Con l'espressione rifugiati degli internet café (ネットカフェ難民?, netto kafe nanmin) ci si riferisce a una specifica categoria di persone senza fissa dimora che in Giappone vive e dorme in internet point o manga café aperti 24 ore su 24.
Sebbene tali caffetterie limitassero originariamente la loro offerta all'uso di internet, alcune hanno ampliato la loro gamma di servizi introducendo la possibilità di consumare pasti e di svolgere attività finalizzate all'igiene personale. Esse sono spesso utilizzate dai pendolari che perdono l'ultimo treno; dalla comparsa del fenomeno negli anni novanta, tuttavia, il numero di persone che le utilizzano come dimora è in costante aumento.
Diffusione
[modifica | modifica wikitesto]Il fenomeno dei rifugiati degli internet café è comparso intorno alla fine degli anni novanta, e da allora il numero di persone che ricorrono a tale accorgimento è aumentato considerevolmente[1]. Uno studio del Ministero della salute e del lavoro giapponese del 2007 ha rivelato che più di 60 000 persone avevano passato almeno una notte in un internet café e che 5 400 persone vi risiedevano all'interno per lunghi periodi, in quanto impossibilitati a vivere in dimore tradizionali a causa di problemi finanziari[2][3].
Il fenomeno sarebbe conseguenza della crescente disuguaglianza economica[4] e della crisi del mercato del lavoro in Giappone, in parte dovuta alla legalizzazione del lavoro part-time nel 1999[1]. Gli individui maggiormente interessati dal fenomeno sarebbero infatti lavoratori con contratti a tempo parziale (che nel 2015 rappresentavano il 38% del totale degli impiegati giapponesi[1]) e freeter[5] (giovani che passano da un lavoro all'altro per mantenersi senza perdere la propria libertà), sebbene i lavoratori con contratto a tempo pieno siano spesso costretti anch'essi a ricorrere a tale accorgimento per mancanza di tempo, preferendo dormire in un café piuttosto che fare ritorno alla propria abitazione[1].
I cubicoli degli internet café misurano generalmente 1,8 m di lunghezza per 1,2 m di larghezza, e il loro affitto mensile costa all'incirca 700 euro, cifra nella quale sono comprese, oltre all'uso del computer e di internet, anche coperte, cibo, bevande, e la possibilità di usufruire di un bagno per lavarsi e cambiarsi[3].
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c d Kari Paul, I lavoratori giapponesi che vivono negli internet cafè, in Motherboard, 18 marzo 2015. URL consultato il 16 febbraio 2017.
- ^ (EN) Kyodo News, ‘Net cafe refugee’ population put at 5,400, in The Japan Times, 29 agosto 2007. URL consultato il 16 febbraio 2017 (archiviato il 17 marzo 2016).
- ^ a b I giapponesi che vivono negli Internet Cafè, in Il Post, 28 marzo 2015. URL consultato il 16 febbraio 2017.
- ^ (EN) Japan investigating 'net cafe refugees', in Breitbart News, 15 agosto 2007. URL consultato il 16 febbraio 2017 (archiviato dall'url originale il 21 febbraio 2012).
- ^ (EN) Reuters, Cyber cafes a homeless haven, in Television New Zealand, 7 maggio 2007. URL consultato il 16 febbraio 2017 (archiviato dall'url originale il 15 dicembre 2007).
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sui rifugiati degli Internet café
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- (JA, EN) Shiho Fukada e MediaStorm, Japan’s Disposable Workers: Net Cafe Refugees, su Vimeo. URL consultato il 16 febbraio 2017.