Iside di Copto | |
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La statua della divinità femminile soprannominata "Iside di Copto", rinvenuta da Vitaliano Donati e conservata al Museo Egizio di Torino | |
Autore | ignoto |
Data | 1539–1292 a.C., XVIII dinastia egizia |
Materiale | granodiorite |
Dimensioni | 153×47×35 cm |
Ubicazione | Museo Egizio (sala 01, basamento 03), Torino |
N. inventario | Cat. 694 |
La cosiddetta Iside di Copto, o statua di dea con diadema di Hathor (cat. 694)[1] è una statua monumentale, in pietra, di divinità femminile (Hathor o Iside) risalente alla XVIII dinastia egizia e datata tra il 1539 a.C. e il 1292 a.C.[1]
La statua, ritrovata a Copto nel corso di un viaggio effettuato da Vitaliano Donati per conto di Carlo Emanuele III, fa parte della collezione conservata presso il Museo Egizio di Torino, dove è giunta come parte della Collezione Donati stessa. Grazie a lui il Museo torinese, quarant'anni prima della spedizione napoleonica in Egitto, poteva già contare su un nucleo di seicento antichità egizie.
Ritrovamento
[modifica | modifica wikitesto]Vitaliano Donati, professore di botanica alla Regia università di Torino, venne inviato nel 1759 dal re Carlo Emanuele III in Egitto alla ricerca di antichità in grado di spiegare le peculiarità della Mensa isiaca. Da questa missione arrivarono a Torino circa seicento oggetti, tra i quali sicuramente erano presenti la statue monumentali di Ramses II, quella di Sekhmet e quella della dea Iside ritrovata a Copto. Vitaliano Donati non fece invece più rientro nella capitale sabauda perché morì su una nave diretta a Calcutta, dove avrebbe voluto proseguire il suo viaggio.
Descrizione
[modifica | modifica wikitesto]La statua, che rappresenta il volto della regina Tiy, moglie di Amenofi III, nonna di Tutankhamon, presenta tutti gli elementi tipici della XVIII dinastia, dalla fronte ribassata al naso ricurvo, dagli occhi a mandorla alle labbra carnose. In mano tiene lo scettro che indica la stabilità.
La statua, in granodiorite, è alta 153 cm e presenta anche un vistoso diadema o disco solare solitamente associato alla dea Hathor, di cui Iside prendeva talvolta gli attributi[2].
A Copto, secondo la religione egizia, Iside diventa la sposa del dio locale Min[3]; probabilmente il ritrovamento della statua è stato effettuato all'interno del tempio a lui dedicato[1].
All'interno del Museo egizio, la statua è collocata all'inizio del percorso di visita, nella prima sala (basamento 03).[1]
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Vista frontale
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Dettaglio frontale
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Lato sinistro
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c d Collezione online - Statua di divinità femminile (Hathor o Iside), cosiddetta, su collezioni.museoegizio.it. URL consultato il 16 aprile 2024.
- ^ Curto, Silvio, Una statua di dea con diadema di Hathor nel Museo Egizio di Torino, Studi di archeologia dedicati a Pietro Bembo, Torino 1980, pp. 15-20, tavv. 3-4
- ^ Chiara Zanforlini, Il culto di Iside in Egitto (PDF), su archeofriuli.it, 2020.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Barocelli, Pietro, Il viaggio del dott. Vitaliano Donati in oriente (1759-62) in relazione alle prime origini del Museo Egiziano di Torino, Atti dell'Accademia delle Scienze di Torino (47), 1912, p. 6-8,18
- Morecroft Scattolin, Angela, The Enlightenment rediscovery of Egyptology: Vitaliano Donati's Egyptian expedition, 1759–62, London - New York 2018, pp. 2, 115-117, figg. p. 5; 115-117
- Curto, Silvio, Una statua di dea con diadema di Hathor nel Museo Egizio di Torino, Studi di archeologia dedicati a Pietro Bembo, Torino 1980, pp. 15-20, tavv. 3-4.
- Connor, Simon, Le statue del Museo Egizio, Torino - Modena 2016, p. 98, figg. p. 100, 101
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Statua di divinità femminile (Hathor o Iside), cosiddetta "Iside di Copto"
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Collezione online - Statua di divinità femminile (Hathor o Iside), cosiddetta, su collezioni.museoegizio.it.
- Le Passeggiate del Direttore: Sekhmet, i colossi di Memnon e la Iside di Copto (S.1, E.2), Museo Egizio