La favola latina (termine latino "fabula") fu una forma isolata della letteratura latina, che in genere rivestì un ruolo poetico subalterno in quanto non considerata un genere letterario "alto", anche se possedeva un carattere pedagogico e un fine morale.
Caratteristiche
[modifica | modifica wikitesto]Il termine latino "fabula" (in italiano favola) deriva dal verbo "fari" = "dire, raccontare". Il termine latino «fabula» indicava in origine una narrazione di fatti inventati.
Il genere favolistico si trova praticato nei testi più antichi dell'umanità, quando si sia voluto rappresentare, attraverso un linguaggio semplice e metafore facilmente comprensibili, un principio di verità o un insegnamento morale, ossia un insegnamento relativo a un principio etico o ad un comportamento, che spesso è formulato esplicitamente alla fine della narrazione (la "morale", a volte anche in forma di proverbio).
Anche l'utilizzazione, a questo scopo, di racconti i cui protagonisti siano animali, attribuendo loro peculiarità morali e caratteristiche comportamentali, accettate dall'immaginazione o quantomeno dal pregiudizio umano, risponderebbe alla necessità di esemplificare e rendere immediatamente assimilabile il messaggio contenuto nel racconto.
La favola può essere in prosa o in versi. Dal punto di vista della struttura letteraria, la favola presenta elementi di somiglianza con la parabola, nella quale tuttavia non compaiono animali antropomorfici o esseri inanimati.[1]
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Origini greche
[modifica | modifica wikitesto]Secondo i grammatici antichi, fu Archiloco, poeta di Paros, attivo nel VII secolo a.C., il creatore della favola del tipo che sarà poi sviluppata da Esopo, ma di lui non restano che scarsi frammenti; frammenti di favola sono anche in Solone e in Simonide, del VI secolo a.C..
Nel mondo greco, il genere della favola si presentò inizialmente nella forma dell'«aínos», nella similitudine, come mostra l'esempio offerto, nell'VIII secolo a.C., da L'usignolo e lo sparviero narrato ne Le opere e i giorni di Esiodo - non a caso definito il primo favolista da Quintiliano,[2] nel quale un usignolo, catturato dal rapace, cerca di impartirgli una lezione sul significato della giustizia.
Favolistica imperiale
[modifica | modifica wikitesto]Il primo favolista in latino fu Fedro (15 a.C. circa-50 d.C.). Rappresentò una voce isolata della letteratura latina, rivestendo un ruolo poetico subalterno in quanto la favola non era considerata un genere letterario "alto", anche se possedeva un carattere pedagogico e un fine morale. Fedro riconosce la propria dipendenza dall'opera di Esopo, dando tuttavia alle sue favole maggiore dignità letteraria, riscrivendole in senari giambici. Le favole di Fedro hanno un doppio scopo: divertire il lettore con scene di carattere comico, ma anche suggerire anche "saggi consigli" per vivere.
Fedro era uno schiavo, nato in Tracia,[3] poi condotto prigioniero a Roma,[4] affrancato da Augusto,[5] scrisse durante il regno di Tiberio favole in versi. Le favole giunte a noi potrebbero non essere che una parte di quanto scritto da Fredo.
Le favole di Fedro riprendono il modello esopico, ma con un diverso atteggiamento: Fedro non rappresenta un favolista del mondo contadino, ma di uno Stato evoluto dove dominano l'avidità e la sopraffazione. Sebbene con le sue favole non si fosse proposto attacchi personali, Fedro tuttavia fu perseguitato da Seiano, il potente prefetto del pretorio di Tiberio.[6] Nelle pessimiste favole di Fedro il prepotente trionfa sempre sul debole, il quale è invitato alla rassegnazione o, nella migliore delle ipotesi, a cercare un compromesso accettabile nei rapporti con il potere:
«Nunc, fabularum cur sit inventum genus,
brevi docebo. Servitus obnoxia,
quia quae volebat non audebat dicere,
affectus proprios in fabellas transtulit,
calumniamque fictis elusit iocis.»
«Ora perché sia nato della favola il genere
in breve ti spiegherò. La schiavitù, ai padroni soggetta,
non osando dire ciò che avrebbe voluto,
traspose le sue opinioni in brevi favole, ricorrendo, per schivare
le accuse di calunnia, a scherzose invenzioni.»
Altri autori minori di favole del mondo classico furono il greco Babrio (III secolo) ed il latino Flavio Aviano (IV secolo). Il primo ridusse in versi ipponattei ben 123 favole attribuite a Esopo;[7] Aviano diede invece una descrizione in distici elegiaci di 42 favole di Fedro.[8]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Gino Ruozzi (a cura di), I classici. Milano, A. Mondadori, 1995, ISBN 88-04-37947-2.
- ^ Institutio oratoria V, 11, 19.
- ^ Fabulae III, prologo: «Ego, quem Pierio mater enixa est iugo»; Fabulae III, prologo, vv. 54-57.
- ^ Fabulae III, epilogo, vv. 33-35: «Ego, quondam legi quam puer sententiam / Palam muttire plebeio piaculum est / dum sanitas constabit, pulchre meminere».
- ^ Che egli sia stato uno schiavo familiaris, appartenente cioè alla familia di Augusto, e poi emancipato da questo imperatore è attestato nella titolazione manoscritta della sua opera, Phaedri Augusti liberti Fabulae Aesopiae.
- ^ Fedro, Favole. Testo orig. a fronte, introduzione, traduzione, note di Enzo Mandruzzato. Milano : BUR, 2005, ISBN 88-17-12224-6.
- ^ Babrii Mythiambi Aesopei, ediderunt Maria Jagoda Luzzatto et Antonius La Penna. Leipzig: B. G. Teubner, 1986, ISBN 3-322-00339-6.
- ^ Aviani Fabulae, recensuit Antonius Guaglianone. In aedibus Io. Bapt. Paraviae et sociorum, 1958.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Edizioni moderne
- J. G. S. Schwabe, Phaedri Augusti liberti Fabulae Aesopiae libri V, 2 voll., F. Viervegii, Brunsvigiae 1806
- Phaedri Fabulae ex recensione Schwabii, Pomba, Torino 1831
- Ch. Y. Dresler, Fabulae Aesopiae, G. B. Teubner, Leipzig 1856-1890
- L. Müller, Phaedri Augusti liberti Fabulae Aesopiae, G. B. Teubner, Leipzig 1877-1890
- A. Riese, Fabulae Aesopiae, Tauschnitz, Leipzig 1885
- L. Havet, Phaedri Augusti liberti fabulae Aesopiae, recensuit usus editione Rosonboniani ad Ulixe Robert comparata, Hachette, Paris 1895
- J. P. Postgate, Phaedri Fabulae Aesopiae, cum N. Perotti Prologo et decem Novis Fabulis, Scriptorum classicorum Oxfoniensis, Oxford 1919
- C. Zander, Phaedrus solutus vel Phaedri fabulae novae XXX, Lund 1921
- D. Bassi, Phaedri Fabulae ad fidem codicis neapolitani denuo excussi, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum, Torino 1920
- A. Guaglianone, Phaedri Augusti liberti libri fabularum, Paravia, Torino 1969
- A. Brenot, Phèdre, Fables, Les Belles Lettres, Paris 1989
- Traduzioni italiane
- M. Fagella, Le favole di Fedro, Milano 1979
- E. Mandruzzato, Fedro, Favole, Milano 1989
- F. Solinas, Fedro, Favole, Milano 1992
- Studi
- C. Marchesi, Fedro e la favola latina, Firenze 1923
- E. Griset, Per la cronologia e il significato delle favole di Fedro, Torino 1925
- F. Della Corte, Phaedriana, in «Rivista di filologia classica», 1939
- A. De Lorenzi, Fedro, Firenze 1955
- L. Tortora, Recenti studi su Fedro, in «Bollettino di studi latini», 5, 1975
- G. Pisi, Fedro traduttore di Esopo, Firenze 1977
- G. Moretti, Lessico giuridico e modello giudiziario nella favola fedriana, in «Maia», 1982