Regenbogenschüsselchen (variamente tradotto in italiano come coppelle, ciotoline o scodelline dell'arcobaleno), è la denominazione popolare, poi entrata stabilmente nell'uso scientifico,[1] che fu attribuita ad alcuni particolari oggetti d'oro, in apparenza monete, i cui ritrovamenti, attribuibili ai Celti, sono caratteristici di in un vasto territorio che va dall'attuale Ungheria fino all'Austria e alla Germania meridionale.
I ritrovamenti delle coppelle provengono da coniazioni e deposizioni effettuate nel III secolo a.C., probabilmente dalle popolazioni celtiche dei Vindelici e, soprattutto, dei Boi. Numerosi esemplari sono stati trovati negli scavi dell'oppidum di Manching.
Origine del nome
[modifica | modifica wikitesto]Il nome deriva da due elementi:
- la particolare concavità di una delle due superfici;
- le singolari circostanze che ne accompagnavano spesso il rinvenimento: molti esemplari riemergevano dalla terra in circostanze quasi magiche, nel XVIII secolo, dopo le devastazioni dovute alla pioggia[2]: dilavate dalle precipitazioni, si mostravano lustre e scintillanti agli occhi attoniti dei contadini della Germania meridionale. Queste circostanze diedero origine alla credenza superstiziosa che esse fossero la creazione dal contatto magico dell'arcobaleno con il terreno.[1] Il nome popolare inizialmente attribuito, è poi divenuto una terminologia correntemente accettata nell'uso scientifico.[1]
Iconografia
[modifica | modifica wikitesto]Le coppelle dell'arcobaleno riportano iconografie stilizzate da un simbolismo astratto, tipico della sensibilità artistica celtica, con motivi che richiamano allusivamente globi magici o torque dalle estremità nodulari.[2]
Funzione
[modifica | modifica wikitesto]Questi particolari esemplari appartengono a coniazioni e deposizioni del III secolo a.C.: le coppelle dell'arcobaleno sono quindi tra le più antiche monete celtiche, precedute soltanto da rare apparizioni del tardo IV secolo a.C.[3], delle quali, peraltro, non è conosciuta con esattezza l'epoca di inizio.[4]
Nonostante l'apparenza esteriore, non è tuttavia certo che le coppelle, così come le produzioni del secolo precedente, fossero destinate ad un vero uso monetario. L'iconografia, i siti di rinvenimento, e l'associazione ad oggetti dal valore sacrale e votivo, come torque o alberi placcati in oro, lasciano intendere che il loro ritrovamento sia probabilmente da riferire a deposizioni votive e a rituali magici, suggerendone una destinazione cultuale e cerimoniale piuttosto che un uso economico.[5]
Sicuramente si tratta, in entrambi i casi, di produzioni indipendenti dalla circolazione monetaria mediterranea. Fu quest'ultima però, soprattutto quella ellenistica, a partire dal III secolo a.C., dopo le Spedizioni celtiche nei Balcani, ad essere determinante per la vasta diffusione, nella società celtica, di una vera economia basata sullo scambio monetario.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c Venceslas Kruta 2004, p. 113.
- ^ a b Christiane Eluère, p. 113.
- ^ Alexander Demandt, p. 35.
- ^ Venceslas Kruta 1996, p. 587.
- ^ Christiane Eluère, p. 112.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Venceslas Kruta, La grande storia dei Celti. La nascita, l'affermazione e la decadenza, Roma, Newton & Compton, 2004, ISBN 88-8289-851-2.
- Christiane Éluère, I Celti: “barbari d’Occidente”, «Universale Electa/Gallimard●Storia e civiltà» (nº 44), 1994, ISBN 88-16-43628-X.
- Venceslas Kruta, Mondo greco e mondo celtico: incontro di due culture, in Giovanni Pugliese Carratelli (a cura di), I Greci in Occidente, Bompiani, 1996, pp. 585-590, ISBN 88-452-2821-5.
- Alexander Demandt, I Celti, Bologna, Il Mulino, 2003, ISBN 88-15-09306-0.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Altri progetti
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