«Anche oggi la fede nella creazione non è irrealistica; anche oggi essa è ragionevole; anche alla luce dei dati delle scienze naturali essa è "l'ipotesi migliore", quella che offre una spiegazione più completa e migliore di tutte le altre teorie»
Sin dalla pubblicazione de L'origine delle specie di Charles Darwin nel 1859, le gerarchie della Chiesa cattolica hanno lentamente definito e rifinito la loro posizione sull'evoluzione, evitando inizialmente di prendere una posizione ufficiale, contrariamente a quanto fecero le chiese protestanti, che, maggiormente legate ad una interpretazione letterale della Bibbia, immediatamente avversarono il pensiero darwiniano[2].
Fino ai primi anni del XX secolo, nel mondo cattolico si riscontrava una generale ostilità all'evoluzionismo; tuttavia, in quel periodo la Chiesa non prese mai una posizione ufficiale sulla questione. Nel corso del Novecento alcune alte gerarchie ecclesiastiche con pubbliche affermazioni e documenti ufficiali hanno affermato che la fede cattolica e l'evoluzionismo, in particolare riguardo all'origine dell'uomo, non sono in conflitto; diversi papi si sono esplicitamente espressi favorevolmente riguardo alla conciliabilità dell'evoluzionismo con la fede cattolica. Soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, la teologia cattolica, confrontandosi con la teoria dell'evoluzione, ha fatto importanti progressi ed ha definito alcune fondamentali questioni di fede relative all'origine dell'uomo, all'azione di Dio nel mondo ed alla dottrina sul peccato originale. Cionondimeno, la Pontificia commissione biblica, organo del Magistero ecclesiastico, ha ribadito la dottrina della creazione divina del corpo del primo uomo e della creazione immediata dell'anima umana in ogni nuova persona.[3]
Il pensiero cattolico di fronte all'evoluzionismo: 1859-1900
[modifica | modifica wikitesto]Il problema storiografico
[modifica | modifica wikitesto]Un'analisi sintetica dei rapporti tra l'evoluzionismo e la religione cattolica, e della posizione della Chiesa di Roma su questo tema, nei primi decenni di diffusione delle teorie di Charles Darwin, esposte per la prima volta ne L'origine delle specie (1859), risulta essere pressoché impossibile. Fino alla prima metà del Novecento circa, la tendenza prevalente era quella di inquadrare i rapporti storici tra scienza e religione in uno schema molto semplice: il perpetuo conflitto tra la ragione scientifica ed il dogma religioso[4].
Negli ultimi decenni del ventesimo secolo invece questo quadro è stato completamente superato[5]. La storiografia più moderna tende ormai ad allinearsi alla cosiddetta "tesi della complessità", esposta esplicitamente per la prima volta dallo storico della scienza John Hedley Brooke nel suo libro Science and Religion: Some Historical Perspectives (1991). Scrive Brooke[6]:
«Serious scolarship in the history of science has revealed so extraordinarily rich and complex a relationship between science and religion in the past that general theses are difficult to sustain. The real lesson turns out to be the complexity.»
«Studi rigorosi sulla storia della scienza hanno rivelato dei rapporti tra scienza e religione nel passato così straordinariamente ricchi e complessi, che risulta difficile sostenere delle tesi generali. L'unica lezione risulta essere la complessità»
I rapporti tra scienza e religione sono quindi stati, storicamente, una realtà molto varia e complessa, che non può essere ridotta ad alcuno schema semplice; la storiografia si trova quindi costretta a trattare in maniera organica questa vasta realtà, ed è per questo che risulta difficile riuscire ad esporre un'analisi concisa e sintetica.
Sulla cultura scientifica negli Stati pontifici nel XIX secolo, scrive Pietro Redondi[7]: «Si stabilirà così alla metà del secolo un saldo programma culturale. Esso sarà basato sulla possibilità di conciliare la scienza e la fede religiosa attraverso l'assunzione di alcune categorie dell'epistemologia positivistica, ossia alleando a una visione teistica lo sperimentalismo e la critica antimetafisica del causalismo avanzata dai positivisti. Scopo dichiarato e di grande importanza storica di questo programma culturale era l'affossamento delle idee materialistiche dell'illuminismo per rendere possibile una reale penetrazione della teologia cattolica nel pensiero moderno, ovvero il pensiero e la cultura della società industriale che stava nascendo e che riponeva un grande consenso nelle scienze positive. [...] Il problema della scienza nell'ultimo scorcio dello Stato pontificio non può perciò essere liquidato sbrigativamente in termini di semplice oscurantismo e merita un esame più approfondito».
Molti intellettuali cattolici si occuparono di evoluzionismo negli ultimi quattro decenni del XIX secolo, ovvero gli anni che videro la diffusione delle teorie di Darwin, e le loro variegate e multiformi posizioni sull'argomento devono essere trattate caso per caso. Ma per quanto riguarda specificamente la posizione della Santa Sede, si deve anche tener presente che i documenti del Sant'Uffizio e della Congregazione dell'Indice, riguardanti il dibattito sull'evoluzionismo, sono diventati accessibili solo nel 1998, quando gli archivi sono stati aperti agli studiosi. Prima di questa data, gli storici potevano essenzialmente basarsi sugli articoli de La Civiltà Cattolica (che al tempo si occupò molto della questione evoluzionista), su pochi altri articoli in altre riviste ed in certi casi su lettere private di intellettuali cattolici che si occuparono di evoluzione[8]. L'unico studio esistente basato sui nuovi documenti è il saggio Negotiating Darwin (2006) di Artigas, Glick e Martínez; prima del loro studio, e dal momento che non esisteva alcun pronunciamento ufficiale della Chiesa cattolica sull'evoluzionismo, gli storici (ad esempio Molari e O'Leary) e i teologi cercavano di comprendere la posizione della Chiesa essenzialmente attraverso gli articoli de La Civiltà Cattolica; la redazione di questa rivista infatti lavorava, e tuttora lavora, a stretto contatto con la Segreteria di Stato Vaticana, che ne approva i testi; per questo motivo si riteneva che le posizioni sull'evoluzionismo espresse ne La Civiltà Cattolica, riflettessero fedelmente la posizione e le direttive della Santa Sede.
In realtà lo studio di Artigas, Glick e Martínez ha rivelato una situazione molto più complessa che non coincide con quanto si fosse fino a quel momento potuto dedurre dall'esame degli articoli ne La Civiltà Cattolica. In particolare si è scoperto che non è mai esistito alcun provvedimento del Sant'Uffizio verso l'evoluzionismo, contrariamente a quanto affermato invece più volte da La Civiltà Cattolica. Questo errore influenzò purtroppo molti testi di teologia dell'epoca ed anche autori più moderni; ad esempio, ancora nel 1953, Karl Rahner nel suo libro De Deo creante et elevante et de peccato originali attribuiva al Sant'Uffizio delle decisioni contro l'evoluzionismo, in realtà mai prese.
Sintesi dei risultati dello studio dei documenti del Sant'Uffizio e della Congregazione dell'Indice
[modifica | modifica wikitesto]Il risultato fondamentale dello studio di Artigas, Glick e Martínez è stato quello di appurare che la Chiesa non solo non aveva, al tempo, una posizione ufficiale sull'evoluzionismo né prese mai provvedimenti contro questa teoria, ma che nel trattare tale questione non si atteneva neanche ad una politica predefinita[9]. Analizzando vari testi di teologia dell'epoca, si è scoperto che alcuni teologi cattolici erano critici verso l'evoluzione, in particolare Matthias Joseph Schebeen (1835-1888), e i gesuiti Camillo Mazzella (1833-1900) e Giovanni Perrone (1794-1876) affermavano che la creazione immediata del corpo di Adamo dal fango della terra dovesse esser considerata dottrina cattolica[10].
C'è comunque da premettere che a quel tempo la Chiesa si sentiva, letteralmente, sotto assedio[11]. Dopo il 1861, anno dell'unità d'Italia, dello Stato Pontificio rimaneva soltanto la città di Roma difesa dai francesi di Napoleone III; il 20 settembre 1870 l'esercito italiano entrò nella città: il potere temporale dei papi era finito e si apriva un periodo di forti contrasti tra la Chiesa e lo Stato italiano.
Dal mondo scientifico arrivavano inoltre dure critiche alla religione cattolica, descritta spesso come causa di ignoranza, arretratezza e freno del progresso. La teoria dell'evoluzione veniva ampiamente utilizzata, affermando l'inattendibilità e la falsità delle Sacre Scritture, per criticare i fondamenti della dottrina cattolica; le teorie di Darwin, che per spiegare l'evoluzione facevano appello soltanto a cause naturali e contingenti, permettevano di sostenere filosofie atee e materialiste[12]. Il darwinismo nel mondo cattolico fu quindi accolto, inizialmente, con profonda ostilità e disprezzo[13]. Per i teologi Dio aveva sempre fatto parte dell'interpretazione scientifica del mondo; per la teologia naturale la scoperta dell'ordine del mondo che si otteneva dallo studio delle scienze naturali forniva la prova dell'esistenza di Dio e della sua azione provvidenziale. Le teorie di Darwin inferivano un duro colpo a questa concezione.
In questa situazione è facile comprendere l'esistenza, nel mondo cattolico, di un generale clima di sospetto o di opposizione nei confronti dell'evoluzionismo. Ma nonostante queste condizioni, la Chiesa non prese mai alcuna posizione sull'evoluzionismo, né decise in generale di prendere provvedimenti verso quegli intellettuali cattolici che accettavano le nuove teorie e ne sostenevano la conciliabilità con la dottrina cattolica. Questi ultimi certamente venivano molto criticati da La Civiltà Cattolica, ma, come spiegato nel paragrafo precedente, essa non rifletteva le posizioni della Santa Sede. La Civiltà Cattolica partecipò vivamente alla polemica contro l'evoluzione[14]; quando le teorie di Darwin cominciarono a diffondersi in Italia, essa intervenne con critiche e puntualizzazioni praticamente su ogni nuovo libro od episodio relativo al dibattito filosofico-teologico-scientifico sull'argomento.
Ma per quanto riguarda direttamente la Santa Sede, di fatto la Congregazione dell'Indice si occupò soltanto di tre casi di studiosi cattolici sostenitori dell'evoluzionismo: Raffaello Caverni, Dalmace Leroy e John Augustine Zahm. Tuttavia la Congregazione non si mosse mai di sua spontanea volontà, ma fu costretta ad agire in quanto aveva ricevuto delle denunce formali delle opere di questi autori. Ognuno di questi casi ha caratteristiche proprie e deve essere analizzato singolarmente, ma una caratteristica importante e comune a tutti e tre i casi la si è potuta trovare: una ragione importante che spingeva la Santa Sede ad evitare un pronunciamento ufficiale contro l'evoluzionismo era il timore di ritrovarsi con un nuovo caso Galilei.
Si arrivò poi ad una condanna ufficiale solo nel caso di Caverni: tuttavia, affinché la condanna delle sole tesi di questo studioso non potesse essere interpretata come una condanna dell'evoluzionismo, la Congregazione decise di inserire il libro di Caverni nell'Indice dei libri proibiti senza esplicitarne, pubblicamente, le motivazioni. Per questo motivo la condanna di Caverni è stata completamente ignorata da tutti gli storici (ed anche, incredibilmente, da La Civiltà Cattolica) fino allo studio di Artigas, Glick e Martínez[15].
A Leroy e Zahm invece ci si limitò soltanto a richiedere una ritrattazione, che poi, nel caso di Zahm, fu soltanto indiretta.
Un altro studioso cattolico, George Mivart, importante biologo inglese che fu anche collaboratore di Darwin, è stato in passato citato molte volte per essere stato condannato dalla Congregazione dell'Indice[16]; ma in realtà il caso di Mivart non ebbe niente a che vedere con l'evoluzionismo, ma riguardava delle controversie prettamente dottrinali.
Diversi altri autori cattolici, trattati separatamente nei successivi paragrafi, che accettarono le teorie evoluzioniste, non furono mai oggetto di indagine da parte della Santa Sede, benché alcuni di essi fossero stati comunque pesantemente criticati da La Civiltà Cattolica; due di essi, Geremia Bonomelli e John Cuthbert Hedley, ritrattarono spontaneamente le loro tesi sull'evoluzionismo, pur non essendo mai stato intrapreso alcun provvedimento ufficiale della Santa Sede contro di loro.
Encicliche e concili
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1860 il Concilio regionale di Colonia approvò un canone contenente la seguente formula[17]:
«Primi parentes a Deo immediate conditi sunt. Itaque scripturae sacrae fideique plane adversantem illorum declaramus sententiam, qui asserere non verentur, spontanea naturae imperfectioris in perfectiorem continuo ultimoque humanam hanc immutatione hominem, si corpus quidem spectes, prodidisse.»
«I primi progenitori sono stati creati immediatamente da Dio. Pertanto dichiariamo come contraria alla sacra scrittura e alla fede l'opinione di coloro che non temono di affermare che l'uomo, per ciò che concerne il suo corpo, è venuto ad essere attraverso una mutazione spontanea da una natura imperfetta ad una più perfetta e che, in un processo continuo, sia infine diventato umano.»
I canoni di questo concilio furono approvati, come da procedura, dalla Congregazione del Concilio a Roma. Ma Artigas, Glick e Martínez, citando lo Ius Decretalium di Franz Xaver Wernz, un'importante opera sul diritto canonico, fanno notare che le delibere di un concilio regionale non hanno mai valore dottrinale e che l'approvazione (recognitio) da parte della Santa Sede non conferisce ad esse maggiore autorità; l'approvazione da parte della Congregazione del Concilio è normale procedura per ogni concilio regionale e serve soltanto ad accertare che esso sia stato tenuto secondo le regole e che nelle sue delibere non ci sia niente da censurare. Artigas, Glick e Martínez spiegano che questo concilio è testimonianza del generale clima di ostilità verso l'evoluzionismo che al tempo caratterizzava il mondo cattolico, ma esso non costituisce affatto la prova di un pronunciamento ufficiale della Santa Sede contro l'evoluzionismo.
Nel settembre del 1863, in un congresso di studiosi cattolici tenutosi a Monaco e presieduto dal sacerdote, storico e teologo Ignaz von Döllinger (che in seguito divenne uno dei più illustri esponenti del vetero-cattolicesimo) si attaccò direttamente il Magistero della Chiesa Cattolica, affermando che esso costituisse un ostacolo al progresso delle scienze[18]. A queste tesi rispose nel 1864 papa Pio IX condannando nel Sillabo le seguenti proposizioni: «I decreti della S. Sede e della Curia romana impediscono il libero progresso delle scienze»; «Il metodo e i principi, con cui gli antichi dottori scolastici hanno sviluppato la teologia non sono adatti alle necessità dei nostri tempi e al progresso delle scienze».
Il Concilio Vaticano I (1869 - 1870) non affrontò la questione evoluzionistica, tuttavia in un relazione venne ricordata[19] «quella turpe dottrina che cerca gli inizi del genere umano da una scimmia irsuta e pone l'avvio del genere umano non nel paradiso ma nello sporco e turpe fango». Ma alla fine, nei documenti approvati, non c'era niente contro l'evoluzionismo, e ci si limitava soltanto a reiterare la condanna del materialismo e a riaffermare la fede in Dio creatore dell'anima e del corpo.
Il 18 novembre 1893 papa Leone XIII emanò l'enciclica Providentissimus Deus che era interamente dedicata agli studi biblici ed esegetici. In questa enciclica si ribadivano prima di tutto l'inerranza delle sacre scritture e l'autorità del Magistero; ma essa fu tuttavia molto interessante ed importante per via del fatto che, in pratica, veniva accettato[20] il criterio esegetico proposto a suo tempo da Galileo Galilei nella sua famosa lettera a Cristina di Lorena del 1615. Il nome di Galilei non viene mai menzionato esplicitamente nell'enciclica, ma la sua influenza è evidente sia per le tesi che nell'enciclica vengono sostenute, sia per il fatto che Leone XIII utilizzò gli stessi passi di Sant'Agostino utilizzati da Galilei. Riguardo al rapporto tra l'esegesi biblica e le scienze naturali l'enciclica contiene un passo che coincide perfettamente con le tesi galileiane:
«Dicendo che la difesa della sacra Scrittura deve essere condotta strenuamente, non ne segue che si debbano ugualmente sostenere tutte le sentenze che i singoli padri e successivamente gli interpreti affermano nello spiegarla, in quanto essi, date le opinioni del tempo, nell'interpretare i passi in cui si tratta di cose fisiche non sempre forse giudicarono secondo la verità oggettiva, di modo che alcune interpretazioni allora proposte, ora sono meno accettabili. Occorre perciò distinguere diligentemente quali siano di fatto le interpretazioni che essi tramandarono come spettanti alle cose di fede o strettamente connesse con essa; quali poi siano state tramandate con unanime consenso, poiché infatti "nelle cose che non sono di necessità di fede fu lecito ai santi, come anche a noi, pensare in modo diverso", secondo la sentenza di san Tommaso. Il quale in altro luogo molto prudentemente avverte: "Mi sembra cosa più sicura riguardo alle opinioni comunemente ammesse dai filosofi e che non ripugnano alla nostra fede, non asserirle come dogma di fede, anche se introdotte talvolta sotto il nome dei filosofi, ma neppure negarle come contrarie alla fede, per dar occasione ai sapienti di questo mondo di disprezzare la dottrina della fede". Quantunque sia certamente compito dell'interprete dimostrare che le cose proposte come certe per mezzo di argomenti certi dagli studiosi di scienze naturali non contraddicono affatto le Scritture, se rettamente spiegate, non deve tuttavia sfuggire all'interprete questo fatto e cioè che talora avvenne che alcune cose date come certe furono poi poste in dubbio e quindi ripudiate. Che, se poi gli scrittori di scienze naturali, oltrepassati i confini della propria disciplina, invadessero con errate opinioni il campo della filosofia, l'interprete teologo domandi ai filosofi di confutarle.»
Nel caso di Dalmace Leroy[21], anche se poi si concluse con una richiesta di ritrattazione, durante la disamina del libro, alla Congregazione dell'Indice fu sottoposto un rapporto iniziale in cui, citando proprio la Providentissimus Deus, si affermava che le tesi di Leroy sull'evoluzionismo fossero accettabili per la fede cattolica e che esse non fossero in contrasto con la sacra scrittura.
Evoluzionismo e Pensatori medioevali
[modifica | modifica wikitesto]Pensatori medioevali
[modifica | modifica wikitesto]Tommaso d'Aquino
[modifica | modifica wikitesto]Nel pensiero tomista è ravvisabile l'idea di un'origine animale del corpo biologico dell'essere umano. In particolare è possibile riscontrarlo nella sua opera L'unità dell'intelletto contro gli averroisti :
«La soluzione di queste obiezioni appare subito da quello che si è detto. Quando infatti si afferma che ogni forma è tratta dalla potenza della materia, sembra opportuno considerare che cosa significhi il fatto che la forma sia tratta dalla potenza della materia. Se infatti questo non significa niente altro se non che la materia preesiste in potenza alla forma, nulla vieta di dire che la materia corporea sia preesistita in potenza all'anima intellettiva; per cui Aristotele dice nel libro della Generazione degli Animali: "In un primo tempo sembra che tutti gli esseri viventi vivano in tale modo, cioè con la separazione dei feti, la vita nella pianta. Ma in seguito è evidente che si deve parlare anche dell'anima sensitiva e di quella intellettiva; è necessario infatti che le abbiano tutte in potenza prima che in atto.»
L'idea inoltre che gli organismi viventi potessero essere condizionati dall'ambiente in cui essi vivono era già presente in Aristotele:
«Avendo definito l'anima [forma del corpo] egli incomincia a distinguerne in potenze: vegetativa, sensitiva, appetitiva, motoria secondo il luogo e intellettiva"»
Nicola Cusano
[modifica | modifica wikitesto]Anche il cardinale, teologo, umanista, filosofo, giurista, matematico e astronomo Nicola Cusano esprime la condivisione dell'idea di origine animale del corpo umano:
«Per questo motivo tra i generi che contraggono un unico universo, quello inferiore e quello superiore si connettono in modo da coincidere nel mezzo. E fra le specie diverse esiste un ordine di combinazione tale che la specie più alta di un genere coincide immediatamente con la più bassa del genere superiore, affinché ci sia un solo universo perfetto e continuo. [...] Dunque una specie non procede discendendo fino ad essere la specie minima di un genere, perché prima di giungere al minimo, si trasforma in un'altra. Lo stesso dicasi di quella specie massima, che si trasforma in un'altra, prima di diventare massima. Nel genere dell'animalità la specie umana, quando si sforza di raggiungere il più elevato degli esseri sensibili, è attratta verso l'alto fino a mescolarsi alla natura intellettuale; ma prevale in essa la parte inferiore, per la quale l'uomo è detto animale.»
Nicola Oresme
[modifica | modifica wikitesto]Il vescovo Nicola Oresme (1323-1382) anticipò molte essenziali idee proprie dei tempi moderni, quali l'intuizione della incommensurabilità delle proporzioni naturali, la complessità, la indeterminazione e l'infinita mutabilità del mondo. Nel lineare e, al contempo, progressistico mondo di Oresme ogni cosa ogni volta è unica e nuova e perciò allo stesso modo lo è la conoscenza umana. Il modello eccellente di questo nuovo infinito mondo del XIV secolo fu la oresmiana machina musica (in contrapposizione alle infinite ripetizioni presenti nella musica mundana dell'antichità). Per Oresme in modo analogo con la musica, mediante un limitato numero di parametri e proporzioni, chiunque potrebbe produrre delle strutture molto complesse, di infinita mutabilità e mai ripetitive (De configurationibus qualitatum et motuum, De commensurabilitate vel incommensurabilitate, Quaestio contra divinatores)[23]. Basandosi sui principi musico-matematici di incommensurabilità, irrazionalità e complessità, Oresme finalmente creò una dinamica struttura-modello per la formazione di sostanziali specie e individui della natura, la cosiddetta "teoria della perfectio specierum" (De configurationibus qualitatum et motuum, Quaestiones super de generatione et corruptione, Tractatus de perfectionibus specierum). Utilizzando un'analogia delle qualità musicali con le “prime e seconde qualità” di Empedocle, un individuo oresmiano si trasforma in un sistema che si autorganizza e che si preoccupa di raggiungere il suo stato ottimale difendendosi dagli influssi negativi dell'ambiente in cui vive. Questo "controllo iterativo automatico" influenza la forma sostanziale (forma substantialis), già presente, nel senso moderno, nei principi di evoluzione, "adattamento" e "mutazione" del materiale genetico[24].
Evoluzionismo e intellettuali cattolici nel XX secolo
[modifica | modifica wikitesto]Nei primi anni del XX secolo, nel mondo cattolico si riscontrava una generale ostilità all'evoluzionismo; sebbene, la Chiesa non abbia mai preso una posizione ufficiale sulla questione. Nel corso del Novecento alcune alte gerarchie ecclesiastiche con pubbliche affermazioni e documenti ufficiali hanno affermato che la fede cattolica e l'evoluzionismo, in particolare riguardo all'origine dell'uomo, non sono in conflitto; diversi papi si sono esplicitamente espressi favorevolmente riguardo alla conciliabilità dell'evoluzionismo con la fede cattolica. Soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, la teologia cattolica, confrontandosi con la teoria dell'evoluzione, ha fatto importanti progressi ed ha definito alcune fondamentali questioni di fede relative all'origine dell'uomo, all'azione di Dio nel mondo ed alla dottrina sul peccato originale.
La graduale accettazione dell'evoluzionismo nel pensiero cattolico: 1900 - 1950
[modifica | modifica wikitesto]Alla fine del XIX secolo e nella prima parte del XX la generale ostilità del mondo cattolico all'evoluzionismo cominciò ad allentarsi[25]. Non che ci fosse un consenso generalizzato, tutt'altro; molti rimanevano i teologi che si opponevano a queste nuove teorie, né ci furono pronunciamenti ufficiali da parte della Santa Sede, per i quali si dovrà attendere il 1950 con l'enciclica Humani generis di papa Pio XII. Molari[26] riporta la testimonianza di Carlo Colombo, che affermava ci fossero state forti pressioni su Pio XI affinché questi condannasse l'evoluzionismo; tuttavia egli avrebbe rifiutato dicendo che «di casi Galileo nella storia della chiesa ne basta uno solo.»
Ma comunque il clima iniziò a cambiare; finirono le censure e i cattolici cominciarono a discutere di evoluzionismo con maggiore libertà, e il numero di coloro che lo accettavano cresceva pian piano. Questa nuova situazione è ben testimoniata da Antonio Fogazzaro; nel 1898 egli raccolse nell'opera Ascensioni umane diversi suoi testi nei quali illustrava le teoria evoluzionista, e manifestava la convinzione che essa fosse in perfetta armonia con la religione cattolica; Fogazzaro non era uno scienziato né un teologo e i suoi testi erano pieni di allusioni letterarie e poetiche, pertanto la sua opera non è molto interessante né sotto il profilo scientifico né teologico; tuttavia, nel proemio l'autore ben sintetizza il nuovo clima illustrato. Scrive nel proemio:
«Dal giorno in cui difesi per la prima volta la ipotesi evoluzionista contro i suoi avversari religiosi, essi indietreggiarono, abbandonarono trincee di obbiezioni che parevano formidabili. Fuori d'Italia il vessillo dell'evoluzionismo cristiano venne inalberato in adunanze cattoliche solenni. In Italia, libri di ecclesiastici stranieri schiettamente evoluzionisti si tradussero e si pubblicarono con licenze delle Curie vescovili. [...] Se la ipotesi dell'evoluzione viene ancora combattuta fra di noi dal punto di vista religioso e pare odiosa a molti credenti, si è però dimostrata col fatto la libertà nostra di giudicare che, rettamente intesa, essa torna a maggior gloria del Creatore; e fra coloro che le gridano anatema non vi ha più, forse, un solo intelletto alto.»
Nei manuali di teologia comunque le posizioni più diffuse sono ben rappresentate[27] dalla sintesi che Orazio Mazzella (1860 - 1939) fornisce della sua analisi dell'evoluzionismo, nel secondo volume delle Praelectiones scholastico-dogmaticae[28]:
«Se il trasformismo viene inteso in senso rigido e materialistico, è evidente che esso è un errore contrario sia ai principi della fede che al dettato della ragione. Se invece lo si intende in senso più tenue e spiritualistico, in quanto spiega l'origine delle specie inferiori, è un'ipotesi non dimostrata anzi infirmata da gravi ragioni contrarie, ma non si oppone alla fede, come tutti convengono. In quanto poi spiega l'origine dell'uomo non solo è un'ipotesi indimostrata scientificamente, ma anche, secondo l'opinione dei più, non sembra si possa conciliare con i documenti della fede.»
La discussione intorno all'evoluzionismo proseguì quindi senza particolari intoppi nel corso della prima metà del XX secolo, e fu caratterizzata da quattro momenti fondamentali: due pronunciamenti della Pontificia Commissione Biblica sull'interpretazione della Bibbia ed in particolare della Genesi; i lavori dei teologi Henri de Dorlodot ed Ernest C. Messenger; l'originalissima concezione dell'evoluzione sviluppata dal paleontologo gesuita Pierre Teilhard de Chardin.
Direttive dalla Pontificia Commissione Biblica
[modifica | modifica wikitesto]La Pontificia Commissione Biblica si pronunciò due volte, nel 1905 e nel 1909, su questioni pertinenti all'interpretazione della Bibbia in relazione alla questione evoluzionista. Il primo intervento è molto breve e conviene riportarlo integralmente:
«Dubbio. Si può ammettere come principio di retta esegesi la sentenza che sostiene che i libri della sacra Scrittura considerati storici, nella loro totalità o in qualche loro parte, talvolta non riferiscano la storia propriamente detta e oggettivamente vera, ma presentano solamente l'apparenza della storia per significare qualcosa di differente rispetto al senso propriamente letterale o storico delle parole?»
«Risposta. No, eccetto il caso, che non si deve ammettere facilmente o con leggerezza, nel quale, senza opporsi al senso della chiesa e salvo sempre il suo giudizio, si provi con solidi argomenti che l'agiografo non intese riferire una storia vera e propriamente detta, ma sotto il genere e la forma di storia, intese proporre una parabola o un'allegoria o qualche altro significato diverso dal senso propriamente letterale o storico delle parole.»
In poche parole si ammette che, in casi particolari, quella che sembra una narrazione storica potrebbe essere interpretata allegoricamente o come una parabola.
Il secondo intervento invece è più complesso, riguarda specificamente la Genesi e stabilisce alcuni importanti limiti entro i quali essa possa essere reinterpretata. Nei primi due paragrafi viene chiaramente affermato che non si possa escludere il senso letterale dei primi tre capitoli, e che non sia lecito affermare che essi contengano non la narrazione di fatti realmente accaduti, ma favole derivanti da miti antichi oppure allegorie e simboli, utilizzati, in forma di storia, per insegnare verità religiose e filosofiche.
Nel terzo paragrafo si nega la possibilità di mettere in dubbio i seguenti insegnamenti fondamentali:
«la creazione di tutte le cose operata da Dio all'inizio del tempo; la particolare creazione dell'uomo; la formazione della prima donna dal primo uomo; l'unità del genere umano; la felicità originale dei progenitori nello stato di giustizia, integrità e immortalità; l'ordine dato da Dio all'uomo per mettere alla prova la sua obbedienza; la trasgressione dell'ordine divino per istigazione del diavolo sotto l'apparenza di un serpente; la perdita dei progenitori di quel primitivo stato d'innocenza; e la promessa di un Redentore futuro.»
Questa rigidezza iniziale viene però molto mitigata nei successivi paragrafi. Nel paragrafo 4 si stabilisce che nelle parti in cui l'interpretazione sia stata lasciata indefinita dai Padri e dai Dottori della Chiesa, sia lecito proporre nuove opinioni purché prudenti e sempre rimettendosi al giudizio della Chiesa. Nel paragrafo 5 si ammette la possibilità di allontanarsi dal senso proprio delle parole e delle frasi che alla ragione appaiano chiaramente inaccettabili, improprie od utilizzate in senso metaforico. Nel paragrafo 6 si ammette che alcuni passi, pur presupponendo il fondamentale carattere storico, possano essere interpretati allegoricamente secondo l'esempio dei Padri e della Chiesa. Nel paragrafo 7 viene affermato che non sia necessario ricercare l'esattezza scientifica nel racconto della creazione. Infine, nel paragrafo 8, relativamente al racconto della creazione in sei giorni, si ammette che la parola ebraica Yom (giorno) possa essere interpretata come un periodo di tempo indefinito.
La ricezione del pensiero di Teilhard de Chardin da parte della Chiesa
[modifica | modifica wikitesto]L'interpretazione del pensiero di Teilhard de Chardin ha comportato notevoli problemi per i teologi[29]. Teilhard elabora, senza dubbio, una visione profondamente cristiana della natura, muovendosi tra risultati scientifici, testi biblici e teologia; per fare questo egli elabora un linguaggio nuovo, facendo uso di neologismi e metafore, e spostando spesso sul piano metafisico e teologico termini e concetti prettamente scientifici. Questo è il motivo per cui i teologi, formati sulla metafisica e sulla teologia classica, hanno trovato molta difficoltà ad interpretare i testi di Teilhard e a verificarne l'ortodossia. Teilhard restò sempre, indubbiamente, cristiano e cattolico, ma lo studio e l'esposizione dei suoi testi richiede, per la Chiesa, particolare prudenza.
Per questi motivi, durante la sua vita, Teilhard fu oggetto di alcuni provvedimenti disciplinari all'interno della Compagnia di Gesù, che gli impedirono di insegnare materie di tipo filosofico o teologico e di pubblicare testi su questi argomenti. Nel 1962 il Sant'Uffizio pubblicò il seguente Monitum[30]:
«Certe opere del P. Pietro Theilard de Chardin, comprese anche alcune postume, vengono pubblicate ed incontrano un favore tutt'altro che piccolo (affatto disdicevole). Indipendentemente dal dovuto giudizio in quanto attiene alle scienze positive, in materia di Filosofia e Teologia si vede chiaramente che le opere menzionate racchiudono tali ambiguità ed anche errori tanto gravi, che offendono la dottrina cattolica. Di conseguenza, gli Eccellentissimi e Reverendissimi Padri della Suprema Congregazione del Santo Ufficio esortano tutti gli Ordinari e i superiori di Istituti Religiosi, i Rettori di Seminari e i Direttori delle Università, a difendere gli spiriti, particolarmente dei giovani, dai pericoli delle opere di P. Theilard de Chardin e dei suoi discepoli. - Dato in Roma, nel Palazzo del Santo Ufficio, il 30 giugno 1962»
Il Monitum non specifica quali siano effettivamente gli errori e le ambiguità, ma si può ipotizzare[29] che si riferisse ad una possibile visione panteistica, ad un'insufficiente separazione ontologica tra materia e spirito, ad un'idea determinista dell'incarnazione e ad un'errata comprensione del peccato originale.
Il cardinale Henri-Marie de Lubac tentò di esporre e di sintetizzare il pensiero di Teilhard de Chardin in un libro pubblicato nel 1962[31], al termine del quale si dichiarò convinto di aver mostrato la perfetta ortodossia dello scienziato gesuita. Questo giudizio tuttavia non fu unanimemente condiviso, come spiegato in un articolo de L'Osservatore Romano del 30 giugno 1962[32] che riportò anche il Monitum.
Papa Paolo VI invece, in una sua allocuzione del 1966[33], di Teilhard de Chardin disse
«... che ha dato una spiegazione dell’universo e, tra tante fantasie, tante cose inesatte, ha saputo leggere dentro le cose un principio intelligente che deve chiamarsi Iddio.»
Nel 1981, il Cardinale Segretario di Stato Agostino Casaroli, in una lettera[34] a monsignor Paul Poupard e riportata da L'Osservatore Romano, parla di Teilhard de Chardin:
«Una forte intuizione poetica del valore profondo della natura, una percezione acuta del dinamismo della creazione, un’ampia visione del divenire del mondo s’intrecciavano in lui con un innegabile fervore religioso.»
ed aggiunge:
«Senza dubbio il nostro tempo ricorderà, al di là delle difficoltà della concezione e le deficienze dell’espressione di questo audace tentativo di sintesi, la testimonianza della vita tutta di un pezzo di un uomo afferrato da Cristo nel profondo del suo essere, e che ha avuto la preoccupazione di onorare nello stesso tempo la fede e la ragione, rispondendo quasi in anticipo a Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura, aprite, spalancate le porte a Cristo, gli immensi campi della cultura della civiltà, dello sviluppo”.»
Dopo questa lettera, in un articolo de L'Osservatore Romano dell'11 luglio 1981, la sala stampa della Santa Sede spiegò che le parole di Agostino Casaroli non dovessero essere intese come una completa riabilitazione di Teilhard de Chardin e che diversi aspetti problematici del suo pensiero non erano ancora stati chiariti.
Ancora oggi la discussione resta aperta e, come spiega Giuseppe Tanzella Nitti[29],
«il credente che desideri accostarsi alle opere di Teilhard lo faccia dall'interno di un quadro teologico nel quale una precisa conoscenza dei principali contenuti della Rivelazione non solo lo protegga dall'estrapolare o dal fraintendere il pensiero dell'Autore, ma possa addirittura aiutarne una comprensione matura, chiarendo ciò che nel linguaggio esperienziale e mistico del pensatore gesuita potrebbe restare dogmaticamente incompiuto. Sarà probabilmente il tempo a dirci, come avvenuto in occasione di altri autori, se una nuova contestualizzazione del pensiero di Teilhard potrebbe mutarne il sobrio ma significativo giudizio disciplinare, e su quali aspetti della sua sintesi intellettuale i Pastori della Chiesa vorranno eventualmente intervenire, se lo riterranno opportuno, con ulteriori indicazioni.»
La Chiesa ammette l'evoluzionismo
[modifica | modifica wikitesto]Pio XII e l'enciclica Humani Generis
[modifica | modifica wikitesto]Il dibattito teologico precedente la Humani generis
[modifica | modifica wikitesto]Nella prima metà del XX secolo emersero nel dibattito teologico particolari posizioni che deviavano dalla tradizione e che suscitavano preoccupazione nella Chiesa di Roma[35][36][37]. Le questioni sulle quali si discuteva riguardavano diversi argomenti, non solo l'evoluzionismo, sui quali intervenne il magistero di papa Pio XII nel 1950 con l'enciclica Humani generis[36][38].
In particolare erano circolati, all'interno di università e scuole di teologia cattoliche, diversi testi anonimi in cui venivano esposte interpretazioni filosofiche e teologiche dell'evoluzionismo tutt'altro che ortodosse[36]. In uno di questi testi ad esempio si affermava che l'evoluzionismo costituisse ormai, innegabilmente, un nuovo modo di pensare e di ragionare e che, soprattutto, non era più chiaro che cosa fosse la materia ed in che cosa essa differisse dalla vita e dallo spirito (ammesso che delle differenze effettivamente ci fossero). In questo modo si rischiava di negare l'esistenza di punti fermi nel pensiero teologico, che sarebbe stato anch'esso soggetto ad evoluzione, e si introduceva nella realtà un monismo in cui materia e spirito sarebbero stati indistinti. In un altro testo si spiegava che Cristo stesso sarebbe la guida, la direzione, ed il polo verso il quale convergerebbe l'evoluzione universale; l'uomo sarebbe un tutt'uno con l'intero universo, che attraverso l'evoluzione si avvicinerebbe ed infine si unirebbe a Dio, realizzando così una sorta di panteismo.
Il 30 novembre 1941, Pio XII tenne, davanti agli accademici pontifici, un discorso in cui fornì ai teologi alcune indicazioni sulla questione evoluzionista[39][40]. Il Papa indicò tre elementi che si dovessero ritenere come sicuramente affermati dal testo sacro, senza ammettere interpretazioni allegoriche: 1) La superiorità dell'uomo rispetto a tutti gli altri animali, dovuta alla sua anima spirituale; 2) la derivazione del corpo della prima donna da quello del primo uomo; 3) l'impossibilità che padre e progenitore di un uomo possa essere altri che un uomo, l'impossibilità cioè che il primo uomo possa essere figlio di un bruto, generato quindi in senso proprio da esso. Tuttavia poi concludeva il discorso spiegando:
«Le molteplici ricerche, sia della paleontologia, che della biologia e della morfologia su altri problemi riguardanti le origini dell'uomo, non hanno finora apportato nulla di positivamente chiaro e certo. Non rimane quindi che lasciare all'avvenire la risposta al quesito, se un giorno la scienza, illuminata e guidata dalla rivelazione, potrà dare sicuri e definitivi risultati sopra un argomento così importante»
Molari scrive che[41] la forma è molto guardinga, i limiti sono ancora ben segnati, ma la porta è aperta.
Tra il 1930 ed il 1950 il numero di teologi che affermavano la conciliabilità dell'evoluzionismo con la fede cattolica era stato in continuo aumento, ed anche coloro che ancora lo rifiutavano avevano comunque addolcito le loro critiche[40]. La stessa Civiltà Cattolica, in un articolo del 1946[42], pur ricordando che gli entusiasti dell'evoluzionismo
«dimenticano un po' troppo i fatti per fondarsi quasi esclusivamente sulle loro speranze, che la nostra fede sull'evoluzione è presentemente di origine intuitiva, metafisica si potrebbe dire, piuttosto che scientifica»
prosegue spiegando:
«E d'altra parte riteniamo non meno prudente di far presente a certi fissisti intransigenti che l'origine del corpo umano per evoluzione, nel senso permesso dalla rivelazione, è una possibilità che viene accreditata, come pare, dai continui reperti della paleoantropologia. La posizione più sicura a questo riguardo è quella del Santo Padre in uno stupendo discorso agli accademici pontifici.»
Nel 1948, il teologo della Pontificia Università Gregoriana Maurizio Flick riassumeva il dibattito teologico successivo al discorso del Papa[40]. In primo luogo spiegava che era ormai ammissibile affermare che, nella creazione del corpo dell'uomo, Dio si fosse servito anche di cause seconde; secondariamente, pur seguendo la lezione del Papa e quindi non ammettendo la generazione in senso proprio dell'uomo da un bruto, si poteva concedere che il regno animale avesse contribuito alla formazione del corpo umano attraverso l'evoluzione; fermo restando il fatto che l'uomo era da considerarsi superiore a tutti gli altri animali per via della sua anima creata immediatamente da Dio. L'intervento di Dio era quindi da considerarsi necessario pur ammettendo i meccanismi evolutivi per il corpo dell'uomo. Risultava quindi inammissibile una dottrina evoluzionista che sostenga la spontanea trasformazione delle specie viventi inferiori in superiori, senza ricorso ad uno speciale intervento divino, però
«se si ritenga necessaria, come si deve ritenere, una speciale azione di Dio per la formazione del corpo del primo uomo, anche se si ammetta quest'azione essersi esercitata sopra un organismo già vivente, ogni difficoltà sparisce. Dipendendo infatti l'intervento di Dio unicamente dalla Sua libera volontà, esso ha potuto esercitarsi quando, come e dove Egli ha voluto secondo i suoi piani provvidenziali.»
Flick spiegava poi che, in rapporto alla questione evoluzionista, non era possibile ricavare dalla lettura dei Padri della Chiesa un'interpretazione sicura ed unanime dei primi capitoli della Genesi. Le interpretazioni completamente letterali erano comunque da respingere e si potevano ammettere letture allegoriche, come già aveva detto la Pontificia Commissione Biblica nel 1909; infatti se, ad esempio, si fosse voluto interpretare alla lettera il racconto di Dio che plasma il corpo dell'uomo dal fango della terra e poi gli soffia nelle narici lo spirito vitale, allora si sarebbe caduti nell'errore di un antropomorfismo in cui Dio avrebbe assunto forma e comportamenti umani per creare l'uomo. Flick citava anche l'enciclica Divino Afflante Spiritu di Pio XII, riguardante gli studi biblici e l'esegesi, dove il Papa spiegava che[43]
«ciò che quegli antichi hanno voluto significare con le loro parole non va determinato soltanto con le leggi della grammatica o della filologia, o arguito dal contesto; l'interprete deve quasi tornare con la mente a quei remoti secoli dell'Oriente e con l'appoggio della storia, dell'archeologia, dell'etnologia e di altre scienze, nettamente discernere quali generi letterari abbiano voluto adoperare gli scrittori di quella remota età. Infatti gli antichi Orientali per esprimere i loro concetti non sempre usarono quelle forme o generi del dire, che usiamo noi oggi; ma piuttosto quelle ch'erano in uso tra le persone dei loro tempi e dei loro paesi. [...] a nessuno che abbia un giusto concetto dell'ispirazione biblica farà meraviglia che anche negli Scrittori Sacri, come in tutti gli antichi, si trovino certe maniere di esporre e di narrare, certi idiotismi, propri specialmente delle lingue semitiche, certi modi iperbolici od approssimativi, talora anzi paradossali, che servono a meglio stampar nella mente ciò che si vuol dire.»
Da tutto questo Flick ne ricavava che:
«Stando le cose in questi termini, non sembra veramente possibile affermare senz'altro che il sacro testo insegna aver Dio immediatamente formato il corpo del primo uomo da una materia inorganica, semplicemente perché in esso leggiamo che Dio lo formò con polvere del suolo, e che ricevendo l'anima, l'uomo diventò anima vivente.»
Flick concludeva affermando che l'evoluzionismo era possibile alla luce della ragione, e che non poteva essere escluso dalle fonti della Rivelazione. Tuttavia, notava, per un giudizio conclusivo sarebbero state necessarie ulteriori investigazioni della scienza illuminata dalla fede.
Ancora abbastanza problematica continuava invece ad essere l'interpretazione del racconto della creazione di Eva dal corpo di Adamo, infatti
«si potrà anche in questo caso ricorrere ad un'interpretazione non strettamente letterale del racconto genesiaco se si tratti di determinare il modo con cui il corpo di Eva derivò dal corpo di Adamo, ma è assolutamente necessario ritenere almeno il fatto della derivazione, se non si voglia svuotare di ogni significato un'affermazione che è contenuta nelle fonti della rivelazione.»
L'enciclica Humani generis
[modifica | modifica wikitesto]Il 22 agosto 1950, Pio XII pubblicò l'enciclica Humani Generis, circa alcune false opinioni che minacciano di sovvertire i fondamenti della dottrina cattolica. Nell'introduzione dell'enciclica il Papa respinge le nuove opinioni teologiche che sono state esposte nel paragrafo precedente. Scrive Pio XII:
«Chiunque osservi il mondo odierno, che è fuori dell'ovile di Cristo, facilmente potrà vedere le principali vie per le quali i dotti si sono incamminati. Alcuni, senza prudenza né discernimento, ammettono e fanno valere per origine di tutte le cose il sistema evoluzionistico, pur non essendo esso indiscutibilmente provato nel campo stesso delle scienze naturali, e con temerarietà sostengono l'ipotesi monistica e panteistica dell'universo soggetto a continua evoluzione. Di quest’ipotesi volentieri si servono i fautori del comunismo per farsi difensori e propagandisti del loro materialismo dialettico e togliere dalle menti ogni nozione di Dio.[44]»
E continua poi esponendo le conseguenze di tali posizioni:
«Le false affermazioni di siffatto evoluzionismo, per cui viene ripudiato quanto vi è di assoluto, fermo ed immutabile, hanno preparato la strada alle aberrazioni di una nuova filosofia che, facendo concorrenza all'idealismo, all'immanentismo e al pragmatismo, ha preso il nome di "esistenzialismo" perché, ripudiate le essenze immutabili delle cose, si preoccupa solo della "esistenza" dei singoli individui.[44]»
«Si aggiunge a ciò un falso "storicismo" che si attiene solo agli eventi della vita umana e rovina le fondamenta di qualsiasi verità e legge assoluta sia nel campo della filosofia, sia in quello dei dogmi cristiani.[44]»
Fin qui il Papa si limita a prendere in considerazione soltanto alcune interpretazioni teologiche e filosofiche dell'evoluzionismo, mentre più avanti, nella parte quarta, si occupa specificamente dell'evoluzionismo come teoria propriamente biologica. Premette alcune considerazioni generali sulle scienze positive:
«Rimane ora da parlare di quelle questioni che, pur appartenendo alle scienze positive, sono più o meno connesse con le verità della fede cristiana. Non pochi chiedono instantemente che la religione cattolica tenga massimo conto di quelle scienze. Il che è senza dubbio cosa lodevole, quando si tratta di fatti realmente dimostrati; ma bisogna andar cauti quando si tratta piuttosto di ipotesi, benché in qualche modo fondate scientificamente, nelle quali si tocca la dottrina contenuta nella Sacra Scrittura o anche nella tradizione. Se tali ipotesi vanno direttamente o indirettamente contro la dottrina rivelata, non possono ammettersi in alcun modo.»
Questo passo, come si vede, è in linea con gli insegnamenti della Providentissimus Deus di Leone XIII[45], che Pio XII aveva già esplicitamente richiamato nella seconda parte della Humani Generis.
Dopo queste considerazioni generali, viene esplicitamente accettato l'evoluzionismo applicato al corpo dell'uomo, invocando comunque prudenza nel trattare tale questione:
«Per queste ragioni il Magistero della Chiesa non proibisce che in conformità dell'attuale stato delle scienze e della teologia, sia oggetto di ricerche e di discussioni, da parte dei competenti in tutti e due i campi, la dottrina dell'evoluzionismo, in quanto cioè essa fa ricerche sull'origine del corpo umano, che proverrebbe da materia organica preesistente (la fede cattolica ci obbliga a ritenere che le anime sono state create immediatamente da Dio). Però questo deve essere fatto in tale modo che le ragioni delle due opinioni, cioè di quella favorevole e di quella contraria all'evoluzionismo, siano ponderate e giudicate con la necessaria serietà, moderazione e misura e purché tutti siano pronti a sottostare al giudizio della Chiesa, alla quale Cristo ha affidato l'ufficio di interpretare autenticamente la Sacra Scrittura e di difendere i dogmi della fede. Però alcuni oltrepassano questa libertà di discussione, agendo in modo come fosse già dimostrata con totale certezza la stessa origine del corpo umano dalla materia organica preesistente, valendosi di dati indiziali finora raccolti e di ragionamenti basati sui medesimi indizi; e ciò come se nelle fonti della divina Rivelazione non vi fosse nulla che esiga in questa materia la più grande moderazione e cautela.»
Tale posizione moderata di Pio XII in relazione all'evoluzione, gli fu suggerita dal gesuita, antropologo, biologo e professore universitario alla Pontificia Università Gregoriana, Vittorio Marcozzi (1908-2005).[46]
Le ultime resistenze
[modifica | modifica wikitesto]Nonostante la Humani Generis, fino alla fine degli anni 50, la maggior parte dei teologi era ancora restia ad ammettere l'evoluzionismo[47]. Certamente era scomparsa ormai l'ostilità, tuttavia essi continuavano a muoversi con molta moderazione e prudenza. Nel 1951, Réginald Garrigou-Lagrange scriveva che[48]
«la creazione immediata dell'anima dal nulla è dogma di fede, secondo la predicazione della chiesa universale e i concili, e secondo la comune dottrina dei Padri e dei teologi il corpo del primo uomo è stato formato da Dio dalla terra senza trasformazione di specie con azione speciale ed immediata»
E conclude:
«Veramente non sembra assurdo in assoluto che Dio abbia infuso un'energia in un organismo animale. Ma questa è una pura e gratuita ipotesi, non fondata sui fatti e contraria al senso letterale almeno proprio della narrazione biblica.»
Nel 1958, J. F. Sagües sosteneva[49], citando numerosi teologi, che escludere il trasformismo naturale per il corpo umano fosse un'opinione teologicamente certa, e giudicava probabile anche l'opinione che escludeva completamente l'evoluzionismo.
Non mancavano comunque posizioni più moderate, come quella di M. Schmaus che, dopo aver esposto diverse argomentazioni teologiche contro la derivazione dell'uomo dall'animale, scriveva[50]:
«Nello stato attuale delle cose è prudente attendere che nuove scoperte confermino o meno il problema lasciato aperto dalla Bibbia, circa la derivazione dell'uomo dall'animale.»
Ed aggiunge che
«anche le decisioni della chiesa si muovono in questa direzione.»
A differenza dei teologi, i biblisti, dopo l'enciclica Divino Afflante Spiritu, cominciarono a muoversi con maggiore libertà[51]. Certamente restavano ancora diversi esegeti, soprattutto i più anziani, che ancora si mostravano molto ostili all'evoluzionismo; ad esempio Gaetano Maria Perella (1890 - 1946), in un volume pubblicato postumo[52], dopo aver enunciato come principio generale che la Bibbia non intende dare insegnamenti su questioni scientifiche, affermava che a questa regola esistessero alcune eccezioni: la Bibbia insegna la creazione divina della materia e degli esseri viventi, quindi non si poteva ammettere l'eternità della materia e l'origine spontanea della vita; la Bibbia racconta di un intervento speciale di Dio nella creazione dell'uomo, quindi era inaccettabile il trasformismo assoluto e materialista di Darwin. Nel manuale molto diffuso di Simón-Prado[53], gli autori scrivevano invece che l'evoluzionismo non fosse ancora sufficientemente provato neanche sul piano paleontologico, quindi giudicavano incauta la tesi di quei teologi che sostenevano la possibilità di un trasformismo mitigato, secondo il quale Dio avrebbe formato il corpo dell'uomo da quello di un bruto; tale tesi era, secondo Simón-Prado, contraria al senso ovvio della Scrittura, e avrebbe dovuto essere respinta fino a che non si fossero trovati argomenti più solidi con i quali sostenerla.
Ma queste erano eccezioni; la maggioranza dei biblisti infatti si spostò verso interpretazioni più libere, avendo ormai accettato il fatto che i risultati scientifici richiedessero lo sviluppo di nuovi metodi ermeneutici; nel Dictionnaire de théologie catholique, il biblista Albert Gelin scrisse[54]:
«Possiamo attribuire alla scienza, in rapporto ai dai biblici, un vero ruolo riduttivo: dissolvendo poco a poco nei testi ciò che apparteneva a rappresentazioni imperfette nell'ordine scientifico, essa aiuta la teologia a discernervi con maggiore esattezza le affermazioni assolute»
Ma nonostante l'attenzione nei confronti delle scienze, gli esegeti dovevano anche cercare di mantenere una certa autonomia rispetto ad esse; a proposito di questo scriveva Franco Festorazzi[55]:
«Un esegeta [...] deve ricercare ciò che l'agiografo (Dio) ha voluto di fatto dire, sicuro che non ci sarà possibilità di contraddizione con ciò che la scienza afferma. Un'ipotesi scientifica può servire al massimo per stimolare o suscitare un approfondimento dell'esegesi, non certo per guidarla. Ci sarebbero in tal caso per lo meno due pericoli: quello di generare il sospetto di esegesi "opportunistica", o la tentazione di cadere nel concordismo. Per questo è almeno "psicologicamente" sbagliato partire da un presupposto scientifico in un'indagine biblica.»
Negli anni '60 comunque le cose cambiarono completamente, ed anche la maggioranza schiacciante dei teologi si schierò a difesa dell'evoluzionismo[56]. In questo cambiamento, furono certamente molto influenti le riflessioni di Pierre Teilhard de Chardin, i cui testi ebbero in quel periodo grandissima diffusione, nonostante le riserve espresse dalla Santa Sede. Fondamentale fu il riconoscimento da parte dei teologi dell'evoluzione come legge cosmica, non riguardante soltanto la formazione delle specie viventi, ma l'intero universo. Pierre Smulders scriveva[57]:
«Ai nostri giorni, quando abbiamo cominciato a scoprire che non solo l'origine delle nuove specie, ma anche quella della vita e della terra sono eventi intratemporali e intracosmici, la scienza deve ricercarne le cause naturali. Il rispetto del creatore e della creazione obbliga la scienza attuale a non prendere più in considerazione quella che è stata chiamata "l'ipotesi creazionista", termine infelice e fallace per designare l'intervento divino nella costituzione delle diverse specie. Malgrado tutte le oscurità e le incertezze, la scienza deve riconoscere l'evoluzione come un fatto.»
Estremamente significativo è l'itinerario esposto dagli importanti teologi Maurizio Flick e Zoltan Alszeghy[58]:
«Negli anni cinquanta, il trasformismo ci è sembrato una teoria biologica; in seguito ad un contatto più approfondito con il pensiero di Teilhard de Chardin ci siamo resi conto che l'evoluzione è una legge cosmica, valevole per tutto il mondo fenomenale, che abbraccia tutti gli esseri visibili, cominciando dall'atomo, fino al pieno sviluppo dell'umanità, specie dell'evoluzione.»
L'esegesi biblica moderna
[modifica | modifica wikitesto]La maggiore libertà dei biblisti nell'occuparsi dell'evoluzionismo derivava essenzialmente dagli insegnamenti dell'enciclica Divino Afflante Spiritu (1943) di papa Pio XII, che poneva come condizione necessaria per una corretta esegesi la precisa determinazione del genere letterario della Scrittura[43]:
«L'esegeta cattolico, per rispondere agli odierni bisogni degli studi biblici, nell'esporre la Sacra Scrittura e nel mostrarla immune da ogni errore, com'è suo dovere, faccia pure prudente uso di questo mezzo, di ricercare cioè quanto la forma del dire o il genere letterario adottato dall'agiografo possano condurre alla retta e genuina interpretazione; e si persuada che in questa parte del suo ufficio non può essere trascurato senza recare gran danno all'esegesi cattolica. Infatti per portare solo un esempio quando taluni presumono rinfacciare ai Sacri Autori qualche errore storico o inesattezza nel riferire i fatti, se si guarda ben da vicino, si trova che si tratta semplicemente di quelle native maniere di dire o di raccontare, che gli antichi solevano adoperare nel mutuo scambio delle idee nell'umano consorzio, e che realmente si tenevano lecite nella comune usanza. Quando dunque tali maniere si incontrano nella divina parola, che per gli uomini si esprime con linguaggio umano, giustizia vuole che non si taccino d'errore più che quando occorrono nella quotidiana consuetudine della vita. Con l'accennata conoscenza e l'esatta valutazione dei modi ed usi di parlare e di scrivere presso gli antichi, si potranno sciogliere molte obbiezioni sollevate contro la veridicità e il valore storico delle divine Scritture; e non meno porterà un tale studio ad una più piena e più luminosa comprensione del pensiero del Sacro Autore.»
Questa posizione venne in seguito ribadita nel 1965 in uno dei principali documenti approvati durante il Concilio Vaticano II, la Costituzione Dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum[59]. Essa, dopo aver ricordato che
«i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture»
spiega:
«Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l'interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole. Per ricavare l'intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l'altro anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa in testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o anche in altri generi di espressione. È necessario adunque che l'interprete ricerchi il senso che l'agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso. Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l'autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell'agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani.»
Quando allora fu appurato che il racconto genesiaco presenta molte analogie con altre cosmogonie orientali, ed una volta stabilito che queste ultime utilizzassero un genere mitico, venne posto il problema se anche la Genesi potesse essere interpretata come un mito[60]. I biblisti preferirono parlare di racconto eziologico sapienziale con elementi mitici: eziologia, oppure etiologia (dal greco αἰτία, aitia = causa), si ha quando si costruisce un racconto che, indicando delle cause in eventi del passato, spiega una situazione attuale. Si è ormai stabilito che i racconti della Genesi utilizzino un linguaggio simbolico primitivo, soltanto attraverso il quale è possibile cogliere gli aspetti più complessi dell'esperienza umana. Questi racconti evocano infatti importanti esperienze collettive e remote come, ad esempio, la scoperta della vita, dell'amore, del peccato e della morte; questi racconti non sono pertanto la semplice narrazione di eventi ma, utilizzando un linguaggio storico, trasmettono messaggi complessi relativi ad esperienze primordiali comuni a tutta l'umanità.
Un aspetto del racconto genesiaco che chiaramente presenta aspetti mitologici è quello relativo allo stato primitivo dell'umanità[61]. Tradizionalmente fino agli anni '50, nei manuali di teologia veniva esposta la dottrina della perfezione dello stato originario dell'uomo appena creato da Dio; ciò che caratterizzava questa perfezione era l'immortalità, l'assenza di concupiscenza e la possibilità di vivere nell'agiatezza all'interno di un ambiente accogliente (vedi Giardino dell'Eden). Negli anni '50 e '60 lo stato primitivo dell'uomo venne però completamente demitizzato; si riconobbe che le abituali descrizioni dell'umanità primitiva non appartenevano alla fede, ma risalivano a tradizioni e mitologie popolari. In particolare, l'idea che è una cosa è più perfetta quanto più è vicina all'origine, era legata ad una concezione fissista del mondo che era stata ormai definitivamente abbandonata[62].
Nuovi sviluppi della teologia negli anni '60 e '70
[modifica | modifica wikitesto]Le questioni in campo
[modifica | modifica wikitesto]Nonostante nell'enciclica Humani Generis venisse accettato l'evoluzionismo, alcuni problemi continuavano a restare in campo. La stessa Humani Generis, immediatamente di seguito alla parte sull'evoluzionismo, proseguiva dicendo:
«Però quando si tratta dell'altra ipotesi, cioè del poligenismo, allora i figli della Chiesa non godono affatto della medesima libertà. I fedeli non possono abbracciare quell'opinione i cui assertori insegnano che dopo Adamo sono esistiti qui sulla terra veri uomini che non hanno avuto origine, per generazione naturale, dal medesimo come da progenitore di tutti gli uomini, oppure che Adamo rappresenta l'insieme di molti progenitori; non appare in nessun modo come queste affermazioni si possano accordare con quanto le fonti della Rivelazione e gli atti del Magistero della Chiesa ci insegnano circa il peccato originale, che proviene da un peccato veramente commesso da Adamo individualmente e personalmente, e che, trasmesso a tutti per generazione, è inerente in ciascun uomo come suo proprio (confronta Romani V, 12-19; Concilio Tridentino, sessione V, canoni 1-4).»
In teologia, il poligenismo indica[63] l'ipotesi che l'umanità discenda da più coppie originarie; tale ipotesi si contrappone, ovviamente, al monogenismo, ovvero l'ipotesi che tutta l'umanità discenda da una sola coppia primitiva (Adamo ed Eva). In ambito scientifico invece viene più che altro utilizzato il termine polifiletismo, che indica la pluralità di rami (ceppi, phyla) originari e si contrappone al monofiletismo (un solo ramo originario per tutta l'umanità). Il poligenismo è compatibile sia con il polifiletismo che con il monofiletismo, mentre il monogenismo implica necessariamente il monofiletismo. Dal punto di vista scientifico è interessante discutere il polifiletismo ed il monofiletismo, mentre che gli uomini derivino da una o più coppie è un problema secondario per gli scienziati anche se comunque, attualmente, il monogenismo sembra essere confutato[64]. Per i teologi invece il problema è tutt'altro che secondario, perché la dottrina tradizionale sul peccato originale insegnava che esso fosse un peccato realmente e personalmente commesso, secondo il racconto genesiaco, da una coppia primitiva, dalla quale poi sarebbe stato trasmesso a tutti i discendenti; accettando la dottrina tradizionale, il poligenismo avrebbe allora implicato l'esistenza di uomini senza peccato originale.
Anche Paolo VI, l'11 luglio 1966, pose ancora esplicitamente questo problema in un discorso che fu tenuto ai partecipanti ad un simposio organizzato dai rettori delle Università pontificie e tenutosi a Nemi[65]:
«È evidente, perciò, che vi sembreranno inconciliabili con la genuina dottrina cattolica le spiegazioni che del peccato originale danno alcuni autori moderni, i quali, partendo dal presupposto, che non è stato dimostrato, del poligenismo, negano, più o meno chiaramente, che il peccato, donde è derivata tanta colluvie di mali nell’umanità, sia stato anzitutto la disobbedienza di Adamo «primo uomo», figura di quello futuro (Concilio Vaticano II, Costituzione Gaudium et spes, numero 22; confronta anche numero 13) commessa all’inizio della storia. Per conseguenza, tali spiegazioni neppur s’accordano con l’insegnamento della Sacra Scrittura, della Sacra Tradizione e del Magistero della Chiesa, secondo il quale il peccato del primo uomo è trasmesso a tutti i suoi discendenti non per via d’imitazione ma di propagazione, «inest unicuique proprium», ed è «mors animae», cioè privazione e non semplice carenza di santità e di giustizia anche nei bambini appena nati (confronta Concilio Tridentino, sessione V, canoni 2-3).»
Paolo VI continuava inoltre il suo discorso esponendo ancora una particolare riserva su come conciliare l'evoluzionismo con la creazione dell'anima:
«Ma anche la teoria dell’evoluzionismo non vi sembrerà accettabile qualora non si accordi decisamente con la creazione immediata di tutte e singole le anime umane da Dio, e non ritenga decisiva l’importanza che per le sorti dell’umanità ha avuto la disobbedienza di Adamo, protoparente universale (confronta Concilio Tridentino, sessione V, canone 2). La quale disubbidienza non dovrà pensarsi come se non avesse fatto perdere ad Adamo la santità e giustizia in cui fu costituito (confronta Concilio Tridentino, sessione V, canone 1).»
Come scrive Molari[66] «gli altri aspetti del problema a questo punto sono tutti scomparsi. Non passerà molto tempo che anche gli ultimi due scompariranno come problemi. Anzi, ad essere esatti, per la teologia essi erano già diventati insignificanti».
L'azione di Dio nel Mondo e la creazione dell'anima
[modifica | modifica wikitesto]Per i teologi l'evoluzione era un aspetto particolare di un problema più generale, quello di capire come il più proceda dal meno, come una perfezione derivi da una causa inferiore[67]; nell'origine della vita si passa dalla materia inorganica alla vita vegetativa, poi dalla vita animale al corpo umano e alla creazione della sua anima. In tutti questi casi i teologi riconoscevano sempre che l'effetto eccedesse la causa, pertanto postulavano l'intervento speciale di Dio. In particolare (come già esposto al paragrafo su Ernest C. Messenger) i teologi ricorrevano alle nozioni di causa prima e causa principale.
Dio è innanzitutto causa prima, ovvero il fondamento di tutte le cose che vengono dette cause seconde. Ma nei casi in cui gli effetti eccedono le possibilità delle cause seconde, allora Dio interverrebbe come causa principale utilizzando le creature come cause strumentali, così come uno scultore (causa principale) utilizza uno scalpello (causa strumentale) per fare una statua[68]. Ma se in un primo tempo questo speciale intervento di Dio veniva considerato come un vero e proprio miracolo, in seguito tale concezione venne completamente abbandonata, e si accettò la lezione che l'intervento divino è invisibile ed in nessun modo può essere rilevato dai sensi[69], introducendo così il concetto di concorso evolutivo, così come spiegavano Maurizio Flick e Zoltan Alszeghy (1969)[70]:
«Dio non opera in questo modo dando colpi di pollice per supplire le cause create, e la riflessione ermeneutica ci ha insegnato che non ci sono argomenti teologici per un "intervento" che implichi l'interruzione della catena delle cause seconde. Il concetto di concorso creativo di Dio [...] può essere utilizzato per spiegare anche l'ominizzazione, ed in genere l'evoluzione dalle specie inferiori alle specie superiori. Dio opera, non parallelamente o successivamente all'azione dell'organismo generante, ma attraverso di essa, non supplendo una causalità deficiente, ma facendo sì che l'organismo generante possa esercitare una causalità, che supera la propria capacità naturale. Dio con il suo concorso evolutivo, agisce non solo come causa prima (facendo che la creatura agisca restando sul piano della propria essenza), ma anche come causa principale (che eleva la causa creata a produrre effetti non proporzionati ad essa.»
Ma in questo modo sparisce la distinzione tra causa prima e causa principale, ed esse divengono, in Dio, una cosa sola. L'azione di Dio nel cosmo non viene più vista come un intervento diretto, bensì essa diventa azione puramente creatrice e trascendente. Secondo questa nuova concezione «Dio non produce le cose,» scrive Molari[71], «ma fa sì che esse, attraverso rapporti, diventino e si sviluppino». Sempre Flick e Alszeghy scrivevano che[72]
«Dio costruisce e guida il suo mondo senza interrompere o sostituire la serie delle cause seconde, quasi nascondendosi dietro a queste cause, a cui egli dà l'azione e l'efficacia.»
Il cambiamento definitivo della concezione dell'azione di Dio nel mondo si ebbe con Karl Rahner[73]. Egli osservava[74] che per qualunque effetto osservato nel mondo si potesse, e si dovesse, cercare la causa nel mondo stesso, dal momento che Dio agisce sempre attraverso le cause seconde. Ma nel caso della creazione dell'anima, questa regola fondamentale verrebbe spezzata, e l'intervento divino verrebbe a collocarsi, in modo miracoloso, accanto alle creature anziché essere il loro fondamento trascendente. Per risolvere questo problema Rahner introdusse un nuovo modo di intendere il divenire che egli definì come[75] l'autotrascendimento dell'agente, operato da ciò che sta a un livello inferiore. Ogni divenire è pertanto un superamento di sé stessi, che è possibile in quanto[76]
«l'Essere assoluto ne è causa e fondamento originario in modo tale da costituire un intimo fattore, che questo automovimento ha in sé. Si ha perciò un vero autosuperamento e non un essere trasportati in maniera puramente passiva al di sopra di sé [...] Ogni causalità finita è tale in sé stessa proprio in forza dell'essere, che sempre essenzialmente la domina dall'interno e dall'alto. Di conseguenza si può attribuire all'ente finito in quanto mosso interiormente dall'essere assoluto la causalità capace di produrre qualcosa di superiore a sé stesso.»
L'autotrascendimento, così definito, è un processo che implica contemporaneamente continuità e discontinuità, infatti[77]
«secondo la metafisica tomistica esistono diverse essenze solo come diversi gradi di limitazione dell'essere. Un'essenza inferiore perciò non si contrappone e diversifica per il contenuto positivo di essere da un'essenza superiore, ma solo per la sua partecipazione relativamente più limitata all'essere.»
In questa nuova prospettiva il problema della creazione dell'anima, anziché postulare l'intervento miracoloso di Dio, può essere risolto in un modo del tutto nuovo, infatti la materia[78]
«è per la sua origine vicina allo spirito, è momento dello spirito, un momento del Logos eterno, quale egli è per sua libera scelta, ma effettivamente, per sempre.»
Di conseguenza[79]
«l'evoluzione della materia verso lo spirito non è un concetto irrealizzabile.»
Non mancarono comunque posizioni più prudenti rispetto a quelle di Rahner, come ad esempio quella di Maurizio Flick e Zoltan Alszeghy[80] che cercarono di salvaguardare il senso ovvio dell'espressione "creazione immediata dell'anima". Essi distinsero tre gradi di creazione: 1) la creazione propriamente detta, in cui Dio non si serve di alcuna cosa preesistente; 2) il concorso ordinario, in cui Dio fa operare le cause seconde conformemente alle loro capacità; 3) il concorso creativo, in cui Dio agisce come causa principale facendo in modo che gli effetti siano superiori alle capacità delle cause seconde. Il concorso creativo interverrebbe quindi nella creazione dell'anima, in cui[81]
«l'azione divina non ha per suo termine l'anima separata, ma l'uomo completo: l'uomo infatti non è un conglomerato di due sostanze complete, ma un unico soggetto incarnato [...] Il corpo umano non è la stessa materia inorganica che preesisteva e che era necessaria per la sua generazione; il corpo umano è la manifestazione dell'io e perciò, come unità dell'anima e del corpo, l'uomo non può venire che direttamente da Dio, senza alcun legame orizzontale col mondo biologico.»
Nel 1984, Carlo Molari concludeva la sua disamina[82] spiegando che l'espressione "Dio crea l'anima di ogni uomo" stia soltanto ad indicare «l'irripetibile individualità di ogni uomo, la relazione esclusiva che ogni uomo ha con il suo creatore», e non dice nulla sull'azione di Dio in sé. Nel 2002, in un importante documento della Commissione Teologica Internazionale, approvato dallo stesso Joseph Ratzinger (al tempo Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede), si riassumeva lo stato della teologia cattolica in merito al problema dell'anima e della sua creazione[83]:
«Per mantenere l’unità di corpo e anima insegnata nella Rivelazione, il Magistero adotta la definizione dell’anima umana come forma substantialis. Qui il Magistero si è basato sull’antropologia tomistica che, attingendo alla filosofia di Aristotele, vede il corpo e l’anima come i princìpi materiali e spirituali di un singolo essere umano. Possiamo notare come tale impostazione non sia incompatibile con le più recenti scoperte scientifiche. La fisica moderna ha dimostrato che la materia, nelle sue particelle più elementari, è puramente potenziale e non ha tendenza alcuna verso l’organizzazione. Ma il livello di organizzazione nell’universo, nel quale si trovano forme altamente organizzate di entità viventi e non viventi, sottintende la presenza di una qualche «informazione». Un ragionamento di questo genere fa pensare a una parziale analogia tra il concetto aristotelico di forma sostanziale e il concetto scientifico moderno di «informazione». Quindi, ad esempio, il DNA dei cromosomi contiene le informazioni necessarie affinché la materia possa organizzarsi secondo lo schema tipico di una data specie o singolo essere. Analogicamente, la forma sostanziale fornisce alla materia prima quelle informazioni di cui ha bisogno per essere organizzata in un particolare modo. Questa analogia va presa con la dovuta cautela, in quanto non è possibile un raffronto diretto tra concetti spirituali e metafisici e dati materiali e biologici.»
«Con riferimento alla creazione immediata dell’anima umana, la teologia cattolica afferma che particolari azioni di Dio producono effetti che trascendono la capacità delle cause create che agiscono secondo la loro natura. Il ricorso alla causalità divina per colmare vuoti genuinamente causali, e non per dare risposta a ciò che resta inspiegato, non significa utilizzare l’opera divina per riempire i «buchi» del sapere scientifico (dando così luogo al cosiddetto «Dio tappabuchi»). Le strutture del mondo possono essere viste come aperte all’azione divina non disgregatrice in quanto sono causa diretta di certi eventi nel mondo. La teologia cattolica afferma che la comparsa dei primi membri della specie umana (singoli individui o popolazioni) rappresenta un evento che non si presta a una spiegazione puramente naturale e che può essere appropriatamente attribuito all’intervento divino. Agendo indirettamente attraverso catene causali che operano sin dall’inizio della storia cosmica, Dio ha creato le premesse per quello che Giovanni Paolo II ha chiamato "un salto ontologico [...], il momento di transizione allo spirituale". Se la scienza può studiare queste catene di causalità, spetta alla teologia collocare questo racconto della specifica creazione dell’anima umana all’interno del grande piano del Dio uno e trino di condividere la comunione della vita trinitaria con persone umane create dal nulla a immagine e somiglianza di Dio e che, a suo nome e secondo il suo piano, esercitano in modo creativo il servizio e la sovranità sull’universo fisico.»
Si vede ancora quindi come Dio è causa prima e causa principale, ma anche in quanto causa principale non agisce con interventi diretti e particolari. Dio agisce invece rimanendo dietro le cose, ed il salto ontologico dalla materia allo spirito avviene attraverso catene causali che comunque trovano il loro fondamento in Dio stesso. La creazione dell'anima è quindi un evento immediato (un salto), e tuttavia non è il prodotto di un intervento diretto di Dio, ma il risultato di un processo. «In questo evento del tutto singolare la causalità umana supera sostanzialmente i suoi propri limiti - l'autotrascendimento - in virtù dell'azione divina come fondamento trascendente delle causalità intramondane[84]».
Secondo Vialleton e Sofia Vanni Rovighi, se anche Dio non avesse creato l'uomo dal fango letteralmente inteso, ma avesse predisposto una successione di corpi antropoidi in vista di quello che ha ricevuto l'anima, comunque la ricezione dell'anima spirituale creata immediatamente da Dio da parte della materia comporterebbe sempre un radicale mutamento del corpo che la accoglie, al punto che non si può parlare di un antropoide perfezionato con qualcosa in più che sarebbe l'anima, ma si deve parlare di un corpo specificamente nuovo e diverso, quello umano.[85]
Il peccato originale
[modifica | modifica wikitesto]Dopo il Concilio Vaticano II, la questione più importante ad essere discussa dai teologi fu la dottrina sul peccato originale[86]. I problemi in campo erano essenzialmente due: 1) stabilire se fosse davvero necessario ammettere uno specifico evento originario (ovvero il peccato di Adamo ed Eva narrato in Genesi 3); 2) stabilire se la dottrina sul peccato originale definita dogmaticamente dal Concilio di Trento[87], fosse compatibile con il poligenismo.
Secondo la dottrina tradizionale, il peccato sarebbe entrato nel mondo attraverso la disobbedienza di Adamo ed Eva a Dio, e si sarebbe poi propagato a tutta l'umanità per via della comune discendenza da questa singola coppia primitiva. Ma questa lezione cominciò a cambiare negli anni '60, ed infine, negli anni '70, la posizione più comune tra i teologi divenne la seguente: l'attuale situazione di male e di peccato dell'intera umanità non è originaria, ma dipende da una serie di errori che si sono susseguiti e moltiplicati nel corso della storia; tale serie di errori deve certamente aver avuto un inizio, che però non può essere individuato in alcun modo. Un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede aggiunto in appendice al Nuovo catechismo olandese[88] del 1966 spiegava:
«Diversi di questi antichi racconti tentano di spiegare, di illustrare, aspetti della condizione umana attraverso avvenimenti delle origini (racconti eziologici). È così in particolare del racconto della caduta di Adamo ed Eva. Dal punto di vista umano sono umili tentativi esitanti. Dio se ne è servito per insegnarci, se non nei particolari almeno alcuni fatti centrali, qualcosa dell'inizio tragico della storia religiosa dell'umanità.»
Anche per il problema del poligenismo fu determinante il contributo di Karl Rahner. In un suo importante articolo del 1954[89], egli mostrò che le definizioni dogmatiche sul peccato originale formulate nel Concilio di Trento non implicavano necessariamente il monogenismo, e che pertanto la teologia avesse la possibilità di trovare il modo di conciliare il poligenismo con la dottrina sul peccato originale. Infatti Rahner notava che il Concilio di Trento non definiva esplicitamente il monogenismo come dogma, e che, quando parlava del peccato di Adamo, si limitasse semplicemente a riportare il racconto biblico. L'analisi di Rahner in generale convinse i teologi[90].
Proprio durante il simposio di Nemi del 1966 nel cui discorso iniziale Paolo VI ancora ricordava le difficoltà connesse con il poligenismo, maturò il convincimento che esso potesse esser conciliato con la dottrina sul peccato originale[91]. Mentre nella tradizione l'unità del genere umano veniva ricondotta ad una coppia iniziale, con la diffusione della teoria evoluzionista questa unità cominciò ad esser considerata una chiamata piuttosto che uno stato; diventò sufficiente parlare di un unico destino cui un unico creatore, attraverso un unico Salvatore, chiama il genere umano[92]. In questo modo l'unità del genere umano non ha più bisogno di esser basata sulla comune discendenza da Adamo, ma piuttosto sulla dignità di immagine di Dio conferita all'uomo dal suo creatore e sull'unione spirituale verso la quale gli uomini sono chiamati attraverso Cristo. Già nel 1964 l'Hulsbosch scriveva[93]:
«Nell'ordine salvifico cristiano, così come si realizza sulla terra, l'unità è basata su un principio più alto [...] Non contano più né razza né sesso: decisiva è l'appartenenza a Cristo. Questo nuovo principio di unità ha potuto realizzarsi perché l'uomo vi era già disposto per natura [...] La dignità di immagine di Dio viene conferita ad ogni uomo dal suo creatore e non dal suo progenitore, e la reciproca unione spirituale tra gli uomini, che ne risulta, supera di gran lunga l'unità che deriva dalla comune discendenza.»
In questa prospettiva il peccato originale cominciò ad esser visto come un impedimento alla realizzazione del progetto salvifico di Dio. I teologi iniziarono anche a rifiutare l'espressione peccato originale, in quanto esso non poteva più essere legato ad un evento specifico; esso poteva invece essere definito come un'imperfezione ricevuta all'inizio della vita che porta l'uomo a rifiutare Dio e a tendere al male, come spiegavano Flick e Alszeghy[94]:
«Per evitare malintesi, pensiamo che non sarebbe controindicato designare il peccato originale originato, anche nella catechetica e nella predicazione, talvolta con altri termini, come appartenenza al regno del peccato e della morte, alienazione da Dio, incapacità di orientare l'esistenza verso Dio ecc., che esprimono la malizia fondamentale del cuore umano, introdotta dall'uomo, sanata solamente da Cristo.»
Accettata questa posizione, il problema del poligenismo o del monogenismo diventava irrilevante e non riguardava più direttamente la sostanza della fede[95]. Nel già citato documento della Commissione Teologica Internazionale, il poligenismo viene di fatto ammesso[96]:
«Ogni singolo essere umano, come pure la comunità umana nel suo insieme, è creato a immagine di Dio. Nella sua unità originaria — di cui è simbolo Adamo — l’umanità è fatta a immagine della divina Trinità. Voluta da Dio, procede attraverso le vicissitudini della storia dell’uomo verso una comunione perfetta, anch’essa voluta da Dio, ma che deve ancora essere realizzata. In questo senso, gli esseri umani partecipano alla solidarietà di un’unità che al tempo stesso già esiste e deve ancora essere raggiunta. Condividendo una natura umana creata e confessando il Dio uno e trino che dimora in mezzo a noi, siamo tuttavia divisi dal peccato e aspettiamo la venuta vittoriosa di Cristo che ristabilirà e ricreerà l’unità voluta da Dio in una redenzione finale della creazione.»
Pronunciamenti di Giovanni Paolo II
[modifica | modifica wikitesto]Il 26 aprile 1985, Giovanni Paolo II introdusse i lavori del Simposio internazionale “Fede cristiana e teoria dell'evoluzione” che fu tenuto a Roma[97]. Nel suo discorso egli notava come l'evoluzione costituisse ormai un paradigma accettato ed imprescindibile, e che l'immagine evoluzionistica del mondo cui si era giunti fosse molto diversa dalla vecchia concezione materialistica:
«Il concetto polivalente e considerato sotto il profilo filosofico di “evoluzione” si sta da tempo sviluppando sempre più nel senso di un ampio paradigma della conoscenza del presente. Pretende di integrare la fisica, la biologia, l'antropologia, l'etica e la sociologia in una logica di spiegazione scientifica generale. Il paradigma dell'evoluzione si sviluppa, non ultimo, attraverso una letteratura in continua crescita, per diventare una specie di concezione del mondo chiusa, un'“immagine del mondo evoluzionistica.
Questa concezione del mondo si differenzia dall'immagine materialistica del mondo, che fu propagata alla svolta del secolo, per una vasta elaborazione e per una grande capacità d'integrare dimensioni apparentemente incommensurabili. Mentre il materialismo tradizionale cercava di smascherare come illusione la coscienza morale e religiosa dell'uomo e, talvolta, la combatteva attivamente, l'evoluzionismo biologico si sente abbastanza forte per motivare questa coscienza funzionalmente con i vantaggi della selezione ad essa legati e integrarla nel suo concetto generale. La conseguenza pratica ne è che i fautori di questa concezione del mondo evoluzionaria hanno imposto una nuova definizione dei rapporti con la religione, che si differenzia notevolmente da quella del passato più recente e di quello più remoto.»
Continuava poi, dopo aver ricordato l'enciclica Humani Generis di Pio XII, che un'evoluzione rettamente intesa non può costituire un pericolo per la fede:
«l'evoluzione infatti presuppone la creazione; la creazione si pone nella luce dell'evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo - come una “creatio continua” - in cui Dio diventa visibile agli occhi del credente come Creatore del Cielo e della terra.»
L'evoluzione, spiegava Giovanni Paolo II, non crea particolari difficoltà per la fede finché, intesa come teoria biologica, riguarda l'origine del corpo umano. Tuttavia, intendendola in senso esteso, si può tentare di ricondurre ad essa anche tutti i fenomeni spirituali e la morale. È quindi necessario che il pensiero cristiano si occupi di questa concezione del mondo evoluzionaria, che va molto oltre i suoi fondamenti naturalistici, affinché si possa stabilire qual è il contenuto di verità delle teorie scientifiche ed il valore della filosofia che su di esse si sviluppa:
«È evidente che questo problema grave e urgente non può essere risolto senza filosofia. Spetta proprio alla filosofia sottoporre a un esame critico la maniera in cui i risultati e le ipotesi vengono acquisiti, differenziare da estrapolazioni ideologiche il rapporto tra teorie e affermazioni singole, la collocazione delle affermazioni naturalistiche e la loro portata, in particolare il contenuto proprio delle asserzioni naturalistiche.»
Nel 1996, Giovanni Paolo II tornò a parlare di evoluzione in occasione del 60º anniversario della rifondazione della Pontificia Accademia delle Scienze[98]. Egli spiegava come l'evoluzione fosse un tema molto importante per la Chiesa dal momento che essa, come la Rivelazione, contiene importanti insegnamenti sull'origine dell'uomo. Sviluppava poi diverse importanti considerazioni sulla teoria dell'evoluzione.
«Tenuto conto dello stato delle ricerche scientifiche a quell’epoca e anche delle esigenze proprie della teologia, l’Enciclica Humani generis considerava la dottrina dell’“evoluzionismo” un’ipotesi seria, degna di una ricerca e di una riflessione approfondite al pari dell’ipotesi opposta. Pio XII aggiungeva due condizioni di ordine metodologico: che non si adottasse questa opinione come se si trattasse di una dottrina certa e dimostrata e come se ci si potesse astrarre completamente dalla Rivelazione riguardo alle questioni da essa sollevate. Enunciava anche la condizione necessaria affinché questa opinione fosse compatibile con la fede cristiana, punto sul quale ritornerò.»
«Oggi, circa mezzo secolo dopo la pubblicazione dell’Enciclica, nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi. È degno di nota il fatto che questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere. La convergenza, non ricercata né provocata, dei risultati dei lavori condotti indipendentemente gli uni dagli altri, costituisce di per sé un argomento significativo a favore di questa teoria.»
«Qual è l’importanza di una simile teoria? Affrontare questa questione, significa entrare nel campo dell’epistemologia. Una teoria è un’elaborazione metascientifica, distinta dai risultati dell’osservazione, ma ad essi affine. Grazie ad essa, un insieme di dati e di fatti indipendenti fra loro possono essere collegati e interpretati in una spiegazione unitiva. La teoria dimostra la sua validità nella misura in cui è suscettibile di verifica; è costantemente valutata a livello dei fatti; laddove non viene più dimostrata dai fatti, manifesta i suoi limiti e la sua inadeguatezza. Deve allora essere ripensata.»
«Inoltre, l’elaborazione di una teoria come quella dell’evoluzione, pur obbedendo all’esigenza di omogeneità rispetto ai dati dell’osservazione, prende in prestito alcune nozioni dalla filosofia della natura.»
«A dire il vero, più che della teoria dell’evoluzione, conviene parlare delle teorie dell’evoluzione. Questa pluralità deriva da un lato dalla diversità delle spiegazioni che sono state proposte sul meccanismo dell’evoluzione e dall’altro dalle diverse filosofie alle quali si fa riferimento. Esistono pertanto letture materialiste e riduttive e letture spiritualistiche. Il giudizio è qui di competenza propria della filosofia e, ancora oltre, della teologia.»
Infine metteva in guardia verso alcune specifiche interpretazioni dell'evoluzionismo:
«Le teorie dell’evoluzione che, in funzione delle filosofie che le ispirano, considerano lo spirito come emergente dalle forze della materia viva o come un semplice epifenomeno di questa materia, sono incompatibili con la verità dell’uomo. Esse sono inoltre incapaci di fondare la dignità della persona.»
«Con l’uomo ci troviamo dunque dinanzi a una differenza di ordine ontologico, dinanzi a un salto ontologico, potremmo dire. Tuttavia proporre una tale discontinuità ontologica non significa opporsi a quella continuità fisica che sembra essere il filo conduttore delle ricerche sull’evoluzione dal piano della fisica e della chimica? La considerazione del metodo utilizzato nei diversi ordini del sapere consente di conciliare due punti di vista apparentemente inconciliabili. Le scienze dell’osservazione descrivono e valutano con sempre maggiore precisione le molteplici manifestazioni della vita e le iscrivono nella linea del tempo. Il momento del passaggio all’ambito spirituale non è oggetto di un’osservazione di questo tipo, che comunque può rivelare, a livello sperimentale, una serie di segni molto preziosi della specificità dell’essere umano. L’esperienza del sapere metafisico, della coscienza di sé e della propria riflessività, della coscienza morale, della libertà e anche l’esperienza estetica e religiosa, sono però di competenza dell’analisi e della riflessione filosofiche, mentre la teologia ne coglie il senso ultimo secondo il disegno del Creatore.»
Infine, nel 1998, nell'enciclica Fides et Ratio, Giovanni Paolo II riprese alcune specifiche parti[44] della Humani generis riguardanti alcune tendenze ed interpretazioni erronee connesse con l'evoluzionismo, e ricordava che Pio XII aveva raccomandato ai filosofi ed ai teologi cattolici di conoscere bene queste opinioni, «sia perché le malattie non si possono curare se prima non sono ben conosciute, sia perché qualche volta nelle stesse false affermazioni si nasconde un po' di verità, sia, infine, perché gli stessi errori spingono la mente nostra a investigare e a scrutare con più diligenza alcune verità sia filosofiche sia teologiche».
Posizione di Benedetto XVI
[modifica | modifica wikitesto]Posizioni da arcivescovo di Monaco
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1981, mentre era arcivescovo di Monaco di Baviera, il cardinale Joseph Ratzinger tenne quattro omelie sull'origine e l'evoluzione della vita, poi raccolta in un libro (Creazione e peccato. Catechesi sull'origine del mondo e sulla caduta, ed. Paoline, 1986).
Nel 1969, Ratzinger affermava:
«Davanti alla questione fondamentale irrisolvibile dalla stessa teoria dell'evoluzione – se comandi l'insensatezza o il senso – la fede esprime la convinzione che il mondo nella sua interezza, come dice la Bibbia, venga fuori dal logos, cioè dal senso creatore, e rappresenti la forma contingente del suo proprio compimento.»
Durante il pontificato di Giovanni Paolo II, ribadiva la sua opposizione alla visione solo metaforica del racconto della Creazione, sostenendo che:
Ratzinger cita Jacques Monod sull'evoluzione biologica, ricordando come "Ancora oggi molte persone d'ingegno non riescono ad accettare e neppure a comprendere come la selezione, da sola, abbia potuto trarre da una fonte di rumore tutte le musiche della biosfera", e riassumendo l'evoluzionismo moderno con la frase: "Noi siamo il prodotto di errori casuali".[100]
«Che dire di questa risposta? È compito delle scienze naturali chiarire attraverso quali fattori l'albero della vita si differenzia e si sviluppa, mettendo nuovi rami. Non spetta alla fede. Però possiamo e dobbiamo avere il coraggio di dire: i grandi progetti della vita non sono un prodotto del caso e dell'errore; né sono il prodotto di una selezione, cui si attribuiscono predicati divini, che in questa sede sono illogici, ascientifici, un mito moderno. I grandi progetti della vita rimandano a una ragione creatrice, ci indicano lo Spirito creatore e lo fanno oggi in maniera più chiara e splendente che mai»
Posizioni in quanto papa
[modifica | modifica wikitesto]Nell'omelia pronunciata in piazza San Pietro il 24 aprile 2005 in occasione della Messa di inizio del suo pontificato, Benedetto XVI ha dichiarato: "Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell'evoluzione"[101].
Il 2-3 settembre 2006 a Castel Gandolfo Benedetto XVI ha condotto un seminario di analisi dell'evoluzionismo e del suo impatto sulla dottrina cattolica della Creazione. Il seminario è stata l'ultima edizione dello "Schülerkreis" (circolo degli studenti), incontro annuale tra Ratzinger e i suoi ex studenti di dottorato a partire dagli anni '70. [102][103] I saggi presentati dai suoi ex studenti, inclusi scienziati naturalisti e teologi, sono stati pubblicati nel 2007 col titolo Creazione ed evoluzione (Schöpfung und Evolution). Nel contributo di Benedetto XVI, egli dichiara che "la questione non è prendere una decisione per un creazionismo che fondamentalmente esclude la scienza, o per una teoria evoluzionistica che nasconde le sue lacune e non vuole vedere le questioni che stanno oltre le possibilità metodologiche delle scienze naturali", e che "io trovo importante sottolineare che la teoria dell'evoluzione implica questioni che devono essere assegnate alla filosofia, e che esse stesse conducono oltre al campo della scienza"
Commentando le dichiarazioni dei suoi predecessori, Benedetto XVI scrive che "è anche vero che la teoria dell'evoluzione non è una teoria completa e scientificamente provata". Benché commentando che gli esperimenti in un ambiente controllato sono limitati, Benedetto XVI non avalla il creazionismo o la teoria del disegno intelligente. Egli difende l'evoluzione teistica, come riconciliazione tra scienza e religione già sostenuta dai cattolici. Discutendo dell'evoluzione, Benedetto XVI scrive che "Il processo in sé è razionale, nonostante gli errori e la confusione, in quanto esso passa attraverso uno stretto corridoio, scegliendo poche mutazioni positive ed usando una bassa probabilità... Ciò... inevitabilmente conduce ad una domanda che va oltre la scienza... da dove arriva questa razionalità?"; domanda a cui Benedetto XVI risponde che essa giunge dalla "ragione creativa" di Dio.[104][105][106]
La Commissione Teologica Internazionale
[modifica | modifica wikitesto]ha pubblicato, dopo gli anni 2000, un documento sottoscritto da Ratzinger nel quale affronta in modo specifico la questione; in esso troviamo quanto segue:
[...]Secondo la tesi scientifica più accreditata, 15 miliardi di anni fa l'universo ha conosciuto un'esplosione che va sotto il nome di Big Bang, e da allora continua a espandersi e raffreddarsi. Successivamente sono andate verificandosi le condizioni necessarie per la formazione degli atomi e, in epoca ancora successiva, si è avuta la condensazione delle galassie e delle stelle, seguita circa 10 miliardi di anni più tardi dalla formazione dei pianeti. Nel nostro sistema solare e sulla Terra (formatasi circa 4,5 miliardi di anni fa) si sono create le condizioni favorevoli all'apparizione della vita.
Se, da un lato, gli scienziati sono divisi sulla spiegazione da dare all'origine di questa prima vita microscopica, la maggior parte di essi è invece concorde nell'asserire che il primo organismo ha abitato questo pianeta circa 3,5-4 miliardi di anni fa. Poiché è stato dimostrato che tutti gli organismi viventi della Terra sono geneticamente connessi tra loro, è praticamente certo che essi discendono tutti da questo primo organismo. [...] ma l'antropologia fisica e la biologia molecolare fanno entrambe ritenere che l'origine della specie umana vada ricercata in Africa circa 150.000 anni fa in una popolazione umanoide di comune ascendenza genetica. Qualunque ne sia la spiegazione, il fattore decisivo nelle origini dell'uomo è stato il continuo sviluppo del cervello umano, la natura e la velocità dell'evoluzione sono state alterate per sempre: con l'introduzione di fattori unicamente umani quali la coscienza, l'intenzionalità, la libertà e la creatività. L'evoluzione biologica ha assunto la nuova veste di un'evoluzione di tipo sociale e culturale.[...]
Papa Francesco
[modifica | modifica wikitesto]Durante il suo discorso tenutosi all'Accademia Pontificia delle Scienze[107], il 27 ottobre 2014, papa Francesco chiarisce che la natura, seppure creazione di Dio, non è stata creata con la magia, sottolineando che non si può pensare a Dio come a un mago. Nel suo discorso papa Francesco sottolinea che : “Il Big Bang che è considerato l'origine del nostro pianeta, non contraddice l'atto divino della creazione, che anzi ne è il presupposto. L'evoluzione della natura non contrasta con la creazione, poiché l'evoluzione presuppone la creazione di esseri che si evolvono".
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b Creazione e peccato. Catechesi sull'origine del mondo e sulla caduta, ed. Paoline, 1986, p. 17
- ^ Questa iniziale e differente posizione di cautela della chiesa cattolica è riconosciuta anche da Margherita Hack nel suo saggio Libera scienza in libero stato, spiegandola come dovuta all'esperienza negativa del processo intentato tre secoli prima a Galileo Galilei e le recenti posizioni anti-evoluzioniste sviluppatisi in ambito cattolico, dovute, secondo la Hack, a chi intende essere "più papista del papa".
- ^ Vittorio Marcozzi, Le origini dell'uomo, Roma, A.V.E. 1945. Come citato in Sofia Vanni Rovighi, Elementi di Filosofia, 3. La Natura e l'Uomo, Biblioteca (n. 6), Scholé, 2022, p. 103
- ^ Su questo aspetto le opere più influenti sono state History of the Conflict between Religion and Science (1874) di John William Draper e History of the Warfare of Science with Theology in Christendom (1896) di Andrew Dickson White, cofondatore e primo presidente della Cornell University.
- ^ David C. Lindberg, Ronald L. Numbers. God and nature: historical essays on the encounter between Christianity and science, University of California Press, 1986; David C. Lindberg, Ronald L. Numbers. When science & Christianity meet, University of Chicago Press, 2003; John Hedley Brooke. Science and religion: some historical perspectives, Cambridge University Press, 1991; Gary B. Ferngren. Science and religion: a historical introduction, Johns Hopkins University Press, 2002.
- ^ Science and Religion: Some Historical Perspectives, Introduction
- ^ Pietro Redondi (vedi bibliografia), Parte III: Aspetti della cultura scientifica negli Stati pontifici
- ^ Artigas, Glick, Martínez (vedi bibliografia), capitolo 1
- ^ Vedere in particolare il capitolo 1 ed il capitolo 8
- ^ Artigas, Glick, Martínez, 2006, p. 19
- ^ Don O'Leary (vedi bibliografia), capitolo 3: A Church under Siege (traduzione italiana: Una Chiesa sotto assedio)
- ^ Artigas, Glick, Martínez, 2006, p. 18
- ^ Molari (vedi bibliografia), p. 219
- ^ Artigas, Glick, Martínez, capitolo 1 - Molari, p. 222 (vedi bibliografia).
- ^ Artigas, Glick, Martínez, 2006, p. 32:
«One of the biggest surprises emerging from the Archive of the Index is that the Vatican condemned a book favorable to evolution, but no one ever knew it. For more than half a century, theology texts mentioned the cases of Leroy, Zahm, Bonomelli, Hedley, and Mivart, in none of which did the Vatican pronounce publicly. But they never mentioned Raffaello Caverni, the only instance in which the support of evolutionism by a Catholic merited a public condemnation. Even La Civiltà Cattolica, which at the height of the evolution controversy - roughly between 1897 and 1902 - never let a relevant article or even letter go unmentioned, failed to note Caverni's book even once»
- ^ J.W. Gruber, A consciousness in conflict: the life of St. George Jackson Mivart, Columbia University Press, 1960 - Diversi errori ed imprecisioni del testo di Gruber vengono discussi nel lavoro di Artigas, Glick e Martínez.
- ^ Gian Domenico Mansi et al., Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, volume 48, Concilium provinciale Coloniense, 1860, Decreta Concilii - Titulus IV: De homine; caput XIV: De humani generis origine hominisque natura. Testo completo scaricabile da http://www.documentacatholicaomnia.eu/
- ^ Molari (vedi bibliografia), p. 220
- ^ Molari (vedi bibliografia), po. 220-221
- ^ Come ben spiega O'Leary (vedi bibliografia), capitolo 3
- ^ Artigas, Glick, Martínez (vedi bibliografia), capitolo 3
- ^ [Tommaso d'Aquino, L'ente e l'essenza - L'unità dell'intelletto contro gli averroisti, Edizioni Città Nuova, pp. 109]
- ^ Questo principio è accostabile alla “teoria del caos”, formulata nel XX secolo, secondo la quale con l'iterazione delle più semplici formule si produce un mondo altamente complesso e senza alcuna prevedibilità di comportamento
- ^ La rivoluzionaria teoria di Oresme superò il dogma Aristotelico-Scolastico della immutabilità della specie sostanziale e sembra anticipare i principi della "teoria dei sistemi", dell'auto-organizzazione e della evoluzione biologica di Charles Darwin.
- ^ O'Leary, si vedano i due paragrafi finali del capitolo 6 e l'intero capitolo 7 - Molari, parte seconda (vedi bibliografia)
- ^ Molari (vedi bibliografia), p. 254
- ^ Molari (vedi bibliografia), p. 251
- ^ Orazio Mazzella, Praelectiones scholastico-dogmaticae, volume 2, Augustae Taurinorum, SEI, 1946, quinta edizione - p. 355-356
- ^ a b c Jean-Michele Maldamé (Institute Catholique de Toulouse), L'eredità di Pierre Teilhard de Chardin a 50 anni dalla sua scomparsa; Giuseppe Tanzella Nitti (Pontificia Università della Santa Croce), Teilhard de Chardin: le ragioni di un interesse - articoli ([1], [2]) per il progetto di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede
- ^ Acta Apostolicae Sedis 54 (1962), p. 526
- ^ Henri-Marie de Lubac, La pensée religieuse du Père Teilhard de Chardin, Aubier, Paris, 1962 (Traduzione italiana, Il pensiero religioso di Teilhard de Chardin, Jaca Book, Milano, 1983)
- ^ L'Osservatore Romano, Pierre Teilhard de Chardin e il suo pensiero sul piano filosofico e religioso, 30 giugno 1962 Copia archiviata, su paginecattoliche.it. URL consultato il 26 novembre 2009 (archiviato dall'url originale il 10 settembre 2014).
- ^ Paolo VI, Visita ad un importante stabilimento chimico-farmaceutico, 24 febbraio 1966 [3] (Discorso riprodotto in Insegnamenti di Paolo VI, volume 4, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1979, pp. 992-993)
- ^ Lettera riportata da L'Osservatore Romano, 10 giugno 1981 (Lettera completa riprodotta sul sito del progetto di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede)
- ^ O'Leary (Vedi bibliografia), capitolo 8
- ^ a b c Cyril Vollert, Humani Generis and the Limits of Theology, Theological Studies, 12.1 (1951), pp. 3-23 (articolo in pdf)
- ^ O'Leary fa un breve riassunto del dibattito riguardante l'evoluzionismo, mentre l'articolo di Vollert presenta le varie questioni in campo nel dibattito teologico del tempo, compreso, ovviamente, l'evoluzionismo.
- ^ Le encicliche, come è noto, non fanno mai esplicito riferimento a persone, testi o fatti specifici; Cyril Vollert, nel suo commento alla Humani generis, riporta però diversi autori e testi precedenti al 1950 che certamente motivano i contenuti dell'enciclica. Alcuni, ad esempio, rifiutavano l'idea che il peccato fosse un'offesa a Dio, mentre altri mettevano in discussione in concetto di transustanziazione.
- ^ Acta Apostolicae Sedis, 43 (1941) 506-507 - citato in Molari (vedi bibliografia), pp. 254-255
- ^ a b c M. Flick, L'origine del corpo del primo uomo alla luce della filosofia e della teologia, Gregorianum 29 (1948), pp. 392-416
- ^ Molari (vedi bibliografia), p. 255
- ^ Civiltà Cattolica, 1946, V. III, pp. 270-271
- ^ a b Papa Pio XII, Lettera enciclica Divino Afflante Spiritu, Roma, 30 settembre 1943 (Testo completo Archiviato il 16 maggio 2006 in Internet Archive. sul sito della Santa Sede Archiviato il 9 luglio 2011 in Internet Archive.) - Parte seconda, paragrafo 3
- ^ a b c d Queste parti dell'enciclica Humani Generis di Pio XII vengono richiamate nell'enciclica Fides et Ratio di Giovanni Paolo II
- ^ Oltre al passo della Providentissimus Deus già citato al paragrafo 1.3, si consideri anche il seguente passo (parte terza, Scrittura e scienze naturali):
«È ben manifesto quanto le scienze naturali siano atte a far comprendere la gloria dell'Artefice impressa nelle cose create, purché vengano rettamente proposte, come pure quale grande potere abbiano nello svellere gli elementi di una sana filosofa e nella corruzione dei costumi, se perversamente infuse nei giovani animi. La cognizione perciò delle cose naturali sarà un valido sussidio per il dottore di sacra Scrittura, per scoprire più facilmente e confutare anche siffatti cavilli addotti contro i Libri divini.
Nessuna vera contraddizione potrà interporsi tra il teologo e lo studioso delle scienze naturali, finché l'uno e l'altro si manterranno nei propri confini, guardandosi bene, secondo il monito di sant'Agostino di "non asserire nulla temerariamente, né di presentare una cosa certa come incerta". Se poi vi fosse qualche dissenso, lo stesso santo dà sommariamente le regole del come debba comportarsi in tali casi il teologo: "Tutto ciò che i fisici, riguardo alla natura delle cose, potranno dimostrare con documenti certi, è nostro compito provare non essere nemmeno contrario alle nostre Lettere; ciò che poi presentassero nei loro scritti di contrario alle nostre Lettere e cioè contrario alla fede cattolica, o dimostriamo con qualche argomento essere falso ciò che asseriscono o crediamolo falso senza alcuna esitazione". Per comprendere quanto sia giusta questa regola, notiamo in primo luogo che gli scrittori sacri, o più giustamente "lo Spirito di Dio che parlava per mezzo di essi, non intendeva ammaestrare gli uomini su queste cose (cioè sull'intima costituzione degli oggetti visibili), che non hanno importanza alcuna per la salvezza eterna", per cui essi più che attendere direttamente all'investigazione della natura, descrivevano e rappresentavano talvolta le cose con una qualche locuzione metaforica, o come lo comportava il modo comune di parlare di quei tempi ed ancora oggi si usa, riguardo a molte cose, nella vita quotidiana, anche tra uomini molto colti. Dato che nel comune linguaggio viene espresso in primo luogo e propriamente ciò che cade sotto i sensi, così anche lo scrittore sacro (e come ci avverte anche il dottore angelico) "si attenne a ciò che appare ai sensi", ossia a ciò che Dio stesso, parlando agli uomini, espresse in modo umano per farsi comprendere da essi.»
- ^ Alza la testa, scimmia... | l'Astrolabio, su astrolabio.amicidellaterra.it. URL consultato il 4 maggio 2023.
- ^ Molari (vedi bibliografia), p. 259
- ^ Réginald Garrigou-Lagrange, De Deo trino et creatore, Augustae Taurinorum, Marietti, 1951, seconda edizione, pp. 405-406 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), p. 259
- ^ J. F. Sagües, in Sacrae Theologiae summa, Matriti, B.A.C., 1958, terza edizione, p. 647 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), pp. 259-260
- ^ M. Schmaus, Dogmatica cattolica, Torino, Marietti, 1959 125, pp. 646-651 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), p. 260
- ^ Molari (vedi bibliografia), pp. 260-265
- ^ Gaetano Maria Perella, Introduzione generale alla Sacra Bibbia, Torino, 1948, p. 84
- ^ Hadriano Simón, Juan Prado, Praelectiones biblicae ad usum scholarum a H. Simón incoeptae I, De sacra veteris Testamenti historia, Marietti - El perpetuo socorro, Torino-Madrid, I, III, numero 75, pp. 76-81
- ^ Albert Gelin, Création, in Dictionnaire de théologie catholique, Tables I (1953) 854 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), p. 261
- ^ Franco Festorazzi, La Bibbia e il problema delle origini, Brescia, Paideia, 1966, p. 96 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), p. 261, nota 165
- ^ Molari (vedi bibliografia), p. 263
- ^ (FR) Pierre Smulders, La vision de Teilhard de Chardin, Paris, Desclée de Brouwer, 1964, p. 43 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), p. 262
- ^ Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, Il peccato originale, Brescia, Queriniana, 1972, p. 224 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), p. 263
- ^ Paolo VI unitamente ai Padri del Sacro Concilio, Costituzione Dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum, 18 novembre 1965, capitolo 3 (Testo completo sul sito della Santa Sede)
- ^ Molari (vedi bibliografia), pp. 266-270, 277, 288-289
- ^ Molari (vedi bibliografia), pp. 276-279
- ^ Molari (vedi bibliografia), p. 277 - Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, Fondamenti di una antropologia teologica, Firenze, Fiorentina, 1969, p. 182:
«Non si può negare che l'immagine dello stato paradisiaco è pensata in un contesto fissista, ed in conformità alla persuasione universale ed istintiva, secondo cui tutto ciò che è più vicino al principio è più perfetto e successivamente si degrada.»
- ^ Molari (vedi bibliografia), p. 283 - Facchini (vedi bibliografia), p. 143
- ^ Francisco J. Ayala, The Myth of Eve: Molecular Biology and Human Origins, Science, New Series, volume 270, numero 5244 (22 dicembre 1995), 1930-1936
- ^ Paolo VI, Discorso ai partecipanti al simposio sul mistero del peccato originale, 11 luglio 1966, Acta Apostolicae Sedis 58 (1966) 469 (testo completo sul sito della Santa Sede)
- ^ Molari (vedi bibliografia), p. 266
- ^ Molari (vedi bibliografia), pp. 270-273, 289
- ^ Charles Boyer, Tractatus de Deo Creante et Elevante, quinta edizione, Editrice Pontificia Università Gregoriana, 1957, p. 177:
«Dio non solo fu la causa prima, ma anche principale e quindi è falso che l'uomo sia stato propriamente generato da un bruto.»
- ^ Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, Fondamenti di una antropologia teologica, Firenze, Fiorentina, 1969, p. 127 - Charles Boyer, Tractatus de Deo Creante et Elevante, quinta edizione, Editrice Pontificia Università Gregoriana, 1957, p. 185
- ^ Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, Fondamenti di una antropologia teologica, Firenze, Fiorentina, 1969, p. 127
- ^ Molari (vedi bibliografia), p. 289
- ^ Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, I primordi della salvezza, Torino, Marietti, 1979, pp. 93-94 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), p. 273, nota 208
- ^ Molari (vedi bibliografia) pp. 273-276
- ^ Karl Rahner, Il problema dell'ominizzazione, Brescia, Morcelliana, 1969, p. 96
- ^ Karl Rahner, Il problema dell'ominizzazione, Brescia, Morcelliana, 1969, p. 90
- ^ Karl Rahner, Il problema dell'ominizzazione, Brescia, Morcelliana, 1969, pp. 80-81
- ^ Karl Rahner, Il problema dell'ominizzazione, Brescia, Morcelliana, 1969, p. 92
- ^ Karl Rahner, Il problema dell'ominizzazione, Brescia, Morcelliana, 1969, p. 68
- ^ Karl Rahner, Il problema dell'ominizzazione, Brescia, Morcelliana, 1969, p. 94
- ^ Molari (vedi bibliografia), pp. 275-276 - Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, Fondamenti di una antropologia teologica, Fiorentina, Firenze, 1969
- ^ Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, Fondamenti di una antropologia teologica, Firenze, Fiorentina, 1969, pp. 119-120 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), p. 276, nota 222
- ^ Molari (vedi bibliografia), p. 290
- ^ La persona umana creata a immagine di Dio (vedi bibliografia), paragrafi 30 e 70
- ^ Angelo Scola, Gilfredo Marengo, Javier Prades López, La persona umana: antropologia teologica, Editoriale Jaca Book, 2000, p. 136
- ^ Sofia Vanni Rovighi, Elementi di Filosofia, 3. La Natura e l'Uomo, Biblioteca (n. 6), Scholé, 2022, p. 104
- ^ Molari (vedi bibliografia), pp. 280-286, 291-293
- ^ Concilio di Trento, sessione V (17 giugno 1546), Decreto sul peccato originale (testo completo)
- ^ Citazione in Molari (vedi bibliografia), p. 282, nota 247
- ^ Karl Rahner, Theologisches zum monogenismus, Zeitschrift fur katholische Theologie 76 (1954) pp. 1-18, 187-233 - Traduzione italiana in Saggi di antropologia teologica, Roma, Paoline, 1965, pp. 169-279 - In seguito Rahner tentò di sviluppare compiutamente un modello per conciliare il poligenismo con l'ipotesi di un peccato originale: Peccato originale ed evoluzione, Concilium 3 (1967) numero 6
- ^ Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, Il peccato originale, Queriniana, 1972, p. 224
- ^ Molari (vedi bibliografia), p. 284
- ^ Molari (vedi bibliografia), p. 285
- ^ Ansfridus Hulsbosch, Storia della creazione storia della salvezza: creazione, peccato e redenzione in una prospettiva evoluzionistica del mondo, Firenze, Vallecchi, 1967 (l'originale è del 1964), p. 52 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), p. 286
- ^ Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, Il peccato originale, Queriniana, 1972, p. 373
- ^ Molari (vedi bibliografia), pp. 286, 291 - Riguardo allo sviluppo della dottrina sul peccato originale, il confronto con l'evoluzionismo è stato di forte stimolo ed ha permesso un notevole approfondimento dell'esegesi biblica. Le conclusioni a cui si è giunti restano ormai valide indipendentemente dalla teoria dell'evoluzione. Sempre Maurizio Flick e Zoltan Alszeghy (I primordi della salvezza, Torino, Marietti, 1969, p. 97) notavano:
«Se un giorno le scienze abbandonassero l'evoluzionismo, ciò in teologia non cambierebbe nulla. Resterebbe sempre un arricchimento dell'intelligenza della fede, provocata dall'incontro con l'evoluzionismo.»
- ^ La persona umana creata a immagine di Dio (vedi bibliografia), paragrafo 43
- ^ Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Simposio internazionale “Fede cristiana e teoria dell'evoluzione” (vedi bibliografia)
- ^ Giovanni Paolo II, Messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze in occasione del 60º anniversario della rifondazione (vedi bibliografia)
- ^ Joseph Ratzinger, Fede nella creazione e teoria dell’evoluzione, da Wer ist das eigentlich - Gott? (1969) - traduzione italiana pubblicata su Il Foglio, Il creatore dell'evoluzione - Il dissidio e l’armonia tra fede e scienza secondo il professor Ratzinger, 23 dicembre 2005, anno X, numero 303, p. 1 (Testo completo sul sito del progetto di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede).
- ^ Creazione e peccato. Catechesi sull'origine del mondo e sulla caduta, ed. Paoline, 1986, p. 45
- ^ Copia archiviata, su zenit.org. URL consultato il 20 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 7 gennaio 2009)., codice ZI05042401
- ^ Pope to Dissect Evolution With Former Students Archiviato il 16 agosto 2006 in Internet Archive., Stacy Meichtry, Beliefnet
- ^ Benedict's Schulerkreis Archiviato il 27 settembre 2007 in Internet Archive., John L. Allen Jr, National Catholic Reporter Blog, Sep 8, 2006
- ^ Pope says science too narrow to explain creation, Tom Heneghan, San Diego Union-Tribune, April 11, 2007
- ^ Evolution not completely provable: Pope, Sydney Morning Herald, April 11, 2007
- ^ Pope praises science but stresses evolution not proven, USA Today, 4/12/2007
- ^ (EN) Pope Francis declares evolution and Big Bang theory are real and God, su The Independent. URL consultato il 28 ottobre 2015.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]Riferimenti storiografici
[modifica | modifica wikitesto]- Mariano Artigas, Thomas F. Glick, Rafael A. Martínez, Negotiating Darwin: the Vatican confronts evolution, 1877-1902, Johns Hopkins University Press, 2006
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- Don O'Leary, Roman Catholicism and modern science: a history, Continuum International Publishing Group, 2006
- Pietro Redondi, Cultura e scienza dall'illuminismo al positivismo, in Storia d'Italia. Annali 3, Scienza e tecnica nella cultura e nella società dal Rinascimento a oggi, a cura di Gianni Micheli, Torino, Einaudi, 1980.
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Saggi sul rapporto tra evoluzionismo e religione cattolica
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- Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, Fondamenti di una antropologia teologica, Firenze, Fiorentina, 1969
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- Ernest C. Messenger, Evolution and theology: the problem of man's origin, The Macmillan company, 1932
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- Rafael Pascual, Raffaele Pisano (curatori), Atti della Giornata di studio sulla relazione: Scienze e Religioni, Editrice UNI Service, 2008
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- Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, In principio Dio creò il cielo e la terra Riflessioni sulla creazione e il peccato, Torino, Edizioni Lindau, 2006
- Christoph Schönborn, Caso o disegno? Evoluzione e creazione secondo una fede ragionevole, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 2007
- Angelo Secchi, L'unità delle forze fisiche, seconda edizione, Milano, 1874 (nella prima edizione, del 1864, l'evoluzionismo non viene trattato)
- Antonio Stoppani, Il Dogma e le Scienze Positive, Milano, Fratelli Dumolard Editori, 1884
- Antonio Stoppani, Sulla Cosmogonia Mosaica, Milano, Lodovico Felice Cogliati Editore, 1887
- Pierre Teilhard de Chardin, Le phénomène humain, Paris, Editions du Seuil, 1956 (Traduzione italiana: Il fenomeno umano, Brescia, Queriniana, 1995)
Pubblicazioni del Magistero della Chiesa Cattolica
[modifica | modifica wikitesto]- Papa Leone XIII, Lettera enciclica: Providentissimus Deus, Roma, 18 novembre 1893 (Testo completo sul sito della Santa Sede)
- Pontificia Commissione Biblica, Narrazioni solo apparentemente storiche, 23 giugno 1905, (Testo completo sul sito della Santa Sede)
- Pontificia Commissione Biblica, Sul carattere storico dei tre primi capitoli della Genesi, 30 giugno 1909 (Testo completo sul sito della Santa Sede)
- Papa Pio XII, Lettera enciclica: Divino Afflante Spiritu, Roma, 30 settembre 1943 (Testo completo sul sito della Santa Sede)
- Pontificia Commissione Biblica, Le fonti del Pentateuco e il genere letterario dei primi undici capitoli della Genesi, 16 gennaio 1948 (Testo completo sul sito della Santa Sede)
- Papa Pio XII, Lettera enciclica: Humani generis, Roma, 22 agosto 1950 (Testo completo sul sito della Santa Sede)
- Paolo VI unitamente ai Padri del Sacro Concilio, Costituzione Dogmatica sulla Divina Rivelazione, Dei Verbum, 18 novembre 1965 (Testo completo sul sito della Santa Sede)
- Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Simposio internazionale “Fede cristiana e teoria dell'evoluzione”, 26 aprile 1985 (Testo completo sul sito della Santa Sede)
- Giovanni Paolo II, Messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze in occasione del 60º anniversario della rifondazione, 22 ottobre 1996 (Testo completo sul sito della Santa Sede)
- Commissione Teologica Internazionale, La persona umana creata a immagine di Dio, in La Civiltà Cattolica 2004, IV, 254-286 (Testo completo sul sito della Santa Sede)
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Raccolta di testi sull'evoluzione a cura del progetto di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede (Pontificia Università della Santa Croce)