Engelsina Sergeyevna Markizova, detta Gelya (in russo Энгельси́на Серге́евна Маркизова?, più tardi Cheshkova, in russo Чешкова?; Ulan-Ude, 16 novembre 1928 – Ankara, 11 maggio 2004), è stata una storica e orientalista sovietica e poi russa, specialista nel sud-est asiatico e diventata famosa quando era ancora bambina dopo essere stata fotografata in braccio a Joseph Stalin nel gennaio 1936,[1][2] un'immagine che divenne uno dei simboli propagandistici più duraturi dell'era stalinista: venne diffusa nelle scuole, nei campi dei pionieri e nelle istituzioni per l'infanzia[3] come simbolo di riconoscenza "per un'infanzia felice".
Biografia
[modifica | modifica wikitesto]Figlia del commissario del popolo per l'agricoltura della provincia autonoma buriata-mongola Ardan Markizov,[4] nel gennaio 1936 fu ritratta in una foto con Joseph Stalin che fu successivamente utilizzata per scopi di propaganda. Gli regalò un mazzo di fiori dicendo: "Questi fiori sono per il compagno Stalin dai bambini della Repubblica buriata-mongola". Stalin poi la raccolse in un abbraccio mentre le telecamere tutt'intorno riprendevano l'immagine ormai iconica.[1] Il 29 giugno 1936 la foto fu pubblicata sulla prima pagina della Pravda.[3] L'immagine si diffuse dopo la pubblicazione negli asili, negli ospedali e nelle scuole di tutta l'Unione Sovietica, e successivamente venne trasformata in una scultura in marmo da Georgi Lavrov, un famoso scultore dell'epoca[1] che portò la Markizova a ricevere un trattamento preferenziale nelle riunioni scolastiche e del Partito Comunista.[1]
Nel 1937 suo padre, che era un funzionario provinciale per la regione della Buriazia, fu portato via dalla loro casa da agenti della polizia segreta, accusato di essere una spia giapponese e un trotskista. Nonostante gli appelli a Stalin da parte di sua madre per la sua clemenza, fu giustiziato nel luglio 1938 con la falsa accusa di essere un terrorista e avere organizzato un complotto sovversivo contro Stalin.[1]
Da quel momento Engelsina fu considerata figlia di un nemico del popolo. Si trovò evitata dai suoi compagni di classe mentre sua madre venne imprigionata per un anno e infine deportata nel sud del Kazakistan, morendo all'età di 32 anni in quello che fu descritto come un "misterioso incidente":[1] "un omicidio su cui le autorità non hanno mai indagato",[5] o suicidio.[6] Diventata orfana, Markizova visse con i parenti a Mosca. A questo punto, piuttosto che rimuovere o alterare le sue foto, i propagandisti sovietici decisero che era più facile modificare deliberatamente l'identità della ragazza raffigurata nelle foto e nei mosaici. Pertanto, la ragazza nella foto venne ufficialmente identificata come Mamlakat Nakhangova, una ragazza tagika che si era guadagnata l'Ordine di Lenin lavorando come raccoglitrice di cotone. Le immagini iniziarono a scomparire lentamente dopo il 1953, con l'ascesa della destalinizzazione.[1]
Più tardi nella vita, Markizova divenne una studiosa orientalista, specializzata in Cina e India. Solo dopo la morte di Stalin, conobbe, come il resto della Russia, il sanguinoso periodo della dittatura stalinista.[1]
Georgi Lavrov, che immortalò l'immagine di lei nel marmo, fu poi imprigionato per 17 anni nei campi di lavoro di Stalin, sopravvivendo solo grazie alla fortuna.
Vita privata
[modifica | modifica wikitesto]Si sposò con Erik Naumovich Komarov (1927-2013), un orientalista indologo, che nel 1959-1961 ricoprì la carica di addetto culturale sovietico in India. La suocera di Engelsina Sergeevna era l'architetto sovietico Lidia Komarova. Insieme al marito, Engelsina ha lavorato in India, si è trovata in compagnia del Primo Ministro Jawaharlal Nehru, così come di Nikita Khrushchev, Primo Segretario del Comitato Centrale del PCUS, e di Ekaterina Furtseva, Ministro della Cultura dell'URSS, entrambi in visita in India. Dal suo matrimonio con Komarov, ebbe una figlia nel 1952: Lola Erikovna Komarova, in seguito una scienziata-psicologa russa. Nel 1989 Engelsina divenne nonna: sua figlia Lola diede alla luce un figlio, Arseny Lopukhin.
Negli anni '60 Engelsina si sposò una seconda volta con l'orientalista Marat Cheshkov, con il quale visse fino alla sua morte. Da questo matrimonio nacque un figlio, Alexei.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c d e f g h (EN) Lee Hockstader, From A Ruler's Embrace To A Life In Disgrace, in The Washington Post, 10 marzo 1995. URL consultato il 7 luglio 2015.
- ^ (EN) Mikhail Heller e Aleksandr Nekrich, Utopia in power: the history of the Soviet Union from 1917 to the present, Summit Books, 1988, p. 282, ISBN 978-0-671-64535-9.
- ^ a b (EN) Catriona Kelly, Children's World: Growing Up in Russia, 1890-1991, Yale University Press, 2007, p. 106, ISBN 978-0-300-11226-9.
- ^ (EN) Miklós Kun, Stalin: An Unknown Portrait, Central European University Press, 2003, ISBN 978-963-9241-19-0.
- ^ (EN) Henry Allen, Uncle Stalin's Very Dark Darkroom, in Washington Post, 10 ottobre 1999. URL consultato il 6 giugno 2021.
- ^ (EN) Orlando Figes, Revolutionary Russia, 1891-1991: A History, Picador, 2014.
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