diritto" si può aggiungere qualsiasi soggetto, pubblico o privato, straniero o italiano, che concorra alla formazione del patrimonio della fondazione con un contributo minimo fissato dallo satuto.[38]
Il nuovo statuto ha anche permesso l'apertura della sala del Piermarini ad attività commerciali e finanziarie.
Importanti lavori hanno interessato l'edificio del gennaio 2002 al dicembre 2004. Il teatro rinnovato è stato ufficialmente restituito al pubblico con la rappresentazione della stessa opera che fu commissionata per la prima inaugurazione della Scala, L'Europa riconosciuta, di Antonio Salieri, fortemente voluta dal direttore musicale Riccardo Muti.
Dopo poco più di un anno, complesse polemiche hanno visto l'allontanamento di Muti e la nomina, il 2 maggio 2005, del sovrintendente Stéphane Lissner, già direttore del Festival di Aix-en-Provence. Daniel Barenboim, dopo l'esordio, il 7 dicembre 2007, con Tristano e Isotta di Richard Wagner, è stato nominato direttore musicale nel 2011, mantenendo allo stesso tempo la direzione dell'Opera di Stato di Berlino. Accanto a giovani direttori come Daniel Harding e Gustavo Dudamel, Lissner ha riportato alla Scala, il 30 ottobre 2012, Claudio Abbado, assente dal teatro milanese da ventisei anni. Innovative e talvolta discusse sono state le scelte di regia (Robert Carsen, Emma Dante, Claus Guth, Nicholaus Lenhoff). Nell'ottobre 2012 vengono confermate le voci dell'addio di Lissner, che dal 2015 passerà all'Opéra National de Paris.
Vicende architettoniche
[modifica | modifica wikitesto]«Esco ora dalla Scala… È per me il primo teatro del mondo, perché è quello che procura dalla musica i maggiori piaceri… Quanto all’architettura, è impossibile immaginare nulla di più grande, più solenne e nuovo»
Nel proprio progetto, ispiratosi al Teatro di corte della Reggia di Caserta di Vanvitelli, il Piermarini ne modificò curvatura e strutture decorative in modo da migliorarne l'acustica: la sala divenne immediatamente il modello per il "teatro all'italiana", la cui forma a "ferro di cavallo" venne in seguito impiegata in molti teatri d’Europa come la Staatsoper di Vienna (1869), il Palais Garnier a Parigi (1875), la Royal Opera House di Londra (1858).
Facciata
[modifica | modifica wikitesto]La facciata principale è la parte del teatro che ha subito, rispetto al progetto originario, il minor numero di modifiche.
L'unica aggiunta è stata quella dei due piccoli corpi laterali sormontati da terrazzi (1835), i quali, se alterano lievemente la visione laterale rompendo la scansione dei tre diversi volumi della facciata, fanno salva la percezione frontale.
L'aspetto più innovativo del progetto è sicuramente la galleria che l'architetto antepone agli accessi del teatro. Un tempo era possibile, grazie a questo accorgimento, arrivare a pochi metri dall'ingresso, e al coperto, con la carrozza.
I piani sono scanditi da cornicioni e dal diverso rivestimento murario. Al piano terreno e al mezzanino, su un basso bugnato si aprono sette arcate cieche, intonacate di chiaro come le superfici dei piani superiori. Originariamente le porte di accesso al teatro erano solo due, in corrispondenza delle arcate laterali della galleria. All'interno delle altre cinque aperture si aprivano, invece, altrettante finestre. Oggi, ogni fornice ospita un portone, sormontato dalle finestrelle arcuate del mezzanino. In corrispondenza dei piedritti delle arcate corre un corso di blocchi più sporgenti. Sporgente è anche il concio.
Sopra alla galleria e ai corpi aggiunti dal Pestagalli, un parapetto a balaustra, il cui disegno è ripreso anche come zoccolo per le semicolonne e le paraste corinzie che scandiscono il ritmo dei diversi volumi al primo piano. In corrispondenza del terrazzo, in mezzo alle quattro coppie di semicolonne, si aprono tre porte timpanate. Sulla parete del volume intermedio e sui terrazzi laterali si aprono altre quattro luci, sempre decorate da timpani triangolari, due a destra e due a sinistra. In corrispondenza dei capitelli corre un fregio spezzato a festoni in stucco. Al di sopra corre un'importante trabeazione su cui poggiano le basi delle basse lesene e le cornici delle aperture dell'odierno ridotto delle gallerie.
Corona il prospetto, in corrispondenza della galleria delle carrozze, un timpano decorato, sempre su disegno del Piermarini, a bassorilievo in stucco da Giuseppe Franchi. Il soggetto è l'allegoria de Il carro del Sole inseguito dalla Notte (altrove detto Il carro di Apollo o di Fetonte).[39] Ai due lati una balaustra interrotta, in corrispondenza delle sottostanti lesene, da parapetti ciechi decorati da vasi fiammati.
Per il bungnato fu scelto il granito di Baveno, di color grigio-rosa; per i parapetti, lo zoccolo del primo piano, le lesene, le colonne, la trabeazione che corre su queste, i timpani di tutte le finestre e la cornice del grande timpano triangolare, la pietra di Viggiù, un'arenaria di colore grigio paglierino, e la pietra Gallina.[16][40]
Appena liberata dalle impalcature, la facciata fu oggetto di aspre critiche. La si definì modesta, soprattutto in contrasto con la maestosità dell'interno: ad esempio Pietro Verri, scrivendo al fratello, parlò di «grandezza ed eleganza» delle sale interne e di «povertà esterna».[9]
L’architetto concepì la facciata principale per la visione di scorcio, giacché il teatro si trovava in origine in una contrada relativamente stretta. La visione frontale, e il curioso effetto del timpano sormontato da coppi, si è resa possibile a seguito dell'apertura di piazza della Scala, nel 1857.[16][41]
Interno
[modifica | modifica wikitesto]Foyer
[modifica | modifica wikitesto]La decorazione neoclassica e la stessa disposizione degli ambienti al piano terreno non sono quelle previste dal Piermarini. Originariamente, passato uno stretto corridoio parallelo alla facciata, analogo a quello attuale, si accedeva a due ambienti oblunghi. Sul lato esterno di quello di sinistra si trovavano il «camerino dei biglietti», la «camera per gli impresari» con l'attigua «camera per gli accordi», l'alloggio del custode. Sul lato esterno di quello di destra, il locale per il corpo di guardia con il «camerino per l'ufficiale» e la «bottega del caffè» per la platea. Al centro, una sala di transito dove il pubblico attendeva l'arrivo delle carrozze. Percorsi fino al fondo i due corridoi, si entrava nell'atrio, o «vestibolo per la servitù», oblungo e non molto ampio, e finalmente, attraverso tre porte, nella sala. Sempre da qui si accedeva ai palchi, grazie ad un duplice sistema di scale, e a due «botteghe per chincaglierie».[42][43]
Tra il 1881 ed il 1884 furono rinnovate le decorazioni di questi ambienti seguendo i disegni di ornato previsti in un progetto del 1862 degli architetti Savoia e Pirola. Risalgono a quegli anni le quattro statue in marmo raffiguranti altrettanti compositori italiani.
Oggi, varcata la soglia di uno dei cinque portoni centrali (i due laterali danno accesso ad altrettanti ambienti minori ricavati nei corpi aggiunti nel 1835) si accede al corridoio, coperto da una volta a botte, lungo quanto l'originale corpo aggettante della facciata, assai stretto e basso. Da qui altrettante porte introducono nel foyer della platea e dei palchi, disegnato dall'ingegnere Luigi Lorenzo Secchi nel 1955. L'ambiente è diviso, parallelamente alla facciata, da una fila di sei alte colonne in marmo. Le pareti sono decorate a stucco con lesene che sorreggono fregi e una ricca trabeazione in parte dorata. Diversi specchi riflettono la luce dei lampadari di cristallo che pendono dalle volte. Le quattro statue a figura intera sono oggi così collocate: subito a destra, entrando, Giuseppe Verdi, opera di Francesco Barzaghi del 1881, oltre la fila di colonne, Vincenzo Bellini, di E. Strazza (1874); a sinistra Gaetano Donizetti e, oltre le colonne, Gioacchino Rossini, realizzata da Pietro Magni nel 1871.[44]
Sul fondo, l'ampio varco centrale dà accesso, tramite una breve rampa tripartita da due colonne, alla platea. A destra e a sinistra, due coppie di varchi più piccoli conducono tramite alcuni scalini ai corridoi dei palchi (quelli centrali) e ai guardaroba della platea (quelli laterali). Nelle pareti laterali dell'atrio si aprono quattro porte: le prime comunicanti a destra e a sinistra, rispettivamente, con il buffet degli spettatori della platea e con il Bookshop, le seconde con le «scale degli specchi» che danno diretto accesso ai ridotti dei palchi e delle gallerie.
Sala
[modifica | modifica wikitesto]L'accesso alla platea è consentito direttamente dal foyer tramite il piccolo vestibolo tripartito, decorato con specchi e due busti (di Mozart e Stendhal).[45] Il dislivello tre il foyer e la platea è venuto a crearsi a seguito dei lavori degli anni 2000: per migliorare la visibilità fu infatti in tale occasione aumentata la pendenza del piano della sala. Altri quattro ingressi sono collocati ai lati del ferro di cavallo, e collegano direttamente la sala con il corridoio dei guardaroba.
La semplice volta della sala era intonacata, come pure le pareti dei cinque ordini di palchi e le quattro grandi colonne che racchiudono i palchi di proscenio. Anche l’attuale seconda galleria, nel progetto del Piermarini pensata quale unico loggione, si offriva alla vista in modo identico ai cinque ordini di palchi sottostanti, ma aveva in realtà un soffitto a volta.
Tra gli accorgimenti adottati al fine di migliorare la visibilità, oltre all'innovativa forma della sala, Piermarini provvide ad arretrare leggermente le colonnine che separano un palco dall'altro. Le pareti stesse dei singoli palchi sono direzionate in modo da permettere una migliore visuale anche dai palchi più laterali.
La sala appariva all'origine in modo molto diverso da quanto si vede oggi: numerosi sono stati gli interventi, tra cui quello curato da Luigi Canonica (1808) e quello dello scenografo Alessandro Sanquirico (1830), ammirabile nel suo complesso ancora oggi.
Secondo il progetto originario di Giuseppe Levati e Giuseppe Reina, i parapetti dei palchi sarebbero stati decorati, in stile neoclassico, alternativamente, «d'un ordine di balaustrini, e l'altro ordine a grottesche in fondo d'argento»; ornati in oro dovevano essere le cornici intagliate, l'architrave, i pilastri e le mensole di ogni palco.
I colori dominanti della decorazione in stile Impero del Sanquirico sono l'oro e l'avorio. I decori, medaglioni e motivi floreali e zoomorfi, sono realizzati in cartapesta dorata applicata sul legno laccato color avorio dei parapetti. Si distinguono, in particolare, tre diversi motivi: una lira affiancata da due leoni alati (fasce del secondo e quarto livello), un secondo costituito da un medaglione, sul quale si impostano palmette e foglie d'acanto (terzo e quinto), un terzo, infine, con nel motivo centrale una corona di foglie di lauro cui si addossano due piccoli auleti seduti (sesto livello). Particolarmente incisivo fu l'intervento sul proscenio: al Sanquirico si deve il disegno dei mascheroni reggitrave (che sostiturono le semplici volute ideate dal Piermarini), le grottesche a motivi musicali tra questi ultimi e i cassettoni del soffitto sovrastante.
Fino al bombardamento del 1943 si era conservata la struttura originaria della volta, costituita da uno spesso strato di intonaco pressato su «bacchette», strisce larghe circa cinque centimetri ricavate da tondelli di castagno non del tutto essiccati e lasciati a macerare nell’acqua, inchiodate a centine in legno di pioppo. Queste erano a loro volta appese mediante sottili tiranti in legno ai travettoni appoggiati sulle grandi capriate poste a sostegno delle falde del tetto. Questo sistema, quasi un controsoffitto, è stato per certi versi ripreso nel Teatro degli Arcimboldi, dove il soffitto che vede lo spettatore è in realtà composto da pannelli riflettenti rivolti verso la platea e fonoassorbenti rivolti verso l’orchestra.
La decorazione originaria della volta fu sostituita nel 1830 da tralci verdi inseriti in una fascia azzurra, opera di Gaetano Vaccani, che riprendeva il colore delle nuove tappezzerie. Nel 1865 venne ridipinta a grandi volute di foglie d'acanto e medaglioni raffiguranti personaggi della cultura, dell'arte e della musica, sul fondo di un cielo cosparso di nuvole.
A causa delle esalazioni del sistema d'illuminazione a gas, già nel 1879 si rese necessario un nuovo intervento, il quinto: si dipinse a monocromo un soffitto a lacunari e rosoni, dipinti prospetticamente e degradanti dai lati al centro della volta, per accentuarne visivamente la curvatura.[46] Questa decorazione fu riprodotta nella nuova volta, innalzata a seguito del bombardamento, ed è quella visibile ancora oggi.
Il boccascena è di 16 metri di larghezza per 12 di altezza (identico a quello degli Arcimboldi, progettato in modo tale che le scene possano passare da un teatro all'altro).
Il sipario dipinto da Domenico Riccardi venne sostituito nel 1821 da uno nuovo, opera di Angelo Monticelli. Un terzo sipario fu commissionato a Mauro Conconi nel 1857, ma mai realizzato: restano due bozzetti, uno alla Galleria civica di Milano, il secondo al Museo teatrale alla Scala. La commissione passò a Giuseppe Bertini il quale lo realizzò assieme a Raffaele Casnedi. Il nuovo sipario, raffigurante Le origini del Teatro, fu dunque inaugurato nel 1862. Questi sipari in tela dipinta che si aprivano a caduta sono stati sostituiti dall'attuale in velluto cremisi, con apertura all'imperiale, riccamente decorato a ricami in oro. Nella parte superiore troneggia lo stemma del Comune di Milano.
Sopra il boccascena, un orologio che indica l'ora (numero romano) e i minuti (numeri arabi, scanditi a intervalli di tempo di cinque minuti) è sorretto da due grandi figure femminili in basso rilievo.
Illuminazione
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1778 la sala ed il palcoscenico erano illuminati da centinaia di candele e da una grande lumiera che, fatta scendere da un'apertura nel soffitto del boccascena, veniva sollevata non appena accesi i lumi dell'orchestra. Già nel 1788 le candele furono sostituite da lampade ad olio, le lampade Argand, munite di riflettore. Il 26 dicembre 1823, oltre al lampadario centrale disegnato dallo scenografo Alessandro Sanquirico, furono fissati ai parapetti dei palchi i «braccetti» per l'illuminazione di gala. L'illuminazione a gas venne introdotta nel 1860, quando fu attivata una nuova grande lumiera con becchi a tubo, che rimase in funzione fino al 1883.
Con l'attivazione della stazione di illuminazione elettrica di Santa Radegonda, nel 1883, il teatro fu dotato di un impianto di 1091 lampade sulla scena; sulla platea risplendeva il grande lampadario centrale di 344 lampade, alle quali se ne aggiungevano 258 lungo i parapetti dei palchi.
Dalla volta, decorata a grisaille, pende oggi il grande lampadario donato dai maestri vetrai di Murano dopo la seconda guerra mondiale. È rivestito di oro zecchino, conta 412 lampadine e ha un peso che sfiora la tonnellata. All'interno della coppa attraverso la quale è applicato al soffitto si trova la postazione dei tecnici delle luci incaricati di muovere l'occhio di bue. Sui parapetti, ogni quattro palchi, sfalsate verticalmente, sono appese appliques a cinque bracci dotate di altrettante sfere di vetro bianco. Piccoli lampadari ad una sola luce sono collocati in ciascun palco, dietro la mantovana.
Golfo mistico e palcoscenico
[modifica | modifica wikitesto]In origine il palcoscenico si prolungava nella sala fin oltre il proscenio, nello spazio ora occupato dall'orchestra, ed il suo pavimento in assoni di pioppo solcato dalle guide per le scene mobili si estendeva per una lunghezza di oltre trenta metri su una larghezza di quasi ventisei. Su ognuno dei due lati verso i muri perimetrali, sei grossi pilastri sostenevano i lunghi ballatoi che permettevano ai macchinisti di eseguire i movimenti delle scene. Nel 1814 la profondità venne aumentata di sedici metri con l'aggiunta di quattro pilastri per lato e lo spazio così ottenuto fu suddiviso in tre settori: quello centrale a costituire il prolungamento dello spazio scenico, i due laterali destinati a zone di servizio. Nel 1921 fu aumentata l'agibilità degli spazi dimezzando il numero dei pilastri ed innalzando il tetto di sette metri, così che le scene potessero essere completamente sollevate e nascoste alla vista del pubblico. Contemporaneamente furono riformati gli originali impianti di sollevamento delle scene in favore del sistema di "tiri" contrappesati. Nel 1937 il palcoscenico fu dotato di un sistema di pannelli e ponti mobili ad azionamento idraulico. Queste complesse strutture, risparmiate dalle bombe grazie al sipario tagliafuoco, sono in funzione ancora oggi.
Il palcoscenico, originariamente in assi di pioppo solcato dalle guide per i pannelli mobili delle scene, aveva dimensioni ragguardevoli (oltre trenta metri di lunghezza e quasi ventisei di larghezza) e si prolungava un tempo nella sala fino oltre il proscenio, nello spazio oggi occupato dalla buca d’orchestra. In base al progetto iniziale avrebbe dovuto avere non sei ma sette campate, ridotte in corso d’opera a causa di difficoltà nell'acquistare i terreni necessari. Lunghi ballatoi permettevano ai macchinisti di manovrare le scene.
Tra l'agosto 1920 e il dicembre dell'anno successivo palcoscenico e retropalco furono oggetto di importanti lavori: su progetto dell'ingegnere Cesare Albertini, la ribalta fu arretrata ulteriormente rispetto all'intervento del 1907, fino alla prima colonna interna dei palchi di proscenio per far posto alla nuova fossa. L’orchestra, che fino al 1907 aveva suonato allo stesso livello della platea, dalla quale era separata grazie ad un’«assata in pendio» che poteva essere rimossa in occasione delle feste da ballo, ha così trovato una collocazione ottimale. Fu inoltre predisposto un sistema mobile che consentiva, all'occorrenza, di graduare la profondità del golfo mistico oppure di coprire interamente la fossa recuperando ampiamente la superficie perduta con l'arretramento del palco. Nel retropalco furono inoltre demoliti sei dei dodici ingombranti piloni progettati dal Piermarini.
- Primo Ordine:
- Palco di proscenio a sinistra.
- Palco 5 a sinistra: soffitto dipinto, porta in legno scolpito e dorato.
- Secondo Ordine:
- Palco di proscenio a sinistra.
- Palchi 1 e 2 a sinistra (palco dell'Arciduca): uniti, soffitto e pareti rivestite di specchi con applicazioni dorate.
- Palco 7 a sinistra: soffitto dipinto.
- Palchi 8 e 9 a sinistra: soffitto dipinto, specchi con cornici in legno dorato.
- Palco 12 a sinistra: soffitto e e pareti rivestite da specchi e cornici di legno dorate.
- Palco 13 a sinistra: al soffitto un intarsio ligneo dorato.
- Palco 14 a sinistra: cornice in legno dorato.
- Palco 15 a sinistra:
- Palco 16 a sinistra:
- Palco 17 a destra
- Terzo Ordine:
- Palco 16 a sinistra.
Palchi e Gallerie
[modifica | modifica wikitesto]I sei livelli sono oggi organizzati in quattro ordini di palchi e due gallerie. I primi tre ordini contano trentasei palchi, diciotto a destra e diciotto a sinistra, numerati in ordine crescente a partire dal proscenio; il quarto ordine ne conta invece trentanove, giacché tre palchi occupano lo spazio che negli ordini sottostanti è riservato al palco reale. Su entrambi i lati del proscenio si affacciano ulteriori quattro palchi di proscenio, corrispondenti ai primi quattro ordini.
I palchi e i retrostanti camerini erano un tempo decorati dai singoli proprietari con tappezzerie di differenti colori, tappeti, mobili, specchi e sedie di loro scelta. In base ad un inventario del 1790 siamo a conoscenza della stoffa prevalentemente scelta per le pareti dei palchi, una «tela di Vienna, a fondo bianco, rosso, celeste, a righe, su cui sono sparsi o s'intrecciano rami o s'inviluppano fantasiose composizioni alla cinese; la tendenza classicheggiante è rappresentata da tappezzerie a "musaico"».[47] Fu deciso che solo le tinte e l'andamento delle mantovane dovessero essere uniformi, di color rosso, e, a differenza di quanto avviene oggi, in foggia tale da poter isolare completamente il palco dalla sala.[47]
In occasione dei lavori di rinnovo del 1830, fu deciso, su indicazione del Sanquirico, di adottare un nuovo colore ed una nuova foggia, così descritti in una lettera del 6 agosto di quell'anno: «un solo piegone candente nel mezzo e due code laterali, di un solo colore, quello celeste».[48] Il modello delle nuove cortine, da riprodursi a cura dei proprietari dei singoli palchi, fu messo in opera nel palco in uso all'I.R. Comando Militare (il numero 16 del primo ordine) e, per i palchi di proscenio, in quello del governatore, il conte Francesco di Hartin.[48] Nel 1838 furono rinnovate le dorature e i panneggi, ma, come si deduce da una lettera di Franz Liszt, i tendaggi non mutarono colore.[49]
Nel 1844, tutti i panneggi del teatro divennero «cedrone», un verde brillante, ad eccezione del palco reale, il cui predominante color rosso cremisi fu scelto come tradizionale insegna di potere.[50]
Una tra le importanti trasformazioni che seguirono all'istituzione dell'Ente Autonomo, e l'esproprio dei palchi, fu l'uniformazione della loro decorazione. Il compito fu affidato nel 1928 all'architetto Giordani, il quale decise di rivestirli uniformemente con un damasco rosso di seta con decorazioni in stile impero. I tendaggi tornarono ad essere color cremisi, rifiniti con gocce e pigne dorate.[51] Nel 1988, i damaschi di seta furono sostituiti con una stoffa di disegno abbastanza simile, ma in fibra sintetica ignifuga. Nel corso degli ultimi lavori di restauro è stato nuovamente posato del damasco di seta, sempre di colore rosso, tra il rubino e il granato antico.[52]
Alcuni palchi hanno mantenuto la loro decorazione originaria, in modo totale o parziale (in alcuni casi si può trattare solo di un soffitto affrescato, in altri di specchi o stucchi):[53] Il quarto ordine, gravemente danneggiato dal bombardamento, il quinto e il sesto, sventrati per far posto alle attuali gallerie, non conservano alcuna decorazione originaria.
Scale e corridoi
[modifica | modifica wikitesto]Un complesso sistema di scale a più rampe (dette «a tenaglia») collega il foyer con i corridoi di accesso ai palchi. Nei primi tre ordini i corridoi dei palchi di destra e di sinistra non sono comunicanti a causa del volume del palco reale, cui si accede dal secondo ordine tramite un ampio vestibolo. Sui corridoi si aprono sia le porte dei camerini, oggi utilizzati come guardaroba per gli spettatori dei singoli palchi, sia quelle di accesso ai palchi. Varcata questa prima porta in legno laccato, per accedere alla sala è necessario aprire una seconda anta ricoperta di damasco.
La cromia prevalente delle pareti dei corridoi e delle scale è giallo/arancio, mentre le zoccolature sono nere. Sulle pareti delle scale d'accesso al primo ordine, invece, il marmorino è grigio-verde con la fascia verticale in prossimità del corridoio gialla, in continuità con la tinta delle pareti di quel piano.[54] I pavimenti dei palchi sono oggi in cotto, lo stesso materiale previsto da Piermarini, i corridoi e i pianerottoli delle scale sono invece in terrazzo veneziano.
L'originaria unica galleria era collegata al vestibolo per la servitù tramite due scale ellittiche in beola, sostituite nel 1932 dalle «scale degli specchi». Gli spettatori con biglietti di galleria entrano oggi attraverso l'ingresso del Museo teatrale, in largo Ghiringhelli. Nello spazio occupato nei piani sottostanti dai camerini, si trovano in corrispondenza delle due gallerie i guardaroba, non dissimili da quelli della platea. Differente è invece il disegno delle rampe che collegano i due ultimi piani, ridisegnate in occasione dei lavori di sistemazione del ridotto.
Ridotti
[modifica | modifica wikitesto]Vi sono oggi due ridotti. Il primo, in corrispondenza del terzo ordine di palchi, è destinato agli spettatori dei palchi. Il secondo, aperto nel 1958 nel luogo un tempo adibito a «stanza delle stufe» e quindi a salone di scenografia, è destinato a quelli delle due gallerie. L'aspetto di entrambi questi ambienti è stato più volte modificato nel corso degli anni. In origine, nel locale che attualmente ospita il ridotto delle gallerie si producevano le braci da porre in appositi bracieri dislocati nei vari ambienti del teatro.
L'aspetto attuale del primo ridotto, intitolato nel giorno della riapertura, il 7 dicembre 2004, ad Arturo Toscanini,[55] risale all'intervento di Luigi Lorenzo Secchi (1936). Il primo ambiente cui si accede dal corridoio del terzo ordine, stretto e assai allungato, funge quasi da anticamera al più vasto salone, corrispondente all'area del corpo aggettante. A dividerli un muro in cui si aprono un grande varco sorretto da quattro colonne marmoree e due varchi minori, a destra e a sinistra, che danno accesso ad altrettanti vani più piccoli, ospitanti i buffet.[56]
Le pareti di tutti e quattro gli ambienti sono decorate da specchi, fregi e lesene con capitelli corinzi dorati realizzati a stucco. Sopra questi ultimi corre la trabeazione, assai importante nei due ambienti maggiori, meno appariscente nei due buffet. Tre porte finestre e due finestre si aprono dal salone verso piazza della scala, una finestra da luce a ciascuno dei due ambienti minori. Tre grandi lampadari di cristallo pendono dalla volta del salone ed altrettanti, più piccoli, illuminano il corridoio. Decorano il salone alcuni busti bronzei di compositori, fusi presso la Fonderia Artistica Battaglia, opera di Francesco Messina (sulla parete di fondo, da sinistra, entrando: Umberto Giordano, Giacomo Puccini, Pietro Mascagni) e direttori d'orchestra (Arturo Toscanini, opera di Adolfo Wildt, e Victor De Sabata, realizzati in marmo). Le tappezzerie delle poltrone e dei divani sono realizzate con la medesima seta di colore giallo utilizzata per i tendaggi. Da una porta a destra, entrando nel primo ambiente, si accede al Museo teatrale, ospitato nell'antico Casino Reale.[57]
Il ridotto superiore, cui si accede dalla seconda galleria, ha assunto l'aspetto attuale nel 1957, sempre su progetto del Secchi. La disposizione degli ambienti è la medesima anche nel ridotto delle gallerie, soltanto l'altezza delle volte è minore e più discreta è la decorazione.[58][59]
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La sala nel 1824.
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La sala vista dal palcoscenico in una stereografia di Giorgio Sommer del 1869.
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La sala vista dal palcoscenico in una cartolina dei primi anni del '900.
Il progetto Botta e i lavori di restauro (2002-2004)
[modifica | modifica wikitesto]Nel maggio del 2002 fu presentato il progetto di ristrutturazione,[60] ormai non più posponibile, visto che, tra l'altro, il teatro da quasi dieci anni funzionava in deroga ai regolamenti di sicurezza in materia di prevenzione incendi ed antinfortunistica.[61] Il progetto è, infatti, già prefigurato negli anni Novanta,[60] ma trova concreta realizzazione solo nei primi anni del decennio successivo. Due erano le strade percorribili: la semplice messa in regola ed il mantenimento della struttura così come restituita dal restauro del 1947, ovvero la più ambiziosa ricostruzione del palco e degli altri ambienti utilizzati dagli artisti, in modo da garantire un potenziamento della macchina scenica. Si imboccò la seconda,[62] e la decisione non è stata esente da critiche: un intervento così profondo ha infatti cancellato i segni tangibili che il tempo e le persone passate per quegli ambienti avevano lasciato.
La macchina scenica e il progetto architettonico
[modifica | modifica wikitesto]Il progetto della macchina scenica fu affidato a Franco Malgrande,[63] l'architetto Mario Botta, subentrato a Giuliano Parmegiani, ha invece firmato il progetto della torre scenica, della torre ellittica e degli ambienti di servizio ospitati negli edifici retrostanti il Casino Ricordi, in via Filodrammatici.[64]
Sin dall'inizio dei lavori, sorsero alcune difficoltà: la posizione centrale del teatro ha impedito di fare alcun affidamento sullo spazio intorno ad esso e ha reso necessari un'attenta pianificazione, particolare coordinamento e monitoraggio della sicurezza.[65] I quattrocento operai e i vari tecnici hanno dunque operato all'interno del limitato recinto di lavoro, dal quale sono stati rimossi, in almeno 10.000 viaggi dei mezzi di lavoro, 120.000 m³ di macerie.[66][67]
Anche le scelte di Botta sono state oggetto di un acceso dibattito, soprattutto relativamente l'impatto estetico dei due nuovi, massicci volumi (le torri scenica ed ellittica).
La torre scenica si eleva alle spalle delle torrette dell'antico sistema antincendio, in linea con l'asse della facciata. Il rivestimento è in lastre di marmo botticino disposte in triplici file di corsi di maggiore dimensione intervallate da liste più sottili. Tra queste ultime sono incastonati vari led che evocano, di notte, la presenza della torre. L'altezza della nuova torre scenica coincide con quella precedente e, come ha dichiarato l'architetto, i nuovi volumi vengono arretrati «con il doppio intento di evidenziare le facciate storiche nel rapporto 'figurativo' con il tessuto urbano e offrire, al di sopra dei tetti esistenti, un linguaggio astratto per le nuove costruzioni in modo da separare ed evidenziare i differenti periodi storici».[66] Si è deciso infatti di arretrare di qualche metro il fronte est della torre, in modo da poter riaprire le luci oscurate con la costruzione del vecchio contro muro della torre scenica e dal sistema di tiri e contrappesi ad esso addossati. In questo spazio sono stati oggi ricavati una serie di percorsi alle spalle del fronte su via Verdi, che consentono di riaprire le finestre e dare vita alla facciata storica. Il fronte nord, opposto a piazza della Scala, è invece solcato da profonde incisioni finestrate, aperte per dare luce alle quattro sale prova che si trovano sopra il retropalco. Tale fronte è completato da due rientranze più profonde e larghe, in corrispondenza dei due corpi di scale, e dal sistema di aperture del corpo camerini che collega posteriormente alla torre scenica la torre ellittica.
Oggetto dell'intervento è stato anche l'interno degli edifici ottocenteschi di via dei Filodrammatici, ricostruiti dalle fondamenta, mantenendo solo le facciate e uniformando le coperture a falde. In luogo delle due precedenti corti, si apre oggi tra il fianco del fabbricato piermariniano e il fianco stradale un unico spazio, su cui si affacciano gli ambienti della sovrintendenza e della direzione artistica.[68] La piccola corte, che si sviluppa parallelamente al portico di via Filodrammatici, è dominata dallo sbalzo del corpo ellittico che si eleva cinque piani più in alto. Un'unica apertura verticale si apre sotto lo sbalzo, dando luce agli sbarchi delle scale e degli ascensori che disimpegnano ai piani bassi gli uffici agli spogliatoi degli artisti e del personale.
Parallelamente all'asse del progetto piermariniano, si eleva, infatti, un nuovo volume a pianta ellittica ospitante i camerini degli artisti. Il notevole arretramento e l'assenza di un vero e proprio fronte sono intesi proprio a sottolineare il distacco dalle facciate storiche del Casino Ricordi e degli altri edifici.[69] La presenza della torre ellittica appare ancora più discreta in virtù del finimento ad elementi verticali in botticino, che la « fanno vibrare nel gioco di luci ed ombre creato dal sole, smaterializzandone le superfici».[68]
Botta ha voluto sottolineare che, all'epoca di Piermarini, l'isolato era racchiuso fra vie anguste. La profondità offerta al nostro occhio è dovuta alla demolizione, nel 1858, degli edifici prospicienti via Manzoni, condizione urbana sconosciuta all'architetto folignate e che giustifica la costruzione dei nuovi volumi.[66] Questa profondità permette di cogliere, a detta dell'architetto svizzero, all'interno del più ampio complesso architettonico i differenti linguaggi che spaziano dal Settecento ad oggi.[70]
I lavori hanno dunque ottimizzato gli ambienti di servizio e dato al teatro una macchina scenica tra le più complesse e versatili mai progettate,[71] a fronte tuttavia di interventi decisamente invasivi nei confronti delle antiche strutture sceniche e della Piccola Scala, andate perdute per sempre.
Il restauro conservativo
[modifica | modifica wikitesto]Altrettanto importante è stato l'intervento conservativo che ha riguardato la parte monumentale. Terminati, alla fine degli anni Novanta, i lavori di pulitura della facciata del teatro,[72] si è proceduto in contemporanea ai lavori di rinnovamento, dal 2002 al 2004, al restauro dell'area monumentale, curato da Elisabetta Fabbri.[73]
Primo passo è stata l'acquisizione di tutte le informazioni storiche, materiche e dimensionali necessarie. Sono state riconosciute tre aree di intervento: la sala teatrale (comprendente, oltre alla platea e ai palchi, i corridoi, le scale e i camerini retropalco), il foyer e i ridotti, e, infine, i locali ospitanti il Museo teatrale. Mentre per queste ultime aree si può parlare di "manutenzione straordinaria", più che di "restauro conservativo" (sono stati sfruttati gli impianti già realizzati nel Novecento, opportunamente revisionati, e sostituiti materiali, come pavimentazioni lignee e tappezzerie, ormai logori), l'intervento nella sala teatrale è stato più complesso.[74]
È stato in particolare realizzato un nuovo cablaggio dei palchi, con la revisione degli impianti elettrici e dell'aria condizionata.[75] Quanto all'adeguamento strutturale, si è proceduto con interventi di tirantatura delle travi lignee dei palchi e consolidamenti con iniezioni di resine speciali nelle volte in muratura.[76] Complesso è stato anche l'intervento sui rivestimenti murari. Grazie ad attente rilevazioni è stato parzialmente possibile riportare alla luce l'originario intonaco a finto marmo, ben conservato alle pareti dei primi due ordini. Nei piani superiori e nel sottoplatea si è proceduto realizzando un nuovo marmorino.[54]
Fino al recente intervento di restauro il pavimento della platea, oltre a quello delle scale e dei corridoi, era rivestito di moquette. Nei palchi era stato posato invece uno strato di linoleum. La platea è stata ora pavimentata con legno a vista, disposto in strati speciali al fine di migliorare l'acustica.[77] Nei palchi e nei camerini è stata recuperata la pavimentazione di formelle in cotto, già prevista dal Piermarini, mentre nei corridoi è stato ripristinato il seminato di marmo alla veneziana, anche detto terrazzo.[78]
È stato, infine, predisposto un sistema di video libretto: sono stati collocati piccoli schermi sugli schienali delle portone, in platea, e sui parapetti, nei palchi, sui quali scorrono le parole cantate, o, in alternativa, la traduzione inglese (o italiana, qualora il libretto originale sia in lingua straniera).
Capienza
[modifica | modifica wikitesto]Come si desume dalla pianta ufficiale, oltre ai 676 posti in platea (comprensivi di tre posti per disabili e altrettanti per gli accompagnatori), il teatro può ospitare 195 spettatori nel primo ordine di palchi (95 in quelli di destra, 100 in quelli di sinistra), 191 nel secondo (96 nei palchi di destra, 95 in quelli di sinistra), 20 nel palco d’onore, 194 nel terzo ordine (96 nei palchi di destra, 98 in quelli di sinistra), 200 nel quarto (divisi equamente a destra e a sinistra), 256 spettatori in prima galleria e 275 in seconda galleria, per un totale di 1827 spettatori.[79][80]
Nel provvedimento comunale di agibilità rilasciato tre mesi dopo la riapertura del Teatro nel 2004 i posti sono invece 2030.[senza fonte] In realtà il Teatro stesso ha, in diverse occasioni, comunicato cifre ancora differenti.[81]
In media, secondo i dati disponibili nel 2011, 630 posti sono occupati dagli abbonati (compresi i circa 10 posti acquistati dalle agenzie di turismo culturale), 50 dall'associazione Amici del Loggione, 22 alla sovrintendenza e 16 alla direzione artistica, 20 agli sponsor (10 a Banca Intesa, altrettanti ad altri, ma la quota può variare molto a seconda dello spettacolo), 8 a persone con disabilità; 550 sono infine destinati ai dipendenti e all'Ufficio Promozione Culturale.[82] Mentre questi biglietti vengono venduti a prezzo normale (fanno eccezione i biglietti di promozione culturale e quelli per gli spettatori disabili), ulteriori 115 posti sono resi disponibili gratuitamente alla direzione (33 posti), ai giornalisti (32), alle forze dell’ordine (8), alla SIAE (8), al Comune (16), alla Provincia (6) e alla Regione (12). I posti venduti online e in biglietteria al pubblico non abbonato sono quindi, in media, 440, cui si aggiungono i 140 «ingressi serali» (i posti di scarsa visibilità) venduti poche ore prima dello spettacolo.[83]
Questi dati sono stati forniti dalla direzione del Teatro in risposta a proteste sollevatesi con riguardo alla presunta “introvabilità” dei biglietti in vendita singolarmente in biglietteria, ma soprattutto online.[84]
Acustica
[modifica | modifica wikitesto]Tra gli accorgimenti adottati dal Piermarini, oltre alla forma della sala, vi fu la scelta della volta di legno, quasi una cassa di risonanza naturale. Un altro piccolo accorgimento fu il diminuire sensibilmente le dimensioni delle colonne che separano i vari palchi.[85] Ottenne in questo modo, secondo le fonti, un'acustica pressoché perfetta in ogni punto della sala, considerata tra le migliori dei suoi tempi.[86]
Secondo ad uno studio contemporaneo, del 1962, firmato Beranek, il Teatro alla Scala ha un’acustica eccellente, pari alla sola Staatsoper di Vienna, edificato solo cent’anni più tardi (1869).[87] È stato all'epoca rilevato un tempo iniziale di ritardo (Initial Time Delay Gap) di soli 0,015 secondi e solo tre riflessioni nell’arco di 60 millesimi di secondo. I valori del T30 (1,2 secondi), del tempo di decadimento iniziale (Early Decay Time: 1,3 s.) e C80 (che, essendo la sala riverberante, risultava pari a -0.11 dB) permettevano di equiparare la sala scaligera a quella del Teatro della Pergola di Firenze.[88] Il “calore” del suono, cioè la ricchezza dei toni a bassa frequenza, era garantito da un lungo RT alle basse frequenze (125 e 250 Hz).[88]
In occasione degli ultimi lavori si è provveduto, per migliorare l'acustica oltre la visibilità, a inclinare il piano della platea. Come già detto, si è provveduto, allo stesso scopo, a rimuovere la moquette. A diretto contatto con il massetto in cemento (listoni in legno annegati in cemento magro) è stato posto uno strato di compensato marino dello spessore di 15 mm e quindi un «sandwich elastico», il cui foglio inferiore di gesso e truciolato (spessore 15 mm) è reso solidare con il compensato sottostante. Lo strato successivo, di polietilene reticolato (5 mm), non ha agganci rigidi con un secondo strato di gesso e truciolato, fissato invece ad un ulteriore strato di compensato marino (16 mm). Sopra quest'ultimo, uno strato di granulato di gomma, attraversato dai supporti delle poltrone, fa da base ai listoni di rovere del parquet (spessore 22 mm).[89]
Con l’ultimo intervento di restauro l'acustica è in realtà, secondo uno studio dell'Università di Parma, peggiorata: in particolare le nuove coperture dei palchi (che prevedevano uno stato di poliuretano espanso a cellula chiusa fra il muro e la tappezzeria in tessuto damascato rosso) assorbivano eccessivamente le onde sonore e la tappezzeria in velluto delle nuove poltrone contribuisce ulteriormente a dissipare il suono. È stato perciò osservato che suono risultava generalmente sordo, addirittura poco chiaro se ci si trovava lontano dal boccascena. Migliorato era invece il riverbero, principalmente grazie alla nuova copertura del pavimento.[90] Per ora i provvedimenti per arginare il problema hanno interessato la tappezzeria dei palchi: sono stati rimossi tutti i pannelli in poliuretano e la tappezzeria è stata direttamente incollata alle pareti.
Cronistoria
[modifica | modifica wikitesto]Durante i primi cento cinquant'anni di vita del teatro l'attività iniziò il giorno di Santo Stefano (26 dicembre) con la Stagione di Carnevale, durante la quale si rappresentarono per lo più opere serie, in tre o quattro atti intervallati da balli. La stagione si concludeva alla vigilia della settimana di carnevale, durante la quale il teatro ospitava i balli e il veglione del Sabato grasso. Dopo la Pasqua potevano svolgersi altre brevi stagioni (di Primavera, Estate, Autunno) dedicate all'opera buffa, alla commedia e ai balli, secondo la richiesta del pubblico e le disponibilità dell'impresario.
I prezzi degli abbonamenti per la stagione inaugurale furono così stabiliti: «per la Nobiltà» 6 gigliati, «per la cittadinanza» 3 gigliati, «per le Cappe Nere» (ovvero per i segretari, i cancellieri, i maggiordomi e gli altri dipendenti superiori delle famiglie nobiliari) 20 lire.[13] In realtà, per assistere agli spettacoli bisognava «levare» due biglietti: uno per accedere al teatro, l'altro d'ingresso alla platea. Le «sedie fisse» in platea (dette anche «chiuse» in quanto dotate di chiavi che consentivano di chiudere e aprire la seduta a piacere) costavano ulteriori 3 gigliati in prima e seconda fila, 2 gigliati in terza e quarta, 1 gigliato nelle ultime due file.[13] In alternativa ci si poteva accontentare delle «sedie volanti», disponibili gratuitamente.[10] Quest'uso di emettere due biglietti distinti fu abbandonato già nel 1797.[91]
La Stagione di Quaresima fu introdotta nel 1788. Già nel 1785 e nel 1787 il teatro aveva eccezionalmente aperto in periodo di quaresima: il primo anno per una cantata di Nicola Antonio Zingarelli, il secondo per il Giuseppe riconosciuto del compositore milanese Giovanni Battista Calvi e per una cantata pastorale a tre voci.[92] A partire dal 1819 la Stagione di Carnevale muterà il nome in di Carnevale e Quaresima:[93] l'attività proseguirà abitualmente, d'ora in avanti, anche durante il periodo quaresimale.
Al di fuori della normale programmazione, in occasione di eventi particolari quali trattati, incoronazioni o visite dei regnanti, venivano date delle cantate, quali ad esempio Il trionfo della pace di Francesco Pollini (1801), per festeggiare il Trattato di Lunéville che ratificava il trattato di Campoformio, San Napoleone di Johann Simon Mayr, in occasione dell'onomastico di Napoleone Bonaparte, il 16 agosto 1807, Il ritorno d'Astrea, che va in scena il 14 gennaio 1816 per il ritorno degli austriaci in Milano.
Nei primi anni, a fronte di un numero relativamente basso di titoli (undici, ad esempio, nel 1810), molte erano le repliche (228 alzate di sipario suddivise in tre stagioni, Carnevale, Primavera e Autunno).[94]
Nel 1920 venne abolita la suddivisione in stagioni: l'attività si svolgerà d'ora in poi in continuità da novembre a giugno.
Si può notare come a partire dall'inizio del XX secolo aumenti nettamente il numero degli spettacoli ma diminuisca quello delle repliche: nel 1929, ad esempio, le opere in cartellone sono trentadue, le alzate di sipario centoquarantasei.[94] Negli anni settanta, durante la permanenza del sovrintendente Paolo Grassi, la Scala visse il periodo di maggior produttività, garantendo quasi trecento rappresentazioni all'anno. Nel secondo decennio del XXI secolo, la Scala offre circa 280 alzate di sipario all'anno.
La "prima" della stagione lirica
[modifica | modifica wikitesto]«Di tanti palpiti e di tante pene è davvero cosparso il cammino che conduce non a una semplice Prima per antonomasia[95]»
Come si è detto, la stagione di Carnevale cominciava tradizionalmente il 26 dicembre. L'attuale consuetudine di inaugurare la stagione lirica il 7 dicembre, giorno di Sant'Ambrogio, patrono di Milano, fu introdotta nel 1940 e poi, stabilmente, per volere di Victor de Sabata, a partire dal 1951.[96] Proprio il 7 dicembre di quell'anno Maria Callas, che aveva debuttato sul palcoscenico scaligero pochi mesi prima, ottenne il suo primo trionfo milanese cantando ne I vespri siciliani diretti dallo stesso De Sabata.[97]
Lo spettacolo della sera di Sant'Ambrogio, è insieme un evento culturale, istituzionale e mondano profondamente radicato nella vita italiana.[95]
A partire dal 2008 la serata inaugurale è preceduta dall’anteprima giovani, una recita dell’opera inaugurale dedicata al pubblico con meno di trent’anni.[98]
Appendice
[modifica | modifica wikitesto]Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Cfr. Palazzo Reale dagli Spagnoli ai Savoia, sezione Il Teatro di Corte in Storia di Milano.
- ^ Dal Salone Margherita al Regio ducal Teatro, dal sito baroque.it.
- ^ Gherardo Casaglia, "26 febbraio 1776", Almanacco Amadeus.
- ^ Gherardo Casaglia, "15 luglio 1776", Almanacco Amadeus.
- ^ Annamaria Cascetta, Giovanna Zanlonghi, op. cit., p. 510.
- ^ a b The New Grove Dictionary of Opera, voce Milan.
- ^ Cronologia di Milano dal 1776 al 1800 in Storia di Milano.
- ^ Carlo Gatti, pp. 33-35.
- ^ a b Lettera ad Alessandro Verri, 7 agosto 1778, in Carteggio di Pietro e Alessandro Verri. Dal 1 luglio 1778 al 29 dicembre 1779, Milano, Giuffrè, 1939, pp. 42-43.
- ^ a b Carlo Gatti, p. 22.
- ^ a b Baia Curioni, p. 27
- ^ Baia Curioni, p. 28
- ^ a b c Carlo Gatti, p. 21.
- ^ La Grande Lumiera dell'I.R. Teatro alla Scala.
- ^ Remo Giazotto, p. 60.
- ^ a b c AA.VV., Teatro alla Scala di Milano - Restauro e manutenzione delle facciate – progetto-realizzazione-stato di conservazione-manutenzione programmata 1999-2002-2004, Milano 2006. Estratto disponibile online.
- ^ Gherardo Casaglia, "17 ottobre 1839", Almanacco Amadeus.
- ^ Gherardo Casaglia, "5 settembre 1840", Almanacco Amadeus.
- ^ Gherardo Casaglia, "9 marzo 1842", Almanacco Amadeus.
- ^ Giovanni Judica, dagli atti del convegno "La gestione Visconti al Teatro alla Scala 1898-1916", Milano Teatro alla Scala, 29 Novembre 1997.
- ^ Nel mio cuore troppo assoluto. Lettere di Arturo Toscanini, Garzanti 2003, lettera al Duca Uberto Visconti di Modrone, 1916, pag. 140-2.
- ^ Madama Butterfly, fonti e documenti della genesi, a cura di Arthur Groos, Virgilio Bernardoni, Gabriella Biagi Ravenni, Dieter Schickling, Centro studi Giacomo Puccini, Maria Pacini Fazzi editore, Lucca 2005 - ISBN 88-7246-697-0
- ^ "egli credeva che una rappresentazione non potesse essere artisticamente riuscita finché non si fosse stabilita una unità di intenti tra tutti i componenti: cantanti, orchestra, coro, messa in scena, ambientazione e costumi", Harvey Sachs, Toscanini, Da Capo Press, 1978. ISBN 030680137X
- ^ Descrizione dell'interveto dal sito lombardiabeniculturali.it.
- ^ Disegni del progetto di intervento nell'archivio del sito lombardiabeniculturali.it.
- ^ Luigi Lorenzo Secchi, Il palcoscenico a ponti e pannelli mobili del Teatro alla Scala.
- ^ Luigi Lorenzo Secchi, Come ho ricostruito la Scala.
- ^ Storia del teatro dal sito teatrosocialecomo.it.
- ^ Programma completo del concerto.
- ^ Filippo Sacchi, Toscanini, 1951.
- ^ Gherardo Casaglia, "18 febbraio 1957, Almanacco Amadeus.
- ^ Eileen Romano (direzione editoriale), Teatro alla Scala, Skira / Corriere della Sera, 200; p. 112.
- ^ Gherardo Casaglia, "1978", Almanacco Amadeus.
- ^ Il lungo addio di Abbado sotto una pioggia di fiori, La Repubblica, 11 giugno 1986.
- ^ Art. 2, commi 57 e seguenti della Legge 28 dicembre 1995 n. 549 e art. 2 del Decreto Legislativo 29 giugno 1996 n. 367.
- ^ Statuto della Fondazione Teatro alla Scala.
- ^ Statuto, art. 2.1, Fini - Attività.
- ^ Statuto, art. 3, Concorso alla Fondazione.
- ^ Pisaroni, pg. 23
- ^ Simonetta Offredi, Relazione tecnica, in AA.VV., Teatro alla Scala di Milano - Restauro e manutenzione delle facciate – progetto-realizzazione-stato di conservazione-manutenzione programmata 1999-2002-2004, Milano 2006. Estratto disponibile online.
- ^ Pisaroni, pg. 24
- ^ Carlo Gatti, p. 16.
- ^ Sezione longitudinale prima dell'intervento di Luigi Lorenzo Secchi, dall'archivio del sito lombardiabeniculturali.it.
- ^ Foto dell'ingresso prima, durante e dopo gli interventi di restauro del XX secolo, dall'archivio del sito lombardiabeniculturali.it.
- ^ Il busto di Stendhal, realizzato da Antonio Maraini, fu commissionato dalla Società degli amici francesi nel 1934 e inaugurato il 14 maggio 1935. Una riproduzione viene esposta alla mostra d'arte moderna italiana tenutasi nel 1935 a Parigi presso il museo Jeu de Paume.
- ^ Luigi Lorenzo Secchi, pg. 132
- ^ a b Inventario dei Teatri di Milano, compilato dall'Architetto Camerale Marcellino Segre e dal rigattiere G.B. Fratres, incaricati nel 1790 di eseguire una perizia di quanto esisteva al Teatro Scala, oggi conservato presso l'Archivio storico civico di Milano.
- ^ a b Lettera di Alessandro Sanquirico al duca Francesco di Modrone, Luigi Lorenzo Secchi, Il Teatro alla Scala, 1778/1978, Milano, 1977.
- ^ Scrive il compositore: «i cortinaggi erano piuttosto ricchi e azzurri», Giuseppe Morazzoni, I palchi del teatro alla Scala, in Dedalo, Milano XI (1930).
- ^ Elisabetta Fabbri, Alessandra Favero, Giancarlo Lazzaretti, Pasquale Mariani Orlandi, Il rivestimento in tessuto dei palchi, in Enrico Lonati, p. 180.
- ^ Giuseppe Morazzoni, I palchi del teatro alla Scala, in Dedalo, Milano XI (1930).
- ^ Elisabetta Fabbri, Alessandra Favero, Giancarlo Lazzaretti, Pasquale Mariani Orlandi, Il rivestimento in tessuto dei palchi, in Enrico Lonati, p. 191.
- ^ Foto di alcuni palchi prima dell'intervento di restauro degli anni '40, dal sito lombardiabeniculturali.it.
- ^ a b Elisabetta Fabbri, Alessandra Favero, Giancarlo Lazzaretti, Pasquale Mariani Orlandi, Intonaci a marmorino, in Enrico Lonati, p. 171.
- ^ Si legge sul basamento del busto del direttore d'orchestra: «Ad Arturo Toscanini / nel giorno della riapertura / il Teatro alla Scala / intitola con gratitudine / il ridotto dei palchi / 7 dicembre 2004».
- ^ Progetto dell'attuale aspetto del ridotto, dall'archivio del sito lombardiabeniculturali.it.
- ^ Foto dell'intervento di restauro degli anni '40 e dello stato attuale, dal sito lombardiabeniculturali.it.
- ^ Progetto dell'attuale aspetto del ridotto, dall'archivio del sito lombardiabeniculturali.it.
- ^ Foto della progressione dei lavori di trasformazione degli antichi ambienti delle stufe nel ridotto delle gallerie e dello stato attuale, dal sito lombardiabeniculturali.it.
- ^ a b Antonio Acerbo, Le ragioni dell'intervento, in Enrico Lonati, p. 17.
- ^ Luigi Berti, Le necessità di adeguamento degli impianti alle nuove normative, in Enrico Lonati, p. 75.
- ^ Giuliano Parmegiani, Gli obbiettivi del progetto, in Enrico Lonati, p. 22-27.
- ^ Franco Malgrande, Il rinnovamento della macchina scenica per un teatro moderno, in Enrico Lonati, p. 43-47.
- ^ Emilio Pizzi, Mario Botta: il progetto architettonico esecutivo, in Enrico Lonati, p. 28-41.
- ^ AA. VV., sezione L'organizzazione del cantiere, in Enrico Lonati, p. 192-203.
- ^ a b c Luca Molinari, la nuova Scala, storia di un progetto, in Teatro alla Scala, direzione editoriale Eileen Romano, Skira / Corriere della Sera, 200, p. 127.
- ^ Gabriele Salvatoni, Aldo Bottini, Pier Giorgio Malerba, Opere di sostegno e demolizione, in Enrico Lonati, p. 89-94.
- ^ a b Emilio Pizzi, Mauro Turrini, Le nuove facciate, in Enrico Lonati, p. 139.
- ^ Emilio Pizzi, Mauro Turrini, Le nuove facciate, in Enrico Lonati, p. 134.
- ^ Luca Molinari, La nuova Scala, storia di un progetto, in Teatro alla Scala, direzione editoriale Eileen Romano, Skira / Corriere della Sera, 200, p. 128.
- ^ Luciano Piaia, La macchina di scena superiore e inferiore, in Enrico Lonati, p. 117-132.
- ^ Restauro del Teatro alla Scala, informazioni sull'intervento di restauro della facciata dell'anno 1999.
- ^ Elisabetta Fabbri, Il restauro conservativo, in Enrico Lonati, p. 48-53.
- ^ Elisabetta Fabbri, Il restauro conservativo, in Enrico Lonati, p. 48.
- ^ Luigi Berti, Cesare Laffi, Il recupero degli impianti tecnologici, in Enrico Lonati, p. 155.
- ^ Gabriele Salvatoni, Pier Giorgio Malerba, Roberto Uslenghi, Gli interventi strutturali, in Enrico Lonati, p. 150.
- ^ Higini Arau, Alessandro Cocchi, Le attenzioni riservate all'acustica, in Enrico Lonati, p. 76-81.
- ^ Elisabetta Fabbri, Alessandra Favero, Giancarlo Lazzaretti, Pasquale Mariani Orlandi, Il recupero delle pavimentazioni, in Enrico Lonati, p. 171.
- ^ Pianta del teatro (dettaglio della platea e delle gallerie), dal sito ufficiale.
- ^ Pianta dei palchi, dal sito ufficiale.
- ^ Sono 1991 i posti nel grafico pubblicato su La Repubblica il 12 novembre 2011.
- ^ Un terzo dei biglietti sono infatti per legge gestiti dall'Ufficio Promozione Culturale, fondato da Paolo Grassi nel 1978, che lavora sul territorio a contatto con scuole, università, associazioni culturali.
- ^ Totale: 1991 posti. Dati apparsi a corredo all'articolo Biglietti per la Scala, Pisapia dice "basta con lo scandalo", pubblicato su La Repubblica, edizione Milano, il 12 novembre 2011. Grafico disponibile tra le immagini della pagina ufficiale Facebook del Teatro.
- ^ Scala, i biglietti sono introvabili ma spuntano online a peso d'oro, La Repubblica, edizione Milano, 11 novembre 2011.
- ^ Curcio, pg. 441
- ^ Pisaroni, pg. 22
- ^ L. L. Beranek, ‘’Music, Acoustics & Architecture’’, 1962.
- ^ a b Alfonso Pezzi, Considerazione sull’acustica delle sale, 2002.
- ^ Higini Arau, Alessandro Cocchi, Le attenzioni riservate all'acustica, in Enrico Lonati, p. 76.
- ^ Caratterizzazione acustica del Teatro alla Scala di Milano
- ^ Romani, p. 6.
- ^ Romani, pp. 13-16.
- ^ Romani, p. 61.
- ^ a b Eileen Romano (direzione editoriale), Teatro alla Scala, Skira / Corriere della Sera, 2004.
- ^ a b La prima alla Scala, Rizzoli, 2008.
- ^ teatroallascala.org
- ^ cinquantamila.it
- ^ Teatro alla Scala: il Don Carlo apre la stagione. Anteprima il 4 dicembre, Il Sole 24 ORE, 28 maggio 2008.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]Storia
[modifica | modifica wikitesto]- Angelo Petracchi, Sul reggimento de' pubblici teatri, Milano, Giulio Ferrario, 1821.
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- F. Armani, G. Bascapé, La Scala, Milano, 1951.
- Carlo Gatti, Il Teatro alla Scala nella storia e nell'arte (1778-1958), Milano, Ricordi, 1963.
- Giampietro Tintori, Il Teatro alla Scala nella storia e nell'arte (1778-1963), Cronologia completa degli spettacoli e dei concerti, II, Milano, Ricordi, 1964.
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- Remo Giazotto Remo Giazotto, Le carte della Scala. Storie di impresari e appaltatori (1778-1860), Lucca, Akademos e Lim, 1996.
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- Annamaria Cascetta, Giovanna Zanlonghi, Il teatro a Milano nel Settecento, Vita e pensiero, Milano, 2008.
- Giuseppe Barigazzi, La Scala racconta, Hoepli, 2010, ISBN 97-888-2034-5686.
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Architettura
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- G. Aldini, Memoria sulla illuminazione a gas dei teatri e progetto di applicarla all'I.R. Teatro alla Scala in Milano..., Milano, 1820.
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- G. Morazzoni, I palchi del Teatro alla Scala, in Dedalo, Milano, 1930.
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- Template:Bibliografia
- Template:Bibliografia
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