La Passione è un genere vocale strumentale della musica sacra barocca. Utilizza coro, solisti e orchestra. Narra la passione di Cristo, cioè gli avvenimenti inerenti agli ultimi momenti della sua vita: arresto, morte e resurrezione. Tale narrazione, in latino Passio, ha origine nei Vangeli. Etimologicamente deriva dal verbo latino patior, "patire" = "soffrire".
Il più grande compositore di passioni è stato Johann Sebastian Bach (Passione secondo Giovanni, 1724; Passione secondo Matteo, 1727).
In epoca moderna il genere è stato ripreso nel 1966 con la composizione Passio et mors Domini nostri Jesu Christi secundum Lucam del compositore polacco Krzysztof Penderecki.
La Passione, o Orologio della Passione, è anche un canto tradizionale tipico delle Marche e del centro Italia. Suonando di casa in casa nel periodo pasquale, i cantori ripercorrono tutte le fasi della vita di Gesù. È un canto che dimostra lo stretto rapporto tra musica popolare e musica colta. Si pensa infatti che la Passione affondi le radici nella “Lauda Drammatica” del 1200 di Jacopone da Todi in quanto testi e musica sono molto simili.[senza fonte]
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[modifica | modifica wikitesto]- (EN) Passione, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.
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Le vicende dell’oratorio musicale che si sviluppa in Italia nella prima metà del Seicento su una tradizione di pratiche devozionali consolidata nel secolo precedente, sono strettamente legate a quelle del melodramma. L’oratorio ne assume infatti gradualmente i caratteri presentandosi come una sorta di traduzione in chiave sacra del melodramma stesso. Nella seconda metà del Seicento l’oratorio musicale si diffonde dall’Italia in altre regioni d’Europa, e soprattutto nei Paesi cattolici.
Gli antecedenti. La Congregazione dell’Oratorio e il canto devozionale delle laudi Nel XVI secolo presso la Congregazione dell’Oratorio si praticano i cosiddetti “Esercizi dell’Oratorio”, efficacemente descritti da Cesare Baronio, discepolo di Filippo Neri.
Cesare Baronio
Partecipazione religiosa Annali ecclesiastici, I, Lucca Si faceva d’imprima un poco d’oratione mentale, e poi un fratello leggeva qualche libro spirituale: fra la qual letione era solito l’istesso padre, ch’al tutto soprastava, di discorrere sopra le cose lette, spiegandole, et imprimendole ne’ cuori di chi udia; e tal’hora interrogava altrui sopra di esse, procedendo quasi in modo di dialogo: e questo esercitio durava forse un’hora con grandissimo gusto di tutti. Dapoi un fratello saliva d’ordine di lui sopra una sedia alta alquanti gradini, e senza ornamento di parole, faceva un sermone tessuto delle vite de’ santi approvate, di qualche luogo della scrittura, e delle sentenze de’ padri; a cui succedeva il secondo, e faceva un altro sermone con l’istesso stile, ma con differente tema. All’ultimo veniva il terzo, il quale raccontava l’historia ecclesiastica secondo l’ordine de’ tempi; durando ciascheduno meza hora. Ciò fattosi con maravigliosa utilità, e consolatione degli uditori, si cantava una laude spirituale, e fatta di nuovo un poco d’oratione, l’esercitio finiva. Or disposte in si fatta maniera le cose, e stabilite con l’autorità del sommo Pontefice, parve che si rinnovasse, per quanto comportano i tempi presenti, l’antico modo apostolico.
in H. E. Smither, L’oratorio barocco. Italia, Vienna, Parigi, Milano, Jaca Book, 1986
Gli “Esercizi dell’Oratorio” si diffondono ben presto in altri oratori romani; la pratica musicale ne è parte integrante: col canto comunitario delle laudi, ma anche con l’ascolto di brani eseguiti da musicisti pagati dalla Congregazione dell’Oratorio.
Le musiche delle laudi possono essere espressamente composte per intonare testi a soggetto religioso, oppure mutuate da canti profani di dominio comune: e la conoscenza diffusa delle melodie incoraggia i partecipanti agli Esercizi alla pratica del canto comunitario.
Tra il 1563 e il 1600 vengono stampate numerose raccolte di laudi, composte appositamente per l’oratorio di Filippo Neri soprattutto da Giovanni Animuccia, Francesco Soto e Giovenale Ancina.
Giovanni Animuccia
Necessità di un secondo volume Il secondo libro delle laudi, Roma Per consolatione di coloro che venivano all’Oratorio di San Girolamo, io mandai fuori il Primo Libro delle Laudi, nelle quali attesi a servare una certa semplicità, che alle parole medesime, alla qualità di quel divoto luogo et al mio fine, che era solo di eccitar divotione, pareva si convenisse. Ma, essendosi poi tuttavia l’Oratorio (...) venuto accrescendo, co’l concorso di Prelati et Gentil’huomini principalissimi, è parso anco a me conveniente di accrescere in questo Secondo Libro l’harmonia et i concenti, variando la musica in diversi modi.
in G. Stefani, Musica barocca 2. Angeli e sirene, Milano, Bompiani, 1988
Ambiente sociale e cultura negli oratori romani dell’inizio del secolo I laici che frequentano l’oratorio di Filippo Neri, alla metà del Cinquecento, provengono soprattutto dal ceto artigiano. Dagli anni Settanta del Cinquecento la composizione sociale dei partecipanti agli Esercizi spirituali inizia a cambiare: nel 1576 Giovenale Ancina scrive che tra i frequentatori degli esercizi pomeridiani in San Giovanni dei Fiorentini si trovano “persone onorevoli: vescovi e prelati”. I sermoni adesso non vengono più recitati da laici, ma da uomini di Chiesa altamente qualificati. Cambia, di conseguenza, anche la produzione musicale destinata agli oratorî.
Fin dai primi anni del Seicento lo stile musicale degli oratori viene sempre più accostandosi al gusto operistico, in accordo con la crescente fortuna del melodramma. Le nuove tendenze musicali espresse dalla Camerata di Firenze influenzano in maniera determinante i repertori musicali dell’oratorio romano.
Gli esercizi spirituali fondati da Filippo Neri si trasformano progressivamente in occasioni musicali nelle quali, pur senza perdere di vista il significato spirituale, il godimento estetico diviene l’aspetto prevalente.
A Roma le messe in scena di melodrammi nel primo Seicento hanno per mecenati soprattutto i Barberini anche nella persona del cardinale Antonio. È facile comprendere come si articoli, in questa città e sotto l’influsso di questa committenza, la fusione tra generi musicali profani e forme sacre.
La cultura dell’epoca mira a conciliare la riscoperta della cultura classica col pensiero cristiano e con la propaganda della Controriforma. L’ibridazione dell’iconografia cristiana con i modelli classici e con le raffigurazioni mitologiche è in certo modo parallela e corrispondente, sul piano musicale, alla penetrazione nei repertori devozionali della lauda di forme e stili delle favole mitologiche messe in scena nei melodrammi.
La musica che accompagna i testi sacri, pur rivolta a lodare il Signore, ammicca anche, nell’utilizzare il recitar cantando, ai fasti del passato classico che si vuol far rivivere, negli edifici sacri come sui palchi dei teatri, nelle illustrazioni di scene bibliche come negli affreschi che rievocano sulle pareti dei palazzi una favoleggiata età dell’oro.
La storia dell’oratorio musicale nel Seicento è, in buona misura, la storia della penetrazione di forme del teatro musicale profano in pratiche devozionali già esistenti, nelle quali la parte musicale era assolta dal canto collettivo delle laude in volgare e dei mottetti in latino. Le vicende della lauda e del mottetto nei primi decenni del Seicento si sovrappongono ai prodromi del nascituro oratorio musicale: i primi convivono con i secondi, nei medesimi luoghi, e i diversi generi musicali devozionali si confondono e si mescolano gli uni con gli altri.
L’oratorio musicale si svilupperà, nel corso del secolo, in due direzioni diverse, seppure contigue: l’oratorio in volgare, che ha come antecedente più immediato la lauda, e l’oratorio in latino, che affonda le sue radici nelle vicende del mottetto, e si rivolge a un pubblico più ristretto e più colto. Queste due forme, se pure diverse sul piano della lingua e, in parte, su quello dell’ambiente di destinazione, seguono il medesimo iter per quanto riguarda lo sviluppo della struttura musicale.
Nel primo ventennio del Seicento le composizioni scritte per gli Esercizi spirituali dell’oratorio sono sempre più spesso in forma di dialogo, adatte a essere drammatizzate con un’esecuzione affidata a due o più cantanti, ciascuno dei quali dà vita, con la propria voce, a un personaggio diverso.
Ai personaggi dialoganti si aggiunge di frequente un’altra figura drammatica, sia essa rappresentata da un solo esecutore o da un coro: quella del narratore, cui è affidato il compito di legare le parti eseguite dai cantanti inserendole in una logica successione di eventi.
La presenza del narratore nell’oratorio, richiesta dalle finalità didattiche della rappresentazione, e la frequente assenza da esso di ogni apparato scenico differenziano i generi dell’oratorio musicale e del melodramma.
I prodromi dell’oratorio musicale Anche se la Rappresentatione di Anima et di Corpo non è ancora un oratorio musicale in senso proprio, pure la sua messa in scena (Roma, 1600) segna l’inizio della pratica di mettere in musica e drammatizzare testi sacri con il nuovo stile del recitar cantando nel modo che diventerà proprio dell’oratorio secentesco.
È del 1619 il Teatro armonico spirituale di Giovan Francesco Anerio (1567-1630), una raccolta di madrigali spirituali destinati a essere eseguiti durante gli Esercizi oratoriali. Il nome stesso della raccolta suggerisce l’idea di un’esecuzione in forma drammatica, e marca la differenza tra questa produzione di Anerio e la vasta produzione di laude oratoriali che la precedono e le si affiancano.
La maggioranza dei testi del Teatro armonico spirituale è a struttura dialogica e ha spunti drammatici. La musica del Teatro, in generale, mutua il suo carattere da quello del madrigale del tempo. Sebbene nel Teatro non compaiano recitativi veri e propri, molti passaggi sono caratterizzati da uno stile declamatorio che ricorda in certa misura il recitar cantando che l’oratorio musicale degli anni successivi mutuerà dal melodramma.
L’oratorio musicale a Roma: Giacomo Carissimi È a partire dagli anni Trenta del Seicento che si afferma l’uso del termine Oratorio per designare una composizione sacra, in genere priva di apparato scenico, caratterizzata dalla presenza di due o più personaggi e di un narratore.
Gli oratori musicali possono essere espressamente definiti come tali dal compositore oppure denominati in altri modi: tra i più frequenti mottetto, dialogo, cantata, historia, dramma sacro, azione sacra.
I luoghi deputati all’esecuzione degli oratori musicali, che adesso non sono più soltanto gli oratori o le chiese, ma anche i palazzi signorili o le loro corti, assumono in quelle occasioni la funzione di vere e proprie sale da concerto.
Se pure l’intento degli spettacoli oratoriali continua a essere, anche negli anni Trenta del Seicento, quello di diffondere la conoscenza delle Sacre Scritture attraverso la narrazione di episodi tratti dalle storie sacre e drammatizzati con l’ausilio della musica, pure il carattere delle messe in scena di questo periodo è assai più sofisticato di quello degli Esercizi spirituali dei decenni precedenti.
La redazione dei testi in volgare dai primi decenni del Seicento di solito viene affidata a poeti di chiara fama, e in linea con le tendenze più moderne: tra gli altri Giovanni Ciampoli e Giovan Battista Marino.
Un resoconto del 1639, ad opera del musicista francese André Maugars, dà un quadro dettagliato dell’ambiente sociale e delle attività musicali degli oratori romani di questo periodo. L’oratorio del SS. Crocifisso è la sede in cui hanno luogo le più raffinate e sofisticate esecuzioni musicali; il pubblico che vi assiste è composto dai “più importanti gentiluomini romani”, musicisti e compositori sono i più affermati del periodo. Non è un caso che proprio l’oratorio del SS. Crocefisso sia noto per aver promosso messe in scena con testo in latino.
André Maugars
Entusiasmo per la musica recitativa Reponse faite à un curieux sur le sentiment de la musique d’Italie, escrit à Rome le premier octobre 1639 Esiste anche un altro tipo di musica, per niente usato in Francia e che per questo merita un resoconto dettagliato. Si chiama stile recitativo. Il migliore l’ho udito all’oratorio di S. Marcello, dove c’è una congregazione dei Fratelli del Santissimo Crocifisso, composta dai più importanti gentiluomini romani, che hanno i mezzi per mettere insieme i nomi più belli che l’Italia produce; e infatti i più eccellenti musicisti sono orgogliosi di partecipare e i compositori più competenti chiedono di avere l’onore di farvi eseguire le proprie composizioni e cercano di mostrarvi il meglio di sé (...) Le voci iniziano con un salmo in forma di mottetto e poi tutti gli strumenti suonano un’eccellente sinfonia. Quindi le voci cantano una storia del Vecchio Testamento in forma di dramma spirituale, come quella di Susanna, di Giuditta e Oloferne o di Davide e Golia. Ogni cantante rappresenta un personaggio della storia ed esprime alla perfezione la forza delle parole. Poi uno dei predicatori di maggior prestigio pronuncia un’esortazione. Finita questa, viene cantato il Vangelo del giorno, come la storia della samaritana, la donna di Cana, Lazzaro, la Maddalena o la Passione di Nostro Signore; i cantanti imitano alla perfezione i diversi personaggi di cui parla l’evangelista. Non potrò mai lodare abbastanza questa musica recitativa; bisogna averla udita sul posto per poterne giudicare adeguatamente i meriti. La musica strumentale consiste di un organo, un grande clavicembalo, una lira, due o tre violini e due o tre arciliuti.
in H. E. Smither, L’oratorio barocco. Italia, Vienna, Parigi, Milano, Jaca Book, 1986
La comprensione del testo non è l’elemento centrale di queste esibizioni musicali, che si qualificano sempre più come intrattenimenti colti, rivolti a un pubblico raffinato, che, purificando lo spirito e rivolgendo il pensiero alle cose sacre, può al tempo stesso divertirsi in un’atmosfera elegante.
Gli oratori in latino non hanno circolazione al di fuori delle sedi cui sono destinati, e la loro musica non viene data alle stampe. Le esecuzioni di oratori presso il Collegio Germanico di Roma raggiungono negli anni Trenta del Seicento una tale preminenza sulle altre attività da suscitare critiche e polemiche, i resoconti delle quali sono testimonianze preziose circa le messe in scena del periodo.
È Giacomo Carissimi (1605-1674) a portare a piena maturazione la forma dell’oratorio musicale, quale rimarrà in uso nei decenni successivi. Negli oratori di Carissimi la differenziazione formale tra aria e recitativo è meno netta di quanto non accada nelle cantate da lui stesso composte. Si ritrova comunque anche qui lo stile del belcanto, che sottolinea i rapporti di questa produzione oratoriale con le tendenze emergenti della tradizione vocale profana.
L’oratorio musicale fuori da Roma: Alessandro Stradella L’oratorio in volgare da Roma si diffonde nella seconda metà del Seicento in tutta Italia, innestandosi su tradizioni già esistenti e creandone di nuove. Ciò, soprattutto, in ragione del rapporto sempre più stretto che si stabilisce tra melodramma e oratorio. Quest’ultimo in periodo di Quaresima, quando i teatri d’opera sono chiusi, funge da sostituto del primo.
Musicisti attivi anche nel campo delle composizioni profane e della musica strumentale scrivono oratori che vengono rappresentati a Roma, Firenze, Messina, Palermo, Napoli, Ferrara, Modena, Bologna, Venezia. Tra gli altri Maurizio Cazzati, Giovanni Legrenzi, Bernardo Pasquini, Luigi Rossi, Alessandro Stradella, Alessandro Scarlatti.
Come nella cantata e nel melodramma, anche nell’oratorio l’interesse si focalizza sull’esibizione del solista, il castrato che incanta gli ascoltatori con l’esecuzione di arie virtuosistiche. La forma dell’aria, che ancora non era chiaramente delineata negli oratori di Carissimi, è adesso il luogo in cui si cimentano i compositori e l’oggetto principale dell’attenzione del pubblico.
Con Alessandro Stradella (1639-1682) l’oratorio della seconda metà del Seicento raggiunge la sua forma più compiuta. Stradella, col quale in ambito strumentale inizia la fortuna del concerto grosso, sperimenta dapprima nell’oratorio S. Giovanni Battista la suddivisione della compagine orchestrale in concertino e concerto grosso.
L’oratorio musicale in Europa: Vienna e Parigi Dalla metà del Seicento ai primi anni del Settecento le pratiche musicali dell’oratorio sono in continua espansione, dapprima solo in Italia, poi anche a nord delle Alpi. Fuori d’Italia lo sviluppo dell’oratorio musicale interessa pressoché esclusivamente i Paesi di religione cattolica. Solo a partire dai primi anni del Settecento l’oratorio avrà una diffusione rilevante anche in Germania e in Inghilterra.
Nelle regioni cattoliche, e soprattutto a Vienna e a Parigi, le composizioni oratoriali vengono importate dall’Italia o prodotte localmente secondo i modelli italiani.
L’oratorio viennese fa propri lo stile e i testi dell’oratorio italiano in volgare. Le vicende dell’oratorio a Vienna sono anche legate a quelle di un genere contiguo: il sepolcro. Questa forma particolare di oratorio musicale, che si afferma soprattutto a Vienna, dopo il 1660, quindi a Innsbruck, a Salisburgo e in Boemia, ha per tema la passione e crocifissione di Cristo e si avvale di un apparato scenico il cui elemento principale è la riproduzione del santo sepolcro.
Nel Seicento la propaganda controriformista, iniziata dai gesuiti già dalla seconda metà del Cinquecento, riconsegna l’Austria al cattolicesimo romano. Nelle scuole gesuite i drammi sacri, con musica, danza e apparato scenico, hanno notevole importanza come esercizio retorico per gli studenti e intrattenimento edificante per il pubblico.
Nel 1665 all’università di Vienna viene aperto un teatro, costruito da Ferdinando III per la rappresentazione di drammi gesuitici. I drammi sono quasi sempre in latino, a volte con intermedi in tedesco o in una combinazione delle due lingue.
Gli argomenti, basati in genere sulle Sacre Scritture, sono gli stessi dell’oratorio.
Negli anni Settanta del Seicento l’italiano è la lingua favorita dalla corte degli Asburgo, la quale incoraggia la diffusione a Vienna del melodramma e dell’oratorio italiani.
Leopoldo I aveva una notevole competenza musicale, come compositore e come esecutore.
Tra le sue composizioni vi sono numerose opere sacre drammatiche; molte di esse vennero messe in scena a corte, durante la Quaresima, in sostituzione dei melodrammi.
In Italia l’oratorio in genere non è inserito in un contesto liturgico; a Vienna invece è parte integrante di una funzione quaresimale che unisce elementi liturgici ed extraliturgici. A Parigi gli oratorî, oltre a essere eseguiti in chiesa per i concerti della Quaresima, fungono anche da mottetti durante la messa.
Negli anni Settanta del secolo, quando comincia ad affermarsi il melodramma francese, Marc-Antoine Charpentier torna a Parigi da Roma, dove aveva studiato con Carissimi, e compone i suoi primi oratorî, con testi in latino.
Lo stile degli oratori di Charpentier (1645 ca.-1704), pur risentendo fortemente dell’influenza di Carissimi, è caratterizzato dalla mescolanza di elementi italiani e francesi tipica della situazione musicale parigina del periodo. È insolita negli oratori di Charpentier l’importanza attribuita alla musica strumentale.
Anche nelle composizioni più brevi gli strumenti musicali hanno un ruolo più rilevante di quanto non accada negli altri oratorî secenteschi. Lo stile adottato per le parti strumentali si avvicina a quello della trio-sonata.
Sia presso gli Asburgo che in Francia l’oratorio musicale, importato dall’Italia, perde le finalità di propaganda religiosa e il carattere di meditazione spirituale che gli erano propri, quanto meno alle origini della sua vicenda. La lingua adottata per i testi in Austria resta l’italiano, comprensibile solo alla colta e sofisticata corte degli Asburgo; in Francia diventa il latino, lingua ufficiale della Chiesa, adottata per riti nei quali il carattere simbolico dell’apparato religioso e la struttura musicale del brano appaiono del tutto prevalenti sulla necessità di rendere comprensibile un testo edificante.