Rivolta dei Tre Feudatari parte della Transizione tra Ming e Qing | ||||
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Wu Sangui, al centro, uno dei tra capi della rivolta | ||||
Data | agosto 1673 - novembre 1681 | |||
Luogo | Cina, province a sud del Fiume Azzurro | |||
Esito | Vittoria della dinastia Qing | |||
Modifiche territoriali | Yunnan, Fujian e Guangdong tornarono sotto il dominio dei Qing | |||
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La rivolta dei Tre Feudatari (三藩之亂T) fu una ribellione che durò dal 1673 al 1681 durante la dinastia Qing (1644-1912) nel corso del regno dell'imperatore Qing Kangxi (r. 1661-1722). La rivolta fu guidata dai tre signori dei feudi nelle province di Yunnan, Guangdong e Fujian contro il governo centrale dei Qing.[1]
Antefatto
[modifica | modifica wikitesto]Nei primi anni della dinastia Qing, durante il regno dell'imperatore Shunzhi, l'autorità del governo centrale non era forte e i governanti non erano in grado di controllare direttamente le province nel sud della Cina. Il governo iniziò una politica di "lasciare che i cinesi Han governassero se stessi" (以漢制漢), il che permise ad alcuni generali dell'ex dinastia Ming di arrendersi ai Qing per aiutarli a governare le province del sud.[2]
Ciò aveva avuto origine dai contributi fondamentali che questi generali avevano dato nei momenti decisivi durante la conquista della Cina. Ad esempio, la flotta di Geng Zhongming e Shang Kexi portò a una rapida capitolazione di Joseon nel 1636, consentendo un rapido avanzamento nei territori Ming senza preoccuparsi di ciò che c'era dietro. La defezione e la successiva cooperazione di Wu Sangui permisero una rapida cattura e l'insediamento nella capitale dei Ming, Pechino. In cambio, il governo Qing dovette ricompensare i successi dei suoi alleati e riconoscere la loro influenza militare e politica.
Nel 1655, Wu Sangui ottenne il titolo di "Principe Pingxi" (平西王; "Principe pacificatore dell'occidente") e gli fu concesso il governatorato delle province di Yunnan e Guizhou. Shang Kexi e Geng Zhongming ricevettero rispettivamente i titoli di "Principe di Pingnan" e "Principe di Jingnan" (entrambi significano "Principe pacificatore del sud") e furono loro affidate le province di Guangdong e Fujian. I tre signori ebbero una grande influenza sulle loro terre ed esercitarono un potere molto più grande di qualsiasi altro governatore regionale o provinciale. Avevano le proprie forze militari e avevano l'autorità di modificare le aliquote fiscali nei loro feudi.
I Tre Feudatari
[modifica | modifica wikitesto]In Yunnan e Guizhou, Wu Sangui ottenne il permesso dall'imperatore Shunzhi di nominare e promuovere il proprio gruppo personale di funzionari, nonché il privilegio di scegliere i cavalli da guerra con prelazione sugli eserciti Qing. Le forze di Wu Sangui ricevettero diversi milioni di tael d'argento per pagare i militari, assorbendo così un terzo delle entrate del governo di Qing. Wu era anche incaricato di gestire le relazioni diplomatiche del governo Qing con il Dalai Lama e il Tibet. La maggior parte delle truppe di Wu erano ex forze di Li Zicheng e Zhang Xianzhong ed erano ben addestrate alla guerra.
Nella provincia di Fujian, Geng Jingzhong governò come un tiranno nel suo feudo, permettendo ai suoi subordinati di estorcere cibo e denaro alla gente comune. Dopo la morte di Geng, suo figlio Geng Jimao ereditò il titolo e il feudo di suo padre, e in seguito gli successe suo figlio Geng Jingzhong.
Nella provincia di Guangdong, Shang Kexi governò il suo feudo in modo simile a Geng Jingzhong. In totale, gran parte delle entrate e delle riserve del governo centrale furono spese per i Tre Feudatori che svuotarono quasi la metà del tesoro imperiale. Quando Kangxi salì al trono, sentì che i Tre Feudatari rappresentavano una grande minaccia per la sua sovranità e voleva ridurre il loro potere.
Nel 1667, Wu Sangui presentò una richiesta all'imperatore Kangxi, chiedendo il permesso di essere sollevato dalle sue funzioni nelle province Yunnan e Guizhou, motivandola con il fatto che fosse malato, ma Kangxi, non ancora pronto per una prova di forza con lui, rifiutò.[3] Nel 1673, Shang Kexi chiese il permesso di ritirarsi,[4] e in luglio, Wu Sangui e Geng Jingzhong seguirono il suo esempio. Kangxi chiese un parere al suo consiglio e ricevette risposte contrastanti. Alcuni pensavano che i Tre Feudatari dovessero essere lasciati al loro posto, mentre altri sostenevano l'idea di ridurre i poteri dei tre signori. Kangxi andò contro il punto di vista della maggioranza nel consiglio e accettò le richieste di pensionamento dei tre signori, ordinando loro di lasciare i loro rispettivi feudi e di trasferirsi in Manciuria.[5]
Nel dicembre 1673, Wu Sangui mise fine alla sua dipendenza dall'impero Qing e dichiarò la sua nuova dinastia, la Zhou[6] e istigò alla ribellione con l'intento di «opporsi ai Qing e restaurare i Ming.» Le forze di Wu conquistarono le province di Hunan e Sichuan. Geng Jingzhong seguì l'esempio nel Fujian, mentre il Guangdong rimase fedele ai Qing.[7] Allo stesso tempo, Sun Yanling e Wang Fuchen misero in atto una rivolta nelle province di Guangxi e Shaanxi. Zheng Jing, governatore del regno di Tungning, guidò un esercito di 150.000 uomini da Taiwan e sbarcò nel Fujian per unirsi alle forze ribelli.
Composizione degli eserciti Qing
[modifica | modifica wikitesto]Le forze Qing vennero inizialmente sconfitte da Wu nel 1673-1674.[8] I generali manciù e gli uomini delle Otto Bandiere vennero ridicolizzati dal comportamento molto più efficiente dell'Esercito dello Stendardo Verde, composto da Han cinesi. I Qing avevano il sostegno della maggioranza dei soldati cinesi Han e dell'élite Han, poiché non si erano uniti ai Tre Feudatari. Diverse fonti offrono un resoconto diverso delle forze Han e manciù schierate contro i ribelli. Secondo una di queste, durante la guerra, l'esercito Qin era composto da 400.000 soldati dell'Esercito dello Stendardo Verde e 150.000 uomini delle Bandiere.[9] Secondo un'altra, i Qing avevano mobilitato 213 compagnie di Han cinesi delle Bandiere, e 527 di mongoli e manciù delle Bandiere.[10] Secondo una terza fonte, i Qing radunarono un enorme esercito di oltre 900.000 cinesi Han per combattere i Tre Feudatari.[11]
Combattendo nel nordovest della Cina contro Wang Fuchen, i Qing misero in retroguardia gli uomini delle Bandiere, mandando in prima linea l'esercito cinese Han dello Stendardo, comandato da generali Han come Zhang Liangdong, Wang Jinbao e Zhang Yong, come loro principale forza militare.[12] I Qing pensavano che i soldati cinesi Han fossero superiori nel combattere contro altri Han e quindi usavano gli uomini dello Stendardo come loro principale armata contro i ribelli anziché gli uomini delle Bandiere.[13][14] Di conseguenza, dopo il 1676, la guerra volse a favore delle forze Qing. Nel nord-ovest, Wang Fuchen si arrese dopo uno stallo di tre anni, mentre Geng Jingzhong e Shang Zhixin si arresero a loro volta mentre le loro forze si indebolivano.
Campagne
[modifica | modifica wikitesto]Nel sud, Wu Sangui trasferì i suoi eserciti a nord dopo aver conquistato l'Hunan, mentre le forze Qing si concentrarono nel riprendersi la regione. Nel 1678, Wu si autoproclamò imperatore della neo fondata dinastia Zhou (大周)[15] a Hengzhou (衡州; oggi Hengyang, provincia dell'Hunan) e creò la sua corte imperiale. Tuttavia, Wu morì di malattia ad agosto (mese lunare) di quell'anno e gli succedette il nipote Wu Shifan, che ordinò il ritiro per tornare nello Yunnan.[16] Mentre il morale dell'esercito ribelle era basso, le forze Qing lanciarono un attacco a Yuezhou (attuale Yueyang, provincia di Hunan) e la conquistarono, insieme ai territori ribelli di Changde, Hengzhou e altri. Le forze di Wu Shifan si ritirarono al passo Chenlong. Nel 1680 lo Sichuan e lo Shaanxi meridionale furono riconquistati dall'esercito cinese Han dello Stendardo al comando di Wang Jinbao e Zhao Liangdong,[9] mentre le forze manciù vennero utilizzate soltanto con compiti logistici e di rifornimento.[9][17] Nel 1680, le province di Hunan, Guizhou, Guangxi, e Sichuan tornarono sotto il controllo dei Qing, e Wu Shifan si ritirò a Kunming in ottobre.
Nel 1681, il generale Qing, Zhao Liangdong, propose un triplice attacco contro lo Yunnan, con eserciti imperiali provenienti da Hunan, Guangxi e Sichuan. Cai Yurong, viceré di Yungui, guidò l'attacco contro i ribelli insieme a Zhang Tai e Laita Giyesu, conquistando il monte Wuhua e assediando Kunming. In ottobre, l'esercito di Zhao Liandong fu il primo a penetrare a Kunming e gli altri lo seguirono, conquistando rapidamente la città. Wu Shifan si suicidò a dicembre e i ribelli si arresero il giorno seguente.[18]
Le forze di Zheng Jing erano state sconfitte vicino a Xiamen, nel 1680, e costrette a ritirarsi a Taiwan.[19] La definitiva vittoria sulla rivolta fu determinata dalla conquista, da parte dei Qing, del regno di Tungning a Taiwan. Shi Lang fu nominato ammiraglio della marina Qing e condusse un'invasione di Taiwan, sconfiggendo la marina Tungning sotto Liu Guoxuan nella Battaglia di Penghu.[20] Il figlio di Zheng Jing, Zheng Keshuang, si arrese nell'ottobre del 1683 e Taiwan divenne parte dell'impero Qing. Zheng Keshuang venne premiato da Kangxi con il titolo di "Duca di Haicheng" (海澄公) e lui e i suoi soldati vennero inseriti nelle Otto Bandiere.[21][22]
Conseguenze
[modifica | modifica wikitesto]Shang Zhixin era stato costretto a suicidarsi nel 1680;[23] dei suoi trentasei fratelli quattro furono uccisi quando egli si suicidò mentre il resto della sua famiglia poté sopravvivere. Geng Jingzhong venne ucciso e suo fratello Geng Juzhong (耿聚忠|耿聚忠) era a Pechino con la corte Qing durante la ribellione e non fu punito per la rivolta di suo fratello. Geng Juzhong morì di cause naturali nel 1687. Diversi principi Ming avevano accompagnato Coxinga a Taiwan nel 1661-1662, tra cui il Principe di Ningjing Zhu Shugui e il Principe Zhu Honghuan (朱弘桓), figlio di Zhu Yihai. I Qing mandarono i 17 principi Ming che vivevano ancora a Taiwan nella Cina continentale dove trascorsero il resto della loro vita in esilio da quando le loro vite furono risparmiate dall'esecuzione capitale.[24]
Nel 1685, i Qing usarono gli ex specialisti navali lealisti Ming Han cinesi, che avevano servito sotto la famiglia Zheng a Taiwan, nell'assedio di Albazino.[25][26] Le ex truppe cinesi Han, lealiste dei Ming, che avevano prestato servizio sotto Zheng Chenggong e che era specializzate nel combattimento con scudi e spade in rattan (Tengpaiying) 营 营 vennero raccomandate all'imperatore Kangxi per rinforzare le forze di Albazino contro i Russi. Kangxi era rimasto colpito da una dimostrazione delle loro tecniche e ordinò a 500 di loro di difendere Albazino, sotto Ho Yu, un ex seguace di Coxinga, e Lin Hsing-chu, un ex generale di Wu Sangui. Queste truppe con lo scudo in rattan non subito alcuna vittima quando sconfissero le forze russe viaggiando su zattere sul fiume e usando solo scudi e spade in rattan mentre combattevano nudi.[27][28][29]
La rivolta venne descritta nel romanzo di Jin Yong, Il cervo e il tripode. La storia racconta come il protagonista, Wei Xiaobao, aiutò l'imperatore Kangxi a sopprimere la ribellione.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Michael Dillon, Dictionary of Chinese History, Taylor & Francis, 19 dicembre 2013, p. 208, ISBN 978-1-135-16681-6.
- ^ Harold Miles Tanner, China: A History, Hackett Publishing, 13 marzo 2009, p. 347, ISBN 0-87220-915-6.
- ^ Peter C Perdue, China Marches West: The Qing Conquest of Central Eurasia, Harvard University Press, 30 giugno 2009, p. 137, ISBN 978-0-674-04202-5.
- ^ Qizhi Zhang, An Introduction to Chinese History and Culture, Springer, 15 aprile 2015, p. 64, ISBN 978-3-662-46482-3.
- ^ Spence, Jonathan. Emperor of China, NY: Alfred A. Knopf, p. xvii
- ^ Spence 1991, p. 50.
- ^ Jonathan Spence, The Cambridge History of China, vol. 9, p. 159, ISBN 978-0-521-24334-6.
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- ^ a b c Di Cosmo 2006, p. 17.
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- ^ Graff e Higham 2012, pp. 120 e s.
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Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) Nicola Di Cosmo, The Diary of a Manchu Soldier in Seventeenth-Century China: "My Service in the Army", by Dzengseo, Routledge, 2006, ISBN 978-1-135-78954-1.
- (EN) David Andrew Graff e Robin Higham, A Military History of China, University Press of Kentucky, 2012, ISBN 0-8131-3584-2.
- (EN) Jonathan D. Spence, The Search for Modern China, Norton, 1991, pp. 56–, ISBN 978-0-393-30780-1.
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) The Kangxi Emperor (r. 1662-1722), su bhoffert.faculty.noctrl.edu. URL consultato il 21 aprile 2020 (archiviato dall'url originale il 22 dicembre 2018).
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